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Autore: xBreathe    27/12/2011    6 recensioni
Ogni giorno migliaia di sogni vengono abbandonati perchè la gente smette di crederci. La stessa cosa succede a Dominique. Sta per abbandonare il suo sogno, crede sia la cosa migliore, finchè accade qualcosa che non si aspettava. Qualcosa che la fa ricominciare a sperare.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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This day I fight - Chapter 1
Angel

"Giorno Angelo" - Dominique era però il mio nome. Starete dicendo: "Che bel nome!", ma io lo odiavo. Era un nome così assurdo; tra tutti i miei avevano scelto proprio quello schifo. Di Dominique ce ne saranno state dieci nel mondo, perchè io la sfigata di quel nome improbabile?! - e così mi ritrovai davanti a casa della mia migliore amica , la mia salvezza, pronta per andare a scuola.
Lei mi chiamava 'Angelo', non so per quale assurdo motivo, aveva preso spunto da qualche libro che le avevo prestato, forse. E lei mi riteneva proprio così, il suo angelo custode. Me lo diceva sempre e si era anche fatta una maglietta con la scritta 'Angel'; era strano, ma lo adoravo da morire.
Come ogni mattina non mancò l'indispensabile abbraccio. Non era un semplice abbraccio, il nostro aveva un minimo di tempo di almeno trenta secondi, sarebbe potuto durare ore intere.
La gente molto spesso faceva commenti spastici o ci guardava in malomodo, ma a noi non interessava. Noi avevamo bisogno di quell'abbraccio, almeno un paio di volte al giorno. Era un  modo per far sentire all'altra che c'eravamo e ci saremmo sempre state; quando mi ritrovavo tra le sue braccia mi sentivo capita, protetta, come se lei potesse sconfiggere ogni male per difendermi. Eravamo come legate da un filo indistruttibile. Era l'unica persona a cui mi aggrappavo per vivere.
Ci allontanammo e condividendo l'auricolare dell'iPod mi chiese, come ogni mattina, la solita domanda: "come stai?" Cercai di sorridere, ma ciò che venne fuori non convinse neanche me. E così le raccontai del sogno.
Secondo lei sarei dovuta essere felice per aver fatto un sogno così bello, si, perchè lei è una di quelle persone che pensano positivo, sempre, qualunque cosa succeda, ma era più forte di me.
Non sono mai stata una ragazza tanto 'sorridi alla vita che è bella'. Sono quasi sempre piuttosto negativa e non mi capita spesso di essere felice. Credo sia una specie di protezione, contro il mondo, perchè ho sempre paura di illudermi e cerco di aspettarmi tutto, di rimanere impassibile davanti alle delusioni, ma nel profondo, alla fine è come se ci avessi creduto. Ogni tanto qualcuno mi dice che sono una ragazza particolare, diversa dalle altre.
Questo non è sempre un bene, però.
Decisi di non parlare più di nessun sogno, sarebbe stato tutto inutile.
Arrivai davanti alla mia classe e la salutai, iniziò così l'incubo.
Ero in prima superiore, in un liceo che non avevo scelto io e con i compagni che non avevo la forza di sopportare; quella classe era incise da profonde differenze: c'erano i due secchioni, gli sfigati, il ragazzo gay, il palestrato e i morti di fame che sbavavano dietro a Caroline. Lei era la più grande, era stata bocciata per tre anni e si vantava della sua provenienza londinese. Non la reggevo, anche se ci avevo parlato probabilmente solo due volte dall'inizio dell'anno. Poi c'ero io, quella che amava persone che non sapevano neanche della mia esistenza e per questo molti di loro pensavano fossi pazza. Non capivano.
Salutai il mio compagno di banco, Federico, l'unico che mi faceva ridere quando ne sentivo il bisogno, e dopo quel breve momento di vita nella realtà, continuai a viaggiare nel mio mondo, mentre Same Mistakes risuonava nella mia testa, finchè entrò la prof di storia.
Dopo le cinque e infinite ore di scuola passate a scrivere frasi o pensieri assurdi su ogni dove, ritornai a casa, intenta a prepararmi per catapultarmi alla lezione di danza. La musica risuonava come sempre nelle mie orecchie. Mi fermai, riportando la mente al sogno e pensando a quanto sarebbe stato bello realizzarlo, a tutte quelle persone che avevano avuto la possibilità di vederli, abbracciarli, agli sguardi che avrei voluto ci fossero. Ma chi volevo prendere in giro? Ero solo una sfigata che viveva in un posto indecente in mezzo al nulla. Sognavo ancora di incontrarli? E soprattutto speravo mi notassero in mezzo ai 7 miliardi di abitanti sulla Terra? Era assurdo, forse era meglio smettere di crederci, di pensarci.
Il mio flusso di pensieri fu interrotto da un messaggio di Luna (invidiavo tantissimo il suo nome) - la mia migliore amica - che diceva:"Non reggo più questa vita, prendiamo un treno, destinazione non definita, ho bisogno di andarmene. Ti prego, ho bisogno di te".
Com'era possibile che lei, proprio quella ragazza con sempre il sorriso stampato in faccia, sempre pronta a trasmettere felicità, ora avesse questo improvviso getto di ribellione nei confronti del mondo?
Senza pensare due volte alla lezione di danza e ai compiti per il giorno dopo le risposi: "Tra dieci minuti alla stazione".
Precisa come un orologio la vidi arrivare con le lacrime agli occhi. Non l'avevo mai vista in questo stato, mi straziava il cuore. Appena mi scorse tra la gente, iniziò a correre e mi saltò addosso in uno di quei nostri abbracci. Rimanemmo così, semplicemente abbracciate per qualche minuto. Quando sciolse l'abbraccio, la guardai negli occhi.
Aveva qualcosa che non avevo mai visto e pensavo di poter mai vedere addosso a lei: tristezza, mancanza di speranza. Da quel magnifico verde che le illuminava il viso ogni giorno, i suoi occhi si erano spenti, lasciando posto a un grigio cupo.

"Che succede?" le chiesi.
"Andiamo, ti racconto dopo". Così la trascinai verso la biglietteria. Chiesi due biglietti per il primo treno che sarebbe partito. Non sarebbe potuta andarci meglio: una breve gita a Milano.
Salimmo sul treno e la guardai implorando una spiegazione.
Guardò fuori dalla finestra il paesaggio che scorreva e disse: "Sono appena uscita dall'ospedale".
Mi stavo preoccupando.
"Cos'è successo? Luna, parla!"
"Mio padre è ritornato dentro a quello squallido posto. Sembrava si fosse ripreso, ma evidentemente non è così. Sembra qualcosa di mai visto, ma i medici non sanno ancora dire quanto sia grave" si asciugò una lacrima "e per di più mia madre continua a dirmi cosa devo fare, chi devo essere, nota ogni errore e non fa altro che farmi sentire inutile, ma lei non ha capito che la perfezione non esiste. Vorrei prendere un aereo e andare ben più lontano di Milano, ma non oserei mai lasciarti qua a morire da sola in questo inferno di vita".
Non sapevo cosa dire, suo padre aveva avuto un tumore circa un anno prima, l'avevano rimosso e quel giorno lei era come rinata con lui; ora però si era ripresentata la stessa situazione.
Non osai dire una parola.
La attirai a me e le feci appoggiare la testa sulle mie gambe. Rimanemmo così fino a destinazione, senza dire una parola, che probabilmente non avrebbe espresso nulla di sensato. Speravo solo avesse capito una cosa: sono qui per te, amica mia.
"A volte vorrei solo che il mio sogno si realizzasse; il nostro sogno. Alla fine non credo di chiedere tanto. Ce lo meritiamo" mi disse. Sapevo benissimo a cosa si riferiva.Voleva solo incontrare quelle persone che tanto amava quanto me.
"Lo so, Luna, lo so".
"Grazie per aver lasciato tutto ed essere venuta qua con me. Ti devo tutta la vita, Demi, tutta".
Le sorrsi, mentre ci incamminavamo verso il centro di quella bellissima città. Non avevamo intenzione di comprare nulla, anche perchè eravamo delle fuggitive senza un soldo in tasca. Avevamo solo bisogno di un'altra aria, di staccare la spina per qualche ora.
Il tempo non prometteva nulla di buono e presto iniziò a piovere. Noi, scappate di casa, non avevamo nulla per ripararci.
Senza motivo mi prese per mano e iniziammo a correre, come delle pazze, correre per liberarci, correre per dimenticare. Lei rideva, sembrava tornata la ragazza felice della mattina prima. Risi con lei. Era una bella sensazione, sembrava di correre verso l'infinito.
In quel momento sarebbe potuta avvenire l'Apocalisse, non ci interessava. Eravamo delle anime libere, nessuna paura, nessun pensiero. Completamente libere.
Finchè andammo a sbattere senza pietà su due ragazzi di un piccolo gruppo. Stavamo per cadere, persi la sua mano e mancava così poco al contatto con l'asfalto.
Due braccia mi strinsero la vita ed evitarono la caduta. Persi il contatto con il mondo esterno.
Sentii un brivido lungo la schiena. Avevo il cuore che batteva a mille, ero incredibilmente vicina a quel ragazzo e la pioggia incessante continuava a scorrere sui nostri corpi.
Alzai lo sguardo e mi sentii morire di felicità quando vidi il viso del mio angelo custode.

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Per prima cosa scusatemi per il papiro che ho scritto, ma non mi sono resa conto fosse così lunga uù
Poi volevo precisare che Dominique è un nome che amo tantissimo, ma rendeva la protagonista brontolona fin dall'inizio e mi piaceva AHAHAH
Questo capitolo è stato difficile, l'avrò cancellato una cinquantina di volte, ma ora sono soddifatta. So che parla più della mia migliore amica che dei One Direction, ma era un passaggio obbligatorio per arrivare poi alla storia vera e propria.
Infine volevo ringraziare le persone che hanno recensito nel prologo, mi avete riempito di felicità, grazie mille :3
E grazie anche alla mia migliore amica, che è stata una fonte d'ispirazione perfetta.
  
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