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Autore: dily___    23/12/2011    3 recensioni
“E chi è?”
“Non lo conosci.”
“Parlamene. E’ bello?”
Il viso di Mary Anne si distese in un sorriso.
“Oh sì. E’ alto, i capelli color nocciola, e un lieve accenno di barba. E’ vestito sempre elegante e curato, con la camicia sotto un golfino.”
La faccia dell’amica era l’emblema del disgusto.
“Come si chiama?”
“E chi lo sa…Però va a messa! E fa del volontariato. Ed è sempre gentile e garbato con tutti.”
“Dov’è il bagno?”
Mary Anne assunse un’espressione delusa.
“Ma mi ascolti?”
“Oh sì, è che ho come l’impressione che sto per vomitare.”
La ragazza si alzò in piedi ravvivandosi i lunghi capelli e stirandosi, per poi dirigersi verso l’enorme specchio che dominava la stanza e aggiustarsi l’ombretto nero con le dita. Mary Anne ne ammirò la figura alta e slanciata, e una fitta di gelosia le trapassò il petto. Non sarebbe mai stata come lei.

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Ci sono essenzialmente due tipologie di ragazze.
Quelle insicure di sé, che vivono la loro vita nella paura di non piacere, quelle che aspettano un cambiamento che – ne sono sicure – non avverrà mai. Perché le cose belle non accadono mai a loro, ma sempre a qualche ragazza più bella, più interessante, più fortunata. Come Mary Anne: la sua è un'esistenza trascorsa in silenzio, perchè a volte cambiare fa troppo paura.
E poi invece ci sono quelle ragazze che lottano per rimanere sempre in superficie, quelle che devono costantemente essere al centro dell’attenzione per non cadere nell’abisso, quelle che urlano il loro bisogno degli altri e lo ottengono con una maschera perfetta che indossano ogni giorno della loro esistenza.
Come Nikyta: che graffia ogni giorno pur di non perdere neanche un attimo della sua vita, ma tuttavia questa sembra sfuggirle tra le dita ogni giorno di più. Senza che lei possa farci niente.
E l’amore, forse, non è sempre la cosa migliore da aspettare. Perché quando lui arriva, distrugge tutto.
Genere: Commedia, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La luce filtrava debolmente dalla finestra serrata, riflettendosi sugli specchi che invadevano la stanza in un unico riverbero di luce. Le pareti viola facevano da cornice a un enorme letto di ferro battuto, rivestito di pesanti coperte leopardate, sulle quali figuravano due enormi cuscini di pizzo nero, il posto in cui Nikyta adorava più stravaccarsi. Migliaia di occhi, minuscole fessure sulla parete tappezzata di fotografie, osservavano la scena dallo loro atemporale dimensione, immobili.  
Nulla di paragonabile alla stanza di Mary Anne, lo sapeva fin troppo bene. Niente vasi di porcellana, nessun quadro impressionista, neanche una gigantografia del suo sorriso finto ma perfetto che correva da un orecchio all’altro su uno sfondo autunnale o azzurro, a scelta. Foto di famiglia, poi, neanche a parlarne.
Ma forse, anzi sicuramente era lei quella coi valori sballati. Non certo chi si riuniva la domenica sera davanti al camino per giocare a qualche istruttivo gioco di società, come il Monopoli o chi per lui.
“Allora, stasera è la grande sera.”
La voce di Mary Anne andò esitante a rompere il silenzio che si era creato, come se avesse avuto timore di aver detto una sciocchezza. Il suo sguardo andò poi a degnare della massima attenzione un peluche di pezza di un impiccato che pendeva da una mensola con aria rassegnata.
Nikyta prese delicatamente in mano la cornice, mostrandola a Mary Anne con un sorriso tirato. “Che ne pensi?”
L’amica la soppesò con cautela, come se avesse paura di farle del male.
“E’…è davvero bella, Niky,” disse teneramente. “Sono sicura che la adorerà.”
 “Ti piacciono le foto che ho scelto?”
Mary Anne rifletté qualche istante, mordicchiandosi un labbro.
“Mi piacciono molto. Sei così fotogenica… E questa è particolarmente bella.”
Indicò quella nell’angolo a destra: Capodanno, la baita che Deacon aveva affittato appositamente per loro due. Lui che la abbracciava da dietro e cercava col braccio teso di creare una giusta inquadratura, mentre lei rideva tenendosi stretta al suo collo. Ricordava ogni istante, mentre guardava quegli occhi felici. Sembravano così distanti, dietro quel vetro - chissà dove se ne erano andati. Forse insieme a tutte le cose belle che appartengono al passato, e per qualche inspiegabile motivo non ci sono più, smarrite come una maglietta che non ti ricordi più di avere, neanche in fondo all'armadio.
Ma non era tempo di tristezza, non quella sera. Il pensiero che sarebbe entrata di nascosto a casa di Deacon la riempiva di eccitazione, un desiderio che la percorreva dalla testa alla punta delle dita, fermandosi con particolare intensità in un punto imprecisato tra il collo e la bocca dello stomaco.
“Beata te che hai un così bel rapporto con lui…” sussurrò Mary Anne, lentamente.
Nikyta la guardò con attenzione, soffermandosi sulla quella sua espressione un po’ strana, impenetrabile. C’era qualcosa in quello sguardo silenzioso, qualcosa di profondamente sbagliato, ma non riuscì a capire cosa. Come quando entrate in una stanza che avete avuto sotto gli occhi per anni, e all’improvviso viene a mancare un oggetto, ma quale non lo capite, non lo ricordate. Percepite solo una mancanza che vi urta la vista, ma soffocate sotto la consapevolezza di non riuscire proprio a ricordare, che cosa manca.
Solo allora notò le occhiaie profonde che segnavano le guance dell’amica, come grosse fosse.
 
E allora la sua faccia mutò, si trasformò in un cimitero in cui gli occhi venivano calati nelle fosse come bare, come bare, e la pelle era grigia come il cielo invernale al crepuscolo. E tutto fu chiaro e incomprensibile allo stesso tempo.
 “Brandon…io…”
Taceva come se volesse parlare, e parlava come se volesse tacere. Scuoteva la testa, e guardava il soffitto, per poi alzarsi ed andare alla finestra. Come erano arrivate a quell’argomento?
“Sono così stanca. Stanca, stanca, stanca.”
“Di cosa?
“Di tremare. Di avere paura.”
“Paura.”
“Sì, ho paura. Ho paura del vuoto.”
“Cosa è successo?”
“Niente. Ho solo paura di cadere.”
 

·······
 
L’acqua bollente scorreva sulla sua pelle, scivolava, si perdeva negli anfratti del suo corpo, come la languida carezza di una mano impertinente. Un’instancabile cascata di baci sulla schiena e sulle gambe. Leggere volute di vapore si innalzavano pigramente verso il soffitto, perdendosi e sfibrandosi e scomparendo, pavoneggiandosi di fronte allo specchio su cui poi si andavano a posare in una sottile patina di condensa. Tutto era caldo e bello, e non esisteva altro che quel calore e quella bellezza.

Un piede sul pavimento freddo le fece capire che il mondo non era fatto di acqua e vapore; non se lo seppe spiegare, tutto sarebbe stato molto più semplice.
L’asciugamano le sfiorò una gamba mentre cadeva a terra senza un suono, perdendosi in un mondo ovattato di cui lei non faceva più parte. La ragazza di fronte a lei ghignò. Mosse una mano su un fianco, lambendolo coi polpastrelli, che si andarono poi a fondere sulla superficie liscia dello specchio. Il suo corpo, la pelle che aderiva alle ossa come se fosse troppo stretta, i capelli che correvano giù per la schiena.
Alzò le braccia, sorrise alla vista delle costole che emergevano dall’addome, e le accarezzò - poteva fidarsi di loro, lo sapeva. Percorse con un dito la linea dello sterno, giù fino al bacino, accogliendo con un sorriso il brivido che la percorse.
Sì, mi posso fidare di te.
Si rivestì con calma innaturale, le mani che indugiavano sulle linee spigolose del suo corpo, per poi accarezzare lievemente la rosa di seta rossa cucita nel punto in cui si univano le coppe del reggiseno.
Una gonna nera andò a fasciarle la vita, incollandosi alle cosce con provocante tenerezza, mentre il busto si faceva strada in una maglietta di una taglia più piccola, forse due.
Sapeva che sarebbe apparsa strepitosa agli occhi di chiunque, perché per fortuna gli occhi di chiunque lì si fermavano e non stavano ad indagare oltre. Ma era solo il compleanno di Deacon, e non voleva apparire, non ce n'era bisogno.
Poi fu automatico, come sempre. Lo sguardo cadde sulle unghie laccate perfettamente di nero, scivolò sulla base della mano, e lo specchio delle brame si incrinò. Succedeva sempre, aveva imparato a non farci più caso. Si morse un labbro, e frettolosamente indossò i polsini neri di lana.
Quella sera stava quasi per dimenticarseli, che stupida. Ecco cosa succede a chi crede troppo in un’immagine che non gli appartiene.
   
 
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