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Autore: Akuma    12/08/2006    2 recensioni
L'unica cosa che conta è uccidere. L'unica vita importante è la propria. Il cuore nascosto da strati di ghiaccio puro, per non cadere vittima di sofferenza, angoscia e follia.
"Hai dei bellissimi capelli."
Genere: Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Freezer, Nuovo personaggio, Zarbon
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo I

Capitolo V - Essere come gente comune, speranze e sorrisi


Mi ha privato del mio cuore, di me, di sé stessa e di tutto il mondo.

Non ho più avuto potere su me stesso, né sono stato più mio

dal momento in cui mi ha lasciato guardare nei suoi occhi, in uno specchio.

Specchio, da quando mi sono guardato in te

mi hanno ucciso i sospiri dal fondo dell’animo,

e mi sono perduto così come fece il bel Narciso nella fonte.

-Bernart de Ventadorn-


Era cambiata. Aveva cominciato a parlare di più e a regalare al suo viso nuove espressioni che non fossero rabbia, rancore e odio. Ma quel sorriso... quel sorriso perfetto non l’avrebbe mai più visto. Non credette di dargli troppa importanza, dopotutto erano insieme ora, anche se per una missione che prima o poi sarebbe terminata, ma erano insieme.

Quell’agglomerato di alloggi era grande almeno quanto un palazzo. Quando uno staffiere gli consegnò la scheda magnetica per accedere alla stanza, lanciò a Niime un’occhiata interessata.

- Oh, signorina, scommetto che con un bagno caldo e un bel vestito, sarebbe splendida...- fece per cominciare.

- Gira al largo, pidocchio!- esclamarono i due guerrieri, involontariamente all’unisono. Si voltarono di scatto l’uno verso l’altra, con uno sguardo stranito, mentre l’alieno strisciava via impaurito.

- So uccidere da sola, grazie!- fece lei con stizza, strappandogli la scheda laser e dirigendosi verso i corridoi - Non vorrei esagerare, ma adesso stiamo cadendo proprio nel ridicolo!- aggiunse, tra sé.

Zarbon trotterellò accanto a lei, sornione.

- Ma si può sapere che hai da sorridere tanto?!- domandò infine l’altra, spazientita.

- Mi hai detto grazie.- rispose lui, con tutta naturalezza. Niime socchiuse gli occhi con una smorfia.

- Non era un grazie vero, idiota! Io non dico mai grazie!- esclamò, cominciando ad irritarsi sul serio.

- L’hai detto tre volte nel giro di dieci secondi.- disse Zarbon senza smettere di sorridere. Niime si voltò di scatto verso di lui, dopo aver passato la scheda laser all’interno della porta della stanza.

- Adesso basta! La mia pazienza non è infinita, perciò finiscila subito di comportarti da moccioso e taci! Non mi diverto per niente in tua compagnia se non ti posso ammazzare!-

Ed il tutto si concluse con un violento sbattere della soglia.


Si distese sul giaciglio della propria stanza.

Niime era decisamente un tipo poco tranquillo, ma in quel luogo in cui il tempo si era quasi magicamente cristallizzato, in cui Freezer non esisteva ancora, il mondo per lei aveva assunto tinte differenti.

E senza dubbio anche per lui. Lontano da quel luogo gelido che col tempo aveva imparato a chiamare casa, era quasi come se il giogo al collo si fosse lentamente allentato, come se si potesse permettere di vivere un’esistenza comune, perlomeno nel sonno.

I suoi pensieri furono brutalmente scossi dal colpo deciso con cui la porta si spalancò e Zarbon per l’ennesima volta abbandonò le proprie considerazioni per incontrare gli occhi cupi di Niime fissarlo come pugnali.

- Che... che cosa ci fai qui?- tentò di dire, coprendosi con il lenzuolo alla meno peggio il corpo solo allora scopertosi nudo. I lunghi capelli bagnati e sciolti aderirono repentinamente alla propria schiena muscolosa, una volta che si fu messo a sedere, ma la compagna non diede cenno d’esserne distratta, dal momento che non distolse lo sguardo duro dai suoi occhi d’oro.

- Hai preso abiti nuovi da quella bottega. Dammeli.- gli intimò in tono perentorio. Il guerriero si legò come poté il lenzuolo in vita e si mise in ginocchio sul materasso.

- Accidenti! Non sai bussare?!- rispose bruscamente, esordendo in un basso rimprovero.

- Ho bussato, ma queste porte cedono facilmente.- replicò lei, con un’alzata di spalle.

Zarbon fece per controbattere di nuovo a tono, poi considerò l’inutilità di un’eventuale protesta, così sospirò indicando con un cenno del capo gli indumenti appoggiati su uno sgabello.

La porta si richiuse da sola, mentre la ragazza si avvicinò alle stoffe, esaminandole. Il guerriero dagli occhi d’oro scosse la testa nel notare che la ragazza portava solamente una misera fascia a coprirle il seno ed a bendarle le ferite sulla schiena, e un paio di shorts che ormai erano ridotti ad uno straccio.

Niime aveva intrapreso l’ardua missione di cercare di comprendere il complicatissimo funzionamento di un corpetto.

La raggiunse, sfilandole con grazia dalle mani quell’affare sconosciuto.

- Credo che questo non ti servirà.- disse.

- Che roba è?- domandò l’altra in tutta risposta.

- Si mette qui.- le mostrò la fascia addominale - Però per le tue ferite non è una buona idea, non ho nemmeno visto ciò che ho preso... ci dev’essere ancora qualcosa.- frugò tra le stoffe e ne estrasse una strana maglia nera che avrebbe coperto l’intero busto, lasciandole scoperto il ventre e le cui maniche erano rappresentate da delle spirali che si irrigidivano a contatto con la pelle dell’indossatrice. Niime la prese tra le braccia, cercando di individuare il verso.

- E questa.- lui le tese una sorta di minigonna viola con in abbinato degli stivali neri che le sarebbero arrivati sin quasi all’inguine.

- E io dovrei mettermi questa roba!? Possibile che non ci siano delle battle suites in questo stupido posto?! E poi... - fece per cominciare lei, indignata.

- A meno che tu non preferisca questo.- Zarbon sciolse dall’involucro un abito da sera, lungo e con dei vistosi pizzi bianchi un po’ dovunque. La ragazza non rispose, solo spalancò gli occhi di fronte a quel qualcosa dal gusto decisamente orribile.

- No.- disse infine, rinunciataria.

- Forse è meglio che ti sciacqui le ferite alla schiena, prima che...- ma Niime lo frenò con uno sguardo duro. Non parlò, si limitò a fissarlo dal basso, lasciando che calasse il silenzio.

Stava forse preoccupandosi per lei? Oppure stava ostentando una falsa condiscendenza, com’era solito fare nei confronti di Lord Freezer?

- Faccio da sola.- tagliò corto infine, voltandosi in un lampo.

- Aspetta!- nel tentativo disperato di non lasciarsela scivolare dalle mani, le poggiò pesantemente e distrattamente una mano sulla schiena. A quel contatto Niime sussultò e si accasciò fulmineamente al suolo, lasciandosi sfuggire gli abiti dalle braccia.

Rimase stretta sulla ginocchia, con gli occhi sbarrati e i denti stretti, cercando di sopportare di nuovo quel dolore pulsante.

- Niime!- le fu subito accanto, poggiandole più delicatamente che poté una mano sul collo. La ragazza si sentì mancare, il colpo appena ricevuto le aveva riaperto le ferite. Era già molto debole per via di tutto il sangue che aveva perso, anche se non voleva darlo a vedere, le serviva assolutamente altra linfa.

- Zar...- non riuscì a pronunciare per intero il nome del compagno, lo guardò con gli occhi socchiusi, prima che la fitta divenisse ancora più pungente da farle serrare di nuovo i denti.

L’altro la sostenne per la vita per quanto poté e la fece immediatamente adagiare prona sul letto, mentre le slacciava la casacca a fascia e lasciava scoperti gli squarci.

Ebbe un sussulto, non appena vide le cicatrici mai richiusesi. E come un flash la sua mente si trovò sul pianeta precedente a guardarle grondare, la carne lacerata.


Si adagiò al giaciglio, tenendole la mano che alla fine si era riscaldata, segno che andava tutto meglio.

Certo, era un po’ debole, ma il riprendersi non sarebbe stato un problema e poi il taglio che si era procurato era superficiale.

Sperava solo che Niime riaprisse presto gli occhi. Non perché avevano a disposizione poco tempo, quello non gli importava, ma perché desiderava scrutare dentro le sue iridi vermiglie, che probabilmente non l’avrebbero perdonato, ma gli sarebbe bastato per rassicurarsi del fatto che non c’era più nulla da preoccuparsi.

Infatti lei era così placidamente addormentata, la sua espressione era quasi placida, marmorea, glaciale. Era talmente immersa nel sonno da non accorgersi nemmeno della stretta che Zarbon le premeva alla mano, nell’attesa.

Impensabile, sentiva nel petto un opprimente senso di preoccupazione, come mai.

A tratti inverosimile, chiudendo gli occhi si vide lontano mille miglia, come un piccolo perverso puntino su un piccolo metallico pianeta, silenzioso, non più un guerriero alle dipendenze di Freezer.

Ripercorse il proprio passato, non scusandosi, trascendendo da ogni visione d’inferno, da ogni sicura condanna, da ogni anima che l’avrebbe perseguitato dopo la morte.

L’unica cosa certa era che Niime non gli aveva lasciato la mano, che lentamente aveva aperto gli occhi, sentendosi molto meglio, come se avesse bevuto nuovo sangue.

Fece per alzarsi, quando la sua lenta azione si trasformò in un repentino scatto a sedere alla vista del taglio sull’avambraccio del compagno.

- Ma che diavolo...??- gli afferrò il braccio e gli alzò la manica dell’indumento che nel frattempo aveva indossato, scoprendo che non era ancora cicatrizzato - Perché l’hai fatto!?- esclamò, piantandogli in faccia le sue acuminate lame scarlatte.

- Che domanda è?- ribatté lui, aggrottando lievemente le sopracciglia - Altrimenti non saresti mai tornata in forma.- cristallino.

- Ma così tu...-

La replica di lei fu sedata con non troppa gentilezza: Zarbon le tappò la bocca con l’altra mano.

- Io sto benissimo. Mi ci vogliono meno di un paio d’ore per riprendermi del tutto.- alzò le spalle.

- Tu sei pazzo...- la voce di lei, dietro il suo palmo, gli procurò un leggero solletico.

- Sarà, ma farti bere il mio sangue era l’unico modo per salvarti. E poi te lo dovevo, dato che tu poco fa hai salvato me.- lo pronunciò senza riconoscenza, senza gentilezza, quasi come a voler chiudere un fastidioso conto che altrimenti l’avrebbe oppresso.

Ma Niime comprese bene ciò che significava, e sospirò.

Si guardarono di nuovo negli occhi, e mentre lei fissava il suo squadrato volto d’uomo si trovò a considerare che era la terza volta in tutta la sua vita che le capitava di perdere le parole. Ed ogni volta colui che aveva avuto dinnanzi era stato Zarbon che, così vicino, poteva quasi sentire il proprio calore, il proprio sangue fluire e correre impazzito nel corpo di Niime. Essere dentro di lei.

- Grazie.- un sussurro improvviso, unito da una ferrea stretta all’avambraccio, lo costrinse a tornare a rivolgere il proprio sguardo alla compagna.

In un primo momento, irrimediabilmente, lui spalancò gli occhi, poi fu come se il respiro di Niime l’avesse sfiorato interamente ed un senso di calma e tranquillità lo invase.

E per un attimo la visione, il miraggio d’essere nient’altro che anime si cristallizzò.

Ghiacciato ed immobile, fragile come specchio, riuscì a scorgere quel posto nel petto di lei che non aveva mai visto luce. Fu un istante, fu un abbaglio, fu l’immenso.


- E’ questo il posto?- domandò, guardandosi attorno.

- Quegli alieni hanno parlato di un imperatore e questa è la sede centrale.- rispose Niime, fluttuando lungo le lastre di metallo trasparente, scrutandone l’interno.

- I pianeti pacifici sono così noiosi e eludibili.- il guerriero indicò una stanza blindata al centro della quale stava un trono simile a quello di Freezer, e su di esso un essere rugoso e dall’aria pacifica.

Niime sfondò la parete con un pugno, arrivando direttamente alla stanza blindata, uccidendo in un solo colpo le decine di sentinelle di guardia che nell’immediato tentarono di riversarsi a proteggere il sovrano, ma Zarbon lo raggiunse in fretta, senza difficoltà e con una mossa rapida gli puntò una lama d’energia alla gola.

- Di’ ai tuoi sudditi di non opporre resistenza e di lasciarsi uccidere.- intimò con rabbia ferina.

Poi, il buio.


Le iridi dorate si mostrarono ancora una volta all’universo nero.

I suoi pensieri si riformarono subito, non appena toccarono terra di nuovo.

Il quarto pianeta. Una distesa infinita che non aspettava altro che loro per essere macerata ed annientata.

Il ricordo dell’ultima battaglia gli riaffiorò alla memoria come ultimo pensiero razionalizzato prima del sonno indotto della navetta. Assurdo come il senso della solidarietà fosse così forte negli animi degli alieni che avevano appena massacrato; si erano fatti ammazzare tutti per salvare il loro re, senza remore, per la patria e per l’onore.

Inutile dire che ogni resistenza era stata vana: lui e Niime non avevano risparmiato niente.

Nessuno era rimasto vivo: Freezer voleva lo sterminio. E sterminio era stato.

Sospirò pesantemente, ancora all’interno della navetta, poté scorgere il volto di quel caratteristico pallore spettrale del fantasma della morte. Niime.

La fissava con occhi vuoti. Era bella quando dormiva. Come se fosse esanime. Aveva compreso da poco perché necessitava di tutto quel sangue: le serviva per potersi trasformare. Ne aveva perso a litri pochi giorni prima... per lui, forse guidata da ciò che molti chiamano cuore.

E l’unica cosa che in quell’istante fu in grado di fare fu scoprirsi a sorridere, un sorriso accennato, non volgare, non crudele. Semplice.

Il corpo immobile della ragazza era adagiato al proprio, sul largo sedile della capsula sferica che li trasportava attraverso lo spazio. Nel silenzio ovattato rotto solo dal rombo smorzato del motore, Zarbon fu sicuro di percepire delle ritmiche risonanze nel cervello.

Guidato dall’istinto e dall’orecchio, poggiò una mano sul petto di Niime e poté concretizzare il proprio sentore: il suo misterioso muscolo cardiaco macinava il sangue ad un ritmo surreale, intenso.

Insinuò le dita sotto la corazza, facendosi largo sul seno di lei, pieno e dall’odore inconfondibile, e spaziò sul suo tornito involucro di pelle finché gli occhi di quell’intemperante color porpora si aprirono di scatto e lo fissarono con l’espressione di ghiaccio degna della rabbia di Freezer.

   
 
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