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Autore: BNikki_    26/12/2011    5 recensioni
Dolcetto di Natale ispirato alla canzone Let it snow! Let it snow! Let it snow! Probabilmente avrà un paio di capitoli...forse di più! ;-)
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
Capitoli:
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Disclaimer: Castle non è mio, bensì di ABC, sob!

Lascia che nevichi


Capitolo 3


“Richard? Sei già sveglio?”. Martha entrò nel loft qualche minuto prima delle 7 del mattino, trovando il figlio seduto su uno sgabello della cucina con l’aria pensierosa, intento a mescolare il caffè nella sua tazza preferita.
“Sì, madre. E’ mattino, se non te ne fossi accorta...” le rispose lanciandole un’occhiata di rimprovero.
Martha lo scrutò per qualche secondo. Era strano trovarlo in piedi così presto, soprattutto il 26 dicembre. Valutò se fosse il caso di indagare ulteriormente, ma subito si rese conto che, essendo appena rientrata dopo una notte di follie, una ritirata strategica nella sua stanza era di gran lunga più appropriata. Ripiegò quasi saltellando verso le scale:
“Vado a letto... Ci vediamo più tardi.” annunciò, ma ottenne in risposta solo un mugugnio.
Rick era occupato in ben altri pensieri...
Kate. Le sue labbra, il suo profumo... la sensazione dei suoi capelli morbidi che gli sfioravano il viso.
Gli sembrava di impazzire. Non riusciva a pensare ad altro!
Era stato innamorato molte volte, ma mai in questo modo...
‘Forse dopo la quarantina fa un effetto diverso... Forse è perché lei è la donna più straordinaria che abbia mai conosciuto? Forse è perché dopo averla seguita, stuzzicata, corteggiata, dopo aver vegliato su di lei e dopo averla persa e riavuta per un soffio, lei è diventata la parte migliore di me, quella di cui non posso più fare a meno.’
Continuava a rivivere nella sua mente quello che era successo nei due giorni precedenti, quel bacio quasi rubato sotto al portico a Mt.Vernon e quella specie di accordo che avevano raggiunto. Kate chiedeva tempo, per mettere ordine nella sua vita, per lasciar rimarginare le ferite vecchie e nuove, e lui l’avrebbe aspettata. Ma con nuove condizioni. Aspettare non era più abbastanza. Non poteva più stare a guardare e attendere, sempre un passo indietro, sempre a distanza di sicurezza. Non poteva. Era una tortura che non riusciva più a sopportare.
No, lui voleva diventare il primo pensiero di lei al mattino e l’ultimo prima di coricarsi. Voleva essere parte della sua vita quotidiana, della sua casa, delle sue abitudini. E lentamente insinuarsi nel suo cuore ed esserne parte per sempre.
Eppure i dubbi lo attanagliavano: e se questa strategia lo avesse portato alla catastrofe?
Sospirò. Doveva mettere in conto anche questa possibilità: se le avesse fatto troppa pressione, se avesse fatto il passo più lungo della gamba, Kate si sarebbe richiusa su sé stessa, come fanno certi anemoni di mare, che appena vengono sfiorati dal pericolo ripiegano i loro petali vivi per proteggere il loro cuore, escludendo fuori tutto il resto.
Guardò fuori dalla finestra. Aveva ricominciato a nevicare, fiocchi leggerissimi che oscillavano nell’aria prima di andarsi a posare sulla strada, 4 piani più in basso.
Sì, c’era il rischio di perdere per sempre Kate e quel rapporto senza nome e senza etichetta che aveva con lei. Ma lui era un giocatore di poker, sapeva gestire il rischio. E soprattutto aveva in mente un piano. Un piano che era già in atto!
Sorrise furbetto.


“Non posso! Non posso!” sbottò Kate passandosi nervosamente una mano tra i capelli.
Era seduta sul bracciolo del divano di pelle nello studio dell’analista già da quaranta minuti, ma ancora non erano venuti a capo della questione.
“Kate, cerca per un attimo di osservare la questione nel suo insieme, oggettivamente. Ti ha baciata, anzi vi siete baciati. Poi tu gli hai chiesto del ‘tempo’, per riflettere, per capire chi sei e cosa vuoi veramente...”
“Sì! Esatto! Ma la sera stessa torno a casa e...ta-daaan! Kate, c’è un pacco per te!” riprese Kate stizzita, imitando in falsetto la voce della vicina di casa che le aveva preso in consegna il pacco. “Un pacco che tu non hai aperto.”
“Certo che no! Gli ho chiesto tempo...TEMPO! E lui mi manda un regalo! A casa mia!”
“In che modo un pacco ti sottrae del tempo? Non sai nemmeno cosa c’è dentro.” osservò il dottore.
“Oh, lo conosco, lo conosco molto bene... Sarà qualcosa di adorabile, intimo e sfacciatamente costoso.”
“E questo è un problema? Per te, Kate, è un problema?”
La ragazza emise un lungo sospiro, ma non rispose.
“A cosa pensi? Perché sei spaventata?”
“Non sono spaventata!” rispose secca.
Il dottor Burke la guardò sollevando un sopracciglio e arricciando gli angoli della bocca in un mezzo sorriso. Kate lo guardò qualche secondo, si morse in labbro pensierosa mentre rifletteva su ciò che aveva appena detto e quando il barlume della consapevolezza la colpì cominciò a ridere.
“Oh, mio dio...” disse scivolando giù dal bracciolo fino a sprofondare nella seduta del divano “Il prossimo passo sarà che mi metterò a urlare ‘sono Napoleone!’ correndo nuda per strada.”
Il dottore sorrise, ma rispose serio e professionale:
“Siamo qui per capire cosa pensi e cosa provi Kate, ed è importante che tu riesca a dare un nome alle tue emozioni.”
Lei annuì, chiudendo gli occhi per un attimo per ritrovare la concentrazione:
“Gli ho chiesto di aspettare. E lui mi ha detto che, sì, mi aspetterà, ma che non mi lascerà sola. Che farà parte della mia vita.”
“Quindi non è una sorpresa che ti abbia mandato un regalo di Natale.”
“No...” rispose a denti stretti.
“E come ti fa sentire tutto questo?”
Kate esitò, portò lo sguardo sull’orologio affisso alla parete: tempo, ho bisogno di tempo...
“La tua reazione è di paura” la incalzò il dottore “Perché? Che cosa ti spaventa?”
“Ho paura...che se ne vada. Che mi abbandoni.” disse lei infine, con un filo di voce.
“Ti ha detto che ti aspetterà...” le fece notare il dottore.
“Prima o poi se ne andrà anche lui. Tutti se ne vanno. Tutte le persone che amo se ne vanno...”
“Non è così Kate.”
“Sì, invece...” rispose lei con un sospiro.
“Kate, sei tu quella che sta scappando, quella che ha a casa un regalo che non vuole aprire.”


Appena chiuse la manopola della doccia sentì squillare il telefono.
Afferrò un asciugamano e se lo sistemò intorno alla vita, uscì dal bagno grondando acqua sul parquet di legno scuro e raggiunse lo smartphone sul comodino vicino al letto al quarto squillo.
“Buongiorno detective!” esordì lasciando che il sorriso sornione si percepisse nel tono della sua voce.
“Castle... Non è un buon giorno.” rispose Kate seria.
“Problemi?” chiese lui preoccupato.
“Abbiamo un altro cadavere di Babbo Killer.”
“Arrivo! Dammi l’indirizzo.”
“Casa tua è lungo la strada, ti passo a prendere tra 10 minuti, fatti trovare di sotto.”
“Ok. Kate...?”
Avrebbe voluto chiederle se le era arrivato il pacco, ma lei aveva già chiuso la comunicazione.
Si vestì in meno di 5 minuti e ne impiegò un altro per scrivere un post-it per Alexis, che ancora dormiva, e attaccarlo al frigo:
Babbo Killer 3, ti chiamo più tardi. Ti voglio bene! Papà.
Tre minuti dopo era in strada. Si guardò intorno scrutando le macchine che scorrevano lentamente in cerca dell’auto di Beckett, ma non la trovò. Affondò il naso nella sciarpa e si mise in attesa sotto la nevicata, che non accennava a diminuire di intensità.
Venti minuti dopo un colpo di clacson attirò la sua attenzione risvegliandolo dal torpore.
La vide accostare la macchina e la raggiunse scavalcando il cumulo della neve grigia di riporto che delimitava il marciapiede in quel punto.
“Beckett, mi hai lasciato 20 minuti ad aspettarti al freddo e al gelo!” le disse più divertito che seccato, quando ebbe aperto lo sportello.
“Ho trovato traffico...” gli rispose lei dall’abitacolo “Ehi, non azzardarti ad entrare nella mia macchina così conciato!” aggiunse con un’occhiataccia.
Castle si guardò riflesso nel vetro dello sportello posteriore: era spolverato di fiocchi bianchi, soprattutto sulle spalle e sul berretto da sci che fortunatamente indossava.
Si spazzolò via rapidamente la neve con le mani ed entrò in macchina.
“Buongiorno a te, detective! Non so se lo hai notato, ma sta nevicando e...”
“Lascia che nevichi, Castle.” disse lei tagliando corto “Abbiamo un’altra ottantenne morta sgozzata...”
Lui annuì serio. Spesso scherzavano e stemperavano la cupezza delle scene del crimine con una battuta, ma le vittime di Babbo Killer sembravano coinvolgere emotivamente Beckett più di molti altri casi.
Tacque e il rumore ritmato dei tergicristallo restò l’unico suono rilevante nell’abitacolo, fino all’arrivo.


Varcare la soglia del piccolo appartamento fu come essere trasportati attraverso lo spazio-tempo nella Londra degli anni '50. La stanza principale era arredata con alcuni mobili in legno dei primi del '900, una piccola libreria e una chaise longue, una vetrinetta angolare con una collezione di teiere di porcellana finissima, un tavolo rotondo con quattro sedie trapuntate a fiori che riprendevano il motivo della stoffa che ricopriva le pareti. Immediatamente alla sinistra della porta di ingresso, spiccavano un attaccapanni di ottone e una consolle sulla quale erano esposte una decina di foto in bianco e nero, ciascuna con la sua cornicetta d’argento.
Castle osservò le foto una ad una: una ragazza con la camicetta bianca e una lunga sottana scura attorniata da cinque bambini tra i 2 e 6 anni; la stessa ragazza, ma con un lungo cappotto di cammello, sottobraccio ad un giovane in divisa da ufficiale della RAF; altre foto più vecchie mostravano una famiglia numerosa con tanti bambini di fronte ad una casa di campagna, o con gli abiti della festa intorno alla stessa chaise longue che c’era nella stanza, occupata da una anziana Lady dal cappello buffissimo.
“Elizabeth Greene, ottantasette anni, anche conosciuta come ‘tata Liz’. L’ha trovata la badante rientrando questa mattina.” li aggiornò Esposito interrompendo il viaggio nel tempo di Rick e attirando la sua attenzione sul corpo dell’anziana, scompostamente riversa a terra. Il sangue aveva intriso almeno un metro quadro di moquette formando una chiazza circolare rosso cupo intorno alla testa di tata Liz: una sorta di macabra aureola.
“La badante viveva con lei?” chiese Beckett guardandosi intorno.
“Sì, ma è stata fuori per Natale. E’ russa e ha dei parenti a Long Island. Questa mattina rientrando in casa con la sua chiave ha trovato tata Liz così come la vedi e ha chiamato il 911 prima di collassare nel corridoio. Al momento è al S. Patrick, ma sta bene.”
Beckett annuì e si avvicinò a Lanie accucciandosi vicino al cadavere.
“Una singola coltellata alla gola” disse Lanie guardandola con occhi tristi. Lanie aveva visto molti molti cadaveri nella sua vita, ma questo non le impediva di provare pietà per le vittime, soprattutto in casi come questo. “Potrebbe essere mia nonna...” aggiunse tristemente.
“Già...” sospirò Beckett. “Mi sai dire niente sull’arma del delitto?” chiese sollevandosi in piedi.
“Sembra una lama di 10 cm, con una seghettatura, un coltello da bistecca, per intenderci.”
“Un’arma da taglio sempre diversa...” disse Kate pensando ad alta voce.
“Sembra che l’assassino usi ogni volta quello che gli capita a tiro... In questo caso un coltello preso in cucina.” le fece eco Castle “Quindi.... tata Liz è in casa, sta aspettando che torni la badante, si prepara un tè, controlla la lista delle medicine che deve prendere, quando sente bussare alla porta. Non c’è lo spioncino quindi è costretta a chiedere chi è: ‘ Sono Babbo Natale, signora! Stiamo raccogliendo fondi per i bambini poveri dell’Africa.’ La vecchietta apre la porta e lui entra in casa, la sbatte a terra e mentre lei, stordita, cerca di rialzarsi, lui ha tutto il tempo di andare in cucina, prendere il coltello più vicino e finirla con un colpo alla gola.”
Rimasero tutti in silenzio per qualche secondo.
Kate chiuse gli occhi per cercare di liberarsi da quell’immagine di violenza che Castle aveva reso animata con il suo racconto.
Quando li riaprì aveva una domanda per lui.
“Qual è il movente, Castle?” non c’era polemica nel tono della sua voce, voleva veramente sapere se lui aveva un’idea di cosa passava per la mente di questo efferato assassino. “Mmm...Rapina?” azzardò.
Ryan dal fondo della stanza gli fece cenno negativo:
“Non ci non segni che sia stato sottratto qualcosa. Abbiamo anche trovato dei contanti in un cassetto e sembra che non siano stati toccati.”
“Sentite, stiamo giungendo ad una conclusione affrettata” disse d’un tratto Beckett “Stiamo dando per scontanto di avere a che fare con un serial killer vestito da Babbo Natale, ma in questo caso nessuno ha visto alcun Babbo, quindi procediamo come al solito, verificate gli alibi di parenti e conoscenti, interrogate i vicini e scoprite se tata Liz possedeva qualcosa di valore e chi ne è l’erede. Lanie, appena puoi fammi sapere se ci sono impronte o tracce.”
Tutti annuirono e si misero al lavoro.


“Se davvero è un serial killer, Gates passerà il caso all’FBI.” gli disse Kate nell’ascensore del Distretto.
“Cosa?” Castle la guardò stupito.
“Tecnicamente diventa di loro giurisdizione, anche se spesso la cosa viene risolta affiancando la nostra squadra alla loro... Come è successo con la Shaw, ricordi?”
“Sì, certo. Ma?” chiese lui sentendo che le brutte notizie dovevano ancora arrivare.
“Ma... Gates ha letto tutti i rapporti degli ultimi tre anni, sa come è andata l’ultima volta che abbiamo dato la caccia ad un serial killer...”
Castle sospirò serrando la mascella: l’ultima volta era stato il Triplo Omicida. Jerry Tyson aveva ucciso sei donne, aveva giocato al gatto e al topo con Castle e Beckett ed era scomparso senza lasciare traccia.
“Devo prendere questo bastardo, Castle...” gli disse Kate con il fuoco negli occhi poco prima che le porte dell’ascensore si aprissero al loro piano.


Kate entrò in casa alle 3.15 del mattino, con la sola idea di una doccia bollente e qualche ora di sonno. Ma dopo una giornata massacrante, dopo aver interrogato quindici persone, tra parenti e vicini di casa di tata Liz, dopo aver riletto i rapporti della scientifica dei primi due omicidi, il referto dell’autopsia, i resoconti finanziari, i verbali degli interrogatori, dopo aver cancellato e riscritto due volte la lavagna nella speranza di avere un’idea più chiara della situazione, dopo tutto questo non aveva ancora fatto i conti con lui: il pacco era ancora sul tavolo della cucina, dove lo aveva lasciato la sera prima.
Lo studiò per qualche secondo girando intorno al tavolo, senza osare toccarlo.
‘Se lo tocco è mio.’ si disse ricordando i tempi della scuola di primo grado.
La scatola cubica in cartone era ben sigillata e portava stampati i timbri e i loghi del corriere.
Sembrava innocua.
Ma dentro? Cosa ci poteva essere dentro?
Rifletté qualche minuto cercando di figurarsi il contenuto: un vaso per i pesci, ma senza pesci; Guerra e Pace in due volumi; una mini macchina da caffè espresso; un paio di pattini...
Uno sbadiglio la sorprese mentre fantasticava di pattinare sotto al Rockefeller Center per mano al suo scrittore preferito.
Sorrise. Era troppo stanca per pensare lucidamente.
Spense tutte le luci e andò a dormire per quelle poche ore che mancavano all’alba.




Note e crediti
Chiedo perdono per il ritardo!
Sono stata occupatissima a contrattare con quelli di Google per avere pubblicità :)
Provate così: andate su Google e cercate Let it snow. Osservate la pagina dei risultati... Li vedete i fiocchetti??
Sull’animazione per Babbo Killer stiamo ancora trattando...
Hi hi hi...scherzo ovviamente! Infiniti e dovuti ringraziamenti alla Sister, a Rebby e al Papero che mi ispirano e mi indicano la via e un kftp al mio Lettore Anonimo.

Laura

   
 
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