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Autore: tinatinae    26/12/2011    10 recensioni
con un pò di ritardo posto questa one-shot che finora è il testo più lungo che abbia mai scritto xD Spero non sia troppo pesante da leggere :)
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Un vocio allegro, intenso e assordante risuonava nella sue orecchie, aveva bisogno di andarsene da quella stanza colma di gente, riunita lì  per chissà quale motivo;
voleva starsene da solo, come spesso succedeva.
Con le sue minuscole scarpe nere di Bottega Veneta si fece strada tra la massa di persone che affollava il salone, mentre qualcuno stava suonando della musica natalizia al pianoforte.
“Che ci fai qui? Io e Serena stiamo per recitare la nostra poesia di Natale, muoviti, sono tutti di là!”
Una bella bambina, sui sette anni, arrivò quasi saltellando attraverso il corridoio finemente piastrellato sul quale le sue scarpine color rubino ticchettavano perfettamente.
A vederla, sembrava una bambola di porcellana, una di quelle preziosissime che solo i più accaniti collezionisti possiedono: il vestito rosso di velluto, ornato nella parte inferiore da balze vivaci che arrivavano sino alle ginocchia, rimbalzava al suo passo veloce, proprio come facevano i suoi innumerevoli boccoli castani, morbidi e festosi che ricadevano lungo la piccola schiena.
Blair Waldorf, unica figlia di un importante avvocato e di una fashion-designer, portava un nome di rilievo a New York e lo sapeva bene, fin da allora.
In un gesto carico di superbia, sebbene infantile, si sistemò il cerchietto sul quale era posto un enorme fiocco anch’esso rosso, anch’esso di velluto.  
“Devi sempre fare l’antipatico, non ti capisco. Nate è così carino invece! Mi chiedo come possiate essere così amici voi due, sei così noioso.”
“Questa stupida festa è noiosa. Facciamo qualcosa.” disse con sufficienza in ragazzino poco più piccolo di Blair, appoggiato di schiena contro una colonna bianca nell’atrio dei Waldorf’s. Sembrava già un adulto mentre con la mano si accarezzava orgoglioso la sciarpa nuova che il padre gli aveva comprato durante uno dei suoi interminabili viaggi all’estero: infatti, non era potuto tornare a Manhattan per le feste e aveva dunque spedito il regalo da Dubai.
Chuck non sapeva neanche dove fosse Dubai, le attività che faceva a scuola non comprendevano ancora la geografia, ma erano soprattutto disegnare, colorare e contare fino a venti. 
Ma non importava, aveva ricevuto il suo regalo dal padre in un pacchetto firmato Bass Industries recapitato al Palace Hotel.
Non un biglietto di auguri, non una firma, non una parola: un freddo pacchetto grigio che a quel bambino dall’aspetto troppo serio e composto per la sua età, pareva la massima riconoscenza che potesse ricevere.
“Non è una stupida festa, è Natale!” la bambina lo fissò nervosa con i suoi occhioni scuri, arricciando il naso e stringendo la mano in un pugno; avrebbe avuto un carattere turbolento da grande, si capiva.
“Come vuoi tu, io mi sto annoiando.”
“Pff, lo faccio solo perché tutti i bambini del mondo dovrebbero essere felici questo giorno, ma sbrighiamoci: tutti gli invitati mi stanno aspettando per sentire la poesia. Su, cosa vorresti fare? Un gioco?”
“Vieni.” con un sorrisino quasi inquietante, fece cenno a Blair di seguirlo.
Poco dopo si ritrovarono nella stanza degli ospiti, dove una montagna di pacchi e sacchettini sovrastava il letto.
“Quante persone ci saranno di là, Blair?”
“Che ne so! Tante di sicuro, guarda quanti regali.” sapeva cosa stesse balenando nella mente di Chuck: gli anni passati insieme all’asilo le avevano insegnato qualcosa. Solamente pochi secondi dopo si ritrovarono immersi in quella massa infinita di pacchetti a togliere e scambiare biglietti di auguri ed etichette.
“Questo è per la mamma di Nate, deve essere un gioiello.” bisbigliò Blair, quasi preoccupata.
“Dici che il nuovo marito di Lily si arrabbia se qualcuno gli regala una collana di perle?” i bambini scoppiarono in una fragorosa risata, così allegri e spensierati, completamente ignari di cosa li avrebbe legati soltanto pochi anni dopo.
 ***
“Nonno, ma dov’è la mamma? Ha detto che sarebbe tornata prima per preparare il dolce di Natale con noi!” si lamentò la bambina, mentre con le piccole e paffute mani stritolava un groviglio appiccicoso di pasta frolla.
Ma fleur, lo sai che la mamma fa un lavoro molto importante e spesso fa tardi. Arriverà in tempo per finire la torta, vedrai.”
Il vecchio Harold sorrise alla piccola mentre la aiutava ad impastare e con il dito infarinato le lasciò un’impronta di farina sul naso, minuscolo e perfetto.
Era così concentrata in quello che faceva, doveva essere la torta più buona del mondo, diceva.
La petite fleur somigliava così tanto a Blair: seduta composta sopra una sedia troppo alta, coperta dal suo grembiulino da cucina rosa a pois bianchi, muoveva con precisione le manine in quell’impasto e, benché avesse solo cinque anni, possedeva già la sua stessa determinazione o testardaggine, a seconda dei casi.
Infatti il nonno non poté fare altro che sorridere, gli sembrava di rivedere la sua bambina: i morbidi capelli ondulati che si chiudevano sulle punte in boccoli perfettamente circolari color dell’ebano, le guance rosee e delicate, come due grandi perle; gli occhi scuri e profondi, ma al contempo vivaci e indagatori.
La bocca però, a differenza di quella minuta e delicata di Blair, era leggermente più larga ma altrettanto carnosa; una piccola bocca, simile a quella di una bambola che faceva incantare Blair ogni volta che la bimba sorrideva alle smorfie del padre.
Assomigliava molto anche a lui, la fronte alta e importante era certamente un segno inconfondibile dei Bass; Chuck e Rose avevano anche la stessa forma degli occhi: leggermente allungati, elegantemente incorniciati da folte ciglia e sopracciglia. 
“Questo articolo sulla moda invernale è geniale, non ho mai letto nulla di più illuminante.” Sentenziò orgogliosa Eleonor, mentre sfogliava l’ultimo numero di Vogue.
“L’avresti mai detto, Harold? La nostra Blair a capo di uno dei giornali più importanti sulla scena mondiale.”
“Nostra figlia è un portento cara, lo è sempre stata… Dopo tutto quello che ha passato, ha avuto bisogno di tempo per trovare la sua strada, ma come vedi anche tu, tutto si è concluso nel migliore dei modi” negli occhi di Harold comparve certamente una dolce tristezza, sapeva quanto sua figlia avesse sofferto negli anni precedenti: dalla bulimia al divorzio dalla madre, l’amicizia con Serena e le relazioni tormentate.
Ricorda anche come il suo carattere poco maturo a volte sfociasse nei più discutibili comportamenti, cosa che di certo non le aveva permesso di essere apprezzata da tutti.
Col tempo era diventata sempre più fragile, le delusioni della sua giovinezza avevano costruito un alto muro tra lei e i suoi sogni pronti da realizzare, se solo avesse avuto sufficiente fiducia in se stessa.
L’incidente del 2011, infine, l’aveva distrutta: proprio quando aveva fatto il primo passo verso un futuro radioso, riscoprendo in Chuck la persona che da sempre amava e che per sempre avrebbe amato, aveva perso il suo bambino e lui, l’amore della sua vita, dopo essersi sacrificato nello schianto per proteggerli, era rimasto in coma per mesi.
Blair non aveva più l’aspetto di una ragazza poco più che ventenne, ma sembrava un fantasma: dal suo viso spento non trasparivano emozioni, si intravedeva solo quel vuoto nero e abissale che la divorava all’interno e che pensava di non riuscire a colmare mai più. Si sentiva così in colpa per quanto era successo, si era condannata a portare il peso di una tragedia sulle sue spalle minute e pensava che la felicità non potesse far parte della sua vita.
Ci volle molto tempo per far sì che si riprendesse da tutto ciò che le era successo in quei pochi mesi e tornasse in sé.
Il miracolo, se così si può chiamare, successe proprio il giorno del matrimonio reale.
Nel momento più importante Chuck non c’era, non era lì con lei a scambiarsi quegli anelli che li avrebbero uniti per sempre.
Circondata da miriadi di visi sconosciuti e sconvolti si fece forza e scappò via da quel principe sbagliato che, invece di una favola, le fece vivere un incubo.
Harold forse fu l’unico insieme a Dorota a tirare un sospiro di sollievo: ovunque vi fosse Chuck, lì stava la felicità di Blair, lo sapevano bene.
Anche Eleonor si arrese e accettò senza possibilità di replicare il volere della figlia, quando quest’ultima tornò a casa dopo un anno, sposata e incinta.
A detta di tutti, sembrava rinata, perfino più radiosa e felice di quando animava le assemblee della Constance Billard con i suoi discorsi più arguti, sotto lo sguardo ammaliato di centinaia di ambiziosi studenti.
Non smetteva mai di sorridere: le era bastato un anno lontano dal mondo dell’UES: solo lei, Chuck e il loro nido d’amore da qualche parte in Europa.
Era consapevole del fatto che nessuno potesse essere felice quanto lei, tant’è che suscitava quasi invidia in chi la guardava. Inoltre trovò presto lavoro grazie al suo amico Dan, Daniel Humphrey il quale riuscì a farsi strada nella redazione del New York Times e conoscendo il talento e la dedizione dell’amica, ci mise ben poco ad aprirle le porte dell’editoria newyorkese.
I suoi sogni nel cassetto, quelli veri, comprendevano sicuramente lavorare per la rivista Vogue; la moda era una delle sue passioni più grandi.
L’accettarono subito, tutta lo staff era entusiasta e affermava a gran voce quanto Blair Waldorf fosse semplicemente perfetta per quel tipo di lavoro; si dava sempre da fare, faceva di tutto e lo faceva bene.
La sua forte personalità, così vivace e arguta venne più volte premiata, facendole raggiungere la vetta in pochissimo tempo.
Il suo gusto innato per il bel vestire e la conoscenza profonda della moda che coltivò sin dalla più tenera età  le donarono con questo lavoro la giusta gratificazione e soddisfazione che per anni non trovò da nessuna parte.
Si rivelò essere un’instancabile lavoratrice e fece solo una pausa nelle ultime settimane di gravidanza; dopo qualche decina di giorni dal parto riprese però subito a lavorare portandosi dietro la piccola.
Aveva fatto mettere una bellissima culla color bianco neve dietro la sua scrivania di cristallo e cinque volte al giorno chiudeva la porta del suo ufficio per nutrirla.
Blair riceveva visite dai più importanti stilisti, organizzava servizi fotografici con i più grandi artisti internazionali, decideva cosa fosse “in” e “out”, cosa che era solita fare sin dalle scuole medie, a dir la verità.
Durante la pausa pranzo parlava col marito dal suo Mac di ultima generazione e nel tardo pomeriggio tornavano a casa tutti e tre insieme sulla limo diventata ormai un parco giochi a quattro ruote.
Come diceva anche Harold, tutto si concluse per il meglio e ora Blair Cornelia Waldorf era famosa non solo nell’intera isola di Manhattan, ma in tutta New York, per non parlare delle riconoscenze che riceveva dall’estero.
“Signor Waldorf, i Signori Bass sono arrivati” la cara Dorota arrivò in cucina seguita da una bambina sugli otto anni, alta e bionda, Anastasia.
Era l’ amica speciale di Rose, come la chiamava lei: avevano quasi sempre passato i pomeriggi insieme a casa Waldorf sotto gli occhi attenti di Dorota e dei quattro nonni materni che a turni tornavano a NY solo per lei. Il suo momento preferito della giornata era però quando i genitori tornavano da lavoro, come stava accadendo proprio in quell’istante.
“Mamma! Papà!” la piccola quasi balzò dalla sedia e corse veloce sulle sue piccole gambe verso l’ascensore; Chuck poggiò subito la 24ore su di un piccolo mobile per poi accogliere la figlia tra le braccia, con un sorriso così largo e sincero che poteva mascherare anche la più grande stanchezza.
“Avete fatto tardi oggi! Non si fa!” urlò Rose, quasi sgridando il padre mentre con le manine infarinate lasciava polverose impronte sulla sciarpa morbida e sul suo collo, cercando di dargli dei pizzicotti, proprio come la mamma le aveva insegnato.
“Un brutto signore doveva dirmi tante cose durante una riunione e dovevo ascoltarlo, scusami principessa” disse scherzando Chuck poggiando la bambina a terra, non prima di averle schioccato un bacio sulla guancia morbida.
“Mamma, e tu cosa dici in tua difesa?”
“Mah?!” Blair scoppiò a ridere mentre porgeva il cappotto a Dorota; si rendeva conto solo in quel momento di cosa volesse dire crescere con due avvocati come nonni.
“Ti perdono solo se vieni a finire la torta con me e il nonno!” Era difficile capire da chi avesse ereditato l’arte del ricatto.
Verso le otto la famigliola si era riunita a tavola per la cena della Vigilia e, dopo un’infinita serie di portate, una più deliziosa dell’altra, nessuno poté tirarsi indietro alla vista di una buffa torta, gonfia e in parte grumosa a forma di albero di Natale, più o meno.
Rose osservava orgogliosa come tutti stessero mangiando la sua creazione e Chuck non poté fare a meno di farle un video mentre imboccava Eleonor con una forchetta minuscola dicendole che “non era abbastanza”*.
La serata proseguì in fretta nella sua magica atmosfera, arricchita dai racconti natalizi che Cyrus si dilettava a raccontare davanti al camino; per i Bass era ormai giunta l’ora di tornare alla loro immensa suite all’ultimo piano del Charles’ Place, enorme e lussuosissimo hotel dove spesso si trovava la crème de la crème di New York durante i parties più importanti.
Non fecero in tempo a partire che Rose si addormentò poggiando la piccola testa boccolosa sulla spalla della madre mentre Chuck teneva i regali da sistemare sotto l’immenso albero illuminato che lui e le sue donne avevano decorato nel centro del salotto.
Ad attenderli sul suo puff a fantasia scozzese, sedeva vigile Monkey che fece attenzione a non abbaiare per non svegliare la piccola, come il suo padrone gli insegnò qualche anno prima.
“La metto a letto… A te ci penso più tardi” bastava una battuta maliziosa, detta con un certo tono di  voce a mandare Chuck fuori di testa; non sapeva come fosse possibile amarla sempre di più col passare degli anni, sentire lo spandersi di quel sentimento già immenso nella fermezza del suo petto.
Dopo aver sistemato tutti i regali sotto l’albero addobbato, sentì una mano calda sulla spalla.
“Questo Natale sarà anche meglio di quello scorso” disse lui sorridendole, mentre la teneva stretta a sé nella morsa sicura delle sue braccia.
“Indubbiamente” con una mano Blair avvicinò il viso di Chuck al suo chiudendo le sue labbra morbide sulle sue in un tenero bacio.
“Perché vi baciate sempre? Che noia!” a quanto pare qualcuno non aveva abbastanza sonno.
La piccola Rose fece capolino dal corridoio con il suo Winnie Pooh sotto braccio e si sedette sulla schiena del povero Monkey  che inerme abbassò il muso guardando Chuck con aria afflitta.
“Chuck i regali!” bisbigliò quasi istericamente Blair: per Rose, infatti, Babbo Natale doveva ancora arrivare.
“Tesoro, dovresti tornare a letto, è tardi” disse in fretta lui, dopo essersi messo tra gli occhi curiosi della bambina e i pacchetti sotto l’albero.
“Ma devo aspettare Babbo Natale! Tra poco arriva!”
“Non lo sai che non passa se i bambini non dormono?”
“Cosa?!” La bambina quasi terrorizzata scappò via urlando, tirando un calcio a quel povero cane.
I genitori si lanciarono uno sguardo di intesa mentre, arrivati nella loro stanza, trovarono il letto già occupato.
Blair e Chuck cambiarono i loro programmi per la serata per la gioia della loro bimba e, sotto il caldo piumone, si addormentarono insieme in un caldo abbraccio con rispettivamente una piccola mano e un piccolo gomito sulle loro facce serene.
***
“Papà, il tuo regalo è bellissimo!” sentenziò soddisfatta Rose  la mattina dopo, agitando in aria il minuscolo polso deliziosamente ornato da un fine bracciale d’oro bianco, coperto da una miriade di diamanti rosa.
“Tuo padre ha sempre avuto gusto in fatto di gioielli, su questo non ho niente da dire” disse Blair mentre allacciava il fiocco dell’elegante vestitino color panna della bambina, ovviamente firmato Eleonor Waldorf:  infatti dalla gioia la nonna iniziò a progettare la collezione baby il medesimo giorno in cui il venne scelto il nome della nascitura.
“Siete pronte? Inizio ad aver fame” chiese impaziente Chuck prima di baciare il collo della moglie, sistemandosi il papillon coordinato con gli abiti di Rose e di Blair.
“Non si mette fretta alla perfezione! Dovresti saperlo!”
“E’ proprio mia figlia” rise quasi orgogliosa Blair.
“Lo sai che i figli si fanno in due, vero? In caso contrario sarei più che felice di chiarirti il concetto…” Chuck era rimasto sempre il solito malizioso e la cosa non le dispiaceva affatto, a dir la verità.
“Chuck, non davanti a lei!” troppo tardi, la bambina ormai li guardava con disapprovazione.
“Andiamo prima che iniziate a baciarvi come al solito!”
Andarono dagli Humphrey’s per il pranzo di Natale dove i due amici li stavano aspettando; era da un po’ che non si vedevano: Serena era spesso impegnata ad organizzare eventi per tutta NY con il suo catering mentre Dan, beh, lui era diventato ormai un apprezzato giornalista che aveva però conservato la sua personalità semplice e genuina da ragazzo di Brooklyn che era.
Appena aprirono la porta si ritrovarono davanti Rufus più raggiante che mai che reggeva da una parte un neonato e dall’altra un vassoio di tortini salati da lui minuziosamente preparati.
“Buon Natale signori Bass! Prego accomodatevi da questa parte” 
“Rufus caro, dammi il bambino, non vorrai farlo finire sul vassoio insieme al cibo. Vieni qui dalla nonna” Lily, sempre più materna e sempre meno toccata dallo scorrere del tempo, salutò Blair e Chuck con un larghissimo sorriso, mentre reggeva il piccolo e riccioluto Julien tra le braccia: era proprio un bel bambino, i capelli erano esattamente come quelli del padre, fitti riccioli corvini. Gli occhi invece erano gli stessi allegri e cristallini di Serena.
“Tutto bene ragazzi? Ma cosa ve lo chiedo a fare, basta guardare i vostri sorrisi!” urlò felice, abbracciandoli.
“Nonna Lily!” Rose corse verso l’elegante signora bionda con le braccia aperte e la strinse in vita, come faceva con tutte le persone a cui voleva bene.
“Ecco il mio piccolo diavolo! Oh mamma, Charles, ti somiglia così tanto. Non è una meraviglia?”
“Lo è.” Quando Chuck guardava Rose, i suoi occhi si allargavano come se potessero sorridere; sentiva la felicità scorrergli nelle vene, una piacevole sensazione calda dolce come lo zucchero che lo faceva rinvigorire ogni volta che le ombre del passato sembravano ritrovarlo.
Era sicuramente una bambina deliziosa, ma per lui, per lui era la cosa più preziosa che gli fosse capitata, insieme a Blair. Bastava un suo sorriso, una delicata carezza data con la tenerezza che solo i bambini possiedono e lui era felice.
Dopo cinque anni ancora non ci credeva che quella piccola creatura, così fragile e innocente era sua, sangue del suo sangue: il dolce frutto di un amore dal gusto talvolta amaro, toccò la loro vita come una luminosa stella cadente che anche dopo il più crudele dei temporali riesce ad illuminare la volta celeste.
L’allegra famiglia si riunì in saluti, abbracci e baci; l’attenzione di tutti era per Rose e Julien, Blair e Serena parlavano felici dei loro bambini mentre Nate, Dan e Chuck scherzavano e ridevano dei loro momenti passati insieme, solo qualche anno prima. Tutti erano cambiati, in bene certamente. Erano maturati, erano giovani adulti, felici e orgogliosi della vita che si stavano costruendo. Chi l’avrebbe detto ai tempi della Constance e della St. Judes che in un futurno non troppo lontano si sarebbero ritrovati ad una tavola imbandita, tutti insieme per Natale?
“Blair, tutto ok? C’è qualcosa che non và?” Serena non lasciò mai più la sua amica da quando ebbe l’incidente, le era stata vicino per tutto il tempo prima che scappasse con Chuck.
Solo quando stava per perderla, si rese conto di quanto contasse per lei.
“No no, è tutto delizioso… Devo solo…” Blair fece cadere il tovagliolo sul piatto e lasciò il suo posto con uno scatto fulmineo.
“Chuck, avete litigato? Non può essere tornata a…”
Il suo volto gioioso divenne scuro all’improvviso, come un fulmine a ciel sereno, si fece vivo il ricordo di Blair sofferente per la bulimia quando perse il suo bambino, sette anni prima.
“No, non ha avuto nulla fino ad ora… A casa va tutto a meraviglia, non capisco. Vado a vedere come sta” l’ombra sul suo viso si fece più scura.
Non sopportava che Blair stesse male, non dopo tutto ciò che aveva subito.
“No Chuck, vado io. Tieni la piccola.”
Troppe volte non le era stata accanto, troppe volte.
La gelosia che aveva provato nei suoi confronti per via di Dan sembrava aver cancellato anni di profonda amicizia, facendole dubitare della lealtà dell’amica.
Serena sentiva il bisogno di rimediare e sapeva che con Blair non era mai troppo tardi.
“Blair che hai… è successo qualcosa?” bisbigliò, osservando impaurita lo scorrere dell’acqua nel lavandino.
“No, è solo che… Sono in ritardo di tre settimane e due giorni fa ho fatto il test… E’ risultato positivo.”
“Blair, ma è fantastico! Un secondo bambino! Perché sei triste? Non lo volevi?”
“No no, figurati. E’ solo che… Rose è nata per caso, ne io ne Chuck eravamo in cerca di un figlio dopo quello che avevamo passato. Ma poi è arrivata ed è stata una magia.”
“E allora? Non vedo quale sia il problema”
“E se Chuck non volesse? Se gli bastasse Rose? Torna da lavoro sempre stanco, anche se non lo dà a vedere. Dedica il resto del suo tempo a me e alla bambina e l’ultima cosa che voglio è farlo sentire oppresso.”
“Questa è la Blair ormonale che parla! B, che dici? Chuck ama te e Rose alla follia e sono sicura che farà lo stesso con il secondo bambino. Sentirsi oppresso? Non l’ho mai visto così sereno in ventisette anni. Quando glielo dirai?”
“Penso stasera, ormai sono quasi sicura.”
“E’ un bellissimo regalo di Natale, B” le due donne si abbracciarono proprio come spesso accadeva anni prima, quando Serena trovava la sua amica in lacrime accovacciata sul pavimento del bagno.
Finirono il pranzo tra una risata e l’altra, Blair fece di tutto per non far preoccupare il marito mascherando la nausea improvvisa con un grandissimo sorriso; nel pomeriggio poi si riunirono in salotto dove zio Nate giocava con i bambini, Dan e Chuck discutevano di politica sorseggiando champagne e le donne ammiravano il tutto, ridendo degli anni passati.
Lo spirito natalizio era più vivo che mai nell’UES; quel gruppo di adolescenti, famoso per i suoi scandali su Gossip Girl era diventato ormai una grande famiglia.
I rancori passati sembravano essersi volatilizzati, dando posto ad una sentimento di serenità e gioia, caldo e avvolgente che era stato capace di unirli.
“Mamma stai bene?” disse preoccupata Rose, mentre si accoccolava sulle ginocchia di Blair, seduta sul divano.
“Sono solo stanca, tesoro.” e le diede un bacio sulla testolina impreziosita da un elegante fiocco beige.
“Vado a dirlo a papà così andiamo a casa! Penserò io a te, mamma!” neppure la stanchezza le impediva di sorridere alla vista di quella bambina, piccola e speciale.
Era un fuoco d’artificio, così spensierata e piena di vita, rappresentava la loro serenità conquistata come una medaglia d’oro dopo anni turbolenti, durante i quali si assumevano le colpe sbagliate di un comune dolore.
Durante il viaggio di ritorno verso l’hotel, Rose fece di tutto per rallegrare la mamma: accese le luci all’interno della vettura con fare esperto e si mise a cantare “Jingle Bell Rock”, ballando sul sedile fino a crollare dal sonno.
Poi, giunti in casa Chuck portò Rose nella sua stanzina, la preparò per la notte e le lesse una fiaba, la Bella e la Bestia, finché la piccola non si addormentò mentre Monkey si faceva spazio sul fondo del lettino, come tutte le notti.
“Hai intenzione di venire a letto oppure passerai la nottata ad ammirare tua figlia, tanto per cambiare? Inizio a sentirmi trascurata sai?” sogghignò Blair coperta da una candida sottoveste di seta mentre si appoggiava alla porta rosa confetto.
Chuck guardò la moglie rimanendone ipnotizzato esattamente come fece sei anni prima, quando la vide chiara e luminosa, quasi fosse un angelo, svegliandosi dal coma.
Dopo aver dato un bacio sulla fronte alla bambina, marito e moglie si avviarono verso la regale stanza da letto, mano per mano.
Non vi fu parola o gesto: solo uno sguardo infuocato accese i loro occhi e un fremito improvviso scosse i loro corpi che  guidati da una forza maggiore si chiusero naturalmente l’uno nell’altro in un abbraccio, stretto come una morsa.
Baci dolci di miele si fecero pungenti e insistenti, pioggia rovente di una passione impetuosa che spinse i due sul letto, come trascinati dalla corrente di un fiume in piena.
Nello stesso modo in cui un poeta ripete i versi della sua opera migliore, Chuck fece scivolare il suo tocco gentile sulla pelle rosea di Blair: la pressione delicata di una mano sempre più inquieta accarezzò la gamba in tutta la sua lunghezza, arrivando a cingerle dolcemente il ventre.
Riempì di baci ogni parte di quel corpo di porcellana mentre lei, quasi volesse spezzare quella fragilità, si muoveva con irruenza sotto il suo cuore impazzito.
In pochi e rapidi gesti si liberarono dei centimetri di stoffa che li dividevano e poterono finalmente unirsi con la stessa facilità che li travolse la prima volta.
I due corpi incastrati alla perfezione si muovevano insieme, quasi danzassero ad un stesso ritmo che si faceva sempre più incalzante; le mani esperte di lei seguivano il loro percorso sulla schiena di Chuck: i graffi dati con una violenza ormai famigliare che oltre a lasciare un segno rosso sulla pelle portavano con sé piacevoli ricordi.
La passione tumultuosa che li muoveva quasi selvaggiamente crebbe sempre di più finché Blair, mossa da un fremito di intenso piacere, si strinse in una morsa violenta attorno alla vita di Chuck, mentre la bocca ancora tremante di lui disperse baci roventi sul torpore della sua pelle bagnata.
Quella sensazione di completezza e perfezione lentamente si affievolì e i due, stanchi e lucidi di sudore, poterono assaporare quel momento di intima quiete; solo loro e il dolce suono di quei respiri che ancora bollenti si susseguivano al medesimo ritmo.
Chuck si spostò sul fianco, accogliendo Blair nel suo abbraccio.
“Cos’è successo oggi? Mi hai fatto preoccupare” le sussurò, mentre lasciava baci delicati nella morbidezza dei suoi capelli.
“Le nausee sono iniziate presto questa volta…” non sapendo cosa dire, Blair si portò semplicemente la mano al ventre già colmo di una felicità preziosa e sicuramente inaspettata.
Chuck quasi si sedette in un balzo e i suoi occhi si spalancarono, scoppiettanti di gioia che si fece liquida pochi secondi dopo.
“Sei felice?” doveva chiederglielo, aveva bisogno di esserne sicura, benché l’espressione del suo viso dicesse già tutto.
Per risposta Chuck la strinse a sé e la riempì di baci, infiniti baci.
Quel miliardario newyorkese, così distinto e riservato, non fu in grado di mascherare la gioia che gli stava facendo scoppiare il cuore, neanche con tutte  le lacrime calde che si stavano seccando nell’ampiezza del suo sorriso.
“Vorrei fosse un maschio stavolta, sai sono stufa di vederti giocare con le bambole e i vestitini rosa” anche Blair si era commossa: sapere Chuck così sereno e sentirsi artefice della sua felicità la faceva sentire speciale; sapeva bene di essere l’unica al mondo ad avere quel potere.
Con lui aveva vissuto a pieno l’emozione indescrivibile di avere un figlio e non vedeva l’ora di poterla rivivere.
Da qualche anno a questa parte, Chuck e Blair avevano finalmente accolto la felicità nella loro esistenza proprio quando sembrava non esserci alcuna speranza per loro.
Trovarono l’equilibrio necessario, la perfezione naturale che stavano cercando e una volta raggiunta tale serenità, la vita divenne solo un piacere che sapeva rinnovarsi ogni giorno, ogni momento speso con la famiglia che stavano costruendo insieme, ogni attimo in cui si rendevano conto di quanto il loro amore li completasse e li facesse sentire… Felici.

Nota:
*: Mi riferisco al famosissimo “not enough” di Cyrus xD
  
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