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Autore: erydia    26/12/2011    4 recensioni
“Mamma, Papà …” chiesi guardandomi intorno “ma state già per ripartire?” Insomma, io li andavo a trovare e loro partivano? Gran bei genitori che mi ritrovavo.
“Veramente stiamo per ripartire” evidenziò mio padre.
“Si, ho capito che tu e la mamma state per ripartire.” Sbottai confusa“ma vorrei sapere per dove!”
“Andiamo tutti a Charlotte” urlarono all’unisono i miei genitori, felici come una pasqua mentre il mio sguardo, lo sapevo bene, si faceva più terrorizzato che mai.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti, a chi leggerà, a chi recensirà o a chi non calcolerà minimamente questa storia. Non ho mai scritto una storia originale ma mi sono sempre rintanata nel mondo troppo perfetto di Harry Potter. Non ho mai scritto con personaggi inventati da me o anche solo seguendo una storia delineata secondo i miei criteri. Ma oggi eccomi qua, con questa storia che adoro e che spero vi farà sognare come fa sognare me. Aria è una ragazza che ama vivere secondo le sue idee, una ragazza libera come l'Aria (capita xD) che si ritroverà a dover ritornare indietro, a Charlotte la sua città d'origine. una ragazza che incontrerà gli amici di sempre ma che ormai sono cresciuti. Ed è tra amore, passioni, intrighi e misteri che vi do il benvenuto a Charlotte. 
 




Fate che il vostro spirito avventuroso vi porti sempre ad andare avanti,
 per scoprire il mondo che vi circonda con le sue stranezze e le sue meraviglie.
Scoprirlo significherà, per voi, amarlo.
(Kahlil Gibran)
 

Charles Baudelaire scrisse: Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta. Cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente, dicono sempre "Andiamo", e non sanno perché. I loro desideri hanno le forme delle nuvole.
Per quel che mi riguardava, viaggiavo non per andare da qualche parte, ma per andare. Viaggiavo per viaggiare, per vedere il mondo che mi circondava. La gran cosa era muoversi, sentire più acutamente i bisogni e le difficoltà della nostra vita; scendere da quel letto di piume della civiltà e, sentire sotto i piedi, il granito del globo ricoperto di sassi taglienti.
Nei miei “miseri” 17 anni, avevo viaggiato in tutto il mondo per trovare la bellezza che, un giorno, avrei portato con me ovunque. Avevo conosciuto persone nuove, gente con punti di vista diversi, ero diventata orgogliosa della mia vita … della persona che ero diventata. Al mondo non importava chi fossi, o quanto sola io fossi. Lui offriva se stesso alla mia immaginazione, in modo aspro ed eccitante. Annunciando ancora e ancora, il mio posto nella famiglia delle meraviglie.
“Prossima fermata, stazione di Charlotte”
Alcune volte, sentivo il bisogno di andare in qualche regione distante dal mondo, per ricordarmi chi ero veramente o chi sarei diventata. Spogliata del mio solito ambiente, dei miei amici, delle abitudini quotidiane, costretta a un’esperienza diretta che, inevitabilmente, ti rendeva consapevole di tante cose. Perché alla fine non tutti quelli che vagavano alla ricerca dell’ignoto, erano persi.
“Prossima fermata, stazione di Charlotte”
Alzai gli occhi da quel favoloso libro che stavo leggendo. Amavo leggere, perché con quel gesto, ogni volta riuscivo a sognare. Perché per me un libro, era qualcosa su cui potevo appoggiarmi sempre,  lui mi sosteneva, e come un quadro, aveva una doppia identità. Amavo leggere, perché amavo farlo. In silenzio, tra il nero ed i colori dei miei pensieri, riuscivo a trovare un senso a qualunque storia, gliene davo uno, magari lo stesso oppure diverso, chissà. Amavo leggere, amavo scrivere, amavo narrare perché le storie si modificavano, si evolvevano, crescevano e nella mia testa prendevano vita.
“Arrivati alla stazione di Charlotte, North Carolina”
Di proposito, presi un respiro profondo, seguito da un altro e un altro ancora, lasciando che gli odori di Charlotte, invadessero le mie narici … strappandomi via come un lampo. La stazione era gremita di gente, densa del loro profumo; quella fragranza che si posava su ogni superficie. Girai la testa guardandomi intorno. Dovevo abituarmi, se avevo intenzione di fare ciò che volevo fare, presi un altro profondo, infiammante ed eccitato respiro. Ero a casa.
Mi avviai verso il lungo corridoio che, purtroppo, mi avrebbe portato all’esterno di quell’edificio. L’idea di rivedere i miei genitori, mi terrorizzava tantissimo. L’ultima volta che li avevo visti era stato in Tennessee. Fu lì che mi annunciarono il loro desiderio di avere una casa stabile, dove potersi godere la vecchiaia. In quel preciso istante avevo dato in escandescenza, insomma, avevano solo quarant’anni e non potevano pensare seriamente alla vecchiaia. Ma poi, decisi che se quella era la loro volontà io dovevo rispettarla. Mi ero preparata un ultimo viaggetto in gran segreto ed ero partita per Praga. Ma tutte le cose belle, tendono a finire presto e così, mortificata e un tantino incavolata, ero partita alla volta del North Carolina.
ஜஜஜ
“Ehilà” esclamai aprendo la porta di quell’appartamento che i miei, avevano deciso di affittare per un po’. Giusto il tempo di permettere a mio padre di aprirsi la sua undicesima filiale.
“Siamo in cucina, tesoro” la voce di mia madre mi fece sorridere. In Italia ci eravamo divisi ed eravamo stati lontano per sei lunghi mesi. Mi era decisamente mancata.
“Se però non mi hai portato qualche souvenir, puoi anche restartene sulla soglia”
Mio padre, il solito giocherellone. Ovunque andasse, si apriva una filiale della sua società. Poteva definirsi l’uomo con più filiali al mondo. Nemmeno Obama, aveva così tante case e lui era il presidente degli Stati Uniti. Scrollai le spalle, mio padre era un grande, un Big Father. Ghignai entrando in cucina e subito mi saltarono agli occhi, gli innumerevoli scatoloni, sparsi qua e là.
“Ciao orsacchiotto”
“Mamma, Papà …” chiesi guardandomi intorno “ma state già per ripartire?” Insomma, io li andavo a trovare e loro partivano? Gran bei genitori che mi ritrovavo.
“Veramente stiamo per ripartire” evidenziò mio padre.
“Si, ho capito che tu e la mamma state per ripartire.” Sbottai confusa“ma vorrei sapere per dove!”
“Andiamo tutti a Charlotte” urlarono all’unisono i miei genitori, felici come una pasqua mentre il mio sguardo, lo sapevo bene, si faceva più terrorizzato che mai.
ஜஜஜ
Le scale mobili mi erano sempre piaciute, fino a quel momento. Mi stavano portando verso una prigione, mi stavano togliendo la libertà. Io non ero il tipo che se ne restava chiusa in quelle quattro mura di casa, io ero come una farfalla. Leggera e libera, potevo scegliere di essere ovunque, senza il peso delle preoccupazioni. A Charlotte, avrei ritrovato gli amici di sempre ma, sarebbero tutti cambiati … io ero cambiata. Sospirai passandomi una mano tra i capelli. Passavo in quella cittadina le mie vacanze estive, fino all’età di sedici anni, poi le mie priorità cambiarono sempre di più,fino ad ottenere la libertà di viaggiare da sola, di vedere il mondo con i miei occhi e di assaporare le bellezze di altre civiltà. Adoravo Charlotte, era lì che avevo conosciuto il mio migliore amico ma, l’idea di passare il resto della mia vita in quella cittadina, mi nauseava.
“Guarda, guarda chi si rivede”
Mi voltai di scatto e lo vidi. Era lì, in tutta la sua altezza, James Nott … il mio migliore amico. Tutto accadde in un secondo, mille immagini si proiettavano nella mia testa, a raffica. La prima volta che l’avevo conosciuto, i nostri sogni, i nostri segreti, le nostre estati. Mi sembrava di dover rivivere ogni momento passato con lui, brutto o bello che fosse, senza avere il terrore di riprovare gli stessi sentimenti di un tempo. Erano parte di me.
Sorrisi stringendolo forte, quanto mi era mancato farlo nemmeno Dio poteva immaginarlo, era il mio migliore amico e questo non sarebbe mai cambiato.
“Che ci fai qui?” domandai elettrizzata. Ero sempre stata io l’elettrica tra i due e questo mi andava più che bene. Lui, d’altro canto, preferiva giocare a basket con gli amici, leggere un buon libro o semplicemente sedersi sul tetto di casa sua ed osservare Charlotte ai suoi piedi. Cose che un tempo, amavo fare anche io.
“I tuoi genitori mi hanno mandato a prenderti” risposte con una scrollata di spalle.
“Strano …” borbottai, aggiustandomi la tracolla “di solito fanno i salti mortali per venirmi a prendere”
“Beh, magari ti hanno organizzato una festa a sorpresa” ipotizzò ghignando alla mia faccia disgustata. Odiavo le feste a sorpresa e lui lo sapeva bene.
“O magari l’hanno fatta a te”
“E se invece di restare qui a parlare dei tuoi genitori, non ce ne tornassimo a casa?”
“Hai ragione!”
“Alla fine, lo sappiamo entrambi come sono”
“Due scoppiati” urlammo all’unisono, ridendo.
E insieme ci incamminammo verso una nuova meta, verso una nuova casa che sapeva già di vissuto. Perché per quanto il Mondo fosse pieno di meraviglie, era Charlotte la mia casa.

Vicino, lontano, ovunque io sia,
la nostra amicizia durerà in eterno.

“No aspetta, fammi capire” chiesi confusa “tu sei stato con Roxanne?”
“E anche con Ally” specificò ghignando.
“Sono decisamente stata via troppo a lungo”
Lo vidi sorridere e il mio cuore si sciolse, come neve al sole. Cercavo di rimettere insieme tutti i pezzi del puzzle, non mi aspettavo di essere partecipe alle loro “cose” ma, ero comunque felice di rivederli tutti quanti, nessuno escluso. Pensai a Roxanne, la mia splendida Roxy. Lei era quella che probabilmente mi aveva odiato di più per essermene andata e non potevo che biasimarla. Le avevo promesso di restarle vicino, sempre, ed invece ero andata via per cercare il mio posto nel mondo. La mia mente vagò da Roxy alla dolce Ally, la persona più meravigliosa che io avessi mai conosciuto. Aveva una passione, una grande passione, che speravo avesse coltivato. Era passato tanto tempo, ma non avevo dimenticato nessuno dei miei cari amici. Li ricordavo tutti; James, Roxy, Ally, Coop, Alex e … Nathan.
“A cosa stai pensando?”
La voce di James mi riportò alla realtà. Scrollai le spalle ravvivandomi, con una mano, i capelli.
“Pensavo a Nathan”
“A cosa in particolare?”
“Dimmelo tu” Lo guardai negli occhi e capii che lui non avrebbe parlato, non senza le adeguate domande. “Cosa è successo tra voi due, in quest’ultimo periodo intendo”
“Il nostro odio è aumentato, se è questo quello che vuoi sapere”
“E che altro?”
“Ora lui e Roxanne, sono fidanzati” annunciò con una punta di amarezza nella voce “sono la coppia del secolo”
“Si il dopato e la modella” scoppiai a ridere, scuotendo la testa. Non vedevo l’ora di vederli insieme, quei due si erano sempre odiati a morte e l’idea di vederli insieme, mi faceva ridere. Dovevano essere davvero buffi, specie ai miei occhi.  “Ed Ally? Che mi dici di lei, invece?”
“Beh, in questo periodo è un po’ chiusa in sé stessa”
“Come mai?”
“Suo padre è sempre via, sua madre è morta” scrollò le spalle “si sente sola”
Abbassai lo sguardo, mentre la nostra destinazione si faceva sempre più vicina. Ally era tra tutti, quella che soffriva di più senza però darlo a vedere. Aveva un grande spirito di combattimento, ed io l’ammiravo per questo. “E tu? Non le parli?”
“Io e lei non parliamo da tanto, troppo tempo”
Sgranai gli occhi confusa “ma quante cose sono successe? Eppure Charlotte è una cittadina tranquilla”
“Sei tu che te ne sei andata, perdendoti questi avvenimenti”
Mi bloccai di colpo a quella frase, come se fossi rimasta incollata a tutto. Ero stata egoista, avevo pensato solo al mio benessere, alla mia felicità, e all’allettante idea di viaggiare da sola. Senza pensare a loro, agli amici che avrei lasciato qui da soli, ad affrontare le loro vite turbolenti.
“James io …” tentennai con le lacrime agli occhi. Le parole mi morivano in gola, non sapevo cosa dire, cosa fare e questo mi faceva male, troppo male. Era un dolore che mi lacerava il cuore, in tanti piccoli pezzi.
“Lascia stare …” mi sorrise, poco convinto “l’importante non è partire, ma tornare”
“Mi dispiace …” ammisi
“per cosa?”
“per non essere stata qui, quando ne avevate bisogno”
“ti perdono”
Il resto del tragitto fu fatto in silenzio, nessuno dei due osava parlare, ad entrambi stava bene quel silenzio. Per quanto riguardava me, pensavo a tutte le cose che erano successe durante la mia assenza. Avevo sbagliato, lo sapevo bene, ero andata via senza troppi complimenti, quando i miei amici avevano bisogno di me. Ma la cosa più squallida era il taglio netto che avevo avuto, il non chiamarli, il non cercarli … era come se mi fossi dimenticata di loro, come se per me nulla avesse importanza oltre a ciò che visitavo.  Persa nei miei pensieri, non badai molto alla distanza e quando mi ritrovai fuori quella casa che mi aveva ospitato per tante estati, sul mio volto spuntò un sorriso dolce con la consapevolezza che poteva essere cambiato tutto, ma non i ricordi che mi legavano a quella casa.
“Sei pronta?” mi chiese James lasciandosi andare in un sospiro.
“A cosa?” chiesi
“Ad abbandonare la tua libertà, a non viaggiare più”
“Io viaggerò sempre …” ammisi abbozzando un sorriso “ma ci sarà tempo per i viaggi, ora voglio godermi la tranquillità delle mura domestiche”
“Entriamo?”
Sviò il discorso, forse non voleva parlarne o forse non sapeva cosa dire, stava di fatto che accettai di buon grado e quando varcammo la soglia di casa, la tranquillità di quel luogo mi diede un senso di Déjà-vu, come se quella scena io l’avessi già vissuta.
“Mamma, Papà?” chiamai a gran voce entrando in salotto. “Ci siete?”
“Vado a vedere in cucina” concluse James.
Dove diavolo potevano essere andati? Eppure lo sapevano che sarei arrivata quel giorno. Possibile che dovessero sempre abbandonarmi per tutto? Ringhiai guardandomi intorno, la casa non era per niente cambiata e questo mi rincuorava. Probabilmente tutti i miei vecchi nascondigli, conservavano ancora i miei segreti. Salì il primo gradino delle scale che mi avrebbero portata nella mia camera da letto, quando la voce di James richiamò la mia attenzione.
“Aria, vieni qui un secondo!”
“Cosa c’è?” chiesi entrando in cucina.
Lo vidi tenere tra le mani un foglietto e il mio cuore cominciò a perdere qualche battito, che avesse già capito tutto?
“Cos’è?”
“L’ho trovato sul tavolo e credo che dovresti leggerlo”
Titubante, presi il foglietto tra le mani, cominciando a leggerlo.

“Ciao orsacchiotta,
se non lo avessi ancora capito siamo i tuoi fantastici genitori. Sai, abbiamo riflettuto molto e non ci va l’idea di goderci già da ora, la nostra vecchiaia, e così io e tuo padre abbiamo deciso di partire in gran segreto (proprio come hai fatto tu) per controllare tutte le aziende. Ovviamente, sappiamo quanto ti faccia piacere vivere a Charlotte e quanto per te, sia importante tornare a scuola e così, i tuoi fantastici genitori (che saremmo noi) ti hanno iscritto all’ultimo anno del Liceo. Non sei contenta? Tranquilla orsacchiotta, non c’è bisogno che ci ringrazi, lo facciamo perché ci fa piacere e perché vogliamo il tuo bene. Goditi la casa, non divertirti troppo mentre siamo via. Un bacio dai tuoi genitori, troppo fighi per essere definiti vecchiotti.
Sayonara :) :) :)!!!”

Mi rigirai quel foglietto più volte fra le mani, indecisa se urlare, piangere o distruggere la casa. Alla fine optai per un grande urlo liberatorio che risuonò per tutta la casa. Non potevano avermi fatto questo, non potevano avermi costretta a venire a Charlotte e poi ripartire in gran segreto lasciandomi tutta sola in quella cittadina, era una cosa assurda … da genitori irresponsabili.
 - Si ma anche tu, sei fuggita in gran segreto –
Stupida Coscienza!
“Se la sono svignati?”
Annuii osservandomi in giro “Già”. Sarebbero stati giorni duri.
“Mi dispiace”
“Sono fatti così”
“Posso fare qualcosa?”
Guardai il mio migliore amico e sorrisi. Si, qualcosa poteva farla … “Wild Pistols”

L'amore non dura che un tempo.
È funzione diretta di un potenziale di desiderio,
è un fuoco di paglia che arde forte e si spegne presto.

“Nathan”
“Che vuoi?”
“E’ tornata …”
“Chi?”
“Aria” esclamò il ragazzo tutto trafelato “io l’ho vista”
E in quel momento, per Nate, tutto perse importanza. Era tornata e doveva rivederla.

Non è l'amore che fa soffrire, ma la sua assenza.

“Fammi capire, tu hai fatto partorire un Cammello?” chiese stupito.
Scoppiai a ridere annuendo, mentre sorseggiavo quello che doveva essere il mio secondo caffè.  Adoravo il caffè, forse la mia iperattività proveniva dall’uso che facevo della caffeina. Non passava giorno, che non bevessi minimo quattro tazze di caffè.
Ci trovavamo sulla terrazza del palazzo bianco, il nostro posto preferito. Avevamo riempito di acqua e di latte tanti palloncini, che ci sarebbero serviti per colpire la gente di passaggio. Era un gioco che adoravamo fare e, fin da piccoli era sempre stato quello il nostro sport preferito.
“Vediamo un po’ se la tua mira è migliorata” Ghignò Jamie, lanciandomi un palloncino. Gli lanciai un’occhiata di sfida, rigirandomelo tra le mani. Non avevo un’ottima mira anzi, si poteva dire che la mia mira scarseggiava parecchio e lui, da buon amico, non perdeva occasione di prendermi in giro.
“Scherzi?” ghignai alzando la punta del naso all’insù “posso lanciare questo palloncino ad occhi chiusi”
“Ohhhh Wow” mi prese in giro, fingendo una faccia stupita “allora perché non mi mostri ciò che sai fare?” mi provocò indicandomi una macchina che, sfortunatamente, stava passando di lì.
Ghignai, presi un respiro profondo e contai fino a tre. Purtroppo però non calibrai il lancio e anziché finire sul tettuccio dell’auto, finì in testa ad un signore. Io sgranai gli occhi, il signore (da quello che potevo vedere) sgranò gli occhi e James scoppiò a ridere quasi ululando, come se fosse uno di quegli stupidi licantropi che si vedevano in Twilight. Lo ammetto, privilegiavo i vampiri ai lupacchiotti.
“Oddio, sei stata fortissima” sentenziò tra le risate.
“Non ridere …” sbuffai imbarazzatissima “ho appena fatto la figura dell’idiota”
“No, ti giuro ahah, sei stata fortissima”
“La smetti di ridere?” sbottai irritata e lui tacque di colpo, un po’ spaesato.
Ci guardammo per un secondo negli occhi e scoppiammo a ridere insieme. Avevo decisamente fatto la figura dell’idiota ma onestamente, non mi importava molto. Eravamo insieme, il resto lo avevo scordato.
“Giochi ancora a Basket?”
“Così pare”
Ci eravamo divertiti un mondo, avevo dimenticato quanto potesse essere divertente quel tipo di gioco. Vedevi la gente soccombere sotto i tuoi colpi e ti sentivi invincibile. Lì, sul quel tetto, ci eravamo sempre sentiti i padroni indiscussi del mondo. Era il nostro posto e nessuno ce lo avrebbe mai tolto. Avevamo smesso di giocare da un pezzo, ci stavamo godendo un po’ di sano relax ma, il silenzio non era il nostro forte e così gli avevo fatto quella domanda. James adorava il Basket, forse più di se stesso ma fin dall’inizio non aveva avuto un buon rapporto con la squadra, per via di Nathan. Il suo odio verso il mio migliore amico lo aveva consumato, corrotto, fino a trasmetterlo alla sua stesa squadra.
“E tu?”
“Io cosa?”
“Canti ancora?”mi chiese curioso.
“Così pare” ghignai lanciandogli quello che rimase di un palloncino.
E ritornammo a goderci beati, il nostro ritaglio nel mondo. Perché eravamo lì, insieme e questo contava più di tante altre parole. Perché l’amicizia, la nostra, era un sentimento degno di essere vissuto. Perché non importava i luoghi che avremmo visitato, la lontananza che ci avrebbe diviso o le diverse idee, noi due saremmo rimasti amici per sempre.

Il mio migliore amico è quello che mette
in evidenza la cosa migliore in me.
(Henry Ford)


   

  
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