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Autore: Annavi    25/12/2011    11 recensioni
La maggior parte di voi si sarà sentito dire almeno una volta nella vita:
«Ci sono cose peggiori di questo.» o «Devi renderti conto di quanto tu sia fortunato
ad avere questo genere di problemi e ringraziare di non averne altri ben più gravi
.»
Beh, io ho quelle cose peggiori e quel genere di problemi ben più gravi; non andró mai al college,
non sposeró mai l'uomo della mia vita e non vivró abbastanza per vedere mio figlio sposarsi.
Anzi, non avró nemmeno il tempo di partorire un bambino.
No, perché la mia vita potrebbe finire oggi, come domani.
- Il titolo è preso dalla canzone A little bit longer, di Nick Jonas. -
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nick Jonas, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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You don't even know.
 

Mi piacevano molto gli universi paralleli, la rottura tra spazio e tempo, il non sense e tutto ciò che è privo di trama, luogo, orario, personaggi e azioni.
Erano qualcosa che non potevo afferrare, qualcosa su cui io spendevo il mio tempo per riflettere, ma che alla fine mi attraversava come l'aria entra nei miei polmoni, percorrendomi da capo a piedi. Tutto senza lasciare alcun segno visibile del suo passaggio.
Mentre pensavo a uno di questi argomenti, era come se io passassi in secondo piano, come se ci fosse qualcosa di molto più grande a sovrastarmi e tutta la mia realtà circoscritta fosse solo una bugia, una bugia detta per nascondere un segreto molto più frammentato.
Se venivo seriamente coinvolta da questi concetti, poteva anche capitarmi di provare paura: perchè tutto ciò in cui credevo improvvisamente non era più valido, tutti gli schemi in cui si suddivideva la vita erano stravolti da nuove concezioni ed ero costretta a rivalutare, anche solo per poco, tutto il mondo senza il tempo o lo spazio, oppure senza che i due coincidessero volutamente.
Era fuori dalla mia portata, fuori dalla portata di tutti: inafferrabile. Se sommassi la vita e la morte, cosa verrebbe fuori? 
Noi. Perchè mentre viviamo, moriamo. Più viviamo, più moriamo. Man mano che ci allontaniamo dalla bandierina iniziale, quella finale si fa più vicina e cominciamo a usare il carburante, fino a finirlo.. fino a morire.
E' buffo come tutto sia una presa in giro, come tutto non abbia senso, come tutto sia così dannatamente inafferabile.
Sto cercando di vedere il mondo attraverso un bicchiere di latte. E la parte divertente è che non è di certo questo a rendere ogni cosa così confusa.

 

*
 

Se fossi stata Jane la ribelle, sarei entrata di fretta e furia, non gli avrei permesso nemmeno di pronunciare metà della frase Posso spiegarti, gli avrei tirato uno schiaffo che l'avrebbe pietrificato con gli occhi puntati sul pavimento e avrei fatto un'uscita drammatica, con tanto di porta sbattuta. 
Se fossi stata Jane l’intellettuale, invece sarei stata io quella con lo sguardo a terra, poco al di sopra della punta dei miei piedi, ed una lacrima solitaria avrebbe solcato il mio viso in fretta e furia, finchè la mia mano previdente non l'avrebbe stoppata con un gesto goffo, ma con un qualcosa di tenero.
Oppure avrei potuto essere Jane l’alternativa, che non si sarebbe fatta alcun problema a tingersi i capelli di un altro colore, per dimostrargli quanto lui l'aveva ferita, ma anche quanto lei stesse voltando pagina per aprire un nuovo capitolo, di cui lui sicuramente non avrebbe fatto parte. A pensarci bene, Jane l'alternativa si sarebbe anche probabilmente tatuata la scritta: I hate you.

Ma purtroppo ero solo Jane. Così, mentre premevo il pulsante del citofono proprio accanto alla scintillante targhetta che indicava il suo nome, fui tentata di scappare via e lasciarmi tutto indietro, come il lampo fugge dalle nuvole, per non tornare mai indietro e svanire all'orizzonte.
Solo che poi mi venne in mente che quello mi avrebbe resa Jane la codarda e fra tutte le possibilità, quella era forse la peggiore che mi potesse capitare. 
«Chi è?» il suono metallico arrivò ben distinto dalla scatoletta color argento verso cui avevo teso l'orecchio e senza troppi affanni, la mia bocca si increspò per rispondere ad una domanda che mi facevo anche troppo spesso. «Sono Jane. Jane Kirstel!» aggiunsi il cognome, perchè era sicuramente più identificativo di un nome come il mio.
Dopo pochi secondi, il trillo e il rumore dello scatto dell'ingranaggio del portone fu come una doccia fredda per me: ci stavo andando, ci stavo andando veramente. 
Avete presente quando dicono che ogni passo si fa sempre più pesante, quando ci si dirige verso qualcosa di spiacevole? Ecco, può sembrare una sciocchezza, ma era vero.
Ogni centimetro cubo percorso, mi sentivo come una alunna che sta per essere interrogata in una materia per cui non si è poi così tanto preparata: cercando di riassumere velocemente, nel tragitto dal banco alla cattedra, tutte le informazioni che avevo per ripassare le mie poche nozioni.
Riassemblavo i pezzi del discorso che avevo preparato, ma loro sembravano essere poli opposti e non volevano riprendere il senso logico che cinque minuti prima avevano assunto.
«Oh mio Dio, è proprio un brutto momento, tesoro.» esordì l'uomo che mi aprì la porta di scatto, con aria tragica.
Sulla quarantina, quest'ultimo aveva un metro appeso intorno al collo, una lucida testa pelata che rifletteva la luce mentre si muoveva melodrammatica e l'abbigliamento di jeans neri, accompagnati da una maglietta bianca e un gilet, mi fece intendere che era decisamente gay. Decisamente, aggiunsi dentro la mia testa.
«E' Jane?» sentì urlare dalla stanza accanto da Nick, mentre rimanevo impalata sulla soglia della porta come un pesce rosso fissa oltre la sua boccia.
Il rumore di qualcuno che saltava a terra fece quasi prendere un infarto all'uomo che ancora ostentava ad invitarmi ad entrare, che prontamente urlò. 

«Tesoro, azzardati a rovinare il mio lavoro con i tuoi movimenti da rude bifolco e io ti infilo uno ad uno i miei spilli nelle guance!» esclamò brandendo un ago nella mano destra, manco fosse stato una mitragliatrice. «La tua amica arriva subito, aspetta là! Santo cielo, non ti muovere, per favore!» aggiunse con aria esasperata.
In tutto questo io ero stata ferma immobile, senza osare fare un minimo rumore, come a sperare di svanire nel nulla. Cosa che però non accadde, sfortunatamente.
Dopo poco, infatti, testa pelata si rese conto della mia presenza e mi rivolse uno sguardo dispiaciuto.
«Scusa tesoro, sono lo stilista di Nick e proprio adesso che dovrebbe stare fermo immobile, i suoi amici lo vengono a trovare! Poteva anche avvisarmi quel birbante..» disse più a sè stesso che a me e sorrisi quando sentii uno scorbutico Nick mormorare da dentro casa Non sono un birbante! «... comunque mi chiamo Paul. Oh che stupido! Entra tesoro, fai pure.»
Il sorriso che mi era comparso per l'intervento di Nick scomparse in meno di un istante. Se mi chiama ancora tesoro lo uccido, pensai. Una volta varcata la soglia, fui piacevolmente sorpresa dai vestiti di Nick.
O almeno da quelli che sarebbero poi dovuti diventare vestiti, credo. Era piuttosto buffo, ricoperto da quelli spilli e irrigidito come un pinguino che cammina.
Questo avrebbe reso più facile dirgli che non mi piaceva la sua elemosina e che assolutamente non la volevo; l'unico problema è che con Paul - tesoro - testa pelata, non avrei avuto molte chances di comunicazione.
«Jane, ehi! Non fare caso a.. beh, non so bene come chiamarlo.» mi salutò, lanciando uno sguardo fugace ai tessuti che aveva addosso. Testa pelata tossicchiò leggermente, per far notare il suo marcato disappunto.
Aprii la bocca per la prima volta da quando ero lì e lo salutai, cercando di mantenere la calma. Stavo per trovare il coraggio e spiegargli il motivo per cui ero piombata in casa sua, quando Paul battè le mani forti in aria e mi fece sobbalzare. Anche Nick sembrò raddrizzarsi, come un cane che vede un gatto. 
«Allora, vi lascio cinque minuti per chiacchierare in pace mentre vado a prendere in macchina dei disegni che avevo fatto l'altro giorno: al mio ritorno, voglio Nick eretto e fermo, massimo mezz'ora e giuro che ho finito, tesoro.» buttò il metro sul divano e non feci a tempo a salutarlo che era già sparito.
Okay, è arrivato il momento di scegliere, mi dissi nella mente, Che Jane sei, dannazione?
«Comunque..» esclamammo entrambi nello stesso momento. Oh, ma cos'è, una serie tv? Non avevo intenzione di fare il solito Prima tu!, No, prima io, Okay, prima tu! che sarebbe stato ancora più imbarazzante, così mi limitai a parlare molto in fretta.
«Hovistolatuaintervistaintv.»: forse, troppo in fretta. Nick fece un cenno di assenso che probabilmente stava a indicare di continuare, o per lo meno di indicare quale intervista, visto che partecipava a tante. «Quella in cui parlavi del tuo progetto per la leucemia.»
Lui sembrò intuire che qualcosa nell'aria non andava, perchè si limitò a sussurrare Ah. «Non mi è piaciuto.» continuai, sforzandomi di non restare in silenzio, ma di assumere il controllo della situazione.
Dopo tutto, non era lui che voleva che io mi arrabbiassi? Che io avessi carattere? «Ma allora ti interessa di quello che gli altri pensano di te.» rispose, ancora prima che io potessi esprimermi pienamente.
Sgranai gli occhi: Perchè fa così? Assume questo atteggiamento spavaldo, come se lo facesse apposta a innervosirmi. «Non ne hai il diritto!» strepitai, s'eppur a mezza voce, come quando ad una bambina si nega il gelato. Nick appoggiò entrambe le mani dietro di sè, afferrando la spalliera del divano e quel gesto non fece altro che aumentare la rabbia che stava nascendo dentro di me.
«Mi fai impazzire. Non capisco se vuoi essere mio amico, se fai tutto questo perchè mi compatisci o che altro! L'altro giorno mi sono divertita e mi sembrava che anche a te non dispiacesse, a dirla tutta. In entrambi i casi, una cosa del genere non me la sarei mai aspettata. Perchè se davvero vuoi essere mio amico, beh, din din din, dire al mondo che fai beneficenza ai malati di cancro non è esattamente il modo! E se ti faccio pena neppure, perchè dovresti sapere che non mi aiuta affatto!» mi scaricai leggermente, ma non alzai mai la voce. Non volevo perdere le staffe come l'altra volta, io non ero il suo giochino anti stress.
Provai a mantenere il contatto visivo, ma dopo qualche momento cedetti e voltai lo sguardo verso il tavolo alla mia destra, aggiungendo piano: «Scusami se ti sto dicendo questo, forse tu lo fai con delle buonissime intenzioni, ma se una cosa a me non piace e mi riguarda, allora ho il diritto di protestare. In più mi è parso di capire che a te piaccio di più quando non mi faccio mettere i piedi in testa, no? Accontentato.»
Per una buona manciata di secondi nessuno dei due proferì parola e io mi guardai bene dall'incrociare il suo sguardo; non volevo tradirmi in alcun modo, per una volta sola nella mia vita, io mi stavo comportando egregiamente, facendo valere le mie opinioni e muovendomi come mi ero programmata di fare.
Lo sentii respirare profondamente e poi muovere un passo verso la mia direzione; senza accorgermene io mi ero allontanata, presa dal fastidio. «Quindi tu fai quello che a me piace tu faccia?»
Se avessi potuto, l'avrei schiaffeggiato. «Non ci arrivi? Non è questo il punto. Senti, facciamo una cosa: il tuo compito da missionario finisce qui. Arrivederci e si ritorna a quando io ero solo la sconosciuta con l'enorme cane-orso.»
Mi voltai per dirigermi verso la porta con le guance in fiamme e il respiro corto, anche se in verità non avrebbe dovuto essere così, no? Avevo fatto quello che dovevo, ma l'unica cosa che avvertivo era un grosso peso nello stomaco. Potevo dire di avere quasi afferrato la maniglia, quando la stessa scena di quando stavo per suonare, si ripetè.
Solo che questa volta, la porta si spalancò verso di me e fui costretta a fare un balzo indietro per non finire spiaccicata al muro. Diedi una botta a qualcosa dietro di me e realizzai subito di essermi scontrata con Nick, che mi aveva afferrato le braccia per non permettermi di cadere. Mi liberai in fretta e furia dalla presa, ancora più imbarazzata. Proprio non ci riuscivo io, a concludere le cose con stile, eh?
Dal canto suo, testa pelata non si era accorto di nulla e si limitava a far svolazzare il suo album dei disegni con la mano sinistra, finchè non gli cadde un occhio su di me: «Tesoro, sembri affannata, sicura di sentirti bene?»
Un cenno veloce col capo e presi la porta in tutta fretta, promettendomi di non guardarmi mai indietro e nemmeno di inciampare ancora. Riuscii a non voltarmi quando sentii Paul urlare: «E' stato un piacere conoscerti!»
E me la sarei anche cavata benissimo, se tutto ad un tratto la sua voce non avesse urlato il mio nome, come distante, ma pur sempre percepibile. Tentai di non muovere alcun muscolo, ma per colpa della mio animo debole, non potei fare a meno di ascoltarlo mentre lui alzava la voce per farsi sentire, dalla soglia di casa dove era arrivato prima di fermarsi con i pugni stretti quanto la morsa che era in quel preciso istante nel mio stomaco. Come facevo a sapere che teneva le mani serrate? Semplice, mi girai dalla sua parte non appena lui pronunciò quattro sole parole, così da farmi cambiare idea in mezzo attimo.
«Comunque io ci penso!» Un respiro profondo, alzai il mento tentando di mostrarmi orgogliosa, ma ottenendo un risultato scarso: una risatina ironica attraversò l'aria, proveniente dalla mia bocca, mentre le mie mani si sollevarono per poi ricadere in maniera pesante, come a significare Fatti sotto, coraggio«E a cosa pensi, sentiamo.» risposi più sul punto di crollare che su quello di risultare sicura.
«A te.»

 

*
 

God only knows dei Beach Boys suonava in sottofondo, dolcemente. La tipica canzone che tutte vorrebbero al loro matrimonio, durante il primo ballo da sposati.
I cuscini accanto a me mi circondavano come una corazza e la luce non penetrava dalla coperta che era stata legata, ad imitare un soffitto, tra le due poltrone abbastanza distanti in modo da creare un ambiente confortevole e protetto. Effettivamente, mentre me ne stavo rannicchiata in quel forte di trapunte, l'unica cosa che potevo avvertire era la leggera pressione dei piedi di Nick sul guanciale che ci divideva. 
«Mi dispiace.» furono le sue parole bisbigliate.
Tutto era successo in fretta. Fino a un'ora prima, stavo correndo lungo la strada cercando di non scontrarmi con tutte le persone che mi lanciavano occhiate sconcertate, nella disperata ricerca di un taxi libero; l'unica cosa che volevo era andare a casa e rimproverarmi per quanto stupida fossi stata ad avere speranza in lui. Poi mi ero seduta su una panchina, esausta forse anche a causa della malattia, tirando fuori il cellulare per chiamare un taxi, quando un auto mi si era parcheggiata di fronte, facendo calare piano il finestrino scuro. Inizialmente non me ne accorsi nemmeno, ma la portiera si spalancò, rivelando un posto libero accanto ad un Nick che teneva una mano sul volante e l'altra sul sedile disponibile, invitandomi dolcemente ad entrare. E giuro che se avessi avuto un briciolo in più di determinazione, molto probabilmente non l'avrei accontentato. Ma in fondo a me mancava sempre un briciolo di tutto. 
«Hai ragione, non avrei dovuto fare tutto questo senza prima chiedertelo. Voleva essere una buona azione, ma ho solo peggiorato le cose.» mi riportò per un attimo alla realtà Nick, continuando a bisbigliare le sue scuse a poca distanza da me: decisi di riconcentrarmi sui ricordi di qualche quarto d'ora prima.
Una volta tornati a casa sua, testa-pelata era sparito, probabilmente mandato via da Nick e i 'vestiti' che quest'ultimo indossava mentre Paul gli girava intorno misurandogli ogni centimetro del corpo, giacevano per terra, rimpiazzati da un abbigliamento normale in cui lui si era cambiato, prima di saltare in macchina e provare a seguirmi: con successo.
Da lì in poi non ci eravamo più detti nulla. Nemmeno quando Nick mise un cd nello stereo e abbassò il volume in modo da non far diventare la musica la protagonista della situazione; neanche quando con la stessa naturalezza cominciò a cercare per casa tutti i cuscini e le coperte possibili e li lanciò in un angolo della stanza; o quando io rimasi con un'espressione confusa a guardarlo mentre spostava le poltrone del soggiorno in modo da formare un quadrato ordinato.
Dopo averci messo sopra e intorno coperte e cuscini, si poteva dire che Nick da piccolo fosse stato uno scout, perchè aveva proprio costruito una vera casetta di quelle che si fanno a otto anni, in casa delle nonne. Quando ci si annoia. 
«E scusa anche per aver reagito male prima quando mi hai detto che non ti andava bene: ero spiazzato, l'unica cosa che mi era venuta in mente era atteggiarmi da menefreghista.» appoggiai la testa sul mio ginocchio e cominciai a pensare che dentro quel castello infantile l'aria stava iniziando a farsi pesante. 
Alzai leggermente lo sguardo per osservarlo con le gambe al petto, una mano che si tormentava il lobo dell'orecchio destro e l'altra appoggiata su un cuscino, mentre le sue dita si muovevano piano come a grattarlo. Pensai che quel momento forse non si sarebbe mai più ripetuto, perchè sembrava così indifeso ed io di certo non dovevo essere meglio; ad un occhio esterno saremmo apparsi davvero patetici, nascosti sotto una coperta a sussurrarci due parole ogni tanto, con un'aria che ad ogni respiro si riscaldava sempre più, invece che a parlare civilmente, come due persone mature. 
«Va bene, sei perdonato.» dissi piano e lui si rilassò visibilmente, tirando un sospiro più lungo degli altri ansiosi che avevo avvertito prima. «Non vuol dire che dobbiamo continuare a vederci, però.» continuai, aggravando la pressione che già era presente sul mio petto da quando ero entrata in quella casa quel giorno.
A chi stavo facendo più male, a me o a lui? Lui grugnì leggermente: «Ma io voglio vederti.»
Sentii la sua mano farsi strada fra noi e sfiorarmi una caviglia, timorosa. Tuffo al cuore, mi sentivo come l'attimo prima lanciarmi da un aereo. Non avevo mai provato, ma ero sicura che la sensazione fosse quella.
Ah, mormorai senza fiato. Continuavo a fissare il suo indice che era a contatto con una minuscola frazione della mia pelle e, proprio in quella zona, il calore mi stava torturando, bruciando lentamente dall'interno. «Cosa intendevi, prima, quando mi hai detto quella cosa?» alzai gli occhi e notai che lui era a disagio quanto me.
Non sapevo bene se definirlo disagio, imbarazzo o semplice tensione: comunque fosse, mi stavo sforzando al massimo per non fare nulla di sbagliato, ma avevo bisogno di saperlo e quello era l'unico momento in cui avrei potuto fare una domanda del genere.
Pregai che Nick non facesse il finto tonto con frasi del genere Quale cosa?, ma fui fortunatamente graziata. «Beh, io intendevo che..» si fermò un attimo a contemplare il suo ginocchio, buttando poi la testa all'indietro e ritornando seguentemente in posizione normale. «.. che io penso a te e non perchè mi fai pena. A dir la verità, dall'ultima volta in cui ci siamo visti, non credo di avere più compassione per te. O di averla mai veramente provata. Io, ecco, ti penso durante la giornata, immagino cosa tu stia facendo, quali programmi hai..» si fermò un attimo e emesse una risatina nervosa. «A volte vorrei anche venire a trovarti, così, dal nulla.» ritornò serio ed io mi accorsi di trattenere il respiro.
Lui attese qualche secondo; stavo per aprire la bocca e dirgli tutto quello che sentivo in quell'istante. Volevo comunicargli la mia gioia, ma poi ritrasse la mano, nascondendola nella tasca dei pantaloni e si mise a gesticolare velocemente con l'altra. Parlava a vanvera, come qualcuno che spiega molto in fretta il motivo per cui non è stato lui a commettere un determinato crimine.
«Ma sai cosa ti dico? Probabilmente è perchè è la prima volta in cui incontro una persona con questo genere di problemi, o forse è perchè mi distraggo facilmente e ogni motivo è buono per farlo o anche perchè alla fine io mi interesso molto di tutti, insomma non lo so, però mi capisci, no? Ovviamente non è perchè io sia fissato con te e passi il mio tempo a sognarti, eh.» abbozzò un sorriso come per dire Impossibile, ti pare? ed io sentii tanti minuscoli piragna azzannarmi da dentro lo stomaco.
Gnam, gnam.
«Sì, certo. Capisco.»


*
 

Hola, come va?
Se aggiorno in ritardo è tutta colpa vostra sta volta, perchè il mio capitolo era già pronto da un pezzo. :3
Aspettavo solo di raggiungere un certo numero di recensioni!
By the way, questo capitolo è molto roar per la nostra piccola Jane.
Insomma, sono le sue prime esperienze, no? Oddio, parlo come una mamma orgogliosa, ahah.
Lascio a voi i commenti, ma vi auguro..
Merry Christmas, Feliz Navidad, Joyeux Noël e Buon Natale.
Vorrei mettervelo in altre lingue, ma sono una pelandrona.
Godetevi il capitolo! *Scompare come Piton.*
A.



 

 
   
 
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