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Autore: Dorothy257    24/12/2011    2 recensioni
Se era davvero destino che ci dovessimo incontrare,
se era davvero destino che fossimo nello stesso momento,
nello stesso posto,
quando io dovevo essere da tutt’altra parte,
dopo tutto quello che è successo,
perché deve finire così?
È davvero destino che debba finire così?
[Può essere considerata come spin-off di Everything.]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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WHAT HURTS THE MOST.



 What hurts the most, was being so close
And having so much to say
And watchin you walk away
Never knowing, what could have been
And not seein that lovin you
Is what I was tryin to do

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[][ 
[What Hurts The Most - Rascal Flatts]
 



Sono seduta sul sedile posteriore di un taxi maleodorante che mi sta portando all’aeroporto. L’aria che entra dal finestrino mi scompiglia i capelli ed il caldo umido, opprimente già di primo mattino, mi fa attaccare le gambe alla pelle nera dell’auto. Dei ciondoli appesi allo specchietto retrovisore continuano a scontrarsi incessantemente producendo un tintinnio fastidioso che mi ferisce le orecchie. Un paio di occhiali neri, decisamente troppo grandi per il mio viso, mi coprono gli occhi e mi permettono di asciugare le lacrime che cadono ad intervalli regolari prima che possano essere viste. Guardo con la vista appannata ed aria distratta fuori dal finestrino gli alberi e le case che mi sfrecciano davanti, sento una voce provenire dal posto accanto al mio. È mio padre che mi sta chiedendo se mi è piaciuta la vacanza. Mi volto, gli mostro un sorriso a trentadue denti ed annuisco. Non proferisco parola e ritorno, con un sospiro, alla mia occupazione precedente.


Dopo pochi minuti siamo già in aeroporto. Quel tragitto, che all’andata mi era sembrato interminabile, ora mi appare troppo breve, e già concluso prima di poter contenere tutti i miei pensieri. Trascinando la valigia ed a testa bassa entro, seguendo mio padre, nel terminal. Ci fermiamo in un bar per fare colazione, ma io non ho fame, un nodo mi chiude lo stomaco. Sospiro di nuovo e comincia a pizzicarmi il naso, gli occhi si fanno umidi, ecco sento che sta per arrivare, ora scoppierò in un pianto liberatorio proprio davanti a tutti; ed invece no, una lacrima solitaria comincia a scivolarmi sulla guancia destra, la fermo prima che mi solletichi il naso. Nel bar ci sono un paio di schermi della televisione, in uno vengono trasmesse le ultime notizie, nell’altro gli orari degli aerei in partenza. Li guardo entrambi con insistenza, spostando incessantemente gli occhi sbarrati da uno all’altro; e, quasi supplicandoli, chiedo che mi mostrino quello che avrei voluto vedere: un qualsiasi motivo che faccia in modo che il mio aereo non parta più, che debba tornare indietro, tornare in quel posto che poco più di un’ora prima avevo lasciato, tornare dove sei tu.


Niente da fare, è tutto perfettamente in orario, stranamente. Ci sediamo nella sala d’attesa e mi accoccolo nell’unico posto da dove si possa vedere l’entrata del piccolo aeroporto. Comincio a fissare l’ingresso ed a sperare. Sperare che tu faccia capolino, all’improvviso e di corsa, urlando il mio nome, anche se tutto sudato ed affannato non importa, e con aria smarrita cercarmi ovunque per non permettermi di partire, proprio come accade nei film. E proprio come nei film io ti verrei incontro, mi aggrapperei al tuo collo e, dopo esserci guardati negli occhi per un istante lungo decenni, scambiarci una bacio da togliere il fiato mentre le persone ci passano accanto: alcune indifferenti, altre squadrandoci con aria allibita, altre ancora con un sorriso sulle labbra. Invece io sono sempre seduta su questa sedia scomoda e piena di gomme da masticare e te non sei qui.


Ti immagino abbracciato al cuscino mentre stai dormendo sonni tranquilli; immagino che tu non abbia sentito la sveglia, del resto sono partita presto questa mattina. Sai ti aspettavo mentre stavo caricando le valige sul taxi e anche prima di chiudere la portiera dell’auto con un rumore sordo ero certa che saresti sbucato dal nulla per salutarmi per l’ultima volta e darmi quel bacio che sono sicura non ci daremo mai. Ma non ti sei fatto vedere. E adesso i minuti passano, i battiti del mio cuore accelerano e sento la fine avvicinarsi; vorrei alzarmi e correre, correre a più non posso, scappare via, senza fermarmi mai, mai se non tra le tue braccia. Una voce acuta mi risveglia dai pensieri facendomi sussultare. Stanno chiamando il mio volo, me ne devo andare. Mi volto a guardare per un’ultima volta la porta, ma tu non ci sei.


Sai salendo sull’aereo ho visto qualche sedile più avanti del mio una ragazza asciugarsi delle lacrime, e continuare a piangere imperterrita guardando fuori dal finestrino. Sai la cosa mi fa sorridere e mi solleva perché mi sembra di essere meno sola. Vorrei chiederle se sta piangendo per un ragazzo come sto facendo io. Vorrei chiederle se anche a lei sarebbe bastato un piccolo salto per vincere e di non averlo fatto per la paura di cadere. Vorrei sapere se impedimenti vari non le hanno permesso di realizzare quello che, ormai troppo tardi, aveva capito essere il suo sogno, il suo desiderio.
Io e te avevamo lo stesso desiderio, ci volevamo a vicenda. Alla fine ci sono arrivata. Ti chiedo scusa se non ho fatto in tempo, ti chiedo scusa se con i miei sguardi e con i miei comportamenti ti ho fatto desistere, ti chiedo perdono se ho ascoltato la mia testa invece che seguire il mio cuore.
Ora indosserò una maschera, farò finta di stare bene, di essere felice; la ripresa della quotidianità e degli impegni mi daranno sempre meno occasioni per pensarti e sono sicura che tra un po’ di tempo tu non sarai altro che un ricordo, un ricordo bellissimo, distante. Ma tra quanto tempo? Sembra tutto così lontano ed irraggiungibile.


Un’altra domanda comincia però a farsi spazio nella mia mente. Cosa è che mi fa più male? Il rimpianto di non essere stata capace di cogliere l’occasione quando mi si era presentata? Essermi illusa? Continuare a sognare ad occhi aperti come una masochista? Non poterti più avere? No, non è questo che mi fa più male, c’è dell’altro, ma che non riesco ancora a capire, qualcosa che mi sfugge. Tra questi ed altri pensieri non sento più la terra sotto di me, guardo fuori dal finestrino e vedo l’aeroporto allontanarsi sempre di più per poi scomparire del tutto. Terminato il decollo accendo l’mp3 che, da amico fidato quale è, capisce subito di quale canzone io abbia bisogno. Le prime note cominciano a diffondersi nelle mie orecchie, un sorriso di gratitudine mi spunta sulle labbra e le parole del ritornello mi affiorano nella mente come una poesia e cominciano a volare nell’aria.
“Ciò che fa più male è essere stati così vicini, avere così tanto da dire ma guardarti andare via, senza mai sapere cosa sarebbe potuto essere e non aver capito che amarti era quello che stavo cercando di fare.”
  


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 Vorrei dedicare questa one-shot a tutte le ragazze e, perché no, ragazzi che in vacanza si sono innamorati, hanno sofferto, continuano ad innamorarsi e continuano a soffrire. A tutti quelli che sanno quando faccia male. A tutti quelli che hanno vissuto un Amore impossibile, un Amore irraggiungibile, un Amore a distanza, un Amore ritrovato, un Amore lasciato, un Amore e basta.
  
Stay Strong, Dorothy.   
 
  

  
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