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Autore: Aya88    23/12/2011    5 recensioni
“Ma per favore, Kakashi, il tuo è solo un altro modo per non confrontarti con una realtà scomoda!” Sbottò seccato […] “Per te è troppo difficile immaginare che qualcuno non abbia paura, che si riesca a vivere mettendo in conto il rischio di soffrire ancora, e questo ti ha portato a comportarti da idiota anche con Sakura.” Affermò grave, un leggero turbamento a segnare i suoi lineamenti, non fosse altro per il battito del suo cuore che, insolente, aveva accelerato all’improvviso mentre pronunciava le ultime parole, parole che per Kakashi equivalsero ad un tuffo rapido giù dalla nuvola su cui, a quanto sembrava, si era comodamente rintanato nell’ultimo mese.
Legata a ‘Questioni in sospeso’ in ‘The paths of living’, la lettura può essere utile per qualche premessa, ma non è indispensabile. Paring KakashiTenzo
Terza classificata al contest 'Di universi alternativi e storie edite' indetto da Kiki e Rò
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kakashi Hatake, Yamato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
- Questa storia fa parte della serie 'Maybe'
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Paura di amare

Questa fic è dedicata alle ragazze del Delirium Tremens.
I motivi sarebbero tanti, e dato che si sono accumulati nel corso del tempo, ho colto l’occasione per racchiudere tutto in una fan fiction di Natale. Scrivere dediche non fa proprio per me, quindi mi limito a dire che vi voglio bene e che spero ci possano essere altre ‘Lucche’, se possibile tutte insieme. Buon Natale, ragazze ^^







È sempre accaduto che l'amore abbia ignorato quanto fosse
profondo fino al momento del distacco

Gibran, Kahalil




Anche quel giorno il silenzio avvolgeva il dipartimento di Scienze Naturali, spezzato solo da qualche rapido scambio di saluti o da una breve conversazione, ma niente che turbasse la consueta calma; una calma quasi innaturale, se si pensava ai corridoi e alle aule affollate di studenti.
Mentre, al chiuso nel proprio angusto studio, sfogliava distrattamente le pagine di un saggio, il professore Kakashi Hatake si chiese quale delle due atmosfere preferisse realmente: quella un po’ caotica e confusa delle facoltà, dove si immergeva nelle lezioni catturando l’interesse dei presenti o solo qualche sguardo un po’ troppo insistente, oppure quella tranquilla che regnava lassù. Senza dubbio non poteva negare di trovarsi a suo agio in entrambi i contesti, d’altronde aveva operato consapevolmente la sua scelta di vita, ma era altrettanto vero che trascorrere delle ore in quella zona dell’università si rivelava a volte un toccasana, consentendogli di rilassarsi.
Sospinto da quella considerazione, il suo pensiero volò rapido al periodo più difficile della sua infanzia, quando il silenzio e la solitudine non avevano assolutamente niente di positivo. Non gli risultò difficile rievocare con la memoria il cortile della casa-famiglia, rinfrescato dalla brezza leggera della sera, né tanto meno il tremolio lontano delle acque marine. Ogni volta, quando i giochi del pomeriggio si concludevano, rimaneva ancora lì, seduto sul solito muretto, solo come lo era stato per ore tra le voci che si rincorrevano degli altri bambini, con sulle gambe un libro che aveva attirato sempre meno la sua attenzione. Non aveva mai voglia di unirsi a un divertimento momentaneo e apparente, preferiva piuttosto estraniarsi da tutto e tutti, rinchiudendosi in se stesso e cedendo gradualmente all’apatia, in attesa del momento in cui tutti gli altri sarebbero rientrati per la cena e il silenzio sarebbe finalmente giunto a fargli compagnia, offrendogli la tangibile illusione di poter lasciare fuori ogni dolore, ogni ricordo troppo felice per non essere foriero di angoscia; una difesa mentale che anche il mare contribuiva ad alimentare con il suo blu quasi ipnotico, capace di risucchiare ogni pensiero dissolvendolo nel ritmo lento delle onde.
Solo un’altra volta, ormai lasciata la casa-famiglia, aveva riprovato per pochi istanti quella stessa sensazione di vuoto piacevole, sebbene in modo del tutto inaspettato. Erano ancora i primi tempi dell’affidamento, quando la paura di accettare l’affetto di una famiglia lo frenava in ogni semplice gesto, ma sua sorella Ame, con uno dei suoi consueti colpi di testa, riuscì ad aprire un piccolo spiraglio nella sua incertezza. Senza preavviso e consapevole di procacciarsi una ramanzina, era andata a prenderlo a scuola, attendendolo all’uscita seduta sul motorino con un casco tra le mani. Immersa tra la folla di ragazzini e genitori, la scorse solo quando la sua chioma rosata era apparsa ben visibile, accompagnata da un braccio alzato che ondeggiava leggermente per attirare l’attenzione su di lei. L’aveva raggiunto un po’ titubante, non ancora aduso al suo carattere imprevedibile, ci avrebbe impiegato molti anni per non sorprendersi così facilmente, poi silenzioso le aveva lanciato uno sguardo interrogativo nella vana speranza di venire a conoscenza del motivo della sua presenza; lei, invece, era limitata a porgergli il casco invitandolo ad allacciarlo stretto e lui, consapevole di non avere molta altra scelta, aveva indossato l’oggetto sferico ed era salito sul motorino. Dopo una seconda raccomandazione ad abbracciarla per non cadere, erano partiti lasciando dietro di loro l’edificio scolastico e le abitazioni che lo fiancheggiavano, proseguendo poi per un viale alberato. Finché la strada che avevano percorso era stata quella di tutti i giorni, non si era posto alcuna domanda, ma non appena avevano imboccato alcune traverse che non conosceva aveva provato una certa confusione e una volta raggiunta la tangenziale si era dovuto per la seconda volta rassegnare a qualunque cosa sua sorella avesse in mente. Aveva così scoperto dove lo avesse portato solo quando il motore si era spento e aveva avuto modo di guardarsi intorno senza più il fastidio del vento generato dalla velocità. Si erano fermati a pochi metri dal mare; davanti a loro la spiaggia dorata digradava dolcemente fino ad incontrare il placido andirivieni delle acque, mentre alle loro spalle una pineta fiancheggiava per un buon tratto la strada su cui sostavano.
“Forza, vieni!” Lo aveva esortato Ame con un sorriso abbozzato, distogliendolo dall’esplorazione visiva del posto.
Poi l’aveva vista togliersi, veloce, le scarpe di ginnastica per avventurarsi sulla sabbia, evidentemente impaziente di percepire sotto i piedi fasciati da calzini bianchi la consistenza granulosa del minerale. Non avendo altre scelte, era sceso anche lui dal motorino e abbandonato il caso l’aveva seguita, chiedendosi vagamente il perché di tutto quello, ma mentre impacciato si sforzava di camminare normalmente si era anche reso conto che in fondo non gli importava, ed era stato proprio in quel preciso che si era concentrato sul mare, catturato dal familiare ondeggiare delle acque, che all’inizio aveva quasi trascurato preso com’era dall’intera situazione. Soffermare lo sguardo su quel lento movimento era stato come fare un salto indietro nel tempo: fermo a pochi metri dalla riva, i suoi pensieri erano diventati un tutt’uno con i riflessi del cielo sulla superficie marina, mentre la realtà esterna si era dissolta nel nulla. Ma tutto era durato solo pochi frangenti; gocce d’acqua, colpendogli il viso all’improvviso, lo avevano costretto a serrare di scatto le palpebre e a girare il capo di lato. Quando poi si era voltato di nuovo nella direzione da cui erano provenuti quegli schizzi inaspettati, era stato raggiunto da una risata cristallina che aveva smosso qualcosa dentro di lui. Come gli avrebbe raccontato anni dopo Ame, l’espressione spaesata che si era dipinta sul suo viso era stata talmente buffa che non aveva potuto trattenere l’ilarità.
Nell’affollarsi di ricordi e pensieri, Kakashi si sorprese di come quel momento lontano fosse ancora così vivido da assumere una consistenza reale. Gli sembrava davvero di poter vedere sua sorella davanti a lui: i piedi ormai scalzi immersi nell’acqua, i capelli trattenuti dietro l’orecchio per impedire che le coprissero la visuale e due occhi smeraldini che lo scrutavano con tenerezza.
Assalito da una malinconia dolce e amara insieme, emise un sospiro e allontanò il libro che aveva davanti, facendolo scivolare lentamente sul piano ligneo della scrivania, mentre arretrava con il busto per adagiarsi alla spalliera della sedia. Pur a distanza di tanti anni, la morte di sua sorella continuava ad essere un vuoto che, nascosto dalla routine quotidiana, si svelava ogni volta che finiva per lasciarsi andare ai ricordi. Dopo quell’improvvisata al mare, aveva stretto con lei un rapporto particolare, un misto di curiosità e affetto di cui allora non capiva l’origine; ci avrebbe messo un bel po’ per cogliere in esso la voglia di amare e di essere amato ancora, nonostante la dura ferita che la vita gli aveva inferto. Con la sua allegria e stravaganza, Ame era stata infatti la prima ad andare al di là delle sue difese, affidandogli una nuova speranza.
Si portò una mano tra i capelli scostando alcuni ciuffi che gli ricadevano scompostamente sulla fronte, poi prese a massaggiarsi le tempie per alleviare un dolore improvviso. Non doveva essere certo una coincidenza se proprio quel giorno si era insinuata nei suoi pensieri; con in vista la festa di fidanzamento di Sakura forse era inevitabile ripensare alla donna che era stata sua madre e da cui aveva ereditato tantissimo, dai tratti fisionomici al carattere determinato e a volte bizzarro. Dopo l’incidente in cui Ame e suo marito avevano perso la vita, aveva visto crescere sua nipote giorno dopo giorno e, man mano che gli anni trascorrevano e assomigliava sempre più a sua sorella, una parola o un semplice gesto erano capaci di procurargli un moto di amara nostalgia; eppure, se non fosse stato per quel piccolo angelo dagli occhi tristi, non sapeva cosa sarebbe successo. Dover infatti aiutare i suoi genitori adottivi ad occuparsi di lei non gli aveva permesso di piangersi addosso, di immobilizzare ancora una volta la sua vita, ma l’aveva costretto ad andare avanti, ad affrontare la realtà quotidiana con tutte le sue problematiche. Non ricordava il momento preciso, ma aveva deciso che qualunque cosa avrebbe fatto sarebbe stata volta a proteggere il suo mondo, una scelta determinata da paura ed incertezza che aveva portato con sé l’esclusione di ogni nuovo sentimento, ma che in qualche modo gli aveva concesso di raggiungere un suo equilibrio, o almeno così aveva creduto fino a un mese prima.
Come un fulmine a ciel sereno, l’immagine di un sorriso seguito da un bacio a fior di labbra attraversò veloce la sua memoria, un ricordo che non avrebbe dovuto esserci e che invece gli riscaldava ancora il cuore. Forse, se l’avesse ammesso anche a parole, avrebbe trovato al suo fianco qualcuno pronto a farlo uscire di nuovo dal suo guscio, così come era accaduto con Ame, ma ogni volta che ci pensava, insieme ad una piacevole sensazione che non riusciva a definire, provava anche tanta stanchezza.
Nel tentativo di fuggire dal circolo vizioso creato dalla sua mente, si alzò per raccogliere i libri sparsi sulla scrivania, disponendoli l’uno sull’altro, poi si avvicinò alla libreria alle sue spalle per riporli nelle rispettive collocazioni. Aveva appena rimesso al suo posto uno degli ultimi saggi, quando qualcuno bussò alla porta ed evidentemente a conoscenza della sua presenza all’interno dello studio entrò poco dopo senza attendere una risposta. Kakashi si voltò allora per accogliere il nuovo arrivato e, trovandosi di fronte l’uomo che aveva completato il flusso dei suoi pensieri, lasciò scivolare via il rimprovero bonario che aveva sulla punta della lingua.
“Ciao, Tenzo.” Lo salutò con il tono più normale che gli riusciva, poi posò un altro volume anche per evitare di guardarlo dritto negli occhi; sapeva sempre comparire nei momenti meno adatti. “Come mai qui?” Gli chiese senza pensarci troppo, altrimenti avrebbe già conosciuto la risposta.
“Secondo te?” Rispose infatti il collega. “La festa è domani e noi dovremmo comprare ancora un regalo.” Spiegò.
Liberatosi del tutto dei libri consultati nelle ultime ore, il professore Hatake si grattò la nuca scompigliando leggermente i capelli.
“Hai ragione.” Mormorò.
Non se l’era certo dimenticato, ma riflettere su cosa potesse regalare a Naruto e Sakura equivaleva a rendere il loro fidanzamento ancora più reale, quindi aveva finito per accantonare la questione in un angolino della sua mente.
“Beh, ecco…” continuò volgendosi finalmente verso di lui “non è che potresti andarci con Kurenai? Anche lei è invitata e un consiglio femminile è di sicuro più utile di noi due messi insieme.”
Una scusa che poggiava su deboli argomentazioni, quasi simile a quella di uno studente sbadato, pensò all’istante Tenzo, solo che Kakashi non era affatto uno studente, né tanto meno sbadato, e ottenne l’unico effetto di innervosirlo.
“Sarebbe tua nipote, fino a prova contraria. E’ assurdo che ci andiamo io e Kurenai!” Esclamò, ancora con tono tutto sommato calmo, nonostante le implicazioni che leggeva dietro la richiesta dell’amico e che ormai non potevano più sfuggirgli.
“Sì, lo so, ma… non sono particolarmente pratico di certe faccende.” Replicò Kakashi, distogliendo lo sguardo dal suo interlocutore per poi lasciarlo scivolare sulla scrivania alla ricerca di un qualunque appiglio per nascondere il disagio.
Furono alcune fotocopie a soccorrerlo; le recuperò e iniziò a sfogliarle con finto interesse, nell’ingenua speranza che Tenzo lasciasse cadere la questione e lo assecondasse. Il collega, però, di fronte al suo comportamento evasivo, finì solo per passare da un velato nervosismo ad una palese irritazione.
“Poco pratico, eh?” Esordì tutto d’un fiato, aggrottando le sopracciglia. “Ma per favore, Kakashi, il tuo è solo un altro modo per non confrontarti con una realtà scomoda!” Sbottò seccato, ottenendo così che l’amico gli rivolgesse attenzione una volta per tutte, poi espresse a voce alta quello che gli ronzava nella testa da un bel po’ e che inevitabilmente coinvolgeva anche lui.
“Per te è troppo difficile immaginare che qualcuno non abbia paura, che si riesca a vivere mettendo in conto il rischio di soffrire ancora, e questo ti ha portato a comportarti da idiota anche con Sakura.” Affermò grave, un leggero turbamento a segnare i suoi lineamenti, non fosse altro per il battito del suo cuore che, insolente, aveva accelerato all’improvviso mentre pronunciava le ultime parole, parole che per Kakashi equivalsero ad un tuffo rapido giù dalla nuvola su cui, a quanto sembrava, si era comodamente rintanato nell’ultimo mese.
Lo sfogo di Tenzo, infatti, perché così doveva interpretarlo, non solo metteva sotto accusa pensieri e preoccupazioni riguardo la scelta di sua nipote che credeva di non aver lasciato trapelare così chiaramente, ma soprattutto denunciava il modo in cui continuava ad impostare il loro rapporto anche dopo quella notte che aveva eluso le sue debolezze.
Era stato davvero uno sciocco a pensare che le sue azioni non avrebbero lasciato nessuna traccia; nonostante le parole rassicuranti che il collega gli aveva rivolto alla fine del convegno, tra le intenzioni e la realtà dei fatti c’è sempre un abisso, avrebbe dovuto saperlo bene.
Lo sguardo sorpreso e vagamente dispiaciuto che comparve in quegli istanti nei suoi occhi non sfuggì all’uomo a pochi metri da lui, da cui lo separava una semplice scrivania capace di apparire in quel frangente un ostacolo insormontabile. Tenzo capì subito le conclusioni a cui era giunto e provò un terribile imbarazzo misto ad un certo fastidio per essersi lasciato smascherare da uno stupido regalo; infilò le mani in tasca stringendo i pugni e reclinò il capo di lato fissando il nulla.
“Lascia perdere, fa come vuoi.” Disse poco dopo, spezzando il silenzio teso che li aveva avvolti; poi, impaziente di fuggire da quell’ufficio, gli consigliò di chiamare Kurenai per la scelta del regalo e lo lasciò di nuovo solo.
Quando Kakashi sentì la porta richiudersi, ebbe la brutta sensazione che il rischio di perdere qualcosa di importante pendesse di nuovo sulla sua testa come una spada di Damocle.

Mezzora dopo, tamburellando le dita su un tavolino con lo sguardo perso nel vuoto, Tenzo attendeva che gli fosse servito un caffè nel bar della facoltà di Scienze matematiche, incapace di capire se si sentisse più arrabbiato, deluso o triste.
A differenza di Kakashi, aveva sempre saputo perfettamente di non poter imbrigliare i suoi sentimenti in schemi rigidi, come era abituato a fare con atomi e molecole; eppure, da quando aveva compreso che ciò che provava nei confronti del collega era molto più di un’amicizia, aveva sperato davvero di esserne in grado. Pur di non mettergli pressione, pur di non forzarlo a superare il cumulo di paure e incertezze che si trascinava dietro, con l’alto rischio di perderlo, aveva tentato di reprimersi, di continuare a comportarsi con lui da semplice amico, e fino ad un certo punto c’era anche riuscito. C’era riuscito fino a quella notte in cui erano finiti a letto insieme, facendo saltare ogni legame di quella assurda reazione che era il loro rapporto; in seguito, con il sesso entrato a far parte della loro equazione, ogni tentativo di ribilanciamento era fallito miseramente.
Sospirò con amarezza, cessando di tormentare la superficie in legno.
La discussione che avevano avuto poco prima ne era solo l’ultima palese dimostrazione, indubbiamente la più grave, quella che gli aveva messo addosso l’ombra opprimente della parola fine. Per la prima volta, da quando tutto ciò che provava si era amplificato, non era più riuscito a tenersi dentro i suoi turbamenti, ma gli aveva indirettamente sbattuto in faccia di non poter più sopportare stoicamente la sua ritrosia, di non poter più soffocare impulsi ben poco innocenti nello stargli a stretto contatto, nel vedere il suo viso, il suo corpo, nell’incrociare il suo sguardo e sentire il suo profumo, di non poter più reggere il pugno allo stomaco di quando la giornata si concludeva e avrebbe voluto potergli parlare ancora o semplicemente guardarlo negli occhi. Era inevitabile, quella sorta di litigio non avrebbe non potuto comportare delle spiacevoli conseguenze.
La barista che lo servì, in quell’istante, contribuì solo ad aggravare la sua conclusione.
“Professore, ecco a lei!” Disse la ragazza con un lieve sorriso sulle labbra, adagiando il caffè davanti a lui, poi gli augurò buona giornata e tornò veloce al suo lavoro, tutto mentre Tenzo si ritrovò costretto a sopprimere un terribile groppo alla gola, che lo obbligò a ringraziarla con voce sommessa.
Afferrò il manico della tazzina e fissò il liquido nerastro al suo interno, così simile al suo stato d’animo. Ora che era crollata del tutto come un castello di carte la sua illusione di poter reggere ancora la situazione e Kakashi aveva intuito come stessero realmente le cose, sfiorava il precipizio della rottura non solo la loro amicizia, ma probabilmente anche buona parte del  loro rapporto lavorativo. Era difficile condurre dei comuni progetti di ricerca, quando la testa e il cuore premevano in direzioni del tutto opposte, ne aveva avuto qualche assaggio in quell’ultimo periodo; inoltre conosceva Kakashi, e pur di non alimentare ulteriori false illusioni, avrebbe limitato al minimo i loro contatti anche in quel campo.
Bevve il caffè quasi in un sorso, stanco e frustrato, un dolore sordo a renderlo inquieto. Se avesse potuto, se ne sarebbe tornato a casa per buttarsi sul letto e sprofondare nel sonno, ma purtroppo doveva tenere altre lezioni, che non gli erano mai pesate così tanto come in quel momento.

Col ritorno del silenzio e della solitudine i pensieri che aveva cercato di scacciare dalla mente erano tornati a tormentarlo, rimbalzando contro la porta chiusa del suo ufficio e rimanendo ad aleggiare con prepotenza nella stanza; gli era sembrato quasi che lo soffocassero, mentre ormai accasciato contro la spalliera della sedia tentava di ritrovare un filo logico nella massa intricata che erano la sua testa e il suo cuore. Fin dal primo istante, fin da quando nel buio della notte, col capo tra le mani, aveva posato uno sguardo sull’uomo addormentato al suo fianco, sul profilo e sul  petto nudo stagliati contro la luce soffusa di una lampada, si era insinuato dentro di lui, come un tarlo, il timore di aver compiuto il primo passo verso la logorazione del loro rapporto; dopo l’indiretta rivelazione del collega, però, aveva avuto l’impressione di averne fatti cento di passi, non uno, e per giunta senza accorgersene. Da ingenuo, aveva creduto che se non avesse ceduto a quello che la debolezza di una sera gli aveva messo di fronte e avesse messo in chiaro la situazione non sarebbe cambiato quasi nulla, ma purtroppo aveva sbagliato a fare i calcoli, quella volta, e la sua erronea valutazione andava al di là di quell’ultimo periodo; ciò che Tenzo doveva aver provato in quell’ultimo mese era solo la punta di un iceberg, un iceberg costituito da una massa compatta di incertezza, quella che gli aveva riversato addosso da quando ciò che legava il collega a lui era iniziata a non essere più semplice amicizia, perché si sarebbe ingannato da solo, se non avesse ammesso a se stesso di essersene accorto da tempo. Il suo errore più grave era stato quello di chiudere gli occhi davanti alla realtà, rimanere ripiegato su stesso e non frenare in tempo l’evolversi delle cose, un errore che aveva incredibilmente commesso per la prima volta. Era stata quell’ultima constatazione a gettarlo nella confusione più totale durante la restante mezzora che aveva trascorso nel dipartimento, confusione che era tornato ad assalirlo mentre osservava Kurenai parlare con la commessa e si rendeva conto sempre di più che avrebbe voluto che ci fosse Tenzo al posto della donna e che la discussione di quella mattina non si fosse mai svolta. Quella volta si era comportato da vero egoista, o forse lo era sempre stato e solo con lui non era riuscito ad impedire che il suo egoismo causasse inutile sofferenza; non vederlo più, o quanto meno ridurre al minimo indispensabile i loro rapporti, perché quello era l’inevitabile esito della loro situazione, avrebbe rappresentato in fondo la giusta punizione per la sua colpa, oltre che evitare di inferire ancora sullo stato d’animo di Tenzo.
“Mi stai ascoltando, Kakashi?” Gli chiese ad un certo punto Kurenai, riportandolo bruscamente con la mente sul motivo della loro presenza in un piccolo negozio del centro. “Dicevo che quella di un Maneki Neko possa essere un’idea carina.” Continuò, senza rimproveralo per la sua disattenzione ma rivolgendogli semplicemente un delicato sorriso, che in qualche modo lo fece sentire meglio.
La donna aveva di sicuro intuito cosa non andasse fin da quando l’aveva chiamata al telefono diverse ore prima, ma aveva avuto la premura di non porgli domande e di non fargli pesare la sua debole collaborazione nella scelta del regalo, come in quel momento, e non poteva che esserle molto grato. L’unica domanda che si poneva era quanti allora, tra coloro che avevano avuto modo di conoscerlo prima che mettesse una distanza di sicurezza tra sé e il mondo, avessero capito la dinamica del rapporto che lo legava a Tenzo. Cercò però di scacciare quell’interrogativo, e soprattutto ciò che esso comportava, nella speranza di riuscire a rilassarsi per un po’, ed esaminò l’oggetto che Kurenai gli indicava. Si trattava di un gatto bianco di ceramica, a macchie nere e arancioni, basso e grassoccio, con la zampetta destra alzata ad offrire fortuna e salute ai futuri proprietari. Non ebbe alcuna difficoltà nel credere che a Sakura sarebbe piaciuto, perché aveva sempre amato tutto ciò che puntasse a diffondere anche solo un pizzico di buon umore, e se in qualche modo quella statua ci poteva riuscire valeva la pena comprarla. A quel pensiero, si sentì per un attimo impotente, o forse solo un po’ geloso; da quel momento in poi non avrebbe potuto fare molto per garantirle un futuro sereno, se non augurarsi che sarebbe stato così o all’occorrenza dare una bella strigliata a Naruto.
“Allora, che ne pensi?” Gli domandò con tono pacato la donna al suo fianco.
“Beh, sì, credo che potrebbe piacerle.” Replicò Kakashi, dopo aver soppresso di nuovo una sensazione di disagio, e ciò che ottenne come reazione fu una sommessa risata che lo spiazzò.
“Uhm, dovrebbe piacere ad entrambi i destinatari, ma va bene.” Disse Kurenai con un’espressione bonaria. “ Comunque lo prendiamo.” Continuò rivolta alla giovane commessa che li assisteva.
Quest’ultima fece un breve cenno d’assenso, poi recuperò il Maneki Neko che avevano scelto e seguita dai due acquirenti si diresse al bancone, dove si accinse a preparare una confezione regalo. Mentre osservava silenzioso le vari operazioni della ragazza per giungere al pacco finale, Kakashi tentò di non dare particolare peso al leggero fastidio causato dal commento dell’amica; non che ci fosse davvero qualcosa di sbagliato o di cui arrabbiarsi nella divertita tenerezza che aveva letto sul volto di lei, solo che da quando Sakura aveva cominciato a frequentare l’università, per giunta la sua stessa facoltà, il timore di causarle qualche problema, compiendo un passo falso, lo teneva sempre in allerta, anche quando non ce n’era alcun bisogno. Forse, però, avrebbe dovuto preoccuparsi pure di come si comportava fuori dall’ambito accademico, come Tenzo gli aveva lasciato intuire quella mattina. Sospirò di stanchezza; non c’era nulla da fare, aveva finito per ripensare ancora a lui, probabilmente per il semplice fatto che si capisce l’importanza di ciò che si ha solo quando è troppo tardi, meditò, quella legge che non si trovava scritta su nessuno manuale di fisica ma che delle leggi scientifiche aveva la stessa attendibilità.
A Kurenai non sfuggì quel lieve segnale di turbamento e pensò che fosse giunto il momento per una chiacchierata; nonostante le sue iniziali intenzioni, la situazione sembrava essere più grave di quanto pensasse e le dispiaceva vederlo in quello stato, così, una volta usciti dal negozio, lo invitò a prendere un caffè, prima argomentando che si sarebbe offesa se non avesse accettato, poi che parlare gli avrebbe fatto di sicuro bene. Sulle prime Kakashi esitò, titubante di fronte all’eventualità di tradurre in parole la confusione che provava, poi però l’espressione della donna gli fece cambiare idea; in qualche modo aveva quasi sempre il potere di ispirargli fiducia e tranquillizzarlo, e forse era quello uno dei motivi per cui la loro amicizia durava dai tempi del liceo.
Si ritrovarono così in un bar non molto distante dal negozio in cui si erano fermati, seduti ad un piccolo tavolino all’aperto, mentre il regalo giaceva abbandonato su una sedia. Il tepore diffuso dal sole d’autunno rendeva ancora gradevole trascorrere il tempo fuori dai locali piuttosto che al loro interno, anche se quel giorno si sollevava di tanto in tanto una lieve brezza che ne attutiva gli effetti. Kurenai si portò dietro l’orecchio alcune ciocche di capelli scomposte dal vento, e per qualche istante gli ricordò Ame, così come era riapparsa nella sua memoria quella mattina.
“Che ti passa per la testa, Kakashi?” Esordì l’amica, con il tono caldo e confidenziale di chi non giudica ma vuole solo essere d’aiuto; non intendeva, infatti, né chiedergli cosa fosse successo di preciso, né tanto meno suggerirgli come comportarsi, sperava solo di poterlo aiutare almeno un po’ a capire ciò che provava davvero, perché sembrava essere l’unico a non esserci arrivato.
“Eh…” Sospirò il professore, appoggiandosi ancora di più contro lo schienale della sedia e incrociando le braccia sul petto. “Non saprei da dove cominciare…” Mormorò.
“Conoscendoti, opterei per la conclusione.” Rispose Kurenai, incurvando leggermente le labbra e strappandogli un sorriso amaro.
Poi calò il silenzio, mentre Kakashi cercava di raccattare la forza per aprirsi; se aveva acconsentito a quella chiacchierata era perché in fondo sentiva il bisogno di un punto di vista esterno, di sicuro più lucido del suo, ma non per quello gli risultava facile parlare.
“Credo di essere solo un egoista e di essere riuscito unicamente a danneggiare Tenzo.” Disse ad un certo punto, lo sguardo vago.
“Uhm, egoismo… la tua più che altro è paura, i due concetti non sono proprio sovrapponibili.”
“Forse, ma il risultato è stato lo stesso… avrei dovuto impedire che il nostro rapporto arrivasse a questo punto, mantenere le giuste distanze.”
Come sempre, avrebbe dovuto aggiungere, ma la voce gli si bloccò in gola, ostacolata da quell’idea che ormai a momenti si insinuava dentro di lui diffondendo insieme un’ombra e un piacevole calore.
“Ma sarebbe stato davvero quello che volevi?” Gli chiese a sorpresa la sua interlocutrice, addolcendo la propria espressione.
Si fissarono allora negli occhi per qualche istante, leggendovi la stessa conclusione, e non sentirono il bisogno di riempire il nuovo silenzio con altre parole. Fu l’arrivo dei due caffè che avevano ordinato ad occupare il lasso di tempo in cui entrambi rimasero assorti nei propri pensieri.
“Non so con esattezza cosa io abbia voluto, né cosa voglia adesso,” confessò Kakashi quando furono di nuovo soli, scrutando il liquido scuro della bevanda attraverso la striscia sottile di fumo che saliva dalla tazzina, “ma di sicuro sono stanco di illudermi, e non avrei dovuto trascinare Tenzo giù con me.” E mentre esprimeva quella riflessione, un dolore silenzioso si faceva largo nel suo petto, rammentandogli la scelta che doveva compiere, una scelta che per quanto dura rappresentava ai suoi occhi quella più giusta; anche qualora il sentimento che provava avesse avuto un valore diverso rispetto ad altri a cui aveva attribuito negli anni precedenti la stessa definizione, così come sospettava e l’amica gli aveva indirettamente suggerito, non si sentiva assolutamente in grado di cambiare.
Quella volta, Kurenai non gli rispose subito, persa com’era in considerazioni e ricordi lontani.
“Non si può sempre fuggire da se stessi, Kakashi, soprattutto quando si tratta di determinati sentimenti, anche perché… si può giungere a pentirsene, un giorno.” Osservò seria, lo sguardo spento.

L’unico rumore nella camera da letto era il ticchettio dell’orologio, che scandiva ritmicamente lo scorrere del tempo e con esso il fluire dei suoi pensieri. Era il secondo giorno che si rintanava lì dentro, dal momento che rappresentava il luogo più tranquillo e silenzioso dell’appartamento; di solito, quando era a casa, lo sfruttava per studiare o per preparare qualche lezione, in quel momento invece era un utile supporto per frugare in se stesso all’ardua ricerca di chiarezza, oltre che il posto più adatto per sprofondare nel sonno se necessario.
Dopo la conversazione con Kurenai, le ultime osservazioni dell’amica gli erano rimaste impresse nella mente, e così, libero da impegni universitari, si era ritrovato di nuovo a rifletterci su, senza ottenere però un risultato diverso, bensì giungendo alle stesse conclusioni.
Conosceva i trascorsi a cui indirettamente la donna aveva alluso con quelle parole, ma faticava ad accostarli alla propria situazione. Nel suo caso, non esisteva nessuna terza persona di cui tener conto, o comunque nessun altro ostacolo concreto ai suoi sentimenti, ma qualcosa di astratto e per questo più infido e meno elusibile, che poco aveva a che fare con la sua volontà razionale; inoltre, non riusciva a trovare un motivo sufficientemente valido per cui pentirsi della sua decisione. Se si fosse messo da parte, prima o poi il collega sarebbe andato avanti, dimenticandolo e trovando qualcun altro migliore di lui, che di sicuro non l’avrebbe tormentato con le proprie debolezze senza offrirgli alcuna via di uscita; e per quanto concerneva lui, beh, avrebbe continuato con la sua vita di sempre, dedicandosi ad un lavoro che amava e tutelando i suoi affetti, tutto quello insomma che fino ad allora gli aveva permesso di non rinchiudersi in una opprimente solitudine, colorando le sue giornate.
Eppure, più cercava di convincersene e di immaginare il quotidiano da quel momento in poi, più i colori sbiadivano, sfumando insieme alle lunghe ore di studio e di esperimenti alleviate dalla compagnia di Tenzo, alle pause caffè tra una lezione e l’altra, alle serate trascorse in un pub chiacchierando davanti ad una birra chiara.
Si girò su un fianco e si coprì con forza la testa con il cuscino, nella vana speranza che quel gesto potesse impedire alle sue tempie di pulsare e non solo attenuare il dolore. Era l’ennesima volta, in quei pochi giorni, che veniva assalito a tradimento da pensieri simili, contrastanti nettamente con i ragionamenti precedenti, già di per sé sfibranti, e tutto ciò metteva a dura prova la sua resistenza psichica, facendo vacillare quella che credeva fosse una certezza abbastanza solida. Non riusciva a pensare che i suoi problemi interiori potessero dissolversi nel nulla; tuttavia, il vuoto angosciante creato dall’idea sempre più concreta di veder sparire Tenzo dalla sua vita insinuava dentro di lui il dubbio che, forse, per la prima volta, desiderasse davvero lasciarsi andare, che, per la prima volta, la barriera difensiva che aveva innalzato intorno al suo cuore ferito avesse ricevuto delle pressioni sempre più intense al punto da divenirgli insopportabile. Se poi ciò che provava per il collega costituisse la causa primaria, o semplicemente la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, non avrebbe saputo dirlo, ma non cambiava di certo la situazione.  
Affondò le dita nella morbidezza del guanciale, stringendolo con rabbia.
Odiava avere le idee confuse, barcamenarsi tra sentimenti diametralmente opposti, motivo per cui si era sempre sforzato di stabilire punti fermi, ma come al solito la vita si divertiva a scompaginare i suoi piani, mettendo così in crisi il suo proverbiale autocontrollo. Forse, avrebbe dovuto recuperare il coraggio per seguire quella nuova strada che il cuore sembrava suggerirgli, ma finché ciò che voleva fosse rimasto nel campo del dubbio avrebbe fatto meglio a tenerselo per sé; peccato che, probabilmente, quando sarebbe giunto a capirci qualcosa sarebbe stato troppo tardi. Liberò la visuale e gettò uno sguardo veloce all’orologio: segnava ancora le quattro del pomeriggio, quindi poteva sfruttare senza problemi quelle ore che ancora mancavano alla festa per prendere un’aspirina, prepararsi una tisana e farsi, se possibile, una bella dormita.
Lo squillo del cellulare interruppe però l’attuazione di quel proposito; scrutò critico l’apparecchio telefonico abbandonato sul comodino, mentre emanava radiazioni con accompagnamento musicale, e lo colse un improvviso timore di fronte al nome che avrebbe potuto leggere sullo schermo, ma si diede quasi subito dell’idiota; la probabilità che si trattasse di Tenzo era molto bassa, e in ogni caso non avrebbe potuto scappare da un incontro tanto complicato quanto inevitabile. Rimise il cuscino sotto il capo, afferrò il telefono e vide chi lo stesse cercando, scoprendo impresso, con sua sorpresa, il nome di sua nipote. Se per caso avesse colto nella voce della ragazza una traccia di turbamento o di tristezza, avrebbe strozzato Naruto seduta stante, soprattutto con l’umore e il mal di testa che si ritrovava.
“Sakura?” Rispose con tono incerto, quasi un’implicita richiesta di sapere cosa l’avesse spinta a chiamarlo proprio quando avrebbe dovuto essere nel bel mezzo dei preparativi per la serata.
“Ehm, zio… ti disturbo?” Replicò la giovane all’altro capo del cellulare, apparentemente tranquilla; Kakashi, rassicurato, arrestò il campanello che l’aveva messo in allerta, sprofondando di nuovo sul letto: qualunque cosa volesse, non doveva essere nulla di grave.
“No, non ti preoccupare, sono libero. Piuttosto, c’è qualche problema?” Le domandò.
“Ecco, un po’, mi servirebbe un soccorso decorativo…”
L’uomo non ebbe difficoltà ad immaginare il sorrisetto che aveva di sicuro terminato quell’affermazione, che si prestava a ben poche interpretazioni; data la sua incompatibilità più assoluta con questioni estetiche, non poteva che presumere una latente ironia nelle ultime parole, benché il tono con cui erano state pronunciate fosse apparso abbastanza neutro.
Un momento lontano riaffiorò veloce alla memoria; si ricordò di quando, in occasione di una festa di compleanno, Sakura era scoppiata a ridere davanti al suo goffo tentativo di abbellire il salotto di casa, e si sentì sollevato dai dubbi e dalle angosce che l’avevano assillato in quei giorni, relegate in un angolo del suo cuore.
“E tra i tanti candidati, hai scelto me, ovviamente.” Scherzò, finalmente con un’espressione serena e rilassata.
“Beh, Naruto è ancora a lavoro, Ino e Tenten mi hanno piantata in asso dieci minuti fa, quindi a mali estremi…”
“Estremi rimedi.” Concluse per lei.
Seguì una divertita risata da parte della ragazza, e se fosse stato vicino a lei in quell’istante le avrebbe scompigliato i capelli regalandole un sorriso.
Gli dispiacque non averlo potuto fare davvero.
“Arrivo appena possibile.” Aggiunse, guadagnandosi un grazie sincero.
Poi riattaccò e si tirò su a sedere, massaggiandosi leggermente le tempie. Come aveva pianificato prima di quella telefonata, avrebbe fatto bene a prendere quantomeno un’aspirina, pensò, sperando che l’emicrania gli passasse al più presto.

Quando raggiunse la casa dei suoi genitori, trovò Sakura nel salotto, indaffarata con festoni dalle forme variegate e gruppi di palloncini colorati. Benché vivesse da solo ormai da parecchi anni, conservava ancora, per ogni evenienza, una copia delle chiavi, quindi aveva sfruttato quella per entrare, avendo così modo di osservarla in silenzio per un po’ prima di segnalarle la sua presenza. Sicuramente era impegnata a valutare in che punti della stanza appenderli, ponderando anche le associazioni di colori, perché spostava lo sguardo dalle decorazioni che aveva davanti alle pareti e viceversa, con espressione concentrata ma rilassata. Era fuor di dubbio che ciò che avrebbe dovuto fare sarebbe stato solo quello di aiutarla nel collocarli dove lei avesse ritenuto più opportuno, come aveva ben intuito fin da quando l’aveva chiamato, e pensò che non poteva essere altrimenti; un’altra dote che aveva ereditato da Ame era proprio la creatività, sebbene bilanciata dalla razionalità del padre, e in casi come quelli era evidente.
Sospirò stringendo gli occhi malinconico; se sua sorella avesse potuto vederla in quel preciso istante, chissà cosa avrebbe pensato, perché quello che scorgeva lui era una ragazza che le assomigliava tanto e che, nonostante il passo che avrebbe compiuto tra un anno o poco più, appariva ai suoi occhi ancora una bambina. Si passò una mano tra i capelli, mentre alla malinconia si mescolava un incredulo divertimento; se avesse confidato a qualcuno quelle riflessioni, sarebbe risultato alquanto patetico; sembrava a pieno titolo un padre apprensivo.
“Sakura, ti hanno detto dove vogliono essere messi alla fine?” Ironizzò, spazzando via il vortice di pensieri che l’aveva risucchiato e cogliendo di sorpresa la nipote, che si voltò verso di lui con gli occhi lievemente sgranati.
“Oh, zio… non ti avevo proprio sentito!”
“Lo immaginavo, eri decisamente assorta.” Asserì l’uomo abbozzando un sorriso, poi abbandonò la soglia della porta del salotto e le si avvicinò.
“Comunque sì, credo di essermi accordata per il piano da seguire.” Stette allo scherzò la giovane, con espressione divertita. “Possiamo iniziare proprio da questo.”
Gli passò il festone variopinto a forma di fisarmonica che reggeva tra le mani e si affrettò a recuperare una sedia collocandola davanti alla tenda che copriva una delle finestre della sala.
“Pensavo di appenderlo da qui fino alla libreria.” Spiegò. “Con la lunghezza dovremmo farcela, no?”
“Credo di sì.” Assentì Kakashi, dopo aver esaminato con uno sguardo veloce la decorazione, quindi la raggiunse di nuovo per iniziare finalmente ad addobbare il salotto.
Ci impiegarono una buona mezzoretta, durante cui il professore si limitò ad eseguire le indicazioni che gli venivano fornite ed a suggerire come risolvere piccole difficoltà tecniche, e probabilmente ci avrebbero messo meno tempo se non si fossero lasciati andare a qualche risata suscitata da brevi battute e vecchi ricordi legati a momenti simili.
Quando ebbero terminato di attaccare l’ultimo festone, Sakura si posizionò al centro della stanza per osservare il risultato finale dei loro sforzi e dopo qualche istante di valutazione si girò verso di lui con un’espressione soddisfatta.
“Direi che è venuto abbastanza bene… a me piace.” Commentò.
“Beh, l’importante è proprio che piaccia a te, in fondo è la tua festa.” Replicò Kakashi, ricacciando indietro uno sciocco groppo alla gola; era più forte di lui, non riusciva a non preoccuparsi per l’avvenire di sua nipote, ma che ne fosse in grado o meno, doveva provvedere a chiederle scusa per l’atteggiamento stupido che aveva avuto negli ultimi mesi; forse per lei non ce n’era alcun bisogno, altrimenti conoscendola gliel’avrebbe fatto notare da tempo, ma sentiva lo stesso di doverlo fare, quanto meno per chiarezza, per dissipare ogni possibile ombra tra di loro.
“Eh, vero.” Sussurrò la ragazza, passandosi una mano dietro la nuca.
“Comunque, mi dispiace.” Disse l’uomo dopo qualche istante di silenzio, con tono improvvisamente serio, ricevendo un’occhiata perplessa da parte di Sakura, incapace di capire a che cosa si riferisse da un momento all’altro.
“Mi dispiace se sono stato evasivo sulla questione del matrimonio,” proseguì “e se qualche volta mi sono comportato in modo un po’ brusco nei confronti di Naruto. Non volevo dare l’impressione di disapprovare la tua scelta. Per me, è importante che tu possa essere felice e nient’altro… ho solo avuto paura che qualcosa potesse impedirlo.”
Kakashi non seppe come riuscì a pronunciare quel discorso tutto d’un fiato, senza incappare nella sua insita ritrosia ad esternare i propri sentimenti, ma quando vide le iridi smeraldine della sua interlocutrice addolcirsi trovò la risposta.
“Questo lo avevo capito.” Gli disse Sakura, col chiaro intento di tranquillizzarlo. “Ma… conosco Naruto, e credo davvero che farebbe di tutto per rendermi felice.”
Le sue labbra si incurvarono in un sorriso.
“Se poi qualcosa non dovesse funzionare, o un giorno dovesse succedergli qualcosa, avrò almeno la consapevolezza di aver vissuto senza essermi lasciata alle spalle dei rimpianti.” Concluse, con leggere pause tra una frase e l’altra e abbassando gradualmente lo sguardo.
L’uomo, a pochi passi da lei, la osservò tra il sorpreso e il compiaciuto; non era certo facile per lei  mettere in conto quelle possibilità, né tanto meno esprimerle a parole, ma a differenza di lui aveva il coraggio di affrontarle a viso aperto, senza rifiutare ciò che la vita gli stava offrendo in quel momento. Non era più la bambina che tormentata dagli incubi si svegliava nel buio della notte, sfogando tra le sue braccia quel dolore che conosceva fin troppo bene; nonostante il suo cuore non riuscisse a convincersene del tutto, era ormai diventata una donna forte, e avrebbe dovuto imparare qualcosa da lei. Allungò una mano per scompigliarle con affetto i capelli.
“In ogni caso, potrai sempre contare su di me.” Le assicurò, nella speranza di alleviare quella paura che inevitabilmente covava dentro di lei, e il grazie con cui ricambiò il suo gesto e il sorriso caldo che seguì gli fecero intuire di esserci riuscito almeno un po’.

Era stato davvero arduo prepararsi per la serata, decidere cosa diavolo mettersi e in che modo comportarsi nei confronti di Kakashi, quando l’unica cosa che avrebbe voluto sarebbe stato dormire o bere, o comunque qualsiasi cosa avesse potuto impedirgli di ritornare sulle stesse amare constatazioni, e ora che percorreva le strade cittadine l’idea di non andare alla festa si affacciava di nuovo nella sua testa come un rassicurante rifugio, rassicurante quanto temporaneo e vano.
Strinse le mani sul volante e assottigliò lo sguardo, oppresso dalla una morsa invisibile.
La situazione non sarebbe certo cambiata, e soprattutto non sarebbe avvenuto per sua volontà, o almeno così si sforzava ancora di pensare. Nonostante le ferite che trascinava con sé e la difficoltà a superarle, aveva creduto davvero che il collega ricambiasse i suoi sentimenti, tanto più dopo aver assaporato il brivido piacevole causato dalle mani di lui che salivano lungo la propria schiena e dalle loro lingue che si esploravano senza fretta, ma ormai non ne era più così sicuro; forse era stata la sua parte irrazionale ad illudersi a tal punto da farla sembrare una certezza, una sciocca certezza, interpretando erroneamente gesti e comportamenti che avevano avuto altro valore.
Sospirò e si morse il labbro inferiore, cercando di non distrarsi dalla guida.
Quella eventualità era davvero dura da digerire, più di quanto avrebbe immaginato, perché stroncava quella tremula fiammella di speranza che, ostinata, si manteneva ancora viva; ma, anche se metteva a tacere il pessimismo, insinuato dentro di lui dal frustrante rimuginare di quei giorni e che soffiava su di essa con crudeltà, si sentiva comunque chiuso in un vicolo cieco, forse meno deprimente, ma sempre una via senza uscita.
Più quella sensazione lo pervadeva, più aveva voglia di picchiare Kakashi. Se fosse servito a fargli comprendere quanto inutile e controproducente fosse la paura di amare, almeno in una prospettiva futura, bene, per quanto quell’idea equivalesse ad una pugnalata silenziosa, altrimenti avrebbe quanto meno sfogato tutta la rabbia che provava. Solo pensieri, però, perché invece avrebbe dovuto comportarsi da persona matura e civile e parlargli, se non quella sera, di sicuro nei giorni successivi; non potevano lasciare qualcosa di non detto, avrebbe reso le occasioni in cui non avrebbero potuto fare a meno di interagire ancora più difficili.

Quando giunse a destinazione, la festa sembrava essere già nel vivo: fermo davanti al portone, udiva abbastanza chiaramente voci di ragazzi che ridevano e si lasciavano andare a qualche battuta goliardica, accompagnati da una musica di sottofondo. Per un attimo sperò che quell’atmosfera fosse sufficiente a non far notare troppo il suo arrivo, poi però gli balzò agli occhi che poteva essere lo stesso Kakashi ad aprirgli la porta o che comunque dover fare gli auguri ai festeggiati lo avrebbe facilmente portato ad incrociarlo quasi subito. Emise un sospirò per allentare la tensione; come aveva pianificato, si sarebbe attenuto ad un diplomatico distacco, ma se già pensarlo era stato faticoso, non osava immaginare metterlo in pratica come si sarebbe rivelato. Bussò prima che il coraggio che l’aveva portato fin lì si dileguasse nel nulla, e attese con ansia di scoprire quale sarebbe stata la prima persona che avrebbe visto quella sera. Quando poi si ritrovò davanti il volto di una ragazza bionda, che lo scrutava con una lieve luce di sorpresa nelle iridi azzurre, una sorpresa piacevole, come gli fece dedurre il suo tono di voce, provò un innegabile sollievo.
“Oh, buonasera, Tenzo-san!” Disse lei allegra con un sorriso, e l’uomo ricambiò il saluto sforzandosi di apparire sereno, onde evitare qualsiasi sorta di domanda.
Si trattava di Ino, un’amica di infanzia di Sakura; l’aveva incontrata solo alcune volte, accompagnando Kakashi a prendere sua nipote alla fine di qualche festa oppure all’università insieme a Sakura, e il loro rapporto si era limitato a poche battute di circostanza, ma forse quel poco era stato sufficiente per generare un interesse nei suoi confronti, se ovviamente la sua capacità di giudizio era ancora abbastanza lucida da interpretare in modo corretto la reazione della ragazza.
“C’è un po’ di confusione, quindi in pratica il primo che sente il campanello apre.” Spiegò Ino. “Ma non le faccio perdere tempo, la accompagnò subito da Sakura e Naruto.”
Si scostò per farlo entrare e richiuse la porta, poi percorsero in silenzio il corridoio che fungeva da ingresso accedendo nella prima stanza sulla sinistra, dove la giovane gli fece strada tra alcuni gruppi di ragazzi che chiacchieravano, chi più rumorosamente chi meno, sorseggiando un drink e mangiando qualcosa. Già dopo qualche passo, intravide in fondo al salone il profilo dell’uomo che tormentava la sua mente e il suo animo, intento a parlare con Kurenai e un’altra persona che non conosceva, e una dolorosa chiusura alla bocca dello stomaco lo colse senza tanti complimenti; far finta di niente o addirittura divertirsi gli sembrò in quell’istante ancora più impossibile di cinque minuti prima. Cercò di non pensarci, o non avrebbe resistito più di mezzora in quella casa. Distolse lo sguardo dalla causa dei suoi problemi e al centro del soggiorno, dove era stato allestito una sorta di buffet, individuò finalmente i due festeggiati: Naruto conversava con un ragazzo alto dai capelli castani, affiancato da un grosso cane bianco, che insolitamente scodinzolava vicino al padrone senza attentare al cibo a portata di zampa; Sakura, invece, li ascoltava intervenendo ogni tanto e all’improvviso il fidanzato le mise un braccio intorno alle spalle con un’espressione d’orgoglio sul volto, forse come risposta ad un complimento o per vantarsi di qualcosa.
Li vedeva bene insieme, avevano entrambi due caratteri forti ma che in qualche modo si equilibravano, ed inoltre era evidente il sentimento che li univa. Magari avrebbero potuto aspettare un altro po’ prima del matrimonio, ma era ugualmente molto felice per loro.
Quando li raggiunse, ancora accompagnato da Ino, fu Sakura la prima a venirgli incontro e a salutarlo e, non appena ebbe anche l’attenzione di Naruto, congedatosi dall’amico, fece loro gli auguri per quella serata e per il futuro.
“Grazie, Tenzo-san, e grazie anche per il regalo.” Replicò la ragazza. “E’ stata un’idea carina quella del Maneki Neko.”
Ecco, ci avrebbe scommesso che in tutto quel casino avrebbe dimenticato quel dettaglio, pensò l’uomo tra sé e sé. Si scompigliò i capelli dietro la nuca, tentando di celare un leggero imbarazzo e di soffocare una punta di agitazione.
“Eh, sono contento che vi sia piaciuto.” Disse, senza soffermarsi in alcun modo sulla scelta di quel fantomatico regalo. “Spero che possa davvero portarvi fortuna.” Si limitò ad aggiungere, mentre una parte del suo cervello gli faceva notare come con lui avesse invece sortito l’effetto contrario.
I due giovani lo ringraziarono di nuovo, poi Sakura lo invitò a prendere qualcosa da mangiare e il professore non se lo fece ripetere una seconda volta, pur di concludere una conversazione che sarebbe potuta facilmente slittare su Kakashi e sul perché non fossero venuti insieme; non aveva alcuna voglia di inventarsi frottole o di esitare su una risposta.
Riempì un piattino con qualche pietanza del buffet e iniziò a mangiare, osservando cosa succedeva intorno a lui, sforzandosi di ignorare la vocina che si domandava se il collega si fosse ormai accorto della sua presenza.
Con l’attacco di una canzone un po’ più movimentata delle altre, messa in risalto dal misterioso innalzamento del volume dello stereo, qualcuno aveva cominciato a ballare coinvolgendo subito chi gli era più vicino, qualcun altro invece si limitava a guardare divertito, incitando semmai gli amici o facendo un brindisi; ad un certo punto, vide anche Naruto trascinare Sakura in mezzo a quella che si era trasformata in una provvisoria pista da ballo, per seguire l’esempio degli invitati.
Era in momenti simili che si sentiva un po’ vecchio, con i ricordi dei vent’anni e della voglia di divertirsi ormai lontani e le responsabilità pronte invece a gravare sulle spalle, le responsabilità insieme a sfumature interiori che quasi sicuramente a quell’età non avrebbe colto.
Sospirò; ma non ebbe tempo per continuare a commiserarsi.
“Qualcosa non va?” Gli chiese infatti una voce, distogliendolo dai propri pensieri.
Volse lo sguardo nella direzione da cui era giunta la domanda e vi trovò di nuovo Ino, con un’espressione a metà tra la curiosità e la volontà di essere d’aiuto. Non avrebbe saputo dire se fosse stata sempre lì in quell’arco di tempo, perché l’aveva in pratica persa di vista non appena aveva raggiunto i festeggiati, e per un attimo si sentì un po’ un ingrato.
“Eh… no, nulla di grave. Semplicemente pensavo di non avere più l’età per certe cose.” Replicò con tono calmo, tenendo per sé ciò che lo turbava davvero.
La ragazza abbozzò un sorriso, condito forse da un pizzico di malizia.
“Ma no, personalmente non sono d’accordo, Tenzo-san, dopotutto è ancora giovane.” Disse, e l’uomo capì di averci visto giusto fin dall’inizio.
“Ecco, appunto, dopotutto... la parola dice molto.” Commentò, poi si lasciò andare ad una risata che per la prima volta durante quella serata lo fece sentire un po’ più leggero.
“Beh, possiamo sempre fare una prova.” Suggerì Ino con sguardo determinato, poi senza premurarsi di ottenere un consenso gli sottrasse il piatto di plastica, adagiandolo sul tavolo del buffet, e gli afferrò una mano per condurlo nella zona più movimentata del salone.
Benché avesse potuto, Tenzo non si oppose, non trovò un motivo abbastanza valido per farlo; gli sembrò anzi un modo piacevole ed innocuo per distrarsi.
A qualche metro da lui, però, qualcuno non la pensava esattamente così, qualcuno che non aveva tardato a notarlo una volta che aveva messo piede in quella stanza.
Non più in compagnia di Kurenai, Kakashi lo osservava con un pizzico di disappunto e un peso opprimente nel petto, la schiena appoggiata contro il muro e le braccia conserte. Trascorso un certo orario, aveva quasi creduto che l’amico non sarebbe venuto, una possibilità non gli era parsa tanto remota considerando i recenti avvenimenti; quando poi l’aveva visto entrare, fare gli auguri a Naruto e Sakura e rimanere fermo vicino al buffet, si era sentito quasi ignorato e nello stesso tempo un perfetto idiota. Cosa pretendeva in fondo? Che lo cercasse con lo sguardo o gli andasse incontro per salutarlo come nulla fosse? Che fosse lui per primo a parlargli e chiedergli scusa? Che continuasse insomma a vivere in funzione di lui? Quelle domande tornarono di nuovo in quegli istanti a ronzargli nella testa. Si rendeva conto che meritassero un'unica risposta, ma immaginare il contrario era in grado di allentare quella dolorosa sensazione di freddezza che gli era piombata addosso e che man mano che scorrevano i minuti diveniva sempre più densa; l’isolamento di Tenzo facilmente infranto da qualcun altro, vederlo ridere e ballare, forse divertirsi sul serio senza di lui, tutto quello sembrava soffocarlo. Che ciò che provava fosse il pentimento a cui aveva alluso Kurenai, o i rimpianti a cui aveva accennato Sakura, non lo sapeva con precisione, ma una cosa gli appariva ormai sicura: quella che una volta riteneva una difesa con il collega si era rivelata un’azione offensiva, lenta e logorante. Forse si sarebbe fatto ancora del male, ma voleva lasciarsi andare, perché restare ancora immobile su un filo sottile, dopo averlo incontrato, era ugualmente una sofferenza. Sperò solo che non fosse troppo tardi.
Quando Tenzo, dopo qualche battuta, si congedò con un sorriso da Ino e lasciò il salotto, lo seguì.
Lo bloccò nella penombra del corridoio, chiamandolo per nome; notò la schiena dell’amico irrigidirsi e quando si voltò verso di lui colse nello sguardo serio ancora un velo di incredulità.
“Posso parlarti?” Gli chiese cauto, sforzandosi di tenere a bada la tensione, che si smorzò dopo aver ottenuto un cenno silenzioso di assenso; una possibilità era indubbiamente più rassicurante di un diniego, o almeno si illuse che fosse così.
Senza aggiungere altro, lo seguì quella volta fuori da casa, poi lungo la strada, sul marciapiede che costeggiava l’abitazione, andando incontro all’aria fredda della sera, che nulla aveva in comune con il gelo interiore che l’aveva assalito nell’ultima mezz’ora e che anche il semplice camminare insieme a lui riusciva a dissipare, seppur lentamente. Non se la sentì di fermarlo, ma preferì concedergli il tempo necessario per raccogliere le idee e con esse le parole giuste, in fondo Tenzo di tempo gliene aveva accordato anche troppo; nel frattempo, assaporò gli istanti di quella tonificante passeggiata senza l’intrusione e il peso del linguaggio.
Quando poi il collega si arrestò senza preavviso, girandosi di profilo e prendendo ad osservare il muro al di là della strada come se fosse un fattore di interesse, si preparò ad ascoltarlo, qualunque cosa volesse dirgli, fissandone il volto illuminato dalla luce soffusa di un lampione.
“Riguardo a ieri, credo che avrei dovuto dire certe cose a suo tempo,” iniziò l’amico con tono insolitamente calmo; Kakashi avrebbe già voluto interromperlo, perché sulle cose non dette lo batteva di sicuro, ma lo lasciò proseguire “invece ho pensato di poter sostenere la situazione, commettendo un clamoroso errore di calcolo. L’amore non scende facilmente a compromessi, ne ero perfettamente consapevole, ma non potevo e non posso importi qualcosa, sarebbe inutile, così come non posso continuare un rapporto in questo modo.”
Pronunciare quelle parole fu per Tenzo una stilettata dolorosa, essere razionale non era mai stato complicato come in quel frangente, e si stupì che la sua voce non avesse subito un’incrinatura. Con il calare del silenzio, temé il momento in cui avrebbe ricevuto la risposta dell’uomo a pochi passi da lui, il momento in cui la speranza avrebbe potuto spegnersi del tutto.
“Non dovevi dire niente, né prima, né dopo quella notte.” Replicò invece Kakashi spiazzandolo e spingendolo a guardarlo. “Se c’era qualcuno che avrebbe dovuto aver il coraggio di non chiudere gli occhi e mettere le carte in tavola, impedendo casomai l’evolversi delle cose ero io. Ma, come hai detto tu stesso, so solo comportarmi da idiota.”
Sollevò a quel punto un angolo della bocca in una sorta di sorriso autoironico, ma poi continuò tornando serio.
“Non sono riuscito a comprendere me stesso e una cosa semplice come l’impossibilità di fuggire per sempre dai sentimenti. Ciò che sono stato in grado di fare è stato solo farti del male.”
Tenzo, disorientato, non seppe come interpretare quel discorso, o meglio, non volle rischiare di leggervi qualcosa che non c’era, cedendo a nuove illusioni.
Abbassò lo sguardo.
“Non capisco dove vuoi arrivare, Kakashi.” Disse a voce bassa, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni e stringendo il tessuto tra le dita. “Se è un modo meno brusco per dirmi che ti dispiace, ma che comunque da domani non potrà cambiare nulla, potevi risparmiartelo, lo sapevo già. Se invece vuoi intendere altro… beh, sforzarsi senza esserne davvero convinti, non serve a nulla.”
L’altro lo osservò in silenzio per un po’; non era difficile capire la reazione dell’amico, il suo timore di soffrire ancora inutilmente, ma gli avrebbe fatto cambiare idea; non poteva essere lui ora quello a tirarsi indietro. Abolì quei pochi passi che li separavano, gli afferrò con una mano un braccio e posò l’altra su una spalla, spingendolo con decisione contro il muro, fregandosene totalmente di essere in mezzo alla strada, dove chiunque avrebbe potuto vederli. Lo fissò negli occhi determinato, e fu felice di vedervi stupore e confusione, piuttosto che fastidio o altro.
“E’ vero, non sono stato molto chiaro.” Affermò. “Io voglio che cambi qualcosa da domani, o meglio che il nostro rapporto sia davvero quello che è, e non mi sto sforzando. So che non voglio più farti soffrire, almeno non più per la mia incertezza, e che non posso tollerare che qualcuno ci provi con te in modo così palese.”
Tenzo lo ascoltò con attenzione, il cuore che martellava incontrollato contro il petto, passando dall’incredulità al chiedersi se potesse fidarsi, se dalle parole ai fatti la strada sarebbe stata meno tortuosa; ma, il calore del corpo di Kakashi così vicino, il tono convinto, l’onestà di quel discorso e la finale nota di gelosia gli fecero pensare che, forse, il passo più arduo era già stato compiuto e che, anche se non fosse stato così, era fuor di dubbio che non avesse più nulla da perdere.
Si rilassò, godendosi il contatto rassicurante dell’amico, e ammorbidì i lineamenti in una espressione insieme maliziosa e divertita.
“E quale sarebbe davvero il nostro rapporto?” Lo punzecchiò.
Dopo un attimo di indecisione, il professore Hatake incurvò le labbra in un sorriso finalmente sereno, il ricordo di tutto ciò che l’aveva tormentato in quei giorni ormai sbiadito.
“Idiota.” Gli sussurrò.
Non avrebbe ceduto oltre alla sua provocazione; la risposta la conoscevano entrambi, quindi non avrebbe detto nient’altro. Allentò la presa sul suo braccio e fece scivolare l’altra mano lungo il suo petto, con un innegabile senso di liberazione.
“No, perché potrei anche porre la stessa domanda a qualcun altro.” Aggiunse il collega, assaporando il brivido piacevole che corse lungo la propria schiena, ma cercando di non farlo trapelare. Kakashi, invece, pensò che fosse giunto il momento di metterlo a tacere.
“Idiota.” Sussurrò di nuovo, poi, la mano ormai sul fianco dell’amico, aderì al suo corpo, attratto dalla sua consistenza e dal suo calore, e lo baciò.
L’altro non tardò ad assecondarlo, abbracciandolo subito dopo, e in quegli istanti affidarono entrambi al cielo freddo ma limpido d’autunno, che li sovrastava, la stessa speranza: che ciò che li legava potesse durare il più a lungo possibile.


Note dell’autore


Dunque, lo so, di Natale non c’è proprio nulla, neanche l’atmosfera, per la maggior parte della storia almeno, però c’è il KakaTen ^ ^ E’ stata una piccola impresa scriverla, quindi spero che risulti tutto coerente, realistico e comprensibile, nel caso fatemi sapere, anche per la questione ic, che per me è sempre un dramma, con Kakashi poi. Non credo di dover fare qualche precisazione, diciamo solo che Kakashi aveva bisogno di qualcosa di sempre più concreto per capire se stesso, Tenzo invece che quell'idiota si capisse e facesse il primo passo, è un po' questa la sintesi di questa 'seduta dallo psicologo', ehm, cioè di questa fanfiction.  ^^



  
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