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Autore: Linn_CullenBass    26/12/2011    6 recensioni
Ognuno di noi porta con se una miriade di segreti. Qualcuno più pensante di altri.
E Blair Waldorf, lo sapeva bene. Ma dentro di se, con lei, ve ne era uno particolare. Di una vecchia vita, passata. Dimenticata con forza. Di una persona, più di tutti. Al solo pensiero, tutto le tornava in mente, facendole male. E poi così, durante una terapia con Chuck, una domanda a caso rischia di farle perdere tutto ciò costruito fin ora.
Cross-over twilight e GG. Buona lettura.
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Come faceva a saperlo? Come ne era a conoscenza?
Rossi e ricci.
La madre di Jessica.
Buttai la testa indietro. Niente segreto. Mi aveva scoperta.
Bloccai il telefono mentre stava per comporre il numero di Charlie. Sarebbe stata la fine.
- La prego, signora Stanley…-
E le lacrime iniziarono, violente come pugni, a scendere.
Che cosa sarebbe successo, ora? Una maledetta terapia poteva rovinare la vita che avevo costruito con grande fatica?
E louis? E il bambino? Diamine. Mi avrebbe ripudiata se solo fosse venuto a conoscenza di quel segreto.
E il segreto di Edward? Avevo la mente talmente annebbiata che riuscivo a pensare tranquillamente a lui. Non accadeva da anni.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
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-Allora, signor…-
La donna dolce, sulla trentina. Aveva i capelli biondi, e degli occhiali tondi. Non aveva gusto nel vestire, anche se non ero la persona più adatta per giudicarla. Io avevo stadard troppo alti.
- Bass..- fece un sorriso dolce e malizioso al ragazzo vicino a me. Era teso.
Ed anche io.
- E… lei?-
Sembrava addirittura scocciata che io ci fossi. Che squallore.
Strinsi le spalle e le sorrisi. Un sorriso tenero.
Poi sospirai profondamente, prima di risponderle. In un certo senso mi sentivo offesa.
Come poteva non riconoscermi dopo essere stata ritratta su tutti i giornali di New York? Nascosi l’irritazione, e risposi.
- Blair. Blair Waldorf. Sono la futura moglie di Louis Grimaldi, principe di Monaco.-
La vidi abbassare lo sguardo, e tirare un sorriso forzato.
Muori d’invidia, ora.
Dentro di me, ridevo come una matta. Poi le sorrisi, ed aspettai un suo cenno.
- Signor Bass, non voglio sapere cosa ci fa lei qui. Ma non ci possono essere ospiti alla mia seduta. Pregherei la signorina Grimaldi di andarsene.-
Sembrava sicura di se stessa. Sperava che Chuck le dicesse di sì.
Io sapevo che non l’avrebbe fatto.
Più che altro, lo speravo.
- La signorina WALDORF. È qui perché… lei è molto legata a me. Perciò, lei resta.-
Continuavo a sospirare, mentre annuivo. E le rivolgevo sorrisi, di tanto in tanto. Adoravo far innervosire la gente che aveva a che fare con Chuck. Perché lui mi difendeva. E tutti, (tutte) ne rimanevano sempre deluse.
Istintivamente, mi s’incurvarono le labbra.
- Ah, ok. Beh allora, perché non partecipare? Voglio dire, perché non si sottopone anche lei, alla seduta?-
E così voleva sfidarmi?
Bene, da nascondere non avevo nulla. Potevo parlare di tutto ciò che voleva. Anche della storia di Chanel, ero preparata pure su quello. Anche la trama di “colazione da Tiffany” non era male. Dopotutto, Audrey Hepburn, era la miglior attrice dello scorso secolo, secondo me.
- Su cosa si basano le sedute?-
Chiesi, tranquilla.
- Beh, non lo so. Dipende. Sul suo passato, su ciò che ha dentro. Varia, da persona a persona. E sicuramente, c’è sempre qualcosa che qualcuno non vuole dire. -
Beh, allora non c’erano problemi.
Tutta la mia vita era già stata ripresa in presa diretta da Gossip Girl. Di scheletri nell’armadio non ne avevo. Per lo meno, su questo aspetto della mia vita, potevo stare tranquilla.
Poi, mi ricordai.
E m’irrigidii all’istante, seduta su quel divanetto comodo. I miei pensieri scorrevano in fiumi, e passavano davanti ai miei occhi, momenti della mia vita che sembrava non fossero nemmeno tali.
Era tutto confuso… ma chiaro nello stesso tempo.
Cose che avevo sotterrato nell’angolo più scuro del mio cuore. Che avevo chiuso con un lucchetto, e buttato via la chiave.
Ora scalciavano, spingevano per venir fuori.
E la mia testa gridava per loro.
Vi preso, tacete! E tutto aumentava. Vi scongiuro! È doloroso!.
Deglutii, forzatamente, quasi provassi a mandarli giù, per evitare di vomitarli fuori. Sarebbero stati fiumi e fiumi di parole, che avrebbero riaperto la voragine di cui ora c’era solo più una grossa cicatrice. Il mio petto vuoto già doleva terribilmente.
Stavo andando a fuoco.
I miei occhi erano fissi su di un punto qualsiasi, e fu Chuck a darmi uno spintone per farmi riprendere.
No, non avrei potuto rivelare nulla.
Per un amore finito, di cui rimangono ceneri. Ma che ancora minacciava di distruggermi. Nonostante il passare degli anni, quella storia perseguitava la mia mente, nel mio inconscio. E lo capivo dagli incubi ricorrenti.
Il segreto doveva rimanere al sicuro, ero convinta di questo.
- Sta bene?-
La sua domanda mi spiazzò. Che potevo risponderle?
- sì, scusi. -
Mi guardò come solo un dottore può guardare una matta. Se c’era una cosa che non ero, era proprio quella.
Ma c’era qualcosa che non andava in me.
Mi sentivo strana, diversa. Era come se la vita che avessi fatto a NY fino adesso fosse stata portata via. E ne rimanesse soltanto quello che ero prima.
Cacciai via quella sensazione.
E l’eco di una Blair Waldorf infuriata si fece sentire in me.
- Dunque signorina Waldorf. Perché non mi racconta un po’ di lei?-
Che c’era da dire?
Ero Blair. La gente qui mi contraddistingueva dagli altri usando solo la scusa del mio nome.
- Mi chiamo Blair Cornelia Paige Waldorf, ma in questa città, tutti mi chiamano Blair… o B.
Sono figlia della stilista Eleanor Waldorf, e faccio parte della società di Manhattan. Come probabilmente ha già capito. La mia migliore amica è Serena Van Der Woodsen. La gente mi descrive come una ragazza snob e piuttosto superficiale e programmo in ogni dettaglio la mia vita e spesso anche quella degli altri. Forse spesso esagero se qualcosa sfugge al mio controllo, e cerco disperatamente di non farmi sfuggire nulla di mano. –
Scriveva. Mi sporsi un po’ a vedere che cosa stava scrivendo.
Cercavo di non far vedere quanto in realtà ci fosse dietro.
- E suo padre?-
Mi ci volle un po’ per riprogammare il “Blair-Brain”
- ha divorziato da mia madre quando ha soperto di essere gay. Ora vive a parigi, con il suo compagno. -
Sorrisi.
Adoravo Harold.
- E lei….-
Non finì la domanda che risposi di getto.
- oh, io lo adoro.-
Continuavo a sorridere e ad abbassare lo sguardo. Speravo che non se ne accorgesse.
- E il rapporto con sua madre?-
Mi bloccai.
Che potevo dire?
Eleanor non era davvero mia madre. No, Eleanor era mia zia. Ma qui, tutti la conoscevano così. La storia era lunga, e il tempo passava. Eppure, Eleanor mi faceva “da madre”. E devo dire, che era piuttosto pessima in quel ruolo.
- Beh forse non ha tutto il tempo per me. Ma lo capisco. Per questo c’è Dorota. È la mia governante.
L’adoro.-
Sorrise e si tolse gli occhiali, poggiando i gomiti sguaiatamente sulle ginocchia.
- interessi?-
Oh questa era facile.
- Beh, penso che Audrey Hepburn sia la più grande attrice del secolo scorso. E adoro l’età d’oro Hollywoodiana. -
Tirò indietro il collo, sorpresa.
- E che mi dice di Marylin Monroe?-
Sembrava volesse prendermi in giro.
- Diva. Era più il nome che la bravura a far da padrona, nella sua figura.-
Scosse la testa, quasi non sapesse cosa dire.
- Che rapporto ha con gli altri?-
Vidi Chuck portarsi la mano destra alla fronte, preparato.
Queen B era Queen B.
Non c’erano spiegazioni. Detta leggi, decide cosa è “in” o “out”. Ecco tutto.
- Se vuole glielo dico io. Una volta dettava legge, nel vero senso della parola. Aveva il suo principe azzurro, Nate, e partecipava come ospite d’onore ai party. Tutto finchè non è tornata Serena e fino a quando non sono arrivato io. -
- Perché?-
Si rivolse a me. Non sapevo che dire, in realtà.
- Serena era molto più … luminosa, a Manhattan. Aveva la fama di regina più di me. E Chuck beh… questa storia se la faccia raccontare poi da lui.-
Lo guardai.  Beato, con un sorriso incantevole stampato sul volto. Il suo profumo arrivava fino a me. E mi dava le vertigini.
- bene. E questo ha influito sulla vostra amicizia?-
- Si.- risposi secca, quasi sorridendo.- Certo, parecchie volte. Ma siamo inseparabili. E questo non possiamo cambiarlo.-
Abbassai lo sguardo. Io e Serena. Lei, la mia vera migliore amica. La mia Pri… seconda.
Chiusi le palpebre. Era la mia seconda migliore amica. Perché la prima era…
Non riuscivo a pensarne il nome.
- Signorina Waldorf. -
Alzai lo sguardo. E le rivolsi un sorriso. Chissà perché le avevo rivolto quei pensieri così maligni. Era di basso ceto, vero. Ma non orribile come pensavo.
- C’è qualcosa che lei nasconde, vero? Glielo leggo negli occhi.-
Chuck si era voltato, visibilmente sorpreso. Incuriosito. Un sorrisino che odiavo.
E il mio cuore che iniziava a palpitare veloce
Mi sentivo chiusa in un incubo.
Gli occhi della signorina davanti a me mi fissavano insistenti e quelli del ragazzo facevano lo stesso.
Uccidetemi! Uccidetemi ora! Pensavo, sofferente.
Ma che potevo fare?
Poi, quasi di scatto. La donna si allontanò.
Sul volto, i suoi lineamenti erano indecifrabili. Sentivo il suo respiro aumentare, quasi avesse qualcosa da dire, ma non riusciva.
- Aspetta un minuto. Io ti ho già vista, da qualche parte.-
Il suo volto sorpreso colpì anche me.
- Cosa?-
Chiesi, sconvolta. Che mi avesse visto? No, impossibile. Era una cittadina troppo piccola, troppo verde, troppo piovosa, per una così. Sembrava tutta abbronzata. E i suoi capelli erano ricci, rossi e gonfi.
- sì.- continuava. – Ma non riesco a ricordare dove.-
Cercando di mantenere la calma, deglutii.
-Magari… mi ha visto sui giornali.-
E quell’errore, lo pagai caro. Perché i giornali li aveva visti. Ma non quelli di qui.
- Oh, mio dio.-
Mormorò.
-Non ci credo.-
Mi stavo allontanando, con la schiena, quasi ad evitare le sue parole. Perché non volevo sentirle. Il mio nome, mi avrebbe schiaffeggiato.
Prese una foto.
E Chuck scoparse dal mio campo visivo. Non sapevo che stesse facendo, non m’importava.
“Dipartimento di polizia di Forks”
Diceva il grande foglio.
E la donna capì. Ed io lo intuii, vedendo i suoi occhi riempirsi di lacrime, e le sue mani afferrare in fretta il telefonino in borsa.
- Isabella. Isabella Marie Swan.-
Il mio cuore si congelò.
Come faceva a saperlo? Come ne era a conoscenza?
Rossi e ricci.
La madre di Jessica.
Buttai la testa indietro. Niente segreto. Mi aveva scoperta.
Bloccai il telefono mentre stava per comporre il numero di Charlie. Sarebbe stata la fine.
- La prego, signora Stanley…-
E le lacrime iniziarono, violente come pugni, a scendere.
Che cosa sarebbe successo, ora? Una maledetta terapia poteva rovinare la vita che avevo costruito con grande fatica?
E louis? E il bambino? Diamine. Mi avrebbe ripudiata se solo fosse venuto a conoscenza di quel segreto.
E il segreto di Edward? Avevo la mente talmente annebbiata che riuscivo a pensare tranquillamente a lui. Non accadeva da anni.
E Chuck?
Era in stato di Shock, seduto sul divano con lo sguardo perso nel vuoto. Avrei voluto dirgli tante cose, ma temevo la sua reazione. E le lacrime continuarono a scendere con più foga, nel timore di perderlo.
- Cosa… ? tu non puoi chiedermelo. Non puoi chiedermi di non telefonare al capo Swan e dirgli che ti ho trovata, Bella. -
Bella.
L’abitudine, me l’aveva fatto dimenticare come mi chiamavo.
Eppure, faceva parte di me. Una parte che avevo cancellato, ucciso. Che avevo calpestato e mai accettato.
La mia vita di Forks.
Baci. Carezze.
L’amore impossibile. La pelle fredda. Gli occhi oro. I capelli di bronzo. I sussurri, la grana della sua voce delicata. Morbida, come il velluto.
Ricordi che riportavo alla mente, masochista. Un po’ come il ragazzo disperato che avevo di fianco a me.
Poi, la donna chiuse il cellulare.
- D’accordo. Non gli telefonerò.-
Mi stupii, e cercai di riprendere il controllo di chi ero. Dopotutto, ora ero Blair Waldorf. E lei, non aveva mai queste crisi.
- Ma dimmi. Perché sei andata via, senza dirlo a nessuno?-
Il mio sguardo era un buco nero senza emozioni. Ogni volta che pensavo a lui, accadeva. Una sorta di “annebbiamento” così l’avevo chiamato.
- Oh, non è vero. Jacob Black. Il Quilieute. Lui lo sapeva. -
-Il figlio di Billy? Il migliore amico di tuo padre?-
Sospirai a fondo.
- Sì.-
Sussurrai, con un filo di voce.
Non sapeva nemmeno lei che dire. Era un casino, un disastro. Un ABOMINIO. Ecco perché avevo sempre evitato di dirlo.
Dal silenzio che aleggiava nella stanza, Chuck prese la parola, con un filo di voce.
- Perché? Non ti chiedo nulla solo.. perché non l’hai mai detto?-
Non potevo rispondere senza soffrire di nuovo.
Senza ricordare.
Senza che la voragine dentro di me mi risucchiasse viva. E mi facesse a pezzi.
Lo ignorai.
- Signora Stanley, provi a pensare. Non sono stata l’unica ad andarmene, in quel periodo.-
Dire il suo nome a voce alta sarebbe stato atroce. L’avrebbe reso troppo reale. Troppo vero. Ed io, malsanamente,  desideravo con tutto il cuore che quel periodo fosse solo uno stupido sogno troppo vivido.
-  I Cullen.-
Mormorò.
Ed anche solo così, riuscì a trovare un senso al mio gesto. Con un nome, un nome visto non molto bene, a Forks. Il nome di chi mi aveva tradito. Di una mancata famiglia, che ora mi aveva abbandonata.
- Jessica me l’aveva detto. Edward era un ragazzo meraviglioso. Mi dispiace, Bella.-
Meraviglioso?
Edward era un angelo, anzi di più.
Era un angelo condannato alle fiamme, al fuoco. A vivere a fianco di malintenzionati. Che non avrebbe più riavuto la sua anima indietro. O così la pensava lui.
- Nessuno l’aveva mai capito.-
Dalla mia bocca, le parole uscirono da sole. E lasciavo fosse il dolore, a parlare.
Il volto di Chuck, che non guardavo appositamente, era fisso su di me.
- cosa?-
La voce cauta, attenta.
- Quanto fosse forte il nostro legame. Il MIO legame per lui. Un giorno mia madre ci paragonò a due calamite. Era qualcosa che andava oltre la profonda devozione l’uno per l’altro. Era potente. Era… come un incantesimo. Un banalissimo amore umano, al confronto era nulla.-
Non feci caso alle parole che usavo.
Aveva senso?
Ormai avevo compromesso qualsiasi altro possibile legame interpersonale qui.
- Cos’ hai provato quando è andato via? Voglio dire… Jess mi ha raccontato qualcosa. Ma non ci ho mai fatto molto caso.-
Ero rigida, ferma sul posto. Ascoltavo il cuore battere e con dolore rivivevo quei momenti.
- Sono caduta in una profonda depressione. Edward era il mio mondo, ed era andato via all’improvviso. Io non ero abbastanza per… uno come lui. Il fatto che abbia cambiato totalmente vita venendo qui, ti da la prova di quanto il dolore possa essere stato intenso. Di norma, cercavo di non pensare a lui. Ma è difficile, se era una delle poche persone delle quali di fidavi davvero.-
E se era un vampiro. Un  vampiro con la famiglia che avevo scelto di avere. Avevo già immaginato il mio futuro con loro. E provare a farlo di nuovo, avrebbe solo peggiorato la situazione.
- Il primo amore?-
Non sapevo che dire.
Non potevo ferire i sentimenti del ragazzo al mio fianco. Anche se sapevo che non sarei riuscita a frenarmi. Ormai, stavo raccontando tutto. E non m’importava.
- Primo, unico, ultimo. Non che non abbia amato, dopo. Ma qualsiasi altro amore… era meno travolgente di quello. Era qualcosa di unico. Che pochi hanno la fortuna di conoscere. Io lo amo ancora, sa? Perché nonostante tutto, lo sogno continuamente. Sogno ancora tutto di lui, per paura di dimenticarlo.-
Sembrava visibilmente scossa.
Forse avrebbe chiamato Charlie, e non m’importava.
Chuck era ancora fermo, immobile. Non parlava. Gli avevo appena distrutto il mondo. Era quantomeno logico.
- se dovessi rincontrarlo?-
Ci avevo pensato. Ci avevo pensato innumerevoli volte.
- Non ho idea di quello che potrei fare. Il mondo è piccolo. Ma per gente come i Cullen, nulla è troppo grande per non farsi trovare.-
Non parlò. Si limitò a mimare uno scusa con le labbra, prendere il cellulare e Chiamare la polizia di Forks. Mi avrebbero preso. E io avrei dovuto tornare. Chissà, forse avrei convinto Charlie a farmi restare.
Mi avrebbero rinchiusa in una stanza con le pareti imbottite? Non lo sapevo.
Ma avrei protetto il segreto dei Cullen. Era la mia priorità più assoluta, dopo mio figlio.
Mi portai una mano alla pancia, per accarezzare l’unica certezza che ancora avevo. E lasciai che il dolore mi travolgesse come un’onda anomala e mi portasse con se, nell’oblio di ricordi di momenti che non sarebbero più tornati indietro.E nella terribile consapevolezza di aver perso tutto ciò che mi ero ripromessa di non distruggere mai, mi abbandonai e chiusi gli occhi, con brividi freddi e leggeri che mi percorrevano la schiena. 
   
 
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