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Autore: Milla Nafira    23/12/2011    1 recensioni
Silvia, Isabella, Bianca e Cinzia sono quattro diciassettenni milanesi che decidono di andare in vacanza insieme ad Oristano.
Silvia è una ragazza piena di sogni ma fragile e con problemi di anoressia, alla ricerca del suo posto nel mondo. E quell'estate, per caso, conoscerà per la prima volta l'amore, che la salverà dal tunnel dei suoi problemi alimentari, dandole una sicurezza fino ad allora sconosciuta.
L'amore si chiama Riccardo ed è di Firenze ma, una volta tornata a Milano, Silvia scopre che non è il Principe Azzurro che aveva creduto, e passa la più grande sofferenza della sua vita.
Otto anni dopo, i due si incontrano per caso a Milano, dove Riccardo di è trasferito per lavoro. Silvia adesso è una venticinquenne di agiata situazione economica che ha ancora le sue tre migliori amiche, che la stanno aiutando ad organizzare il suo matrimonio. Riccardo tenta di racimolare i soldi per l'affitto ogni mese, e a Milano non conosce nessuno.
Non avrebbero alcun motivo per vedersi ma, si sa, il primo amore non si scorda mai.
Le amiche di Silvia odiano Riccardo, lui l'ha ferita. Ma loro non sanno tutta la verità. Non sanno cos'è successo quella notte sulla spiaggia.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DUE

-Ti prego, Silvia, mangia qualcosa. Fallo per me-.

-Non ho fame-.

-Ma non hai mangiato niente-. Osservò Bianca con voce lamentosa. -Sono due giorni che non mandi giù nemmeno un boccone, siamo tutte preoccupate-.

-Mi sembra di essere in vacanza con mia madre, Bianchina-. Sbottò Silvia con voce acida. -Non ho fame, fa caldo e se mangio mi viene la nausea. Vuoi che vomiti qui?-.

-No, no, per carità-. Si affrettò a dire Bianca con aria schifata.

Isabella e Cinzia erano in piedi accanto al tavolino del bar dove erano sedute le altre due ragazze, senza dire nulla, d’accordo sul fatto che l’unica che avrebbe forse potuto far desistere Silvia dal suo proposito di non mangiare fosse Bianca. Isabella picchiettava un piede a terra con aria nervosa, vedendo la loro unica speranza perdere contro la cocciutaggine dell’amica, e si accede una sigaretta.

Nel giro di un paio di secondi una cameriera si affrettò verso il gruppetto. -Non può fumare all’interno, signorina-. Isabella sbuffò alzando gli occhi al cielo e, senza spegnere la sigaretta, uscì dal bar, seguita da Cinzia.

Si sentì un chiacchiericcio diventare sempre più forte e sfociare in urla e risate sguaiate, e un gruppo formato da una ventina di ragazzi e ragazze entrò nel bar e raggiunse Bianca e Silvia, prendendo sedie da ovunque e aggiungendole al loro tavolo. Silvia tirò un sospiro di sollievo pensando che l’amica non avrebbe potuto continuare a farle il lavaggio del cervello, grazie all’entrata in scena degli altri, che iniziarono ad ordinare da bere.

-Vi offro qualcosa, ragazze?-. Chiese Simone rivolgendosi alle due milanesi.

-Io prendo un Cubalibre, grazie-. Sorrise Bianca.

-Per te, Silvietta?-.

-Niente, sono a posto così, grazie mille-. Rispose Silvia parlando a macchinetta, e Simone rivolse un’occhiata preoccupata a Bianca, che rispose con un’alzata di spalle.

Riccardo, seduto su uno sgabello e appoggiato al bancone, sorseggiava il suo cocktail, scocciato dall’arrivo di quell’orda di gente. Prima che entrassero in scena quelli, si era quasi convinto ad andare a presentarsi alle quattro ragazze. In fondo erano carine, soprattutto quella mora che, da quanto gli era parso di capire dagli stralci di conversazione che era riuscito a sentire, si ostinava a non mangiare, e poi aveva bisogno di conoscere qualcuno. Era in quel paesino in provincia di Oristano da più di una settimana e ancora non aveva conosciuto un’anima, e gli unici ragazzi della sua età parevano essere quelli che avevano circondato le ragazze.

-Silvia-. Mario, moro diciassettenne sardo, picchiettò con la mano sulla spalla della ragazza, che gli prestò attenzione. -Quel tipo ti sta fissando-.

Silvia sollevò lo sguardo verso il bancone e incrociò quello di Riccardo arrossendo nel constatare che, effettivamente, il ragazzo era voltato e la stava guardando. Questo, del canto suo, si affrettò a distogliere lo sguardo non appena si accorse che tutto il gruppo puntava verso di lui.

-Chi è?-. Mormorò Silvia agli altri.

-Non è uno della compagnia-. Rispose Alex, con una pronuncia marcatamente romana.

-Se ti dà fastidio che ti fissi, ci penso io-. Aggiunse Simone, sfoggiando uno sguardo che voleva essere minaccioso.

-No-. Sussurrò Silvia, continuando a fissare lo sconosciuto, che ora le dava le spalle continuando a bere dal bicchiere.

-Ti sei incantata, Silvia?-. Fece Isabella, schioccando le dita a un centimetro dai suoi occhi.

-No, no-. Balbettò Silvia scuotendo la testa, e in quel momento Riccardo fece cadere distrattamente dalla sua mano una banconota sul bancone del bar, scivolò giù dallo sgabello e uscì dal locale. -Era carino-. Mormorò lei, parlando più con se stessa che con gli altri, che comunque la sentirono perfettamente.

[***]

La notte seguente la compagnia aveva dato un falò in spiaggia, cosa che i ragazzi facevano abbastanza spesso durante quelle lunghe estati trascorse tra la spiaggia, il bar della piazza e il paese poco popolato per essere una località di mare. Falò significava pizza, alcolici a volontà, bagno notturno e sacco a pelo.

La compagnia era costituita in tutto da una trentina di ragazzi e ragazze, anche se non capitava mai che fossero tutti presenti nella stessa sera, proveniente da diverse regioni d’Italia, ognuno con il suo dialetto, la sua pronuncia, i suoi modi, anche se i sardi erano sempre in netta maggioranza rispetto a tutti gli altri. Silvia, Isabella, Bianca e Cinzia erano milanesi: per loro quelle estati trascorse nella casa della vacanze di Isabella, nella quale i suoi genitori non andavano più da tempo e che quindi lasciavano volentieri alle ragazze, non erano mesi da trascorrere lontano dal caldo di una città sarda o in una spiaggia più bella e pulita di quella vicina a casa propria, come per molti lo era. Per loro quei mesi rappresentavano l’unica occasione di mare, che non avrebbero visto per tutti i seguenti nove mesi di scuola, quelli erano gli unici momenti in cui potevano fare il bagno in acqua salata, rotolarsi nella sabbia bollente, passare le nottate in un sacco a pelo sotto le stelle.

Silvia soffriva più delle altre la continua lontananza dal mare, amava la sensazione del sole che le asciugava il sale sulla pelle abbronzata, stare sdraiata sulla sabbia senza la protezione dell’asciugamano sotto di lei la faceva sentire a stretto contatto con la natura, e dormire sotto un cielo stellato le dava l’illusione di quella libertà che in tutta una vita aveva sempre sentito di non avere. Ma le piaceva anche la compagnia, quei ragazzi con cui passava le sue estati da ormai tre anni, quei ragazzi e ragazze tutti così diversi tra loro, conosciutisi per caso e per noia, ma che insieme formavano la compagnia meglio assortita che si fosse mai vista.

Per tutti questi motivi Silvia aveva sempre amato i falò, nonostante tendesse a non esagerare con l’alcool e nonostante finisse sempre a reggere lo fronte a qualche ubriaco fino alle prime luci del mattino. Ma quell’anno le cose erano diverse. Quell’anno solo la parola “falò” le aveva messo i brividi, non perché non amasse più le nottate in sacco a pelo o perché avesse avuto problemi con qualche membro della compagnia, la notte bianca sulle spiaggia le andava benissimo. Il problema era un altro, anzi, erano altri due: la pizza e l’alcool. Evitare l’alcool non sarebbe stato difficile: anche ai falò più selvaggi o a ferragosto non aveva mai bevuto più di un paio di bicchieri di qualcosa di nemmeno troppo forte o di un bicchiere di Vodka, e nessuno si sarebbe insospettito se avesse rifiutato anche quelli, primo perché non era un gran bevitrice, e secondo perché nessuno faceva caso a ciò che gli altri bevevano, a maggior ragione considerato che la metà non sarebbero più stati in sé dopo meno di un’ora.

Il vero problema era la pizza. Quella la mangiavano sempre tutti insieme, all’inizio, prima di iniziare a tracannare alcool, e quindi tutti avrebbero notato il suo digiuno; in secondo luogo c’è differenza tra non bere alcolici e non mandar giù cibo, e Silvia era sicura che la cosa non sarebbe passata inosservata. Quando aveva sentito nominare il falò, il primo pensiero che, con orrore, l’aveva sfiorata, era stato che avrebbe dovuto mangiare la pizza. E “pizza” era sinonimo di “calorie”. Tante calorie.

Simone e Alex arrivarono in spiaggia alle nove, con i motorini, e scaricarono decine di cartoni di pizza accanto al fuoco che Isabella e Cristiano continuavano ad alimentare buttando ceppi di legna che assomigliavano più a ramoscelli. Silvia e Cinzia, scambiandosi un sorriso malizioso e complice osservarono come, finita l’operazione, Cristiano cinse da dietro la vita di Isabella e si avvicinò con il viso sfiorandole con le labbra l’incavo del collo. Isabella si scostò dagli occhi la frangetta di capelli rossi e strizzò l’occhio in direzione delle amiche, mentre Bianca alzava il pollice in segno di approvazione. Un’altra delle tante conquiste di Isabella, e Cristiano era piuttosto carino, con i capelli neri a spazzola, un metro e ottanta di altezza e gli addominali scolpiti, anche se tutte sapevano che quella storia appena nata non avrebbe superato l’estate, dato che Venezia e Milano non sono esattamente a pochi minuti l’una dall’altra.

Isabella prese un cartone delle pizze dal mucchio e si sedette accanto a Cristiano, che le cinse la vita con un braccio mentre con l’altro si portava la pizza alla bocca. Silvia, controvoglia, afferrò un cartone e l’aprì: fissò con aria inorridita la pasta gonfia della pizza, la mozzarella filante, il rosso del pomodoro fresco. Guardò quella pizza che tutti stavano già mangiando con voracità e vide soltanto un cerchio di grasso, quello che si sarebbe depositato sulle sue cosce e sui suoi fianchi dopo quella sera. Con gli occhi lucidi al pensiero ed un’espressione angosciata deglutì, per poi afferrare con la mano destra una delle molli fette pretagliate e portarsela alla bocca, chiudendo gli occhi per evitare di scoppiare in lacrime. Morse la punta e, dopo averlo masticato più volte, ingoiò il primo boccone con aria sofferente, sotto lo sguardo preoccupato di Cinzia e Bianca. A malincuore, ripeté l’operazione con i restanti i bocconi di quella fetta e di altre due fette, dopodiché iniziò ad avvertire un senso di pienezza e nausea che la disgustò e le fece venir voglia di urlare. Trattenendosi, chiuse il cartone in cui ancora c’era più di metà della sua pizza e lo allontanò con ribrezzo, passandosi una mano sulle labbra sporche di pomodoro e poi prendendo a fissarla come se le tracce lasciate fossero sangue di qualcuno che aveva ucciso.

-Sul serio?-. Chiese Cinzia alzando un sopracciglio con aria di disapprovazione. -Tutto qui? Già finito?-.

-Lasciami stare-. Disse secca Silvia, sull’orlo della lacrime, alzandosi in piedi per andare a sciacquarsi le mani in riva al mare.

Gli altri non si accorsero di nulla. Silvia ci aveva impiegato un’eternità a mangiare quelle misere tre fette di pizza, che a qualsiasi persona non sarebbero bastate neanche lontanamente, ma che a lei sembravano un banchetto in grado di sfamare un reggimento, e gli altri avevano già ingurgitato la loro porzione e avevano iniziato a bere.

Silvia si sedette in disparte e guardò l’orologio del suo cellulare: erano le nove e ventisette. Calcolò che aveva iniziato a mangiare alle nove e dieci circa e si augurò di tutto cuore che i suoi amici si ubriacassero al più presto, così da non notare la sua assenza di qualche decina di minuti. Doveva sbrigarsi. Disgraziatamente, Alex si sedette accanto a lei con un tonfo sordo, tenendo in mano una bottiglia di Vodka aromatizzata -a cosa Silvia non riuscì a leggerlo sull’etichetta, nel buio, e nemmeno le interessava- da cui iniziò a bere a canna.

-Ne vuoi un po’?-. Domandò a Silvia con un sorriso, tendendola verso la ragazza.

-No, grazie-. Rispose lei con un sorriso forzato, allontanando con una mano quella sorgente di calorie, la cui visione le procurava il vomito a cui gli altri arrivavano dopo svariati bicchieri.

-Sei sempre astemia?-. Sorrise ironicamente Alex.

-Non proprio-. Rispose Silvia, sorridendo a sua volta, ma non con altrettanta naturalezza. -Ma non mi piace tanto bere. E poi, c’è bisogno di qualcuno che resti sobrio, no?-.

-Giusto-. Replicò Alex. -Ma non serve che quel qualcuno sia sempre tu. Puoi anche divertirti per questa sera-.

-Passare la notte in bianco piegata su me stessa a rimettere litri di alcool non mi sembra una prospettiva divertente-. Obiettò Silvia, arricciando il nasino a patata.

-Per un bicchiere non passerai la notte a vomitare, Silvietta-.

-Ho già bevuto un bicchiere-. Replicò lei.

-Ah sì? E di cosa?-. Domandò Alex ironicamente.

-Di sambuca-. Mentì Silvia. -E non ho più voglia di bere. Alcuni ai divertono in altro modo, anziché distruggendosi il fegato come fai tu-. Tagliò corto con tono acido.

-Certo, alcuni adottano la tua tecnica e passano il tempo distruggendosi il cervello con seghe mentali mai viste e poi anche il corpo-. Gli occhi azzurri di Alex si piantarono in quelli verdi di Silvia in cui, nel buio, brillò una scintilla di rabbia e panico, e si sentì scoperta, sentì che il suo segreto non era più un segreto. Lo sguardo del ragazzo era serio, duro, Silvia non era abituata a vederlo così.

-Non capisco di cosa stai parlando-. Si difese con voce tremante, cercando di guadagnare tempo.

-Come attrice fai pena-. Sbuffò Alex serio. -Non mentire con me. Lo sai che non ti riesce, sai perfettamente di cosa sto parlando, e anche io lo so-.

-Chi è stata?-. Esclamò Silvia con voce acuta, sull’orlo delle lacrime. -Bianca? Cinzia?-. Il suo sguardo si posò sulla prima, che stava tracannando qualche cosa dalla bottiglia e che, quando si staccò, rideva ininterrottamente.

-Nessuno della due-. Affermò Alex. -Silvia, non hai mai bevuto molto, ma da quando sei arrivata quest’estate non ti ho mai vista non solo con un cocktail, ma nemmeno con una bevanda che non sia l’acqua-.

-L’acqua fa bene-. Divagò Silvia. Alex la ignorò.

-Non hai mai mangiato un gelato, una granita, abbiamo pranzato fuori e tu hai detto di non avere fame e ho visto come le tue amiche ti guardano, hanno sempre un’aria preoccupata-. Elencò Alex alzando un nuovo dito della mano sinistra ogni volta che tirava fuori una nuova argomentazione della sua tesi. -E poi-. Abbassò la voce, accorgendosi che stava quasi urlando. -Ti ho vista stasera, come mangiavi la pizza. Hai mangiato due fette in tutto, e sembrava che stessi mandando giù una medicina dal sapore schifoso-.

-Tre fette-. Corresse Silvia, regolando il respiro per trattenersi dallo sbottare. -E quella pizza aveva un sapore schifoso, e poi era fredda, e io avevo già mangiato a casa-.

-Non dire stronzate, Silvia-. Sibilò Alex. -La pizza era la stessa di sempre, e a te è sempre piaciuta, ed era calda-.

-Dove vuoi arrivare?-. Mormorò Silvia tra i denti, ormai decisamente alterata.

-Smettila di fare qualsiasi cosa tu stia facendo-. Sussurrò Alex con aria più affranta che adirata.

-Non so di cosa tu stia parlando-. Ribadì Silvia, cercando di chiudersi a riccio, come faceva da ormai sei mesi ogni volta che qualcuno cercava di parlarle del suo problema, per paura che quei discorsi potessero convincerla a tornare sui suoi passi.

-Basta palle, Silvia, basta!-. Urlò Alex. -Sei bella, sei magra, lo sei sempre stata, non farti del male gratuito. Per cosa poi?-.

-Tu non capisci-. Mormorò Silvia scuotendo la testa, e lasciando che le lacrime le lubrificassero gli occhi e fregandosi rapidamente una mano sul viso prima che potessero colarle sulle guance.

-No, non capisco, Silvia-. Ammise Alex. -Non capisco come una ragazza di diciassette anni, bella, intelligente, ricca possa rovinarsi la vita per guardarsi allo secchio e vedere le ossa che sporgono dalla pelle-.

Silvia sentiva che questa frase avrebbe dovuto farle sentire il forte desiderio di piangere, ma invece le bloccò le lacrime sulla soglia degli occhi. Per quanto Alex avesse tutta l’intenzione di dissuaderla dal suo proposito con quella frase, la previsione nuda e cruda di ciò che sarebbe diventata continuando così le diede un senso di sicurezza che le scaldò il cuore, anziché farla vacillare. Non rispose, perché temeva che nella sua voce il suo amico avrebbe scorto quella sua sensazione, e per fortuna arrivò Mirco a salvarla.

-Alex, vieni a darci una mano-. Urlò Mirco, arrivando di corsa, con voce trafelata e interrotta dal respiro affannoso.

-Che cazzo è successo?-. Esclamò Alex scattando in piedi.

-Tuo fratello-. Disse Mirco, fermandosi un secondo per riprendere fiato, piegato e con le mani sulle ginocchia.

-Che cazzo ha fatto?-. Chiese Alex con aria esasperata. Enrico, il fratello di Alex, aveva quattordici anni ma da quell’anno, avendo iniziato ad uscire con loro, si sentiva un adulto e non c’era quasi una serata in cui non creasse scompiglio per essersi ubriacato o per stare male dopo essersi fumato qualcosa che, evidentemente, non era in grado di reggere.

-E’ sugli scogli ubriaco e minaccia di buttarsi giù, dobbiamo riportarlo a casa-. Rispose Mirco.

-Cosa?-. Urlò Alex. -E tu l’hai lasciato da solo in quello stato-.

-No, no, certo che no-. Esclamò Mirco. -Ci sono Mario e Francesco con lui, ma devi aiutarci a trascinarlo via. C’è qualcuno a casa tua?-.

-Sì, mia madre-. Sospirò Alex. -Andiamo a riprenderlo-. Poi si girò verso Silvia, lanciandole un’occhiata preoccupata.

-Tranquillo, vai pure-. Disse lei, vergognandosi in cuor suo per essere grata ad Enrico. -Tanto credo che dovrò andare a reggere la fronte a Bianca-. E indicò l’amica che, sdraiata a terra a piangere, non sembrava sentirsi tanto bene. Alex annuì ed iniziò a correre verso gli scogli con Mirco, allontanando in malo modo Clarissa che, completamente ubriaca, gli si era buttata addosso.

Silvia gettò una rapida occhiata in direzione di Bianca ma, vedendo Cinzia che le si avvicinava e la aiutava a tirarsi su, si mise l’anima in pace e, senza perdere tempo, iniziò a correre in direzione delle dune. Capì di essere abbastanza lontana quando le urla degli amici in spiaggia iniziarono ad arrivarle indistinte ed ovattate. Allora, accanto ad un arbusto, si chinò sulle ginocchia, si premette con forza una mano sullo stomaco, aprì la bocca e, con il dito indice dell’altra mano, andò a toccarsi l’ugola con gesto esperto.

I primi residui masticati della cena uscirono dalla sua bocca mischiati alla saliva appiccicosa con un lamento quasi impercettibile. Silvia trovò conforto nel famigliare sapore acido che disturbò le sue papille gustative quando un getto più consistente di vomito le attraversò la gola e andò a finire sulla sabbia fine e grigia. Sentiva tutte quelle calorie che aveva indisciplinatamente ingurgitato uscire dal suo corpo sottoforma dello schifo che erano, sentiva la piacevole e fasulla sensazione dei fianchi che le si snellivano e le ossa che le sporgevano un po’ di più ogni volta che le guance le si sgonfiavano per lasciare andare quei frammenti masticati di veleno della bellezza. L’aveva fatto tante volte che ormai era in grado di non mordersi più le dita, di non insudiciarsi i capelli con il suo stesso modo, di rialzarsi in piedi, asciugarsi gli occhi dalle lacrime che le sgorgavano insieme al vomito, stare come prima e fare finta di niente. Tornò dagli altri, per andare verso il mare a pulirsi le mani, sciacquarsi la bocca da quel sapore acido e buttarsi un po’ di acqua sul viso per ridarsi un aspetto presentabile.

Non fece in tempo a farlo perché Alex intercettò il suo cammino. -Eccoti-. Disse. -Ho riportato l’idiota a casa-. Silvia non rispose ma, alla luce infiochita dalla lontananza dello scoppiettante falò, Alex dovette notare il suo esagerato pallore. -Tutto bene?-. Silvia annuì con un cenno del capo e Alex, poco convinto, alzò un sopracciglio. -Che hai fatto?-. Insistette.

-Nulla-. Rispose Silvia, rendendosi conto di aver fatto male a parlare prima di essersi sciacquata la bocca dall’espressione che subito Alex fece.

-Puzzi di vomito-. Disse con aria schifata, senza alzare la voce.

-Colpa di Bianca-. Mentì Silvia.

-Non sparare cazzate, Bianca non ha vomitato, è svenuta e ora sta dormendo in pineta-. Silvia si chiese se stesse bluffando, ma guardandosi intorno non vide l’amica e, sapendo di essere una pessima bugiarda, decise di non spingersi troppo oltre.

-La prospettiva di rimettere litri di alcool non ti attira, ma quella di vomitare l’unica parvenza di cena che tu abbia fatto negli ultimi mesi, be’, quella ha tutto un altro fascino, vero?-.

Silvia sentì la rabbia montarle dentro di fronte al sarcasmo di Alex. -Fatti gli affari tuoi, tu non sai cosa sto passando, non sa cosa ho io nella testa, e non sforzarti di capirlo, non potresti mai-. Alex socchiuse le labbra e fece per ribattere qualcosa, ma Silvia non gliene diede il tempo. -E’ meglio che vada a vedere come sta Bianca-. Disse, correndo verso la pineta, in lacrime.

ANGOLO AUTRICE

Scusate il mostruoso ritardo, ma questo non è stato un gran periodo per me e non avevo il tempo né la voglia di mettermi a scrivere! Prometto che sarò più veloce nell’aggiornare, spero sarete in molti a recensire, mi farebbe piacere sapere le vostre opinioni.

Un bacio,

-M.

   
 
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