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Autore: hotaru    25/12/2011    2 recensioni
C'erano solo più freddo e più luci, secondo Ed, oltre a qualche albero addobbato e candele dietro i vetri delle finestre. Profumo di stelle di cannella e biscotti ai semi di papavero nell'aria quando il vento soffiava in una certa direzione, mentre il repertorio dei musicisti di strada si restringeva ad una decina di canzoni che potevano risuonare contemporaneamente in più angoli.
- Perché?
- Perché mi ricorda il Natale passato. Quello presente non è poi così male, ma il primo profumo di spezie a dicembre mi ricorda quand'ero bambino e aiutavo mia nonna a preparare i biscotti. È un po' il mio fantasma personale che viene a chiamarmi.
[Tra la prima serie e il film, parentesi natalizia]
Seconda classificata al contest "A Christmas Carol" di Nekhel
Genere: Comico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alphons Heiderich, Altro personaggio, Edward Elric
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ein Weihnachtslied- Natale a Monaco
Ein Weihnachtslied- Natale a Monaco




In realtà non aveva la minima idea del perché fosse lì.
Cioè, sapeva perfettamente di esserci venuto perché qualcuno gliel'aveva chiesto, e sapeva anche di non riuscire ancora a separare come avrebbe dovuto il viso di Alfons da quello di Al, nella sua testa.

- Hai da fare, stanotte?
- Stanotte?
- Sì, intendo... pensi di venire alla Messa di Natale?
- La...Messa di... Natale? Esattamente cosa...
In quel momento Alfons, anche se non aveva mai preso sul serio la storia che Ed continuava a raccontargli, ovvero che lui veniva da un altro mondo, l'aveva guardato come se fosse stato quasi sul punto di credergli. Perché non era davvero possibile che qualcuno non sapesse cosa fosse una Messa di Natale. Eppure la sua espressione non mentiva, e in quei mesi Alfons si era reso conto che Edward Elric non era in grado di mentire. Non a lui, almeno, anche se il motivo ancora gli sfuggiva.
- Sei non hai niente da fare e non sei troppo stanco, puoi venire con me. È bella anche se non sai cos'è.


"Oh, diavolo, ancora con questa storia della religione. C'era da aspettarselo."
In realtà non è che Alfons fosse particolarmente pio o osservante, non a certi preoccupanti livelli che aveva visto in quel mondo, ma sembrava che a quella faccenda del... Natale, così si chiamava, tenesse molta più gente di quel che credeva.
E lui? Che ci faceva lì? D'accordo che quel giorno se l'erano presa comoda- e adesso ne capiva la ragione- ma di solito a mezzanotte era abbastanza stanco da non desiderare altro che il suo letto. Soprattutto in quelle gelide serate di dicembre, in cui la neve caduta aveva ormai ghiacciato da un pezzo e certi angoli di strade erano coperti da pericolose lastre invisibili che attentavano alla vita dei passanti.
Oltretutto la massa di gente che si era assiepata in chiesa iniziava ad emanare un certo calore, e la luce tremula ma abbagliante, come una nuvola di fuoco sospeso, di tutte le candele lì attorno minacciava di farlo cadere in un sonno catatonico. Se non fosse stato attento sarebbe caduto dal banco, garantito.
- Va bene se ci sediamo qui?
A volte avrebbe tanto voluto chiedere ad Alfons perché dovesse essere così assurdamente gentile anche per cose della minima importanza, come il posto in cui ci si doveva sedere; a volte avrebbe voluto urlargli di smetterla di comportarsi come Al, perché lui non lo era, e solo perché aveva la sua stessa faccia non significava che dovesse anche dire o fare tutto ciò che avrebbe detto o fatto lui. A volte- e queste erano le più pericolose, quelle in cui sentiva come un punteruolo acuminato infilzargli il cuore- una vocina avrebbe voluto pregare Alfons di chiamarlo "Fratellone", solo una volta, e di non mettersi a ridere solo perché... p-perché... perché era poco più alto di lui, ecco.
A volte pensava di star diventando seriamente schizofrenico, e di motivi ne avrebbe avuti eccome.

Eppure non gli dispiacque.
Stare lì, in mezzo a tutta quella gente che il giorno dopo avrebbe avuto qualcosa da festeggiare, magari con tutta la famiglia; osservare con la coda dell'occhio la luce fluttuante delle candele. Soprassedere sulla pelle d'oca che gli era venuta quando il coro aveva iniziato a cantare accompagnato dall'organo, anche se le canzoni tedesche gli sembravano sempre troppo solenni, e fra le voci distinguere quella di Alfons accanto a lui: era bella, profonda ma intonata. Al non cantava così bene. Nemmeno con la voce ancora cristallina che aveva, una voce bianca che non era invecchiata di un secondo.
- Vom Himmel hoch, o Engel kommt... (¹)
Sì, un angelo avrebbero detto in quel mondo, se aveva ben capito cos'erano: bambini immortali, che passavano l'eternità a cantare per un non ben identificato dio, e a volare in un non meglio identificato cielo. Le donne di quel mondo si scioglievano, se qualcuno paragonava il loro figliolo ad un essere di quella schiera alata ed eterna. Mentre a Ed venivano solo i brividi lungo la schiena.
... ora suo fratello sarebbe invecchiato, non è vero?
Ora che aveva rimesso tutto a posto, anche se non l'avrebbe più rivisto. Si chiese se la voce di Al sarebbe diventata profonda come quella di Alfons, anche se Ed era certo che quella nota di gentilezza cristallina che lo contraddistingueva non sarebbe mai andata perduta.
Se chiudeva gli occhi, forse poteva illudersi che suo fratello fosse lì, a cantare accanto a lui una canzone sconosciuta in una lingua che non avevano mai parlato, con una voce che non era ancora la sua.
Ma poteva essere Al lo stesso.


- Allora, ti è piaciuta?
- Mah... più o meno. Non ho ben capito cosa dovrebbe essere successo.
Alfons sorrise, e Ed rimase zitto. Ormai non se la prendeva nemmeno più quando vedeva quella sfumatura di scherno sulle sue labbra, in fondo era già tanto che non lo prendesse in giro apertamente. Anche se lui avrebbe potuto farlo, qualche volta. Solo lui, però.
- Ci hanno anche un po' affumicato, mi pare – aggiunse Ed, annusandosi una manica. Profumava ancora, di un odore intenso ma non poi così piacevole. Di...
- Ah, l'incenso, sì. Quando l'hanno usato sulla statua del Bambino. Se non ricordo male, simboleggia la divinità.
L'incenso non è uno degli elementi che compongono il corpo umano, infatti.
- Non mi sembri poi così ferrato, e dire che dovrebbe essere la tua religione.
Alfons sorrise colpevole, in modo diverso da poco prima.
- In effetti non sono poi così praticante, ma a questo periodo... tengo in modo particolare.
C'erano solo più freddo e più luci, secondo Ed, oltre a qualche albero addobbato e candele dietro i vetri delle finestre. Profumo di stelle di cannella e biscotti ai semi di papavero nell'aria quando il vento soffiava in una certa direzione, mentre il repertorio dei musicisti di strada si restringeva ad una decina di canzoni che potevano risuonare contemporaneamente in più angoli.
- Perché?
- Perché mi ricorda il Natale passato. Quello presente non è poi così male, ma il primo profumo di spezie a dicembre mi ricorda quand'ero bambino e aiutavo mia nonna a preparare i biscotti. È un po' il mio fantasma personale che viene a chiamarmi.
Un'occhiata all'espressione perplessa di Ed, e Alfons quasi scoppiò a ridere.
- No, non dirmelo! Tu Dickens non hai idea di chi sia, vero?
- Dal nome non sembra tedesco – si limitò a borbottare Ed.
- Infatti è uno scrittore inglese – annuì Alfons – E ha scritto un libro intitolato "Canto di Natale", dove un vecchio cinico e avaro viene visitato la notte della Vigilia da tre spiriti: quelli del Natale passato, presente e futuro, per l'appunto.
- Passato, presente e futuro. Le tre facce del tempo.
- Esatto. Se ti interessa, ne ho visto una copia da un libraio qui vicino. Posso prendertelo io, magari come...
- No, non è che sia poi così inter...
- ... come regalo di Natale – concluse Alfons.
Regalo.
- Ma... spiegami un po': com'è esattamente la storia? Cosa fanno questi fantasmi, di preciso?


Potrebbe ricevere un regalo. Un regalo in un'occasione che in quel mondo è importante, o perlomeno sembra esserlo per tutta la gente che quella sera cantava in chiesa e poi si è scambiata gli auguri. Per Alfons lo è.
Un regalo che consisterebbe in un libro di quel mondo, riguardante una festa che non può e non riesce e non vuole sentire sua. Un libro che parla di sovrannaturale, il grande nemico di ogni scienziato degno di questo nome.
Di un libro del genere di norma non se ne farebbe niente; non lo butterebbe nel fuoco, ma nemmeno lo degnerebbe della sua attenzione. Però un regalo un po' di attenzione la merita.
Edward rabbrividisce nel pigiama di lana e si infila sotto le coperte, con la sensazione che i capelli puzzino ancora di quel maledetto incenso.
Ha ripreso a nevicare.


- Ehi, fratellone. Fratellone, svegliati!
- Mmmhh...
- Dai, niente "mmh"...
- Alfons...
- Fratellone!
- Al...
Ed aprì gli occhi di scatto. L'aveva sentita, quella parola. Due volte, anzi tre. La parola che anche quella sera gli era venuta in mente, come ogni volta che pensava a...
Al. Eccolo lì. A Ed mancò il fiato per qualche secondo, il tempo che suo fratello gli facesse un sorriso costellato di finestre per i denti mancanti, la cui vista fece tornare Ed a respirare.
Ah, d'accordo, era un sogno. L'Al che si trovava accanto al suo letto sembrava avere sì e no sette anni- i denti da latte mancanti ne erano una prova- e l'aria ancora più infantile di quel che ricordava. Un sogno, certo. Tutto nella norma.
- Però è la prima volta.
- Uh?
- È la prima volta che mi sogni, da quando sei qui.
- Per qui intendi...
- In questo mondo – rispose il piccolo Al con tranquillità.
- Sì, beh... potrei averti sognato ancora, magari non me lo ricor...
- No, ho controllato – lo interruppe suo fratello, serio.
Ed tacque, sicuro che quel sogno se lo sarebbe ricordato alla perfezione. Non capitava tutte le notti che una persona onirica venisse a dirti che aveva controllato gli altri tuoi sogni, prima di venire a trovarti.
L'espressione di Al si fece dubbiosa.
- Ma perché sogni Winry nud...
- AL!
- E non solo una volta – il bambino alzò una mano paffutella, mettendosi a contare sulle dita – Sarà successo, vediamo, cinque... più due...
- Al, smettila subito! - Ed era paonazzo, la voce stridula di una gallina a cui stanno tirando il collo.
- Oh, scusa – gli fece un altro sorriso, che stavolta non aveva nulla di infantile – Comunque io non sono Al.
- Ah, no? - gli diede corda Ed, sollevato che avesse smesso di fare certi discorsi.
- No – il bambino corse alla finestra, che si spalancò senza che nemmeno lui la toccasse. Una folata gelida invase la stanza, portando con sé fiocchi di neve e l'odore danzante di dicembre – Sono lo spirito del Natale passato.
- Al – sospirò Ed, raggomitolandosi nella coperta. Possibile che in un sogno facesse così freddo? – Anzi, d'accordo, forse non sei Al ma ti manca una rotella: ti ricordo che di Natali passati io non ne ho. Questo è il primo, mi risulta.
Il bambino corrugò la fronte, perplesso, come se all'improvviso gli sfuggisse qualcosa.
- Oh, ma... un passato ce l'hai, vero? - chiese, titubante.
- Beh, sì. Ma...
- Bene, è più che sufficiente. Andiamo? - propose raggiante il piccolo Al, di nuovo col sorriso sulle labbra.
- Andiamo dove? C'è una tormenta, là fuori – rabbrividì Ed, ributtando la testa sul cuscino – Fammi un favore, chiudi la finestra. E se non sei Al puoi anche andartene.
Seguì qualche istante di silenzio, durante i quali nessuno parlò e nessuno si premurò di chiudere la finestra. Quando la sentì di nuovo, la voce di quel bambino era di nuovo accanto al suo letto.
- Non mi stupisce che ti piacciano le persone gentili. Tu non lo sei.
E all'improvviso Ed sentì la coperta gonfiarsi, gonfiarsi per l'aria gelida che continuava ad entrare nella stanza, come se qualcuno la stesse soffiando dentro.
Ma non è l'aria calda che fa funzionare le mongolfiere?
La sua invece stava funzionando a folate ghiacciate, cosa che sfidava la fisica in generale e il principio di Archimede in particolare, con il piccolo Al appeso ad un suo braccio che fungeva da timone.
- Andiamo, su!
- E dove?
- Nel tuo Nata... no, solo nel tuo passato – si corresse il bambino, mentre si dirigevano fuori dalla stanza con quel pallone aerostatico improvvisato, nella notte addormentata di Monaco.
In quella strana tormenta, che ormai non era più tanto gelida, Ed e il piccolo spirito avanzarono per un tempo indefinito: Ed non poteva dire di vederci molto, ma gli sembrò che ad un certo punto gli alti edifici della città avessero lasciato posto all'aperta campagna.
- Senti, Al – fece Ed.
- Non sono Al – lo corresse il bambino, scrutando nella tormenta come a non lasciarsi sfuggire il posto in cui dovevano atterrare.
- E come vuoi che ti chiami? Spirito?
- Oh, sarebbe bellissimo! Puoi farlo, fratellone?
Ed non vedeva perché mai non potesse chiamarlo Al, visto che lui continuava ad appellarlo in quel modo, ma non fece commenti.
- D'accordo, spirito, c'è un problema: vivo a Monaco da poco, e non mi risulta che il mio passato si trovi da qualche parte nella campagna bavarese. Per cui dove stiamo andando?
- Tu non preoccupar... ah, ecco! Ci siamo! Butta il peso un po' in avanti, dobbiamo atterrare!
La nuova angolazione che presero permise a Ed di prendersi direttamente in faccia tutta la neve che stava cadendo, mentre loro planavano pian piano, man mano che la coperta si sgonfiava, fra alcune colline che nel buio quasi non si distinguevano.
- Vieni, guarda.
Ed non se n'era accorto, ma si trovavano accanto ad una finestra illuminata, e una luce calda proveniva da una casa la cui sagoma aveva un aspetto molto familiare...
- Ma... ma è la casa di Winry! - boccheggiò Ed, fiondandosi senza nemmeno rendersene conto alla finestra e appiccicando il naso al vetro, nella speranza di vedere qualcosa.
Quello che vide, gli provocò una stilettata al cuore. Checché ne dicesse, quell'organo grande quanto il pugno della sua mano continuava ad essere fatto di carne e sangue, invece che d'acciaio.
Sentendo che non diceva nulla, il piccolo Al si alzò in punta di piedi, mezzo appeso al cornicione, la coperta sulle spalle a mo' di mantello.
- Fratellone, è il tuo passato questo? Non mi sono sbagliato, vero?
- No – disse Ed in un soffio, tirandolo su da sotto le ascelle perché potesse vedere meglio. Adesso capiva perché gli si era presentato con quell'aspetto: l'Al che stava vedendo attraverso la finestra aveva la stessa età, identico a lui in ogni finestrella dei denti.
Se la ricordava, quella sera. E come dimenticarsela? Era stato quando il padre di Winry era rientrato coperto di neve, in quella mezza tormenta, con uno strano rigonfiamento sotto il cappotto. Quando l'aveva aperto, avevano visto tutti una ciambella scura e calda raggomitolata contro di lui, che si era rivelata un cagnolino. Un cagnolino per Winry.
Col senno di poi, mentre guardava attraverso la finestra se stesso bambino e Al che si accalcavano attorno a Winry e al suo cucciolo, capì che si era trattato di uno di quei sistemi degli adulti per compensare ciò che non riuscivano a dare ai loro bambini. Uno scambio equivalente, che tuttavia di equivalente non aveva proprio nulla: di certo avevano già preso la decisione di recarsi a Ishbar come medici, e quel cane- Den- non era altro che una specie di compensazione perché Winry non si sentisse troppo sola durante la loro assenza. Un'assenza che sarebbe poi durata tutta la vita.
- Era bello, non è vero fratellone?
Sì, poteva essere bello a non conoscerne i retroscena, a non sapere che di lì a pochi mesi i genitori di Winry sarebbero morti. Ed concentrò la sua attenzione su se stesso bambino, un soldo di cacio- non poi così tanto- che cercava di convincere Winry a fargli tenere un po' in braccio il cane, al punto da arrivare quasi a litigare. E, se si concentrava un attimo, riusciva a ricordarsela la sensazione di stringere al petto quella cosa calda e viva, messa in qualche modo perché non sapeva esattamente come tenerlo, con Al che lo pregava insistente di darlo a lui, dopo.
- Forse non era Natale – stava dicendo lo spirito – Ma era dicembre, ti ricordi?
- Dì' un po' – fece Ed – Sei proprio sicuro di non essere Al?
- Sicurissimo – il bambino si erse in tutta la sua altezza, gonfiando il petto – Sono uno spirito, io. Lui è dall'altra parte.
Il sorriso di Ed si fece tirato, fino a spegnersi completamente.
- Lo so – mormorò, dando un'ultima occhiata a zia Pinako che veniva a salvare Den dicendo che dovevano preparargli una cuccia. Proposta che aveva causato un'ondata di entusiasmo, tanto che sia lui che Al volevano fare un salto a casa, in mezzo alla neve, per andare a prendergli qualche cuscino. Con tutta probabilità, a casa c'era sua madre che si chiedeva dove fossero finiti: se lo ricordava, che era venuta a cercarli e alla fine si erano fermati tutti a cena dai Rockbell – Lo so benissimo.
Una folata di vento lo fece rabbrividire, spegnendo in un soffio la luce al di là della finestra come fosse stata la semplice fiammella di una candela.
Riaprendo gli occhi dopo che una manciata di neve gli era finita in faccia, Ed si accorse di essere solo.


- Ehi, Al! - chiamò – Spirito! Dove ti sei cacciato? Ehi!
Un colpo di vento più forte degli altri gli ributtò la sua coperta addosso, facendolo finire a terra. La neve sotto di lui non era né fredda né dura come il ghiaccio, piuttosto morbida e calda come un...
- Spirito!
... materasso? Ed si calmò, guardandosi attorno nell'oscurità. Era di nuovo nel suo letto? E quel buio era dovuto solamente al fatto di essere del tutto sotto le coperte, testa compresa?
Ma che razza di sogno...
Non fece in tempo a riemergere dalla coltre delle lenzuola, massaggiandosi piano le tempie, che si accorse che la luce nella stanza era accesa. Forse Alfons l'aveva sentito, magari aveva parlato nel...
- TU!
- Stai buono, Edward Elric. Tanto non sono chi pensi, credevo che l'altro spirito te l'avesse già detto – addentò una coscia di pollo – Ah, a proposito: io sono quello del Natale presente. Cioè, nel tuo caso del presente e basta.
Malgrado quelle parole, Ed era ancora pronto a scattare al minimo passo falso di quello che si era appena definito come spirito. Ma poteva anche essere una trappola, perché da quel che ricordava quell'essere si trovava in quel mondo proprio come lui.
- Se credi che io me la beva...
- Puoi berti quello che ti pare, qui ce n'è in abbondanza.
Solo a quelle parole Ed si rese pienamente conto di in che condizioni versava la sua stanza al momento: era colma fino al soffitto di roba da mangiare e bere, cibi di tutti i Paesi che aveva visitato in quel mondo, e perfino frutti dall'aspetto sconosciuto.
- Credevo ti cibassi solo di pietre rosse.
- Immagino di sì, ma devo entrare nella parte – fece lo spirito, staccando gli ultimi brandelli di carne da un ormai nudo osso di pollo – Anche se, secondo me, era un ruolo che si addiceva di più a Gluttony.
Lanciando l'osso da qualche parte nella montagna di cibarie, Envy- perché di lui si trattava- si decise ad alzarsi.
- Allora, andiamo?
- Andiamo dove? E si può sapere da dove arriva tutta questa roba? - fece Ed, ancora sospettoso.
- Oh, dovrei farti una specie di discorsetto sul cibo della generosità e via dicendo – Envy, o almeno quello che sembrava lui, fece un gesto seccato con la mano – Ma tu puoi trasmutarlo quando vuoi, quindi a che serve?
Ghignò all'improvviso, guardandolo dall'alto in basso. E solo perché lui era in piedi e Ed ancora seduto sul letto.
- O meglio, potevi farlo. Dura perdere l'unica cosa che riuscivi a fare, eh?
- Non è l'unica cosa che riuscivo a fare! - ribatté Ed con veemenza, guardandolo in cagnesco – Almeno io sono ancora un essere un umano.
Era pronto a difendersi se Envy, o lo spirito, o quello che era l'avesse attaccato, ma di certo Ed non si aspettava che si sarebbe avvicinato fino a prenderlo per la collottola del pigiama e alzarlo di peso.
- Sempre con le stesse offese, vedo. Non è gentile, nei confronti di qualcuno che non ha potuto scegliere di rimanere morto ed è stato costretto a tornare in vita in una qualche maniera poco ortodossa.
D'accordo, quello non era Envy. Appurato questo, Ed iniziò ad agitarsi nella sua presa.
- Ehi, lasciami andare. Non sono mica un coniglio! - protestò.
- Coniglio o no, è il miglior modo per trasportarti. Su, non abbiamo tutta la notte – detto questo Envy andò alla finestra, la spalancò e si arrampicò sul cornicione.
Ed, ancora bloccato in quella posizione assurda, si convinse mentalmente che quello spirito era in realtà molto più alto dell'Envy che conosceva. Era solo per quel motivo che, stretto nella sua presa, Ed non riusciva a toccare terra nemmeno allungandosi il più possibile.
- La smetti di dimenarti? Sì, sono più alto del tizio che conosci, contento adesso?
, confessò la vocina dell'orgoglio di Ed, prima di rendersi conto che erano saltati giù dalla finestra e atterrati nella neve fresca che stava ricoprendo le strade. Dopo essersi guardato un po' intorno, lo spirito decise che direzione prendere.
- To-torniamo a Resembool? - tentò Ed, chiedendosi se avrebbe potuto vedere suo fratello com'era adesso, malgrado si trattasse solo di un sogno.
- No, te l'ho già detto: sono il fantasma del Natale presente, e nel presente tu sei qui – gli spiegò Envy, con logica ferrea.
Ed ebbe appena il tempo di sentire una punta di delusione farsi strada da qualche parte dentro di sé, che lo spirito si fermò davanti a una finestra illuminata. Ripulì una porzione di vetro dalla neve e sbirciò dentro, posando a terra Ed.
- La conosci quella signorina, non è vero?
Ed guardò, incuriosito, chiedendosi di che "signorina" stesse parlando: riconobbe immediatamente la commessa del negozio di fiori sotto casa sua, identica a Glacier Hughes dall'altra parte del Portale, seduta attorno a un tavolo apparecchiato con quella che doveva essere la sua famiglia. Non c'era chissà quanto da mangiare, ma si vedeva che le cibarie sul tavolo erano il frutto di uno sforzo a mettere insieme il meglio possibile, almeno per Natale.
- E adesso sta' indietro.
Ed, che si stava chiedendo perché dovesse assistere alla cena di una famiglia che nemmeno conosceva, si sentì tirare di nuovo per la maglia del pigiama, fino a ritrovarsi nell'ombra di un angolo lontano dai lampioni.
- Che cosa dovrei...
- Zitto e guarda.
Ed tacque obbediente, aspettando. Nelle orecchie soltanto il suono ovattato e impercettibile della neve che continuava a cadere, e che alla luce dei lampioni si attorcigliava in vortici arabescati, attese e dopo un po' gli parve di sentire uno scricchiolio. Lo scricchiolio tipico di passi nella neve, appartenenti ad un'ombra che avanzava verso di loro.
Ed non ci mise molto a riconoscerla: la camminata era identica ad un tenente colonnello che aveva conosciuto bene, e anche il modo di stringersi nel cappotto per il freddo gli era familiare.
Si chiese se l'agente che in quel mondo aveva lo stesso aspetto di Hughes fosse di pattuglia quella sera- sembrava di sì, a giudicare dall'uniforme e dagli stivali d'ordinanza- eppure non poté reprimere un sorriso quando lo vide rallentare sensibilmente man mano che si avvicinava alla casa dalla finestra illuminata, fermandosi del tutto prima di entrare nello spicchio di luce che dava sulla strada.
E ammise a se stesso di esserselo aspettato, quando lo vide abbassarsi e muoversi circospetto sotto il bordo della finestra, più simile a un ladro che ad un rappresentante delle forze dell'ordine. Lo vide sbirciare dallo stesso punto che Envy aveva ripulito dalla neve, e Ed poté quasi indovinare l'attimo stesso in cui l'uomo individuò la bella fanciulla per cui sospirava: in quei momenti diventava in tutto e per tutto identico al tenente colonnello che aveva conosciuto lui. Quasi si aspettava di sentirlo sproloquiare sulla sua bellissima moglie e la sua non meno meravigliosa famiglia, prima di ricordarsi che al momento non aveva né l'una né l'altra.
Ed lo vide sospirare e sorridere, di sicuro impegnato ad immaginare quell'angelo sceso in terra come l'angelo del suo focolare, magari circondato da una marmaglia di bambini- o bambine, conoscendolo non gli sarebbe dispiaciuta una progenie tutta al femminile.
- Vedi, certe cose non cambiano mai.
- È proprio ver... - Ed si bloccò, guardando stranito lo spirito. Va bene tutto, ma mettersi a disquisire con Envy dei bei tempi andati di sicuro andava oltre tutto ciò che di assurdo gli era mai capitato.
- Non fare quella faccia, io sono uno spirito. E sono qui solo per mostrarti che un motivo per sorridere lo si può trovare ovunque.  
- Va bene, ma perché proprio quest'aspetto? Non potevi, che ne so, apparirmi come il maggiore Armstrong? Mi sarebbe andato bene anche lui.
- Perché non è con questo maggiore che ti sei ritrovato davanti al Portale, l'ultima volta. E non è lui che si trova qui come te.
- Che cosa vorresti dire? Che potrebbe capitarmi di incontrarlo di nuovo?
Lo spirito accennò a Hughes, ancora appiccicato alla finestra con un sorriso ebete stampato sulle labbra.
- Fa' qualcosa di buono, dagli una mano. Quello che hai conosciuto tu era molto più deciso, in ogni direzione che doveva prendere.
Ed si volse a guardarlo, e in effetti dovette ammettere che il tenente colonnello dell'altro mondo non era mai stato così timido nell'esprimere i propri sentimenti. Decisamente no.
- D'accordo, ma non hai risposto alla mia doman...
Buio. Lo spirito era sparito, svanito nel nulla, la luce alla finestra si era spenta e Hughes era scomparso. Era notte fonda, e chiunque quella sera avesse festeggiato con una cena in famiglia era ormai a letto da un pezzo.


La neve aveva smesso di cadere, ma il cielo era più nero che mai, e quando Ed fece per guardarsi attorno per capire come tornare a casa, una nuvola di fumo lo avvolse, simile all'incenso di quella sera.
Quando smise di tossire, Ed si ritrovò accanto una figura incappucciata dall'aria minacciosa. O meglio, lo sarebbe stata se Ed non avesse riconosciuto all'istante i guanti che quella figura indossava.
- Lei! No, non mi dica che...
- Esatto, Acciaio. Sono il tuo meraviglioso Spirito del Natale Futuro! Modestamente.
- Con Envy pensavo di aver toccato il fondo – commentò Ed, mentre Mustang schioccava le dita e si accendeva un'altra sigaretta.
- Allora, Acciaio: dove andiamo di bello?
- Hm? Ma non è lei a dovermi portare da qualche parte? Gli altri due spiriti hanno fatto così.
- Mah, non è che abbia qualcosa di particolare da mostrarti, devo solo farti un discorsetto da uomo a... cioè, da spirito a... - gli lanciò un'occhiata di commiserazione - ... beh, tu.
- E lei è proprio sicuro di non essere il colonnello? - indagò Ed.
- Certissimo. Ma come vedi sono entrato nella parte – sbuffò una nuvola di fumo – Allora... ho proprio voglia di una birra! Conosci qualche bel posto, tu che sei qui da un po'?
- Cioè, vuole andare a bere? A questo punto io me ne torno anche a casa.
Ed fece per girare sui tacchi, ma lo spirito lo prese per il collo del pigiama.
- Niente da fare, Acciaio: trovami una birreria decente o ti porto al cimitero com'era in programma.
- Al... cimitero? E perché?
- Il copione originale vuole così, ma visto che dobbiamo solo parlare direi che possiamo farlo in un posto caldo e asciutto, davanti a una buona birra.
- Beh, messa così... va bene, c'è una birreria qui vicino.
E senza pensare di essere a piedi nudi e in pigiama, Edward Elric si incamminò, non stupendosi più di tanto nel non sentire il minimo freddo al contatto con la neve ghiacciata.
   
- Allora, Acciaio – iniziò lo spirito, dopo una generosa sorsata di liquido ambrato, guardandosi attorno tra i tavoli di quercia – Neanche una donna, qui. L'avrai fatto apposta, immagino.
- Non doveva parlarmi? - tagliò corto Ed, osservando le luci soffuse del locale specchiarsi sul lucidissimo rame degli spillatori. Come da copione, l'oste non si era nemmeno accorto della sua tenuta non proprio al massimo dell'eleganza.
- E io che ho tanto sentito parlare delle donne bavaresi e delle loro procaci...
- Venga al dunque.
- Bene, se vuoi lasciare da parte i convenevoli... - altra sorsata, il boccale che sbatte leggermente sulla quercia del tavolo – Si avvicinano tempi bui, Acciaio.
- Non che fino ad ora siano stati tanto luminosi – commentò Ed.
- Non parlo di te, piccolo egocentrico...
- Piccolo a chi, razza di...
- ... ma di questo mondo in generale.
Ed corrugò la fronte, immediatamente serio.
- Si spieghi meglio.
-  Più di tanto non posso dirti, sappi solo che quella di adesso è la famosa quiete prima della tempesta. Non solo per te, ma per tutto questo mondo.
- Quindi lei sa... che cosa succederà?
-  Sono il fantasma del Natale futuro. Secondo te perché mi hanno dato questo bel nome?
- D'accordo, ma...
- Fa' attenzione a quello che accade intorno a te, Acciaio – il boccale risuonò ormai vuoto sul ripiano del tavolo – Occhi aperti e prendi le tue decisioni. Qualunque cosa farai, sappi che non si può tornare indietro.
- Crede che non lo sappia? - la voce di Ed si fece bassa – Ha presente dove mi trovo adesso?
- Non si può mai sapere, le possibilità sono infinite.
- Vuole dire che...
Mustang tirò fuori il suo orologio da alchimista di stato, e dopo una rapida occhiata decretò che era ora di andare.
- E dove, adesso?
- Dove in teoria saremmo dovuti andare subito. Seguiamo un po' il copione, va'.
E quando uscirono, Ed non si ritrovò nel consueto vicolo su cui dava quella birreria, ma in un ampio spazio pieno di pietre che uscivano dal terreno. Non gli servì pulirle dalla neve per capire che si trattava di lapidi, e che si trovavano in un cimitero.
- Ah, già. Secondo la trama che mi ha raccontato Alfons, adesso dovrei vedere la mia tomba e pentirmi della vita che conduco, esatto? - fece sarcastico Ed, e lo spirito gli rispose con un sorriso tirato.
- Non dire più idiozie del solito, Acciaio – ribatté, schioccando le dita accanto alla tomba presso cui si trovavano e illuminandone la lapide.
Ed gli lanciò una lunga occhiata, prima di chinarsi a leggere il nome inciso sulla pietra. Gli bastarono le prime due lettere, le più importanti.
- Al-Alfons? Che cosa...?
- Non li hai visti i suoi fazzoletti sporchi di sangue, Acciaio?
- Sì, ma... ma prende delle medicine, e non fa sforzi fisici eccessivi! - Ed strinse le dita sulla pietra, sentendo quelle d'acciaio che quasi la scalfivano - E qui c'è scritto che accadrà solo fra...
- Basta così, Acciaio.
- Basta... basta cosa? Perché me l'ha fatta vedere? Cosa accadrà ad Alfons? - Ed fece per prenderlo per il colletto della giacca, ma lo spirito lo spinse di lato, facendolo finire a terra. E la neve adesso era fredda e bagnata.
- È inutile che continui a crucciarti sul passato e a far finta che non ci sia un futuro. Ci sono delle persone, nel tuo presente: smettila di vederle come cloni di qualcun altro.
- Io non ho mai...
- Cresci un po', Acciaio – concluse lo spirito, assestandogli una sberla in testa che lo fece finire con la fronte direttamente contro una lapide – E non solo nel senso che credi tu.
- Stupido idiota di un...
 
- Edward, ti senti bene?
- Ohi, ohi... eh? - Ed si massaggiò la fronte, stupefatto nel trovarsi davanti la testiera del letto, con Alfons che lo osservava dalla porta.
- Ti ho sentito parlare nel sonno... va tutto bene? Hai sbattuto la testa?
- Oh... - adesso che ci pensava, iniziava a sentire il gonfiore di un bernoccolo sulla fronte. Ed era a letto. Nel suo letto – Avrei... parlato nel sonno?
- Almeno così mi sembrava. Sicuro che vada tutto bene?
- Io... sì, sto bene. Devo aver sognato – si alzò, districandosi nel groviglio di lenzuola e coperte in cui si era imprigionato – Adesso mi vesto e scendo.
- D'accordo. La colazione è pronta.
- Arrivo.
Una volta solo, Ed si tastò la fronte; quando guardò verso la finestra rischiò di rimanere accecato dal riverbero del sole su tutta la neve caduta durante la notte. Nessuna traccia di cibarie sul pavimento, ma la sua coperta era gelida e umida.
- Diavolo, ma che razza di sogno ho fatto?


- Oh, eccoti qui. Buon Natale.
- Grazie – borbottò Ed, bagnando un fazzoletto e posandoselo sul bernoccolo – Uhm... anche a te? Si dice così?
- Sì, si dice così – sorrise Alfons.
Ed aveva un gran mal di testa e la sensazione di non aver riposato affatto, quando con la coda dell'occhio vide un libro posato sul tavolo. Represse l'istinto improvviso di scaraventarlo fuori dalla finestra, e cercando di essere gentile lo prese in mano.
- È questo? Il libro di cui mi parlavi?
- Esatto – annuì Alfons – Stamattina ho trovato il proprietario della libreria qui vicino per strada, e gli ho chiesto se poteva farmi il favore di prendermi questo libro. È stato molto gentile, così almeno ho fatto in tempo.
- Hai fatto in tempo?
- Beh, non avrebbe molto senso un regalo di Natale fatto dopo Natale.
- ... già – Ed stava guardando la copertina come se avesse voluto incenerirla con lo sguardo, e Alfons se ne accorse.
- Se non lo vuoi lo riporto indietro, non c'è problema.
- No, è che... - ci sono delle persone, nel tuo presente – Lo leggerò oggi, magari mi prendo anch'io un giorno di vacanza dalle nostre ricerche. Ti ringrazio molto.
- Figurati – rispose Alfons, sorseggiando il suo té – E non preoccuparti: i sogni che si fanno la notte di Natale sono sempre molto strani. È già tanto che tu non dica di aver sentito parlare degli animali.
- No, questo no – sbottò Ed.
- Allora è tutto a posto.
Ed fece per uscire dalla cucina, tanto per andare a posare quel libro in camera sua e mettere un po' di distanza tra sé e quel romanzo maledetto.
- Senti, Alfons – fece, riaffacciandosi sulla soglia della cucina.
- Sì? - rispose lui, mescolando i fondi che rimanevano nella sua tazza.
- Credo che dovremmo analizzare l'incenso che usano nella chiesa dove siamo andati ieri sera – propose Ed, serio – Secondo me è tossico.  





(¹) Dall'alto dei cieli, oh un angelo viene...



Oh sì, lo so che è disgustosamente natalizia e tutto quanto, ma sono lontana da casa, domani per me non ci sarà alcuna caotica riunione di famiglia e in questi momenti mi sento proprio come Edward al di là del Portale.
La parte tedesca del titolo significa per l'appunto "Un canto di Natale", e come tutti avrete capito il riferimento è all'omonimo romanzo di Charles Dickens. E il fatto che ieri sera mi sia rivista, come ogni Vigilia, il "Canto di Natale di Topolino", mi ha ispirato ulteriormente. Lo consiglio a tutti. ^^
È una storia che adoro, e avevo voglia di scriverci qualcosa da una vita. Qualcosa che ho scritto di getto tra ieri, stanotte e oggi, perfettamente in linea con l'ambientazione.
Non vedetela come una shounen-ai, perché non lo è. Metto le mani avanti, non si sa mai.
Non so se può essere considerata un missing-moment, ma... chissà. ^^
Se vi è piaciuta (ma anche no), fatemi sapere cosa ne pensate.
E buon Natale!
   
 
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