La luce
filtrava debolmente dalla finestra serrata, riflettendosi sugli specchi
che
invadevano la stanza in un unico riverbero di luce. Le pareti viola
facevano da
cornice a un enorme letto di ferro battuto, rivestito di pesanti
coperte
leopardate, sulle quali figuravano due enormi cuscini di pizzo nero, il posto in cui Nikyta adorava più stravaccarsi. Migliaia di occhi, minuscole fessure sulla
parete
tappezzata di fotografie, osservavano la scena dallo loro atemporale
dimensione,
immobili.
Nulla di
paragonabile alla stanza di Mary Anne, lo sapeva fin troppo bene.
Niente vasi
di porcellana, nessun quadro impressionista, neanche una gigantografia
del suo
sorriso finto ma perfetto che correva da un orecchio
all’altro su uno sfondo
autunnale o azzurro, a scelta. Foto di famiglia, poi, neanche a
parlarne.
Ma forse,
anzi sicuramente era lei quella coi valori sballati. Non certo chi si
riuniva
la domenica sera davanti al camino per giocare a qualche istruttivo
gioco di
società, come il Monopoli o chi per lui.
“Allora,
stasera è la grande sera.”
La voce di
Mary Anne andò esitante a rompere il silenzio che si era creato, come se avesse
avuto timore di aver detto una sciocchezza. Il suo sguardo andò poi a
degnare
della massima attenzione un peluche di pezza di un impiccato che
pendeva da una
mensola con aria rassegnata.
Nikyta prese
delicatamente in mano la cornice, mostrandola a Mary Anne con un
sorriso tirato.
“Che ne pensi?”
L’amica la
soppesò con cautela, come se avesse paura di farle del male.
“E’…è
davvero
bella, Niky,” disse teneramente. “Sono sicura che
la adorerà.”
“Ti piacciono le
foto che ho scelto?”
Mary Anne
rifletté qualche istante, mordicchiandosi un labbro.
“Mi
piacciono
molto. Sei così fotogenica… E questa è
particolarmente bella.”
Indicò
quella
nell’angolo a destra: Capodanno, la baita che Deacon aveva
affittato
appositamente per loro due. Lui che la abbracciava da dietro e cercava
col
braccio teso di creare una giusta inquadratura, mentre lei rideva
tenendosi
stretta al suo collo. Ricordava ogni istante, mentre guardava quegli
occhi
felici. Sembravano così distanti, dietro quel vetro -
chissà dove se ne erano
andati. Forse insieme a tutte le cose belle che appartengono al
passato, e per
qualche inspiegabile motivo non ci sono più, smarrite come
una maglietta che
non ti ricordi più di avere, neanche in fondo all'armadio.
Ma non era
tempo di tristezza, non quella sera. Il pensiero che sarebbe entrata di
nascosto a casa di Deacon la riempiva di eccitazione, un desiderio che
la
percorreva dalla testa alla punta delle dita, fermandosi con
particolare
intensità in un punto imprecisato tra il collo e la bocca
dello stomaco.
“Beata
te che
hai un così bel rapporto con lui…”
sussurrò Mary Anne, lentamente.
Nikyta la
guardò con attenzione, soffermandosi sulla quella sua
espressione un po’
strana, impenetrabile. C’era qualcosa in quello sguardo
silenzioso, qualcosa di
profondamente sbagliato, ma non
riuscì
a capire cosa. Come quando entrate in una stanza che avete avuto sotto
gli
occhi per anni, e all’improvviso viene a mancare un oggetto,
ma quale non lo
capite, non lo ricordate. Percepite solo una mancanza che vi urta la
vista, ma
soffocate sotto la consapevolezza di non riuscire proprio a ricordare,
che cosa manca.
Solo allora
notò le occhiaie profonde che segnavano le guance
dell’amica, come grosse
fosse.
E allora la
sua faccia mutò, si trasformò in un cimitero in
cui gli occhi venivano calati
nelle fosse come bare, come
bare, e la pelle era grigia come il cielo invernale
al crepuscolo. E tutto fu chiaro e incomprensibile allo stesso tempo.
“Brandon…io…”
Taceva come
se volesse parlare, e parlava come se volesse tacere. Scuoteva la
testa, e
guardava il soffitto, per poi alzarsi ed andare alla finestra. Come
erano
arrivate a quell’argomento?
“Sono
così
stanca. Stanca, stanca, stanca.”
“Di
cosa?
“Di
tremare.
Di avere paura.”
“Paura.”
“Sì,
ho
paura. Ho paura del vuoto.”
“Cosa
è
successo?”
“Niente.
Ho
solo paura di cadere.”
·······
L’acqua
bollente scorreva sulla sua pelle, scivolava, si perdeva negli anfratti
del suo
corpo, come la languida carezza di una mano impertinente.
Un’instancabile
cascata di baci sulla schiena e sulle gambe. Leggere volute di vapore
si
innalzavano pigramente verso il soffitto, perdendosi e sfibrandosi e
scomparendo, pavoneggiandosi di fronte allo specchio su cui poi si
andavano a
posare in una sottile patina di condensa. Tutto era caldo e bello, e
non
esisteva altro che quel calore e quella bellezza.
Un piede sul
pavimento freddo le fece capire che il mondo non era fatto di acqua e
vapore;
non se lo seppe spiegare, tutto sarebbe stato molto più
semplice.
L’asciugamano
le sfiorò una gamba mentre cadeva a terra senza un suono,
perdendosi in un
mondo ovattato di cui lei non faceva più parte. La ragazza
di fronte a lei
ghignò. Mosse una mano su un fianco, lambendolo coi
polpastrelli, che si andarono poi a fondere sulla superficie liscia dello specchio. Il suo corpo,
la pelle che aderiva alle ossa come se fosse troppo stretta, i capelli
che
correvano giù per la schiena.
Alzò
le
braccia, sorrise alla vista delle costole che emergevano
dall’addome, e le
accarezzò - poteva fidarsi di loro, lo sapeva. Percorse con
un dito la linea
dello sterno, giù fino al bacino, accogliendo con un sorriso
il brivido che la
percorse.
Sì, mi posso fidare di te.
Sì, mi posso fidare di te.
Si
rivestì
con calma innaturale, le mani che indugiavano sulle linee spigolose del
suo corpo,
per poi accarezzare lievemente la rosa di seta rossa cucita nel punto
in cui si
univano le coppe del reggiseno.
Una gonna
nera andò a fasciarle la vita, incollandosi alle cosce con
provocante tenerezza,
mentre il busto si faceva strada in una maglietta di una taglia
più piccola,
forse due.
Sapeva che
sarebbe apparsa strepitosa agli occhi di chiunque, perché
per fortuna gli occhi
di chiunque lì si fermavano e non stavano ad indagare oltre.
Ma era solo il
compleanno di Deacon, e non voleva apparire, non ce n'era bisogno.
Poi fu
automatico, come sempre. Lo sguardo cadde sulle unghie laccate
perfettamente di
nero, scivolò sulla base della mano, e lo specchio delle
brame si incrinò. Succedeva
sempre, aveva imparato a non farci più caso. Si morse un
labbro, e
frettolosamente indossò i polsini neri di lana.
Quella
sera stava quasi per dimenticarseli, che stupida. Ecco cosa succede a
chi crede
troppo in un’immagine che non gli appartiene.