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Autore: ilGhiro    26/12/2011    1 recensioni
Terza classificata al contest "In sei ore" indetto da Vienne.
Tre fratelli fanno i conti con il loro passato e con le loro scelte.
“Ti prometto che tornerai bella come prima, Rosy.” mormora Sbarbato alzandosi.
Le lava il viso con delicatezza e poi le appoggia una borsa del ghiaccio sulla tempia destra, violacea.
“Sei troppo ostinata. Lo sai che Tommaso è fatto così, non gli importa chi sei se fai parte del suo lavoro.” tenta di spiegare poi, quando entrambi sono un po’ più calmi.
“Io non vi dirò dov’è la chiavetta. Neanche se davvero Tommaso dovesse uccidermi.” replica Rosaria rabbiosamente.
“Lo farà, Rosy. Lo sai com’è fatto nostro fratello.”
“Quello non è mio fratello. Tu sei mio fratello.”
Sembra quasi un normale battibecco ma si parla di vita, di morte e di mafia.
Genere: Angst, Slice of life, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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La ragazza legata alla sedia continua a tacere.
Non le interessano i lividi né il sangue che le sta scorrendo lentamente giù dalla tempia.
O meglio, se le interessano non lo sta dando a vedere più di tanto, visto che ha un sorriso da un orecchio all’altro.
Tenaglia inizia ad essere frustrato, e Sbarbato sa che presto voleranno pugni peggiori di quelli che finora l’hanno fatta a malapena sussultare.
Il boss ha dato sei ore per risolvere la faccenda, e ne è appena passata una; di solito un lavoro sporco del genere lo affida ai primi arrivati, che se finiscono in cella per qualche motivo nessuno ha da lamentarsi.
Ma stavolta a picchiare una ragazza ha mandato i suoi due uomini migliori, Tenaglia e Sbarbato, uno figlio di primo letto, l’altro del secondo.
Il brutto orologio a cucù del salotto ha appena iniziato a tintinnare allegramente e l’uccellino dà un solenne addio ai sessanta lunghissimi minuti appena trascorsi in quella casa di periferia; sono le nove, sono le nove, sono le nove, dice e poi si nasconde un’altra volta nei recessi dell’ingranaggio, le facce di Sbarbato e Tenaglia fanno paura anche a lui.
La ragazza osserva il vuoto davanti a sé con aria assente, sempre con il sorriso stampato in faccia.
È partita.” ringhia Tenaglia. Si alza, apre il frigo, tira fuori tre birre.
Apre con rabbiosa calma i cassetti del bancone della cucina, che dà sul salone senza porte né muri a dividerli, stappa le tre bottiglie, ne lascia una a Sbarbato che è tornato a frugare in giro per le stanze, dà un sorso a un’altra e si avvicina con la terza alla ragazza legata alla sedia.
“Ti va una birra?” mormora affettuosamente, come se fossero in un bar e lei semplicemente una che ha deciso di rimorchiare - Tenaglia sa essere gentile quando vuole.
La ragazza si sveglia dal suo sogno a occhi aperti e stacca gli occhi dal cucù. Il respiro torna a farsi spezzato.
Fissa gli occhi sulla bottiglia fredda e umetta le labbra secche.
“Magari.”
Tenaglia sorride mellifluo.
“Bene. Ma ogni cosa ha un prezzo. Per avere la tua birra mi devi dire dov’è quella dannatissima chiavetta.”
La ragazza accenna nuovamente un sorriso, stavolta ironico.
“Te l’ho detto. Ti devi ricordare cosa ci ha regalato la mamma quando avevamo sedici anni.”
Tenaglia il suo sorriso lo lascia cadere.
Si rialza e sembra dirigersi verso il bancone.
Poi cambia idea, si gira verso sua sorella, alza la bottiglia e la infrange sul suo volto digrignando appena la bocca, un colpo secco e preciso.
“Non mi ricordo cosa ci ha regalato, puttana. Me lo devi dire tu.”
Insieme al sorriso gli cade il collo della bottiglia che gli è rimasto in mano e lo ha ferito.
Sbarbato irrompe nella sala, guarda il viso pieno di sangue reclinato innaturalmente sullo schienale,  guarda Tenaglia che si tampona la mano con lo Scottex e si fa il segno della croce anche se non crede in nessun Dio.
Poi s’incazza.
Il duplicato degli introiti del loro clan, sufficiente a dare l’ergastolo a una buona parte dei membri, è in una chiavetta USB che l’indomani la donna avrebbe portato in questura, quindi capisce che Tenaglia sia arrabbiato.
Ma non può comprendere quella furia cieca. No, lui è diverso.
“Sei un fottuto coglione, Tommaso. Cosa ti è saltato in mente?! L’hai uccisa!” alza il tono di voce mentre inizia a strattonare la ragazza abbandonata sulla sedia, in un crescendo d’ansia e furore, ma quella non si sveglia.
“Rosaria. Oh, Rosaria. Rosaria svegliati cazzo. Rosaria!” urla finché Tenaglia non lo calma con la sua voce piena.
“Mia sorella non muore per così poco. Vedrai che tra un’ora è già sveglia. Ma nessuno mi prende per il culo, tantomeno questa paralitica del cazzo.”
Sbarbato lavora con pulizia e precisione, non massacrando donne con una bottiglia.
Ma non gli piace discutere il metodo degli altri.
Afferra uno strofinaccio per pulire alla bell’e meglio il viso della sorellastra e cerca di tamponare il sangue, è talmente tanto che non sa nemmeno da dove sta uscendo, una bellezza rovinata da un pezzo di vetro e da un pazzo violento.
Gli viene da piangere e si china maggiormente sul volto di lei perché non se ne accorga Tenaglia,
Tenaglia il figlio della prima moglie, Tenaglia il primogenito, Tenaglia che ha preso tutto da suo padre, e quello che non ha preso da suo padre l’ha relegato in un angolo della sua testa perché non gli dia fastidio mentre uccide.
Il figlio prediletto e anche quello più adatto a portare avanti l’impresa di famiglia, ma troppo sanguigno nel gestire gli affari e quindi spesso affiancato da Sbarbato, un tipo calmo col mento glabro e pallido a cui deve il suo nome di battaglia e gli occhi acquosi di sua madre, l’amante del boss.
Sbarbato, il suo fratellastro.
Il figlio dell’amante, poi dell’amante divenuta seconda moglie, una volta scomparsa la prima.
Salvatore Rizzuto voleva che i suoi figli, di qualunque madre fossero, si conoscessero e crescessero insieme. E se i suoi sottoposti scioglievano i picciotti nell’acido e poi si permettevano di guardar male alle sue abitudini in fatto di matrimonio e decenza lui invece non era così ipocrita, aveva detto una volta, e non gli importava che sua moglie volesse separarsi da lui una volta scoperto l’adulterio, anzi le aveva impedito di fuggire finché aveva potuto, perché il rispetto non avrebbe di certo potuto toglierglielo una donna con troppe pretese.
I suoi tre figli avevano quindi frequentato la stessa scuola prestigiosa a Milano, al sicuro dai clan nemici fino ai sedici anni, quando Grazia Rissone, madre di Tommaso e Rosaria, li aveva abbandonati scomparendo dalla circolazione. I due gemelli nati dalla prima moglie e il figlio dell’amante, tutti della stessa età e con una sola settimana di differenza nelle loro date di nascita, erano cresciuti insieme: nel Giugno del 1978 il boss aveva dato al suo clan un’adeguata discendenza, e non aveva mai smesso di vantarsi della sua bravura.
Sbarbato non lo sa ma mentre riflette su tutto questo Rosaria sta sognando gli stessi ricordi, al riparo dal dolore lancinante provato prima di svenire.
I minuti passano e lei non si sveglia, qualcosa nel suo inconscio le dice che è meglio continuare a dormire.
Nel frattempo Tenaglia si è fasciato la mano con le garze trovate in bagno e ha finito la sua birra, Sbarbato si è rimesso a cercare qua e là per la casa, cercando di non danneggiare nulla – lui è un gentiluomo, quella è casa di Rosaria e non vuole rovinarla, anche se l’oggetto che sta cercando non si trova.
Gli sembra di aver già frugato quasi ovunque nelle due ore appena trascorse, mentre Tenaglia interrogava Rosaria cercando di farle confessare il luogo dove aveva nascosto le prove schiaccianti per sbattere il clan al completo in prigione.
Eppure non ha ancora trovato nulla.
Ha guardato nel guardaroba, nella spazzatura, in tutti i cassetti, mensole o scaffali che ha visto compresi quelli in alto, inutilizzati perché Rosaria, con le gambe paralizzate, non li potrebbe raggiungere, ma niente.
“Tommaso, la chiavetta non si trova.”
Tenaglia è seduto sul divano alle spalle della sorella svenuta e si sta mangiando l’unghia del pollice, sovrappensiero.
“Come sarebbe a dire che non si trova?”
Si alza e guarda Sbarbato con rassegnata delusione.
“Tu, non la trovi. Tieni d’occhio questa stronzetta che ci penso io.”
Cammina placido con l’andatura che ha lui prima di esplodere, Sbarbato se ne accorge e si copre la faccia prima che Tenaglia apra lo sportello dei bicchieri aldilà del bancone e li rovesci per terra con un’unica manata possente.
Il vetro sottile dei calici si infrange al suolo creando un’improvvisa melodia nel silenzio della casa, bella e dolorosa, una cascata di montagna che si infrange su uno xilofono.
Tenaglia si accorge della bellezza del suono e allora svuota anche tutti gli altri sportelli del mobile, si accorge che le scatole, i detersivi, i piatti invece non suonano bene, allora per coprire l’accozzaglia di suoni litiga un po’ con le casse dello stereo, sceglie un disco casuale e parte Tchaikovskji.
I delicati accordi sovrastano, a volume massimo, la violenza dell’uomo.
Tutto ciò che aveva fatto attenzione a non rompere Sbarbato giace sul parquet scomposto e sofferente come Rosaria; Tenaglia manda all’aria tutto l’ordine che c’era in quella casa di ragazza precisa e sorride feroce mentre lo fa, sfasciando coi piedi persino la sedia  a rotelle di Rosaria da cui l’aveva sollevata con malagrazia, una volta entrato.
L’odio e la rabbia di Tenaglia appestano l’aria intorno e Sbarbato piange in silenzio; quando l’uccellino del cucù dà il benvenuto allo scoccare delle dieci gli sembra che in realtà sia molto più tardi, ma che il suo becco di legno abbia aspettato fino all’ultimo a mostrarsi, perchè aveva troppa paura.
Tenaglia è arrivato alla camera da letto di Rosaria quando Sbarbato gli dice di fermarsi.
Glielo dice in un singhiozzo, come una donnicciola, e Tenaglia neanche si volta a guardarlo; sta oltrepassando l’uscio quando Rosaria inizia a svegliarsi e mugola qualcosa  cercando di rialzare la testa.
Sbarbato la sorregge e sospira di sollievo mentre Tenaglia inizia meccanicamente a buttare all’aria anche la camera da letto.
“Fermati, Tommaso. Tommaso!” urla il fratellastro. “Rosaria si è svegliata.”
Ma Tenaglia è assorto e non sente più nulla, perchè si è incantato a guardare una mensola piena di vecchie cose.
“Cara, dolce, debole sorella.” mormora avvicinandosi agli oggetti che hanno segnato la loro infanzia.
Orsacchiotti, palle di vetro mandate dal padre in viaggio d’affari, le scarpine di quando erano piccoli. Solleva ogni oggetto con le dita e lo lascia cadere a terra con delicatezza, sorridendo estasiato.
C’è un unico oggetto che lo lascia perplesso, un maialino con una fessura a monetina sulla schiena, un salvadanaio di terracotta.
Quello proprio non se lo ricorda, allora lo lascia sulla mensola insieme agli altri: gli è simpatico, almeno lui non gli ricorda niente.
Ha distrutto ogni cosa in quella casa confortevole, fino a farla sembrare un campo di guerra, ma non ha trovato quello che cercava: dunque torna in sala e spegne le luci.
“Cosa fai, Tommaso?” geme Sbarbato, esasperato dalle pazzie del fratello.
Mentre l’altro metteva a soqquadro il resto della casa ha dissetato sua sorella con l’unico bicchiere sopravvissuto e le ha chiesto scusa.
“A Rosaria fa paura il buio.” risponde Tenaglia, sornione.
E infatti la giovane donna sussulta nell’oscurità.
“Vedi che sei masochista. Quei giocattoli in camera erano per me, vero? Per farmi ricordare della nostra infanzia, e delle debolezze che avremmo dovuto lasciarci alle spalle.”
Rosaria sente i passi di Tenaglia avvicinarsi, chiude gli occhi immaginando che quel buio innaturale sia dato soltanto dallo schermo delle sue palpebre e che in realtà ci sia una luce accesa, da qualche parte in fondo al corridoio.
Non lo sa nemmeno lei perché a trentatré anni abbia ancora paura di una cosa stupida come la conseguenza naturale della rotazione terrestre, e promette a se stessa, nel silenzio dei suoi pensieri, che se sopravvive a suo fratello questa notte d’ora in poi non avrà più paura di niente, tantomeno di un po’ d’ombra sulle scarpe.
Poi lascia che il terrore la inebetisca e tiene gli occhi chiusi, ancora, aspettando un pugno che non arriva.
Sente il rumore di una sedia trascinata, un tonfo e capisce che Tenaglia si è seduto di fronte a lei.
E sa che a suo fratello Tommaso hanno dato questo nome per il modo in cui strozza la gente, ma tra sé e sé pensa che sia soprattutto un riferimento alla sua somiglianza con un grosso granchio che schiocca le chele vicino alla preda, e aspetta.
“Rosaria, capisci bene che se non ti decidi a dirmi dove hai messo la chiavetta a me tocca d’ammazzarti.”
Le parole schioccano ai lati della sua testa piena di lividi ed ematomi.
“No, Tommaso.” mormora Sbarbato, in un punto più lontano, forse appoggiato alla libreria, o in piedi nel corridoio.
“Non importa. Loro la troveranno.” risponde Rosaria, cercando di suonare sicura.
Tenaglia si ravvia i capelli lunghi e il fruscio si spande nell’aria silenziosa, perfettamente udibile: le onde sulla spiaggia.
Poi schiocca la lingua: le chele.
“Già, i tuoi amichetti sbirri. Da qualche tempo sembra che la tua famiglia non conti più nulla per te, sorellina.”
“Proprio il contrario. E’ perché contava che ho deciso di tradire papà.”
Il tono sarcastico e l’altro, traballante ma determinato, dei due gemelli si scontrano nell’aria.
“L’ho sempre pensato che tu non fossi adatta ai nostri affari. Una come te doveva rimanere a Milano a servire nei bar, te lo dico io.”
“E l’avrei fatto, se tu non mi avessi riportato a casa con la forza.”
“L’ho fatto perché ti volevo bene.”
Tenaglia si pente di averlo detto, ma è la verità.
Anche Rosaria sembra colpita e tace a lungo.
“Rosy, dicci dov’è la chiavetta e ti prometto che ti metto su un aereo e ti faccio scappare.” dice improvvisamente Sbarbato, interrompendo la conversazione.
“Tu non la metti su nessunissimo aereo, Giovanni. Lei mi dice dov’è la chiavetta ed è già tanto se la lascio qui ancora viva.”
Un’imprecazione frustrata del fratellastro si mescola alle voci dei gemelli.
“Rosaria, abbi un po’ di buonsenso. Rispondi.” le parole cortesi di Tenaglia stridono con le botte che le ha assestato appena un’ora prima. E’ una gentilezza che non durerà, lo sanno tutti in quella stanza.
“Ti ho già risposto. Il regalo della mamma a...”
“Non me lo ricordo il regalo che ci ha fatto quella troia a sedici anni, Rosaria! E non me ne frega un cazzo!”
Il rumore del cucù li fa sobbalzare.
Sbarbato sorride nella disperazione: l’uccellino ha preso a cuore la faccenda e interrompe Tenaglia appena prima che ricominci con la violenza, lasciandolo attonito di fronte all’avvento della quarta ora passata in quella casa, ancora senza risultati.
“Ho bisogno di dormire, Giovanni. Di riflettere sulla prossima tortura da infliggere a questa povera sorella handicappata.” annuncia Tenaglia a sorpresa.
Sbadiglia e Rosaria sente che s’ alza e si avvia da qualche parte, probabilmente in camera da letto.
“Svegliami tra un’ora, Giovanni.” annuncia in lontananza, con la voce già impastata dal sonno.
Quando Tenaglia inizia a russare Sbarbato cerca a tastoni l’interruttore di una qualsiasi luce e illumina nuovamente la stanza.
La faccia di Rosaria si è gonfiata, e i suoi lineamenti si distinguono a fatica tra i tagli e le tumefazioni.
 “Non fa niente, Giovanni. Ho fatto una cazzata.” Rosaria vorrebbe appoggiare il volto nell’incavo della sua spalla, ma le fa troppo male.
Anche piangere le fa male, eppure non riesce più a trattenersi, così singhiozza rigida cercando di non tendere troppo la pelle ferita tutt’intorno alla bocca.
“Ti prometto che tornerai bella come prima, Rosy.” mormora Sbarbato alzandosi.
Le lava il viso con delicatezza e poi le appoggia una borsa del ghiaccio sulla tempia destra, violacea.
“Sei troppo ostinata. Lo sai che Tommaso è fatto così, non gli importa chi sei se fai parte del suo lavoro.” tenta di spiegare poi, quando entrambi sono un po’ più calmi.
“Io non vi dirò dov’è la chiavetta. Neanche se davvero Tommaso dovesse uccidermi.” replica Rosaria rabbiosamente.
“Lo farà, Rosy. Lo sai com’è fatto nostro fratello.”
“Quello non è mio fratello. Tu sei mio fratello.”
Sembra quasi un normale battibecco ma si parla di vita, di morte e di mafia.
“Va bene così, Giovanni. Ho scelto cosa voglio fare della mia vita, e il nostro clan non è compreso nel pacchetto.”
“Se almeno ti potessi difendere come ai vecchi tempi, potremmo inscenare una qualche fuga. Maledetti gli Aiello che ti hanno distrutto le gambe.”
“Non mi posso difendere perché sono legata come un salame, non perché mi hanno gambizzato durante una rissa, stupido.” risponde Rosaria, con un impeto d’orgoglio.
I suoi occhi, nella maschera di sangue e croste del suo viso, sono limpidi e accusatori.
“Dovresti prendere il telefono e chiamare la polizia, Giovanni. Ecco cosa dovresti fare. Tommaso è pazzo, ucciderà anche te prima o poi.”
Sbarbato ridacchia amaramente.
“Ah sì? E poi cosa faccio quando la polizia viene qui e ci arresta? Il pentito? Neanche il governo li vuole, i pentiti. Allora sì che finirei ammazzato, ma da nostro padre direttamente. Così anche tu. E Tommaso... Non si pentirebbe mai come noi e finirebbe il resto dei suoi anni in prigione. Brava, Rosaria, proprio una bellissima idea.”
“Non è un’idea, è una speranza.” singhiozza la sorellastra, di nuovo sull’orlo del pianto.
“Uno straccio di soluzione a questa vita schifosa. Non esiste solo papà, Giovanni. Esistono anche le nostre vite. Ed esisteva mia madre.”
Sbarbato corruga la fronte.
“Cosa c’entra vostra madre?”
“Tu lo sai di cosa è morta?”
A Giovanni non piace avere una domanda in cambio di un’altra.
“Non è morta. È fuggita.”
“No.”
Rosaria rabbrividisce per quanto concessole dalla lunga corda per il bucato che le è stata avvolta intorno.
“Non è fuggita. E’ morta. E l’ha uccisa nostro padre.”
Sbarbato strabuzza gli occhi, poi assume un’aria comprensiva.
“So quanto le ha fatto male la relazione di papà con mia madre, e il trasferimento forzato a Milano per tenerci al sicuro, ma papà non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Sei solo arrabbiata.”
“Un uomo che ordina ai suoi figli di massacrarsi a vicenda è capace di tutto.”
“Come fai a dire una cosa del genere?” mormora Sbarbato, ancora incredulo.
“Mi ha lasciato una lettera. E nella lettera c’era scritto che non ci avrebbe mai lasciato per niente al mondo, perché voleva portare me e Tommaso via con lei. Io conoscevo mia madre. E conosco papà. Era diventata troppo scomoda da gestire.”
“Non hai le prove.”
“Sì che ce le ho. Papà è un assassino ma si ostina a seguire il suo assurdo codice d’onore. Il mese scorso mi è venuto il dubbio e ho spulciato tutti i registri funebri della Sicilia. La mamma è sepolta a Siracusa.”
Sbarbato vorrebbe essere ovunque, ma non lì.
Si rende conto solo in quel momento dell’orrore in cui sguazza ogni giorno.
“Dio santissimo.”
“Credo che non ti abbia sentito.” risponde Rosaria, amaramente.
Il cucù suona i suoi rintocchi un’altra volta.
“Non svegliarlo, Giovanni.” balbetta la donna terrorizzata.
Sbarbato si alza e lascia il cuore per terra, è troppo pesante.
“Devo.”
E giù altre botte perché Tenaglia si è svegliato incazzato.
Siccome la faccia di Rosaria è ridotta troppo male ha preso a colpirle le gambe.
“Tanto non ti servono più, no?” ha ridacchiato prima di affondare il primo colpo.
Sua sorella si sforza di non urlare, per non dare a suo fratello l’ennesima soddisfazione; ormai Tenaglia non le chiede più manco dove sia la chiavetta, tanto ha deciso che se non la trova dà fuoco alla casa e a Rosaria.
Poi improvvisamente si ferma.
“I regali. I regali di nostra madre erano tutti sulla mensola.”
E quasi corre verso la stanza che ha lasciato pochi minuti prima e osserva ogni oggetto abbandonato a terra, cercando quelli della sua infanzia.
Nelle vecchie scarpine; niente.
Nell’imbottitura dei peluches; niente.
C’è solo un oggetto, nella lunga lista, che non ha mai visto prima di oggi, e che mentre alza da terra tintinna già promettente nella sua mano: il vecchio salvadanaio.
Nient’altro che un giocattolo, infine. Un misero porcellino di terracotta con una fessura per le monete un po’ rovinata, come se qualcuno avesse cercato di infilarci qualcosa di troppo spesso.
Qualcosa come una chiavetta USB?
Tenaglia sogghigna e rompe il salvadanaio con una mano, le schegge schizzano tutt’intorno e lui stringe, trionfante, la salvezza del clan. E l’orgoglio che suo padre continuerà a nutrire per il figlio prediletto.
Quando torna in sala impugnando l’oggetto in mano Sbarbato sospira di sollievo.
Rosaria invece cerca di trattenere il pianto.
“Cara sorellina, questa me la paghi. Per quanto fosse strana, la mamma non ci ha mai regalato un salvadanaio così brutto. A sedici anni, poi.”
“E invece sì. Era per noi, lo sai perché? Voleva che andassimo d’accordo. Voleva che gestissimo insieme quello che ci avrebbe lasciato. Era un regalo simbolico, Tommaso, perché non aveva più niente da darci dopo quegli anni di sofferenza insieme a nostro padre. Era il 3 Giugno del ’94.
Perché quella faccia? Sì, è il giorno che è morta. E’ il giorno in cui papà l’ha uccisa.”
Il gemello aggrotta appena le sopracciglia, prima di riprendere l’espressione soddisfatta e placida di prima.
“Ma brava Rosaria. Vedo che a parte le gambe il resto di te funziona ancora. Ma non è stato lui ad ammazzarla, non si sarebbe mai sporcato le mani per una come lei.”
Tenaglia prende un lungo sospiro, fintamente afflitto, e si porta platealmente una mano alla fronte.
“Era così contenta che fossi andato a prenderla al lavoro, così contenta! Aveva ancora da pulire il bancone ma il gestore l’aveva lasciata andare perchè Tommasino la stava aspettando! Il suo adorato figlioletto! Quello un po’ violento ma, diceva sempre, in realtà buono come il pane! Il figlio che...”
Si avvicina a Rosaria, che si ostina a fissare un bicchiere in frantumi ai suoi piedi per non incontrare quelli del gemello, fremendo di rabbia e dolore.
“Guardami, Rosy, quando ti parlo.”
La donna alza gli occhi maledicendo il laccio che ha intorno al corpo e ascolta il resto del racconto in un crescendo di orrore e odio.
I loro sguardi si incontrano in un lungo istante di silenzio teso allo spasmo.
“Sì, sorellina. L’ho uccisa io.” confessa Tenaglia in un sorriso.
Rosaria usa la poca forza che ha nelle gambe per spingersi in avanti e crolla sul fratello pur se ancora legata alla sedia, buttandolo a terra.
“Ma che cazzo fai?!” urla Tenaglia, gettandola, ancora attaccata alla sedia, lontano da lui.
“Se lo meritava! Aveva chiesto il nostro affido nel divorzio!” strepita, rialzandosi.
“Io ho tentato di farla ragionare, ma lei non mi ascoltava. E allora non potevo fare altro, Rosaria. Se l’era cercata come te la sei cercata tu.”
La sorella, precipitata su un fianco e ancora legata saldamente allo schienale, ascolta il vibrare dei passi di Tenaglia sul pavimento con la tempia appoggiata al tappeto del salotto.
Sbarbato sgrana gli occhi osservando la follia del fratello mangiarsi tutta l’aria intorno e mozzargli il respiro.
“E farai la sua stessa fine.”
Le mani di Tenaglia si posano sul collo di Rosaria e iniziano a stringere, tenendo fede alle sue ultime parole.
Rosaria non può ribellarsi in nessun modo a quella forza senza fine che la inghiotte lugubre.
Quel poco che era rimasto di buono o inviolato nella sua famiglia morirà stanotte.
Sa che sta per morire e vorrebbe pensare ai ricordi più belli, ma anche quelli sono pieni di un’angoscia insopportabile di fronte alla realtà con cui si sta scontrando: i sorrisi comprensivi di Tommaso che celavano un bieco disprezzo; gli ultimi baci di suo padre a sua madre, vuoti e senza risposta.
Morirà per niente, sua madre non sarà vendicata e lei non riavrà la sua libertà perduta; ha sentito che negli ultimi momenti di vita chiunque riesce a trovare un po’ di pace, ma lei non trova niente a cui aggrapparsi.
Ha smesso di dimenarsi e sta aspettando, a occhi chiusi, la sua fine, rassegnata e sola, quando Sbarbato cala un’enorme pentola sulla testa del fratellastro.
Tenaglia rotola a terra, reggendosi la testa, ma non ha perso coscienza.
Sbarbato compone il numero della polizia al cellulare e impreca mentre aspetta che qualcuno risponda, poi comunica frettoloso l’indirizzo senza dare ulteriori spiegazioni e riattacca.
Si fionda su Rosaria che tossisce violentemente, aspirando lunghe boccate d’aria, la slega e la trascina lontano da Tenaglia, che sta ancora ululando di dolore, rotolando a terra.
Si china abbracciando la sorella e impugna la pistola che aveva nella giacca, tremando convulso per ciò che ha appena fatto.
Tommaso Rizzuto ritorna uomo per un attimo e non più mostro, sviene addirittura per qualche minuto; non sembra ma Sbarbato sa piazzare bene i suoi colpi.
E mentre giace scomposto a terra i cocci dei bicchieri sparsi intorno e sotto la sua schiena gli sembrano i ciottoli di una spiaggia dove andavano da piccoli, tutti insieme, ancora in Sicilia. Lui, Giovanni, Rosaria, papà e mamma, ancora tutti insieme.
Era ovvio che il boss del luogo e che la ragazza più bella del paese, Grazia Rissone, morbida di sorriso e fianchi, prima o poi si sarebbero sposati.
Ma era molto meno ovvio che il boss avrebbe costretto la ragazza, ormai donna, a restare insieme a lui anche quando il frutto delle sue relazioni extraconiugali giocava in acqua con Tommaso e Rosaria, e di tanto in tanto chiedeva a Grazia di dargli un biscotto, addirittura rifugiandosi tra le sue braccia quando il fratellastro esagerava a prenderlo in giro e non lo faceva sentire parte della famiglia.
E come poteva, d’altronde? Sua madre -la segretaria ammiccante e sfasciafamiglie di cui tanto si parlava in paese- era acquattata dietro l’angolo, aspettando che Grazia, in qualche modo, sparisse di scena, per prendere il suo posto. Nel frattempo si divertiva a fare l’amante capricciosa, lasciando suo figlio a un’altra donna consapevole del dolore che le avrebbe causato, e godendone intimamente.
Tommaso si accorge soltanto ora, con quel ricordo un po’ immaginato e un po’ sognato, dell’espressione triste di sua madre, seduta sotto all’ombrellone con l’Enigmistica sulle gambe brune di sole e ben tornite.
E’ un uomo e certe cose gli uomini non potranno mai capirle del tutto, ma gli sembra, in un lampo di umanità che non gli si addice da anni, di aver capito perché sua madre volesse divorziare e portarli via con sé da quell’uomo sadico fino allo stremo che le faceva conoscere e accudire il figlio della sua amante, ma che lei amava profondamente, per quanto senza cuore, per quanto pieno di reati alle spalle. E che per questo doveva abbandonare al più presto, per cercare di dimenticare prima che arrivassero le rughe e il desiderio di invecchiare dove era nata.
Si sta perdendo nella sua stessa memoria e niente gli impedirebbe di scivolare del tutto nelle tenebre dell’incoscienza, se non fosse per quel fastidioso suono ritmico che improvvisamente lo disturba.
Socchiude gli occhi per identificarlo e si accorge che è il fastidioso orologio a cucù di Rosaria, allora li chiude un’altra volta e pensa a un modo di riprendere in mano la situazione, perché il pentimento che ha provato è iniziato e finito in un sogno, e adesso è di nuovo incazzato, come ogni giorno della sua vita.
Sente un certo trambusto intorno a lui, e si chiede perché Rosaria e Sbarbato non si siano salvati da lui fuggendo finché era possibile, poi volta la testa lentissimamente e finalmente inquadra Giovanni che fruga tra gli oggetti a terra: sta cercando la chiavetta che lui stringe ancora in mano.
Prima che il suo fratellastro si  volti verso di lui si sta già portando l’oggetto alla bocca, perchè gli va bene finire in prigione soltanto se così può salvare il suo clan.
Ma non si è accorto che Rosaria si è acquattata ai piedi della sua testa e lo sta fissando da quando lui è svenuto, e se la ritrova addosso in un battito di ciglia.
Sbarbato si accorge di ciò che sta accadendo e corre vero di loro, impugnando la pistola; “Fermo o sei morto” dice, e la frase che col tempo ha imparato a dire senza mostrare la sua insicurezza freme come tanti anni prima, quando ancora era appena tornato dagli anni del liceo trascorsi a Milano ed era più avvezzo ai libri di scuola che a un’arma da fuoco.
E infatti Tommaso non gli crede, incassa qualche pugno ma poi getta via, con una sola manata, sua sorella, e finalmente mette in bocca la chiavetta mentre Rosaria, inutilmente, si trascina con le braccia verso di lui e gli si sta buttando un’altra volta addosso.
Quando Sbarbato, un’ora dopo, ripenserà a suo fratello, capirà di non poter scordare mai più l’espressione trionfante che gli ha visto in faccia prima di ricevere un proiettile in fronte.
Non ha pensato neanche per un attimo di rischiare anche di ferire sua sorella, che si agitava sopra di lui, colpendolo allo stomaco o a un braccio; il colpo gli è partito così, dritto e fatale, e non se ne pente.
Il resto dei ricordi che ha di quel giorno si fanno più confusi ogni minuto che passa, mentre lo shock e la tensione accumulati iniziano a stordirlo: sua sorella che guarda Tommaso morto e gli dà del bastardo, ma poi si asciuga rabbiosamente le lacrime, cercando di non farsi vedere da lui; le sirene della polizia, la Crocerossa che arriva poco dopo e vedendo il volto rovinato di Rosaria, e la sua faccia sconvolta, li carica sull’ambulanza.
Spalanca gli occhi stanchi quando, in ospedale, chiede l’ora mentre aspetta su una sedia scomoda che finiscano di medicare e ricucire Rosaria, perché è convinto che sia trascorso un secolo da quando ha sparato a suo fratello e ha smesso di sentire il suono del cucù, e invece sono solo le due del mattino; e allora sorride, perché sei ore prima era entrato a casa della sorellastra per sottrarle una chiavetta USB, e invece adesso si ritrova a porgere la stessa chiavetta al commissario che è venuto a prenderlo, mentre aspetta pazientemente che Rosaria torni bella come prima e che seppelliscano Tommaso.
E mentre pensa a Rosaria finalmente in salvo sorride, e sa che dovranno farsi forza a vicenda, e che non c’è più spazio per inutili definizioni di parentela: forse lui non è nato da una donna generosa e triste come Grazia Rissone, ma Rosaria, d’ora in poi, sarà soltanto sua sorella.
   
 
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