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Autore: _Sihaya    09/08/2006    0 recensioni
Rika e Reiko vivono insieme e sono grandi amiche; hanno caratteri molto diversi, ma scoprono di condividere... una grande passione per "il basket"! ^^
Genere: Generale, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hisashi Mitsui, Kaede Rukawa, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 7

 

Like The Leaves

By Sihaya

 

 

EPILOGO

 

Rika stava tornando a casa da sola quel giorno, camminava trascinando i piedi con fare scocciato. Erano passati un paio di giorni da quando Mitsui e Reiko avevano cominciato a stare insieme. Quel giorno Reiko era rimasta ad aspettarlo dopo l’allenamento ed ora era lei a tornarsene a casa da sola.

 

Sbuffò.

 

Quella stupida di Reiko non capisce nulla!

 

Era nervosa.

 

Da un po’ di tempo a questa parte l’amica sembrava non lasciarla in pace. Continuava ad assillarla per sapere il motivo che l’aveva portata ad interessarsi, tutt’ad un tratto della squadra di basket. Era vero: aveva preso l’abitudine di andare in palestra sempre più spesso. Seguire il gioco le piaceva molto, ma Reiko era convinta che non fosse solo quello il motivo. Insinuava che lei potesse avere qualche interesse per quello sbruffone. Kaede Rukawa. L’asso dello Shohoku. Forse il ragazzo più famoso della scuola… Tse! Figuriamoci se io posso interessarmi ad un pallone gonfiato del genere! Certo, da quando era riuscita a dare quella che lei definiva “una lezione esemplare” al numero 11, provava una gran soddisfazione ad entrare in palestra e a fissarlo mettendolo in imbarazzo. Si erano scontrati altre volte dopo quel giorno, ma ora lei era molto più sicura di sé, inoltre sapeva di piacergli e si divertiva a provocarlo. Ecco, era solo quello, si divertiva a provocarlo e basta. L’aveva ripetuto mille volte all’amica ma non riusciva a convincerla. Diceva che continuava a ripeterlo solo per convincere se stessa, che non voleva ammettere di essersi presa una cotta.

 

Idiota! Reiko, sei proprio un idiota!

 

Pensò cercando in tasca le chiavi di casa.

 

Calciò con rabbia una lattina vuota che si trovava sul suo cammino.

 

“Maleducata…”

 

Ma che…??!

 

Rika fece un balzo per lo spavento. Il cuore le era saltato in gola. Davanti a lei, seduto sul muretto di casa sua c’era lui, Rukawa. Il numero 11. L’asso dello Shohoku. Lo spilungone arrogante. Il volpino. L’idiota.

Era lì, seduto sul muretto di casa sua e si permetteva di rimproverarla.

 

“Tu, … tu cosa ci fai qui!? … E poi che cazzo vuoi da me!? Non ti è bastata la lezione che ti ho dato l’altro giorno! Non ti permettere mai più di rivolgermi la parola brutto idiota pervertito!!!”

 

Lui la guardò alzando un sopracciglio. “Abbiamo un conto in sospeso… noi due”, disse sostenendo il suo sguardo.

 

“Ma quale conto in sospeso!?” esplose lei.

 

“Fammi entrare e te lo spiego”, disse lui sfidandola. Lei sentì il viso avvampare.

 

Decise di ignorarlo.

 

Prese le chiavi di casa e aprì il cancello con la mano che tremava. Fece per richiuderlo dietro di sé ma lui lo bloccò.

 

“Allora mi fai entrare?” continuò insistente.

 

Lei lo aggredì furiosa: “Sei solo un pallone gonfiato! Vedi di lasciarmi stare e di sparire dalla mia vista entro cinque secondi o io… io”, gli voltò le spalle. Lui sorrise ironico: “Se vuoi che me ne vada devi cercare di essere più convincente!”, disse, poi allungò una mano e le diede una pacca sul sedere. Lei si voltò di scatto con il viso rosso come i capelli. Lui non le diede il tempo di parlare e le sfilò le chiavi di mano, poi la prese per un braccio e la trascinò verso la porta.

 

“Lasciami brutto stronzo! Lasciami o mi metto a gridare!!”

 

Lui in tutta risposta la prese per la vita e la trascinò tra sé e la porta. Poi allungò le mani da dietro di lei cercando di infilare la chiave nella serratura. Lei sentì il corpo del ragazzo premere contro il suo schiacciandola verso il portone. “Lasciami andare…”, disse  con un filo di voce.

 

La serratura scattò. Il giocatore la spinse in casa e chiuse la porta dietro di sé. Si guardò intorno per orientarsi, poi la trascinò nel salotto, e quindi nella camera da letto.

 

Lei non disse una parola. Rimase a guardarlo togliersi la maglietta, affascinata dal suo corpo, dalla sua pelle chiara e dai capelli neri che risaltavano sotto la luce del tramonto che penetrava dalla finestra.

 

Non seppe resistere e inconsciamente allungò una mano per toccarlo. Accarezzò quel corpo caldo con le mani che le tremavano. Lui rabbrividì a quel contatto e sentì il sangue abbandonargli la mente. Le afferrò il viso fra le mani e cominciò a baciarla, avidamente, sulla bocca. Lei si lasciò andare a quel bacio prepotente lasciando che le sue mani si muovessero per sfilarle prima la maglietta della divisa della scuola e poi la gonna, che le scivolò lungo i fianchi e cadde, morbida, a terra. Poi, ormai incapace di opporsi, lo afferrò per la cintura dei pantaloni e cominciò a toccarlo sentendolo irrigidirsi fra le sue mani.

 

Lui si strinse ancora di più a lei completamente fuori controllo. La sentì scivolare via dalle sue braccia per sedersi sul letto. Rimase a fissarla eccitato mentre lei gli slacciava la cintura. Si tolse le scarpe e i pantaloni in una volta e la distese sul letto sdraiandosi su di lei. L’accarezzò e cominciò a baciarla su tutto il corpo mentre finiva di spogliarla. Lei prese ad ansimare forte mentre lui scendeva a baciarle il ventre. Gli mise le mani sulla testa e lo spinse più giù, fra le gambe. Lo afferrò per i capelli mentre i suoi gemiti divennero più forti.

 

Lui la sentiva muoversi e inarcarsi, mentre gli diceva di volerlo, sempre più impaziente. Si sollevò portandosi sopra di lei, vinto dal desiderio.

 

“Certo che ne fai di casino” le sussurrò ad un orecchio, mentre lentamente entrava dentro di lei. “E’ colpa tua…”, disse lei abbracciandolo mentre le parole le morivano in gola. Un brivido di piacere la percorse per tutto il corpo. Lo allacciò morbida a sé inarcando la testa mentre i loro gemiti riecheggiavano nella stanza, sempre più forti. Lui aumentò il ritmo, ansimando, travolto da quelle sensazioni, nascose il viso fra il collo e la testa di lei, che gridò e lo strinse forte colta da un sussulto irrefrenabile.

 

Emise un gemito strozzato sentendo i muscoli della ragazza contrarsi sotto di lui e si abbandonò fra le sue braccia come un bambino, sudato, sul suo corpo caldo e morbido ancora scosso da un fremito.

 

Rika lo stinse a sé, accarezzandogli i capelli scuri e lo baciò dolce, più volte sulla fronte finché lentamente chiuse gli occhi e si addormentò.

 

* * *

 

Il sole, ormai sceso, illuminava ancora debolmente l’orizzonte quando Reiko, accompagnata da Mitsui, entrò in casa. Il ragazzo la seguì nel salotto e la vide irrigidirsi dubbiosa.

 

“Che c’è?”

 

“Qui ci sono le chiavi di Rika, è strano che non ci sia”, disse lei indicando con il dito sul tavolo e assumendo un’espressione infantile. Lui sorrise a quell’atteggiamento. “Forse è andata a dormire”, disse alzando le spalle. Reiko si voltò verso la porta della loro stanza da letto e la trovò stranamente socchiusa.

 

Allora si avvicinò in silenzio e sbirciò dentro.

 

Immediatamente si volse incredula con gli occhi sbarrati verso Mitsui che la guardò divertito, finchè, curioso, si avvicinò per vedere cosa l’avesse turbata in quel modo. Allungò la testa dentro la stanza e li vide: addormentati l’uno sull’altra, abbracciati e completamente nudi. Rimase anche lui qualche secondo stordito.

 

Ru … Rukawa!?

 

Si voltò verso la sua ragazza e trattenne una risata “Pf… che storia! Questa non me l’aspettavo! Quei due devono essersi proprio divertiti!”

 

Reiko lo fissò inorridita “Divertiti?!!! Quei due deficienti sono sul mio letto!! No dico sul mio letto! Oddio che schifo!”

 

La reazione della ragazza lo divertì ancora di più e si abbandonò ad un riso isterico, reso ancor più irrefrenabile dal pensiero di poterli svegliare. Quando si fu ripreso guardò Reiko, ancora furiosa.

 

“Senti perché non gli facciamo una foto?”, le disse per cercare di calmarla. Lei cambiò istantaneamente espressione: “Questa è un’idea grandiosa! La migliore che tu abbia mai avuto!” gli disse entusiasta correndo a prendere una macchina fotografica e rientrando nella stanza tenendo in mano, trionfante, l’arma del delitto. Poi si sporse all’interno della camera e scattò un paio di volte. Il flash invase la stanza ma fortunatamente non svegliò i due ragazzi. Soddisfatta si spostò e chiuse la porta.

 

Sorrise al suo giocatore mostrandogli la macchina: “Tu hai vagamente idea di quello che potremmo farci con queste!? Li possiamo ricattare! Ci faremo dare dei soldi per non esporle all’entrata della scuola! Eh Mi’ che ne dici?” disse in tono maligno sedendosi sul tavolo del salotto.

 

“Certo che sai essere proprio stronza eh!?”, le disse lui severo.

 

Lei lo guardò storta.

 

“Lo so. E’ per questo che ti piaccio!”, disse orgogliosa.

 

“Non è vero!”, protestò lui deciso, mettendosi di fronte a lei.

 

“Ah, sì? E allora perché ti piaccio?”.

 

Lui si fece serio e la guardò negli occhi: “non lo so…”, disse, “…io ti amo e basta.”

 

Lei rimase un attimo sorpresa da quelle parole, poi gli sorrise felice e lo afferrò per la cintura, lo tirò a sé e lo baciò teneramente sulle labbra.

 

 

Non trovo le parole per descrivere quello che provo,

ma ne sono felice.

Voglio che queste sensazioni rimangano sospese nel mio cuore,

senza forma e senza voce,

perché è proprio questa assenza di limiti a renderle speciali,

 irrinunciabili.

Soltanto mie.

 

 

FINE

   
 
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