“MERĪ KURISUMASU!”
20 NOVEMBRE
Ogni città, piccola o grande che
sia, si trasforma
durante le feste di Natale. Acquisisce quell'aria magica tipica di
quel periodo.
Tokyo non era da meno. Da pochi giorni si erano iniziati
a vedere i primi segni dell'imminente arrivo della
festività: gli
alberi spogli lungo i viali erano stati completamente rivestiti di
luci colorate e i negozi addobbati a tema; facendo così
diventare la
capitale ancora più luminosa di quanto non fosse
già. Era uno
scenario fantastico, sopratutto per chi vi assisteva per la prima
volta.
E questo era il caso di Giulia. Ormai erano nove mesi
che si trovava lì a Tokyo, ma ad uno spettacolo del genere
non era
preparata. Anche perché era abituata alle luminarie della
sua città:
un piccolo comune italiano; quello per lei era tutto un altro mondo.
Ultimamente, quando usciva per delle commissioni, rimaneva spesso
impalata sul marciapiede a guardarsi intorno meravigliata. E
ciò le
causava sempre una strigliata da parte del suo capo, dato che ci
metteva una vita a rientrare a lavoro.
Quel giorno non era da meno. Si era trattenuta fuori più
dei dieci minuti che le erano stati dati per andare a comprare alcune
cose al Konbini. E se non fosse stato per Kazuki, il suo capo, che le
aveva telefonato due minuti prima sbraitandole nell'orecchio
–
rischiando per di più di romperle un timpano – che
se entro tre
minuti non si fosse ripresentata al bar le avrebbe ridotto
drasticamente lo stipendio, starebbe ancora piazzata davanti la
vetrina di addobbi natalizi immersa nel vitale – dal suo
punto di
vista – dilemma che la stava affliggendo da lì a
una settimana: di
che colore agghindare il locale. Era stato affidato a lei il compito
di decorarlo – dopo essersi prostrata ai suoi piedi come se
fosse
stata una questione di vita o di morte, costui non era riuscito a
dirle di no – e così si era imposta di fare la
cosa in modo
impeccabile. Il suo motto era: “Se le cose bisogna farle,
allora
devono essere fatte per bene!”.
Ora
si trovava a zigzagare come un fulmine tra la folla, cercando di non
trascinarsi dietro nessuno, nel disperato tentativo di arrivare in
tempo. L'aria gelida di quel pomeriggio le sferzava la parte
superiore del viso che non teneva avvolta nella sciarpa rosa.
Controllò l'orologio al polso. Mancava un minuto: poteva
ancora
farcela. Riusciva a scorgere in lontananza l'insegna del bar
riportante la scritta “ほうき星”:
“Hōkiboshi”,
cioè “Cometa”.
Strinse i denti e accelerò per compiere quegli ultimi metri
che la
dividevano dalla meta. Dopo aver rischiato di travolgere una signora
anziana che si era ritrovata improvvisamente davanti, si
lanciò
verso la porta che spalancò con impeto, facendo irruzione
nel
locale. Venne investita da un tepore piacevole che iniziò a
propagarsi lentamente per il corpo. Gli zigomi, già rossi
per la
corsa e per il freddo, si fecero ancora più accesi. Le iridi
nocciola saettarono all'orologio appeso al muro, sopra la porta che
dava in cucina. Un sorriso soddisfatto le increspò le labbra
sottili
mentre ansimante sollevò le braccia in aria.
-
Yatta!
- esultò incurante della presenza di alcuni ragazzi seduti
ad un
tavolo che sorrisero divertiti. Ormai i clienti consueti erano
abituati agli atteggiamenti strambi della ragazza. Ma non ebbe il
tempo di godersi appieno quel momento di gloria perché
ricevette una
manata alla testa.
-
Baka!
- la insultò una voce maschile alle sue spalle. Giulia si
voltò
massaggiandosi la parte lesa. Davanti a lei incombeva un ragazzo moro
che la osservava minaccioso: il suo capo, Kazuki Himura. Aveva due
anni in più di lei e il locale era di sua
proprietà. Gli occhi neri
dal taglio orientale stretti in due fessure la fissavano spazientiti.
La ragazza indietreggiò di un passo intimidita. - Quando ti
dico
dieci minuti, non significa che ne hai altri dieci di bonus... - la
rimbeccò – e non provare a tirar fuori la scusa
del quarto d'ora
accademico! - la zittì prima che potesse emettere alcun
suono.
Lei sbuffò e mise il broncio – Ma Hicchi... - il
diretto interessato ringhiò pericolosamente nel sentirsi
chiamare in
quel modo: odiava quel soprannome, ma sembrava che a lei piacesse un
mondo - ho tardato per una cosa importante... - cercò di
giustificarsi – mi sono fermata a vedere una vetrina che
vendeva
degli addobbi natalizi veramente graziosi... -
- Ti prego... risparmiamelo! - la interruppe bruscamente
decisamente seccato ritornando al suo posto dietro il bancone del
bar. Era da quando le aveva dato il permesso di occuparsi della cosa
che ne parlava in continuazione. Non ne poteva più.
- Solo che li avevano sia blu che rossi e ho iniziato a
riflettere quale colore starebbe meglio qui dentro... -
continuò
imperterrita.
-
Chotto
matte...
- la interruppe di nuovo – Hai perso tutto questo tempo a
fissare
una stupida vetrina? - chiese tra l'adirato e l'incredulo –
Ma ti
pare normale?! Non puoi lasciarmi da solo! Come faccio a gestire
tutti i clienti? E' per questo che ti ho assunta! - sbottò
stranito
- E poi da quand'è che sai riflettere? - la
schernì incorporandovi
l'espressione più sorpresa che potesse fare –
Pensavo che per te
fosse un optional di cui non sei stata dotata! -
- Hicchi! - esclamò lei contrariata e offesa – Me
ne
sono andata adesso perché c'erano solo i ragazzi! - si
difese
indicando i cinque giovani seduti al tavolo – E non mi sembra
che
sia entrato nessun altro! Tra l'altro in dieci minuti quanta gente
pensi che possa arrivare? -
-
Sono venti
i
minuti! E piantala di chiamarmi in quella maniera! - sibilò
lapidario fulminandola con lo sguardo – E poi portami
rispetto...
sono sempre un tuo senpai!
-
-
Demo...
ci conosciamo da otto mesi ormai... - provò a replicare.
- Questo non cambia le cose! Non ti ho mai dato il
permesso di darmi così tanta confidenza! - le
ricordò – E falla
finita di startene lì impalata a parlare di cose frivole...
hai già
perso troppo tempo... rimettiti subito a lavoro! -
- Sei crudele! - si lagnò dirigendosi con passo
flemmatico a recuperare il grembiule nello sgabuzzino – E
comunque
non mi hai detto quale colore preferisci per le luci! - riprese il
discorso una volta riemersa in sala.
- Non... mi... interessa! - scandì parola per parola in
modo da chiudere lì il discorso.
La
ragazza lo guardò crucciata per alcuni secondi, poi
afferrò un
vassoio e si diresse infastidita al tavolo dei giovani studenti
–
indossavano tutti la gakuran
- a
recuperare le tazze vuote sporche di cioccolata.
- Rosse! - proferì uno dei giovani dai capelli biondi
ossigenati regalandole un sorriso.
Giulia restò con la tazza sollevata a mezz'aria e
un'espressione ebete sul viso – Eh? - chiese non avendo
capito cosa
intendesse l'altro.
- Kataoka-kun sta parlando delle luci... - spiegò
quello seduto di fronte, i capelli cortissimi, castani.
- Oh! Quindi, Sadacchi, pensi che rosse siano meglio? -
domandò lei di nuovo di buon umore, ma mantenendo il tono
basso per
non rischiare di farsi sentire dal capo. Era contenta che qualcuno le
desse corda, parlare con l'altro era come parlare con un muro.
Quello affermò deciso con il capo.
- Io le preferisco blu! - si intromise un terzo; era
moro, la corporatura robusta.
-
Demo,
Ibu-kun, blu non sono molto natalizie... vanno bene per le luminarie
esterne, qui ci starebbero meglio le rosse! - disse Kataoka.
Quello ci pensò su un po', poi dovette ammettere che
l'amico aveva ragione.
- Credo che allora opterò per le rosse! Magari potrei
aggiungerci qualcosa di oro... e potrei comprare anche qualcosa sul
verde... - iniziò a ragionare la ragazza.
- Potresti fare anche un albero. - propose il ragazzo
seduto di fronte a Kataoka.
- Mitsuwa-kun ha ragione! Sarebbe fantastico! - lo
assecondò il vicino dai capelli tinti sul rosso.
Alla
ragazza si illuminò il viso – Etto...
in effetti mi piacerebbe un sacco poterne fare uno... - gli occhi le
brillavano – magari potrei metterlo nell'angolo
laggiù... - con il
dito indicò il punto – Ora che ci penso, ho visto
delle palline
rosse e oro davvero belle, proprio l'altro giorno. - si
ricordò,
l'entusiasmo che andava incrementandosi – E potrei usare
dell'ovatta per fare la neve finta da appoggiare sopra il davanzale
delle vetrate... - il sorriso che le stava illuminando il viso si
sciolse poco dopo - demo
non so se Hicchi me ne darà la possibilità! - il
suo umore le era
tornato sotto le suole delle scarpe.
- Non c'è mica bisogno che glielo dici! - intervenne il
ragazzo che era restato in silenzio fino a quel momento, aveva la
carnagione più scura degli altri, gli occhi marroni e i
capelli neri
leggermente lunghi – Credo che Himura-san se la sia presa
perché
lo tormenti ogni cinque minuti. - spiegò, l'altra
chinò il capo con
aria colpevole – Prova a fare da sola, sono sicuro che
riuscirai a
fare un ottimo lavoro. Le idee che ci hai detto adesso non erano
niente male! - concluse facendole l'occhiolino.
-
Arigatou
Mitsu-chan!
- gli sorrise riconoscente.
- E se hai bisogno di qualche consiglio chiedi pure a
noi... - suggerì il ragazzo dai capelli rossi –
Tanto veniamo qui
un giorno sì e l'altro pure! -
-
Hide-chan... - mormorò lei prima di mordersi il labbro
inferiore.
Quei cinque le erano stati simpatici fin dal primo momento che li
aveva conosciuti. L'avevano molto aiutata con la lingua e ad
ambientarsi, nonostante fosse di ben otto anni più grande.
Era
felice di averli conosciuti. - Minna...
siete davvero dei bravi ragazzi! - esclamò, gli occhi lucidi.
Con il calare della sera, nonostante fosse
ancora pieno
pomeriggio, e l'irrigidirsi della temperatura, il bar iniziò
a
riempirsi e la ragazza dovette immergersi completamente nel lavoro.
Ogni tanto, fra un'ordinazione e l'altra, si fermava dai ragazzi che
si erano proposti di aiutarla a fare una lista delle cose di cui
aveva bisogno e anche di andare a comprarne alcune, dato che per lei
era impossibile non potendo lasciare per molto il locale. Una volta
terminata, prima di andarsene, le promisero che avrebbero iniziato a
portare le prime cose l'indomani pomeriggio, subito dopo la scuola.
Era felicissima. Nonostante non sarebbe tornata in
Italia per le vacanze, sembrava che potesse festeggiare comunque il
Natale lì. I suoi parenti ci erano rimasti male quando aveva
riferito loro che non sarebbe tornata. Per non parlare delle sue
amiche. Ma non poteva farci niente. Aveva promesso a Kazuki che
l'avrebbe aiutato sotto le feste: il bar sarebbe stato chiuso solo il
giorno di Natale e di Capodanno. Non poteva certo lasciarlo da solo.
E poi, in fondo, era meglio così.
Il sorriso solare che aveva avuto fino a quel momento
sul viso andò scemando. Restò ad osservare il
tavolo che stava
pulendo, immersa nei suoi pensieri. I clienti se ne erano tutti
andati data l'ora tarda. Spostò lo sguardo fuori la vetrata.
A
sinistra vi era la strada illuminata dai lampioni e dai fanali delle
auto che sfrecciavano. Anche lì gli alberi erano stati
ricoperti di
luci blu. A destra vi era la piazzetta, con al centro una grande
aiuola e una fontana che di giorno zampillava acqua. Lo spiazzo era
attraversato ogni tanto da qualche passante: probabilmente gli ultimi
lavoratori che si erano attardati in ufficio e adesso si affrettavano
a rincasare.
Scosse la testa e si diede mentalmente della stupida.
Aveva promesso che non ci avrebbe più pensato. Era
difficile, ma ce
l'avrebbe messa tutta. “Accidenti! Proprio adesso che ero su
di
giri... mi son rovinata la serata!” pensò
sospirando affranta.
-
Ano...
- mormorò una voce alle sue spalle che la fece letteralmente
saltare
e gridare. Immersa com'era nei suoi pensieri non aveva minimamente
sentito il campanello della porta suonare e quindi il cliente
entrare. Si portò una mano al petto. Il cuore le martellava
per lo
spavento. - Gomen
nasai!
- sentì la voce scusarsi, ma percepì anche delle
risatine. Imprecò
tra se e sé e arrossì per la figuraccia. Si
girò con il viso in
fiamme, cercando di sorridere come meglio poteva. Da una parte
sperava che colui che stesse sghignazzando di lei si strozzasse con
la sua stessa saliva. - Iie...
daijō...
- le parole le morirono in bocca. Rimase a fissare i clienti per
alcuni secondi incredula. Poi avvampò –
peggiorando la tonalità
del viso - e un mugolio sorpreso le uscì dalla gola.
Notò gli
sguardi perplessi dei cinque ragazzi e cercò di dire
qualcosa di
sensato, ma il suo cervello sembrava non voler funzionare. In quel
momento si domandò dove diavolo fosse finito il suo capo,
ora che
aveva disperatamente bisogno di lui. Lo maledì mentalmente.
-
I-irasshaima-se!
- farfugliò.
- Ano...
state chiudendo? - chiese il ragazzo più vicino a lei,
sorridendo,
mentre gli altri quattro cercavano di trattenersi dallo scoppiarle a
ridere in faccia, ma l'impresa era difficile.
Le ci volle uno sforzo tremendo per rispondergli –
Chiudiamo alle due! - sussurrò. Sembrava che la voce non
volesse
collaborare in quel momento.
- Oh, perfetto! Allora ci accomodiamo! - esclamò il
più
alto e, senza farselo ripetere due volte, si sedette sulla sedia che
aveva sottomano mostrandole uno splendido sorriso.
-
Hai!
Vado a prendere i menu. - informò dirigendosi con aria
frastornata
verso il bancone. Il cuore continuava a batterle velocemente, ma ora
non era più per lo spavento. I rumori delle sedie le
giungevano
attutiti. “Probabilmente sto sognando!”
iniziò a pensare “Sì!
Non può essere diversamente! Questo è solo un
sogno! Quindi non
devo far altro che godermelo. Va tutto bene... è solo un
sogno!”
posò i menu sul tavolo. Avevano scelto quello nell'angolo in
fondo
al locale. Era abbastanza nascosto e appartato – Quando avete
scelto chiamatemi! -
-
Hai!
Arigatō
gozaimasu!
- la ringraziarono i cinque individui sorridendole.
Il cuore le perse un battito. Ricambiò comunque il
sorriso e si allontanò, continuando a ripetersi che si
trattava solo
di un sogno. Bellissimo per giunta. Probabilmente si era addormentata
mentre stava pulendo. Sperava solo che il capo non si sarebbe
arrabbiato quando l'avrebbe scoperta. Proprio in quel momento si
sentì chiamare da lui. Entrò nel panico, convinta
che si sarebbe
svegliata da un momento all'altro. Lanciò un'ultima occhiata
al
tavolo da dove provenivano le risate di quei cinque ragazzi.
“E'
stato bello finché è durato!”
pensò con aria afflitta. Chiuse
gli occhi pronta a ricevere la sua punizione. Che non si fece
attendere: la seconda manata in testa della giornata.
- Potresti evitare di dormire in piedi? - fu la
richiesta spazientita che sentì pronunciare.
Riaprì gli occhi massaggiandosi la testa e notò
che si
trovava proprio nella stessa posizione e nello stesso posto di poco
prima ed iniziò a preoccuparsi: ora era anche sonnambula.
Forse
aveva bisogno di una vacanza. Poi la consapevolezza si fece strada
nella sua mente e disse addio allo splendido sogno.
Kazuki notò l'espressione delusa che le si era formata
sul viso e corrugò la fronte – Che hai? - ma non
attese una sua
risposta. Spostò lo sguardo sul tavolo in fondo alla stanza
e lo
indicò con il capo – Ti stanno chiamando! - la
informò.
- Eh? - esclamò lei confusa.
Lui la osservò con aria preoccupata. - Ho detto che i
clienti che sono appena arrivati ti stanno chiamando! -
ripeté. - Ma
ti senti bene? -
Lei
corrugò la fronte e si voltò verso il tavolo che
nel sogno era
occupato da quei ragazzi. E le prese un colpo – il secondo
nel giro
di pochi minuti – quando vide che non erano affatto spariti.
Anzi,
quello che le stava di fronte sventolava la mano e le fece cenno di
raggiungerlo. Il tutto accompagnato da uno splendido sorriso che le
fece perdere un altro battito. Ma non ebbe tempo di ammirarlo
perché
si sentì spingere con una certa veemenza verso di loro. Si
voltò a
guardare in malo modo il capo: aveva quasi rischiato di cadere. Ma lo
sguardo che le lanciò era categorico: o ti riprendi o ti
licenzio
seduta stante. Ricevuto il messaggio si diresse titubante dai suoi
clienti. Ora che aveva capito che non era un sogno e nemmeno tutto
frutto della sua fantasia, il panico stava prendendo il sopravvento.
Le mani le avevano iniziato a sudare e le si erano ghiacciate:
succedeva ogni volta che era agitata. E di sicuro il fatto che quello
non sembrava avere nessuna intenzione di staccarle gli occhi di dosso
peggiorava solo le cose. Pregò mentalmente di non fare altre
figure
di merda davanti a loro. Quella di prima le bastava e avanzava.
- Cosa vi porto? - domandò con il tono più
normale che
fosse capace di produrre in quel momento. Afferrò il block
notes e
la penna pronta a scrivere.
-
Etto...
in verità... avremmo una certa fame! - rivelò
quello seduto alla
sua sinistra, puntandole i bellissimi occhi nocciola addosso;
sembrava un po' in difficoltà – Però
sul menù non c'è nulla che
potrebbe... come dire... riempirci lo stomaco. - farfugliò.
“Ovvio,
è un bar, non è mica un ristorante!” si
disse lei rimanendo però
composta. L'altro lanciò una veloce occhiata ai compagni che
ricambiarono con una di incoraggiamento. La cosa non sfuggì
alla
ragazza che intuì che probabilmente stavano facendo parlare
lui per
cercare di abbindolarla. “Non vale giocare sporco!”
si lamentò
lei fra sé e sé.
–
Quindi,
se non è un disturbo, potremmo avere qualcosa che ci possa
saziare?
- proseguì con tono incerto.
La ragazza lanciò un'occhiata
veloce ad ognuno prima di
concentrarsi sul suo taccuino che improvvisamente iniziò a
trovare
interessantissimo. – Un piatto di pasta vi va bene? - chiese.
Erano
riusciti completamente nel loro intento. E come poteva dire di no a
delle faccette così? Avevano tutti gli occhi da cane
bastonato che
la imploravano. E si capiva benissimo che avevano veramente fame. Non
poteva mica lasciarli lì a morire. Ce li avrebbe avuti per
sempre
sulla coscienza, per non parlare del fatto che avrebbe privato il
mondo della loro presenza. Questo era impossibile.
-
Hontō
ni?!
- esclamarono all'unisono, sorpresi.
-
Nessun problema! Dovrei riuscire a racimolare qualcosa...
però mi ci
vorrà un po' di tempo! Riuscite ad aspettare? - I
larghi sorrisi che si formarono sui loro visi furono sufficienti come
conferma. Anche perché la mandarono completamente in tilt e
non
ascoltò minimamente ciò che aveva aggiunto uno di
loro dopo.
Era intenta a tagliare una melanzana quando
Kazuki,
rimasto a fissarla alle sue spalle per più di cinque minuti,
si
decise ad aprir bocca.
- Sai... non avresti dovuto farlo! - proferì
incrociando le braccia.
Lei
sorrise. Non poteva vederlo in faccia perché gli dava le
spalle, ma
poteva benissimo immaginare la sua espressione crucciata. Quei cinque
non gli erano mai stati molto simpatici e in questo momento
probabilmente stava desiderando che se ne andassero di lì il
prima
possibile. Forse si stava anche domandando perché avessero
scelto
proprio il suo bar. - Potrebbe sembrarti strano... e puoi benissimo
non credermi... kedo
non lo sto facendo perché sono loro!
- replicò afferrando i cubetti di melanzana che
gettò nella padella
in cui stava friggendo la cipolla - Lo avrei fatto comunque per
qualsiasi altra persona! -
Quello sollevò un sopracciglio poco convinto -
Sarà...
- commentò scettico – Tanto sei tu che devi
lavorare in più... a
me non cambia molto la cosa. - si discostò dalla parete
sulla quale
si era appoggiato e si diresse verso la porta che dava al bancone
–
Basta che pagano! -
- Ah, decidi quanto mettere un piatto di pasta! -
richiese lei – Almeno poi glielo riferisco. -
- Uhm... considerando quanto guadagnano, potrei
spillargli un po' di soldi! - disse mentre ghignava perfido .
Giulia roteò gli occhi e si voltò a guardarlo
–
Hicchi... i clienti sono tutti uguali! - gli ricordò.
- Senti da che pulpito viene la predica. Chi è che
venti minuti fa si è precipitato fuori dal bar in cerca
degli
ingredienti per preparare qualcosa a quei cinque? - vedere la ragazza
arrossire lo soddisfò – Tra l'altro ci hai
impiegato pochissimo
tempo ad andare e tornare... e sei dovuta anche arrivare fino a casa
tua... -
Lei sbuffò spazientita – Piantala! - lo interruppe
accigliata - E ora vai via che mi stai distraendo! - esclamò
iniziando a spingerlo fuori della porta della cucina – Non
voglio
propinargli qualcosa di immangiabile! -
Il ragazzo scoppiò a ridere divertito. Gli gustava un
mondo tormentarla.
Dopo
mezz'ora finalmente Giulia posò i piatti stracolmi di pasta
davanti
ai cinque clienti a cui brillavano gli occhi per la
felicità. -
Gomen
nasai!
Vi ho fatto aspettare molto! - si scusò mortificata chinando
il
capo. Ci aveva impiegato più di quanto aveva calcolato.
-
Iie,
iie!
Nessun problema! - la tranquillizzò uno di loro.
-
Ano...cos'è?
- le domandò invece quello che le stava di fianco, sulla
destra.
- Tortiglioni con sugo e melanzane! E' una cosa
semplice, ma è tutto quello che sono riuscita a racimolare a
casa
mia. - sussurrò arrossendo.
Calò il silenzio per alcuni secondi mentre
un'espressione sconvolta si andava formando sul loro volto. Poi venne
interrotto da un fiume di esclamazioni sorprese.
- Non dovevi disturbarti così tanto! - disse il
più
grande.
- Non vi preoccupate, l'ho fatto volentieri! - farfugliò
abbozzando un sorriso imbarazzato – Qui non avevo ingredienti
per
prepararvi qualcosa! - aggiunse.
I
cinque si scambiarono un'occhiata avvilita, poi spostarono lo sguardo
sul piatto di pasta fumante sotto il loro naso. Un profumino
invitante li trattenne dall'aggiungere altro e si concentrarono
totalmente sul cibo. Un coro di “umae”
si levò in aria non appena assaggiarono la prima forchettata.
E la cosa, ovviamente, riempì di gioia la cuoca. Ma non
tanto per il fatto che avessero trovato buono ciò che aveva
preparato. Lei era contenta per aver vissuto quel momento
“dal
vero”. Le loro espressioni dal vivo erano decisamente
migliori di
quelle che vedeva quando tutto questo accadeva in uno dei loro
programmi televisivi. Il cuore le mancò di nuovo un battito.
E si
rese conto che se andava ancora avanti così non sarebbe
arrivata
alla fine della serata. Ma non poteva sperare in un modo più
soddisfacente di morire: felice e appagata.
Dopo l'abbuffata di pasta – con
tanto di bis –
Giulia preparò loro una tazza di cioccolata calda con panna
e
dolcetti. I ragazzi furono molto stupiti nello scoprire che anche
quei biscotti erano stati cucinati da lei.
- Sei davvero una brava cuoca! - commentò quello
più
basso.
-
Arigatō
gozaimasu!
- non c'era niente da fare, ogni volta che le rivolgevano la parola
avvampava, indistintamente da chi fosse dei cinque a farlo.
-
Bravo!
Bravo! - esclamò
in un italiano stentato un altro, battendo le mani.
Giulia lo fissò alcuni secondi con aria indecisa –
Si
dice “brava”. - lo corresse –
“Bravo” si dice ai maschi. -
precisò.
- Oh, allora sei veramente italiana! - saltò su quello
che aveva ordinato – Lo dicevo io! - aggiunse con un
sorrisone
soddisfatto. Lei affermò dopo essersi ripresa dall'ennesimo
colpo.
- Da quanto sei qui? - si informò il più grande.
- Sono arrivata a febbraio per studiare giapponese un
mese e mezzo. All'inizio il fatto di trasferirmi direttamente qui era
solo una speranza, poi invece sono riuscita a trovare lavoro e a
sistemarmi. - spiegò, felicissima che si stessero
interessando a
lei.
- Tornerai in Italia per Natale? - chiese un altro.
-
Iie!
Lavorerò fino alla Vigilia e anche l'ultimo dell'anno! Non
riuscirei
a rimpatriare. -
- Certo che il tuo capo potrebbe anche darti un po' di
giorni di ferie per tornare a casa. Ti sfrutta proprio! -
Kazuki aveva sentito perfettamente la suddetta frase e
seccato si diresse verso di loro, pronto a insultarli. Ma Giulia se
ne accorse e rimediò fulminea. - Non mi sfrutta affatto,
anzi mi
tratta bene. E' davvero una brava persona. Se non fosse stato per lui
ora non sarei qui. Sono io che ho deciso di rimanere per aiutarlo! -
sorrise e non aggiunse altro. Con la coda dell'occhio vide che il
capo si era calmato; sembrava anche sorpreso delle parole di elogio.
Tirò un sospiro di sollievo.
- Certo che hai avuto davvero un gran coraggio nel
decidere di partire e trasferirti così lontano da casa! -
disse il
ragazzo seduto alla sua destra – E' ammirevole! -
- Bé, non è stato poi così difficile!
Era da un paio
di anni che mi frullava per la testa l'idea di venire in Giappone. Mi
ero innamorata dei vostri usi e costumi, nonché della vostra
lingua.
E trasferirmi qui era il mio più grande sogno che ho
realizzato!
Dopo che sono riuscita a mettere da parte un po' di soldi ho fatto le
valigie e sono partita. Sapevo che quella era l'occasione giusta e
che se avessi aspettato ancora non avrei più potuto farlo e
l'avrei
rimpianto per tutta la vita. Sono veramente felice ora di essere qui.
- le parole le erano uscite da sole e si capiva quanto fossero
sincere – E naturalmente l'amore per questa nazione
è andato
aumentando da quando sono arrivata. Mi sono trovata subito benissimo!
-
Erano tutti rimasti in silenzio ad ascoltarla. L'impeto
che vi aveva messo in quelle parole li aveva lasciati di stucco.
Anche Kazuki era sorpreso. Giulia era una ragazza che non parlava
molto e anche lui non era il tipo che faceva domande. Quindi non
aveva mai avuto occasione di constatare quanto fosse importante per
lei lo stare lì. Quando se l'era ritrovata otto mesi prima
davanti,
per chiedergli di essere assunta come cameriera, non ci aveva pensato
molto ad accettare. E' vero che era straniera, ma le era sembrata
subito una ragazza a posto. Aveva notato che era disperata e lui
aveva assolutamente bisogno di aiuto. Solo quella volta le aveva
fatto una domanda: perché ci tenesse tanto a lavorare; si
ricordava
ancora la risposta: “Perché se riesco a lavorare e
a guadagnare
decentemente non torno a casa!”. In quel momento aveva letto
nel
suo sguardo una forte determinazione. Aveva deciso comunque di
tenerla in prova per una settimana. Ma già dopo due giorni
l'aveva
assunta. Era una gran lavoratrice e una persona seria. E poi c'era da
aggiungere che, da quando era arrivata, i clienti erano aumentati in
modo spropositato. Questo non poteva che soddisfarlo. Le labbra si
piegarono in un sorriso e tornò dietro il bancone. Ma in
quel
momento, lanciando uno sguardo veloce all'orologio appeso al muro, si
accorse di quanto si fosse fatto tardi.
-
Minna-san
mi spiace interrompervi, demo
dobbiamo
chiudere! - li informò.
Giulia sorpresa si voltò a guardare l'orologio che
segnava le una e tre quarti. Sgranò gli occhi interdetta. Il
tempo
in presenza di quei cinque era volato.
Questi allora si alzarono e si prepararono velocemente,
sotto lo sguardo malinconico della ragazza. Si diressero alla cassa a
pagare continuando a elogiarla e ringraziarla per tutto quello che
aveva fatto per loro. - Se non ci rivediamo... buon Natale e buon
anno! - augurarono sia a Giulia che a Kazuki.
- Anche a voi! - ricambiò lei sorridendo. Si stava
sforzando, lo sapeva benissimo. Avrebbe voluto sorridere
sinceramente, ma in quel momento proprio non le riusciva. Aveva un
sacco di cose da dirgli, ma le si era formato improvvisamente un nodo
in gola. Riuscì solo a salutarli con la mano prima che
scomparissero
definitivamente. Restò imbambolata a fissare quel punto per
diversi
minuti. Con il cuore che le batteva all'impazzata e la triste
realtà
che le era piombata improvvisamente addosso: non li avrebbe
più
rivisti. Ma sicuramente non avrebbe mai dimenticato quella sera per
il resto della sua vita.
- Signorina... dovresti sbrigarti a pulire... io vorrei
chiudere e andare a dormire! - la riportò alla
realtà il ragazzo –
Tu fai lì, io penso alla cucina! - gridò
dall'altra stanza.
Lei
affermò e sospirò con aria abbattuta
“Bé... ho avuto il mio
regalo di Natale! Anche se in anticipo!” constatò
cercando di
restare allegra. Afferrò uno strofinaccio e la scopa e
andò a
pulire il tavolo. Era immersa nei suoi pensieri, intenta a
ripercorrere le ultime ore di quella serata, così
inizialmente non
si era accorta che il tovagliolo di carta bianco che aveva
appallottolato e gettato a terra aveva su delle scritte. Solo quando
le ci ricadde l'occhio spostandolo con la scopa, le notò.
Corrugò
la fronte mentre si chinava a raccoglierlo. Lo spiegò e per
poco non
le prese un colpo quando lesse cosa vi era scritto. Gli occhi le si
riempirono di lacrime che si riversarono sulle sue guance. Trattenne
a stento un singulto. Rilesse di nuovo quelle poche parole,
incredula: “Hountō
ni, arigatō!”.
Poco più sotto un kanji
che
conosceva perfettamente: “嵐”.
- Arashi!
- sussurrò asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.
Gesto
inutile dato che continuavano a fuoriuscire. Sì, era stato
proprio
un bel regalo inaspettato di Natale poter incontrare quella sera i
suoi idoli. Coloro che da diversi anni, ormai, allietavano ogni suo
giorno. Aveva avuto la possibilità di parlarci quelle poche
ore. Era
davvero contenta.
Stava per alzarsi, ma qualcos'altro attirò la sua
attenzione. A terra, sotto una sedia, vi era un oggetto colorato. Si
allungò sotto il tavolo per afferrarlo e un'esclamazione
sorpresa le
uscì dalla gola – Questa è... -
mormorò rigirandosi la sciarpa
rossa fra le mani.
- Che stai facendo lì sotto? - chiese il capo che la
osservava interdetto da dietro il bancone.
Giulia
sobbalzò per lo spavento e questo le causò una
capocciata contro il
tavolo. Inutile dire che il ragazzo scoppiò a ridere
divertito. -
Itai!
- si lamentò sollevandosi.
- Cos'hai in mano? - domandò incuriosito l'altro.
- Una sciarpa. - riferì massaggiandosi il punto che
aveva sbattuto – E' di uno degli Arashi! - spiegò
dolorante.
Doveva essere di Ninomiya, c'era lui seduto in quel posto. Anche se
non ricordava che la portasse quando erano arrivati. Ma in effetti
non aveva fatto proprio caso a cosa indossassero. Si era concentrata
solo sui loro visi – La metterò da parte, potrebbe
venire a
riprendersela! - mormorò appoggiandola su un altro tavolo.
- Aspetta e spera! - fu il commento aspro che le regalò
lui. Ora che quei cinque se ne erano andati poteva tornare a parlarne
male – Ne avranno una marea di sciarpe, cosa vuoi che importi
loro
se ne perdono una! O comunque, con tutti i soldi che hanno,
potrebbero comprarsene a bizzeffe! -
Lei gli lanciò un'occhiataccia – Smettila di
parlare
così! - esclamò stizzita – Il fatto che
ti stanno sulle scatole
non te ne dà il diritto. - sibilò prima di
ritornare a pulire a
terra con la scopa.
- Che ci troverai di tanto speciale in loro... -
borbottò mentre si dirigeva a cambiarsi.
- Il semplice fatto che appena li sento cantare o li
vedo sorridere riescono a rendermi ogni giornata decisamente migliore
di quella che mi si prospetterebbe! - rispose con tono autorevole.
- Io invece ogni volta che li sento cantare sto male! -
dichiarò tragico.
Giulia
scosse la testa, ma non rispose. Non le andava di iniziare un
battibecco con lui. Era tardi e l'indomani mattina si sarebbe dovuta
svegliare presto. Si sbrigò a pulire, afferrò la
sciarpa, salutò
il ragazzo e se ne tornò a casa. Ma già sapeva
che avrebbe
trascorso la notte insonne a ripensare ai quei cinque adorabili baka
e a fantasticare su un possibile nuovo incontro. Questa volta forse,
non inaspettato.
8 DICEMBRE
Il Natale era alle porte e anche
l'atmosfera si faceva
via via sempre più festosa a Tokyo. Ormai tutti i negozi e i
grandi
magazzini erano addobbati da cima a fondo e le radio trasmettevano in
continuazione vecchi e nuovi successi natalizi.
All'Hōkiboshi
si stavano facendo gli ultimi preparativi.
Quella mattina Kazuki era rimasto sorpreso di trovare
Giulia al locale. Era arrivata prima di lui e aveva già
sistemato
tutto, pronta ad accogliere il primo cliente. Era talmente sbalordito
che le aveva chiesto subito se si sentisse bene e il sorriso
luminosissimo che gli aveva mostrato nel rispondergli l'aveva non
poco preoccupato. Era da giorni che la ragazza si comportava in modo
impeccabile: faceva sempre tutto quello che le chiedeva, non osava
contraddirlo e sopratutto, cosa incredibile, quando usciva poi
rientrava sempre in perfetto orario. Questo l'aveva fatto
insospettire. Ora, trovarla già lì di prima
mattina a canticchiare
“Jingle bells” mentre zompettava allegra da un
tavolo all'altro
non presagiva nulla di buono. Ancora non sapeva quanto il suo
presentimento fosse fondato.
Nel pomeriggio, infatti, si era visto invadere il
negozio da un lungo scatolone di cartone trasportato da Kataoka,
Mitsuwa, Ibu, Takashita e Yanagi, i cinque studenti amici di Giulia.
La ragazza, euforica, si era subito fiondata su di loro e insieme
avevano iniziato ad aprirlo. E al poveretto quasi prese un colpo nel
constatare che dentro vi era un gigante albero di Natale finto,
pronto per essere montato. Nonostante inizialmente fosse contrario,
vedendo l'espressione felice che aveva la ragazza e l'entusiasmo che
ci stava mettendo per convincerlo a darle la possibilità di
farlo,
alla fine dovette cedere.
Nel giro di poco tempo la ragazza aveva
involontariamente coinvolto tutti i clienti presenti – e non
erano
pochi – nella fase di addobbo. Si respirava un aria di festa
incredibile: tutti sorridevano, cantavano e sopratutto si facevano
comandare a bacchetta da lei che suggeriva dove appendere le varie
palline e cianfrusaglie. Sembrava seguisse uno schema ben preciso per
lui sconosciuto e incomprensibile.
Nonostante la moltitudine di gente che si
era impegnata
quel pomeriggio, l'albero a tarda serata era ancora in fase di
allestimento. Con tutta quella gente la ragazza non ci si era potuta
concentrare pienamente, ma finalmente, ora che non c'era più
nessuno, aveva tutto il tempo di dedicarcisi cambiando la posizione
di quello che era appeso e finendo di mettere quello che mancava.
Osservò da lontano la finta pianta per vedere se la
disposizione
degli addobbi potesse andare, poi spostò lo sguardo sul
tavolo dove
vi erano due scatole ancora chiuse. Non sapeva se riusciva a farci
stare tutto, ma ci avrebbe provato. Si era resa conto troppo tardi di
aver comprato troppa roba, ma sapeva già dove mettere le
cose che
sarebbero avanzate. Attorno alle vetrate, infatti, aveva appuntato
dei rami finti di abete che aspettavano solo di essere abbelliti.
Sorrise contenta. Quel pomeriggio era stato davvero divertente fare
l'albero insieme a tutti quanti. Era davvero enorme, la punta
arrivava fin quasi al soffitto. E non le era costato nemmeno
tantissimo: l'aveva trovato in offerta. In quel momento aveva il
cuore stracolmo di gioia e una gran voglia di cantare.
Piroettò
velocemente verso il suo portatile e fece partite la musica. Ma non
fece in tempo a dire “a” che Kazuki comparve dalla
cucina con
un'aria minacciosa sulla faccia.
-
Spegni immediatamente quel “coso”! -
sbraitò spazientito. Era
tutto il giorno che sentiva le canzoni di Natale: non ne poteva
più.
Ma il suo fervore andò scemando nel vedere l'espressione
afflitta,
con tanto di labbro tremolante, che si era formata sul viso di lei. -
Ok... puoi tenerlo acceso, ma ti prego non farmi più sentire
quelle
canzoni piene di trilli e scampanellii! Va bene qualsiasi altra cosa,
kedo
non quelle! -
A Giulia non sembrò vero di udire quelle parole e colse
subito la palla al balzo. Fece partire la riproduzione casuale di
Windows Media Player e attese che cominciasse la canzone. La voce di
Fiorella Mannoia si diffuse per la sala. Non aveva mai ascoltato
musica italiana lì dentro, ma solo giapponese, dei cantanti
e gruppi
che piacevano al capo - fortunatamente avevano gusti molto simili
–
perché pensava che a lui potesse dare fastidio. Ma ora aveva
detto
“qualsiasi cosa” e quindi eccolo accontentato. E
poi aveva un
gran bisogno di ascoltare musica italiana ad alto volume. L'unico
momento che poteva farlo era di notte, a casa, con le cuffie, quei
pochi minuti prima di addormentarsi. Sentirla in quel modo, con le
casse che la propagavano per il locale, era una vera emozione. E era
libera di cantare a squarciagola lì. Infatti sembrava che al
ragazzo
non desse fastidio la cosa. Anzi, ogni tanto anche lui si aggregava,
sempre dopo aver controllato che non vi fossero clienti e al primo
rumore sospetto smetteva subito.
Iniziò a cantare “I dubbi dell'amore” un
po'
titubante. Ogni tanto controllava la porta che dava in cucina
aspettandosi di vedere comparire l'altro che infuriato le ordinava di
cambiare. Ma inaspettatamente non fu così. Riprese quindi,
ancora
più contenta di prima, l'addobbamento. Decise che l'albero
andava
bene così, non lo avrebbe rimpinzato con altre cianfrusaglie
–
come le chiamava l'altro-. Mancava solo una cosa: la punta. Prese la
stella rossa e oro dal tavolo e si arrampicò sulla scala
mentre la
Mannoia lasciava il posto agli 883 con “La dura legge del
gol”.
In un attimo venne investita dai ricordi. Si rivedeva da bambina a
giocare d'estate nel cortile davanti casa con gli amici e le canzoni
di questo gruppo come colonna sonora. Quanto le mancava quei giorni
di pura spensieratezza. “Beata
gioventù!” pensò sorridendo
malinconica. Certo, quella volta non si sarebbe mai immaginata che a
ventisei anni si sarebbe ritrovata ad addobbare un albero di Natale
in un bar di Tokyo. Se qualcuno glielo avesse detto probabilmente gli
sarebbe scoppiata a ridere in faccia.
-
Si alza dalla sedia del bar chiuso, lentamente Cisco e all'improvviso
dice: "Voi non capite un cazzo è un po' come nel calcio"...
- infilò la stella sulla punta – Yoshi!
- esclamò soddisfatta - E' la dura legge del gol, fai un
gran bel
gioco però, se non hai difesa gli altri segnano e poi
vincono...
loro stanno chiusi ma alla prima opportunità salgon subito e
la
buttan dentro a noi, la buttan dentro a noi... - cantò il
ritornello a squarciagola – Ohi... Hicchiiii... mi vieni a
dire se
la stella è dritta? - gridò mentre sistemava
meglio un fiocco rosso
su un ramo.
- Pende un po' a destra! - si sentì dire da sotto. La
ragazza allora spostò la stella verso sinistra. - Perfetto! -
- Ci sono due palline uguali vicine! - le fece notare
un'altra voce – Lì, vicino alla tua mano sinistra!
-
Giulia ne afferrò una e iniziò a guardare
perplessa
l'albero per trovarle posto. Poi ad un tratto qualcosa
sembrò
destarla dai suoi pensieri ancora rivolti alla sua infanzia. Quella
non era la voce del suo capo, decisamente no. Erano due e sopratutto
le sembravano familiari. Si voltò di scatto a guardare
giù e si
ritrovò davanti le faccette sorridenti di coloro che giorni
prima
avevano rischiato di farla morire di infarto, cosa che si stava
ripetendo anche in quel momento. Esclamò sorpresa e
lasciò la presa
sulla pallina di vetro che precipitò pericolosamente a
terra. Scattò
in avanti per riafferrarla, ma nel fare ciò perse
l'equilibrio.
Delle grida si levarono sotto di lei. Si aggrappò fulminea
alla
scala che vacillò pericolosamente, ma restò in
piedi grazie al
pronto intervento di Matsumoto, Ohno e Sakurai che l'avevano
trattenuta. Riaprì gli occhi che aveva chiuso per la paura.
Lei era
salva, l'albero era salvo. Guardò in basso e vide che anche
la
pallina era salva fra le mani di Ninomiya.
Tirò
un sospiro di sollievo mentre Kazuki, che aveva seguito tutta la
scena, la insultava per la sua sconsideratezza - Baka!
Hai rischiato di ammazzarti! - le urlò contro quando ebbe
toccato
terra – Daijōbu?
- le chiese poi, preoccupato: era bianca cadaverica.
-
Hai!
- Affermò con voce tremolante. Se l'era vista davvero
brutta.
Ringraziò i tre ragazzi che l'avevano salvata e Ninomiya per
aver
salvato la pallina.
- Tutto per quella stupida cianfrusaglia. - borbottò il
capo indicando l'oggetto.
- Se non mi fosse costata 811 yen non avrei certo
rischiato la mia vita per riprenderla! - commentò lei
afferrandola
dalle mani del salvatore che, nel sentire la cifra, sgranò
gli occhi
nocciola guardandola come se fosse un alieno.
- Quanto!? - gridò subito dopo credendo di non aver
capito bene.
- 811 yen! - ripeté lei senza scomporsi prima di
mettere di nuovo un piede sul gradino della scala.
- Che stai facendo? - le domandò Matsumoto
trattenendola per la manica della camicia bianca, l'espressione tra
il preoccupato e il sorpreso.
- Vado ad appenderla. - gli disse interdetta: non si
aspettava da lui un gesto simile.
- E' masochista per caso? - domandò Sakurai ad Himura
che restò a fissarlo alcuni secondi in silenzio prima di
rispondergli affermativamente.
Intanto Giulia continuava ad alternare lo sguardo dalla
mano di Matsumoto, che continuava a tenerle la camicia, alle facce
degli presenti. Dire che stava andando in brodo di giuggiole era
poco. “Mi sta toccando! Mi sta toccando! Junjun mi sta
toccando,
anche se indirettamente! Oddio... l'espressione di Sho è
bellissima!
A Nino invece penso sia preso un colpo quando gli ho detto il prezzo
della pallina... è rimasto pietrificato! E il Riida...
perché mi ha
preso la pallina? Perché sta montando sulla
scala?” in un attimo
entrò nel panico – Riida... mi raccomando stai
attento! - esclamò.
Le era scappato “Riida” invece che
“Ohno-san”
involontariamente. Era preoccupata per lui: se gli fosse successo
qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato.
-
Non far cadere la pallina, zettai
ni!
- pregò invece Ninomiya, che le si era affiancato.
Lei si voltò a guardarlo sbalordita. Era davvero
più
preoccupato per la sfera che per l'amico?
- Dove la devo mettere? - chiese Ohno guardando l'albero
come per trovare una risposta.
- Uhm... vedi quel ramo che sporge a sinistra, poco più
sopra la tua testa? No, non quello... sì, ecco, quello
lì!
Perfetto! - esclamò sollevando il pollice quando lui
l'appese al
ramo. Ma soltanto quando toccò terra tirò un
sospiro di sollievo.
-
Yoshi!
L'albero è finito! - esclamò Sakurai –
Devo ammettere che è
veramente bello! Sei incredibile... ehm... sumimasen,
com'è che ti chiami? - il ragazzo si era accorto solo in
quel
momento di non conoscere il suo nome.
Lei lo guardò con un espressione ebete sulla faccia.
Non si aspettava una richiesta simile. Che poi, alla fine, le aveva
chiesto solo come si chiamava, mica di andarci a letto. - Giulia
Landolfi! - disse imbarazzata.
-
Giuria Randorufi, ne?
-
ripeté in versione giapponese. Ma a lei andava bene lo
stesso, anzi,
detta da lui, in quel modo, suonava anche più bello.
-
Puoi chiamarla tranquillamente “Baka”!
- Kazuki aveva distrutto in pochi secondi quel momento di piena
felicità. E lei non gli risparmiò certo
l'occhiataccia
inceneritrice.
-
Ano...
Giuria-san... - mormorò Matsumoto chino sul tavolo, poi si
voltò
mostrando le due scatole che teneva nelle mani – E queste? -
-
Ah! Etto...
quelle siccome sono avanzate, avevo pensato di appenderle sulle
ghirlande sopra le vetrate. - spiegò indicando i lunghi rami
finti.
- Mh! Ok... lo faccio io! - si propose dopo una pausa di
alcuni secondi di riflessione, sorridendole.
-
Eh! Iie,
iie!
Non se ne parla! - questa volta si oppose, anche se la sua
risolutezza era andata a farsi benedire, scemata per colpa di quel
bellissimo sorriso – Lo faccio io! - detto ciò
prese le scatole
dalle mani del ragazzo.
- Non mi pare che tu sia molto pratica! - commentò
Ninomiya mostrandole un sorrisetto di scherno.
- Prima ho rischiato di cadere perché mi sono
distratta! Mi avete sorpresa e così ho lasciato la presa!
Non
accadrà di nuovo! - spiegò arrossendo.
Matsumoto le afferrò le scatole dalle mani –
Tranquilla starò attento! - promise.
- Se lo fai tu ci vorrà troppo... dovrò dirti
ogni
volta dove va messo l'addobbo... - provò ad obiettare
rubandogliele
di nuovo.
Matsumoto stava per ribattere, ma Sakurai, che nel
frattempo aveva spostato la scala, rubò dalle mani della
ragazza le
tanto agognate scatole e si arrampicò fino in cima pronto a
posizionare le decorazioni.
-
Hora!
- si lamentarono quelli all'unisono guardandolo male.
- Fra i due litiganti il terzo gode! - fu la sua
risposta – Allora... a quale distanza devono essere
posizionati
ognuno di questi? - chiese sorridendo.
Giulia chinò il capo sconfitta. Contro di loro non
poteva di certo averla vinta. La partita era persa dall'inizio.
Sbuffò e iniziò a dargli ordini.
Quando finalmente fu tutto finito,
fortunatamente senza
incidenti, i ragazzi guardarono soddisfatti il lavoro. Tra gli
addobbi che aveva messo nei giorni precedenti e l'albero che aveva
fatto quel giorno, insieme agli ultimi ritocchi, ne era venuta fuori
una meraviglia. L'unica cosa che stonava ora era la musica di
sottofondo: “Un'emergenza d'amore” di Laura Pausini
non c'entrava
proprio niente.
Ma non si poteva avere tutto nella vita. Giulia si
diresse verso il suo portatile per stoppare la canzone quando questa
finì. E nel sentire le note iniziali dell'altra si
bloccò a metà
strada. Il silenzio calò nella stanza. Il cuore le perse un
battito
e arrossì vistosamente maledicendo subito dopo la
riproduzione
casuale. “Perché fra tutte le canzoni che ho
doveva sceglierne una
delle loro?” si domandò mentre era indecisa se
ridere o se
piangere per la situazione che si era creata. “E anche questa
volta
ho fatto la mia figura di merda!” concluse demoralizzata.
Riusciva a sentire distintamente gli occhi di tutti
puntati sulla sua schiena mentre la voce di Sakurai, quella della
canzone, si divulgava nella stanza.
- Oh... Pikanchi! - fece sorpreso Ohno subito dopo.
Gli
altri tre scoppiarono a ridere – Majite...
non me l'aspettavo! - commentò Ninomiya. Ma il suo tono,
diversamente da come aveva previsto la ragazza, non era divertito o
canzonatorio, ma sembrava felice.
- Almeno ascolta musica di qualità! - fu la volta di
Matsumoto.
- Io l'ho detto fin dall'inizio che è una tipa tosta! -
rivelò Sakurai compiaciuto – Già il
fatto di essere venuta in
Giappone le fa onore, poi è diventata una nostra fan... -
- Il fatto che ascolta la nostra musica non vuol dire
che sia una nostra fan... - replicò Ninomiya.
- Prima però mi ha chiamato “Riida”...
quindi
dovrebbe esserlo... non sei una nostra fan? - le domandò
Ohno.
Giulia
si voltò cercando di mostrare un'espressione normale. La
cosa non le
riuscì propriamente bene, ma meglio non riusciva a fare
– Hai,
sono una vostra fan... - farfugliò imbarazzatissima.
-
Kawaii!
- esclamarono sia Matsumoto che Sakurai. Altro colpo per la
poveretta.
- Da quanto tempo? - le chiese Ohno, interessato alla
cosa.
La ragazza corrugò la fronte – Vediamo... - era
concentrata per ricordarsi a quando risalisse il primo incontro, il
capo leggermente inclinato – Credo più o meno tre
anni. - rivelò
perplessa.
I quattro esclamarono sorpresi. – Tre anni? Pensavo
fosse una questione di mesi. Non ci hai conosciuti quando sei
arrivata in Giappone? - chiese interdetto Matsumoto.
Lei scosse la testa – Vi conosco da molto prima! -
disse sorridendo – Sopratutto te, Matsumoto-san. Sei stato il
primo
del gruppo che ho conosciuto! - quello la guardò stupefatto.
- Non me lo dire... l'hai visto in Hanadan! - intervenne
Ninomiya.
- Esattamente! - confermò lei ridacchiando.
Matsumoto le si avvicinò con un sorriso a trentadue
denti - Hai visto Hanadan? E come ti è sembrato? - sembrava
davvero
contento di aver trovato una straniera che lo conoscesse.
-
E' stato il primo dorama
che ho visto e l'ho trovato bellissimo! Inoue-san è
così kawaii...
è
la mia attrice preferita! - riferì entusiasta.
-
Chotto
matte!
- Matsumoto aveva sollevato la mano, sembrava alquanto confuso
–
Che c'entra Mao-chan? Non dovrebbero interessarti gli attori
maschili? -
Giulia scoppiò a ridere divertita seguita a ruota dagli
altri – Cos'è, Matsujun? Un modo carino per
chiederle se le sei
piaciuto? - domandò Ninomiya.
- Guarda che, se glielo chiedi direttamente, non penso
che si offenda! - gli fece notare Sakurai.
-
Chigau,
chigau!
Non è per quello... - provò a replicare, ma si
capiva benissimo che
voleva sapere come gli fosse sembrato lui.
La
ragazza si asciugò le lacrime agli angoli degli occhi. Non
avrebbe
mai immaginato di ritrovarsi a fare una conversazione simile con gli
Arashi. Poi vederli ridere dal vero era una cosa stupenda. - Hai,
mi sei piaciuto anche tu, Matsumoto-san! Anzi, se proprio vuoi
saperlo, mi ero presa una cotta per te! - rivelò.
- E ti pareva! – commentò seccato Ninomiya.
- Matsujun colpisce ancora... anche oltreoceano!
Dovresti esserne contento! - disse Sakurai dandogli una pacca sulla
spalla.
Ma quello sembrava concentrato su qualcos'altro – Ero?
- domandò, questa volta direttamente.
-
Hai,
eri! Ora il mio ichiban
è diventato qualcun altro! Mi spiace! - dichiarò
prima di scoppiare
di nuovo a ridere a causa dell'espressione afflitta che si era
formata sul viso del ragazzo.
- E' sempre qualcuno di noi Arashi? - si informò
Ninomiya. Lei affermò con il capo.
-
E chi è allora adesso il tuo ichiban?
- chiese Ohno incuriosito. Anche gli altri tre tesero le orecchie,
tutti in attesa della sua risposta.
Lei li guardò uno ad uno e sorrise – Non ve lo
dico!
- esclamò con aria soddisfatta.
- Non puoi tenerci sulle spineeee! - si lamentò
Sakurai.
- Invece sì! Non ve lo rivelerò mai!
Già vi ho detto
troppo! - replicò sicura, puntando le mani ai fianchi.
I ragazzi misero il broncio contrariati. - Veramente non
ci hai detto come hai fatto a conoscere noi altri! - ricordò
Ninomiya – Ci hai parlato solo di Matsujun. -
- Ah... bé, questo posso dirvelo... praticamente
vedendo Hanadan mi ha attratta la canzone che c'era come opening ed
ending... così un giorno la sono andata ad ascoltare tutta e
me ne
sono innamorata. E poi ho scoperto che del gruppo che la cantava vi
faceva parte anche Matsumoto-san... ci sono rimasta scioccata... -
- Perché l'hai sentito cantare? - la interruppe
Ninomiya che ghignava malefico.
-
Ora capisco perché non è più il tuo ichiban!
- intervenne Ohno.
-
Hora!
- protesto il diretto interessato fulminandoli con lo sguardo.
-
Assolutamente no, non è per quello! Sono rimasta
impressionata dal
fatto che oltre a recitare, cantasse anche. O dovrei dire che oltre a
cantare, recitasse anche? - precisò sorridendo –
Quindi è con
“Wish” che vi ho conosciuti! E da lì non
ci è voluto molto a
farmi piacere tutte le altre canzoni! - i quattro sembravano
soddisfatti, ma vedendo che Sakurai stava ritornando sul discorso
dell'ichiban,
decise di cambiare velocemente argomento – Comunque... - lo
interruppe - perché siete qui? -
- Ah! Me ne stavo dimenticando... - saltò su Ninomiya
–
hai per caso trovato una sciarpa rossa, l'altra volta? -
-
Hai!
Allora era veramente la tua! L'ho trovata sotto la sedia su cui eri
seduto, ma non ero sicura appartenesse a te! Te la vado a prendere! -
riferì allontanandosi.
- Ci sarebbe anche un'altra cosa che vorremmo
chiedere.... ma dov'è il tuo capo? - Ohno si stava guardando
intorno
per cercarlo.
“Probabilmente
si è dileguato quando ha sentito che la conversazione
riguardava
argomenti per lui poco piacevoli!” pensò la
ragazza rispuntando
nella sala con la sciarpa fra le mani che diede al suo proprietario
–
Devo chiamarlo? -
- Possiamo parlarne anche con te, credo...
- proferì
Sakurai – L'altra volta hai detto che lavorerai anche il 24
dicembre, giusto? - lei affermò con il capo – E'
solo un'idea, ma
ci chiedevamo se fosse possibile affittare il locale tutto il
giorno... perché vorremmo fare una festa a sorpresa ad
Aiba-chan,
dato che sarà il suo compleanno! -
“Ecco
perché manca sta sera!” pensò. Stava
per rispondere, ma venne
interrotta da Kazuki che spuntò all'improvviso alle sue
spalle –
Se siete disposti a pagarmi bene non ci sono problemi! -
dichiarò
beccandosi un'occhiata torva da parte di Ninomiya.
- D'accordo! Allora ci penseremo su e entro
dopodomani
vi faremo sapere! - disse Matsumoto prima di ritornare a rivolgersi
alla ragazza – A te creerebbe problemi cucinarci qualcosa per
quel
giorno? -
Giulia
lo guardò stralunata – Iie,
nessun problema! -
- Ovviamente questo aumenterà il prezzo... - ma Kazuki
non poté continuare perché si ritrovò
il gomito della ragazza
piantato tra le costole.
-
Sei sempre il solito avido! - lo ammonì guardandolo male,
poi tornò
a concentrarsi sugli altri – Etto...
in quanti pensate di essere? - quella era la cosa che più la
preoccupava. Finché si trattava di cucinare per cinque o sei
persone
non le causava alcun problema, ma quando aumentavano iniziava a
trovarsi in difficoltà. E rimase totalmente stupita nello
scoprire
che fossero solo loro cinque. Si aspettava grandi festeggiamenti.
Così con la promessa di risentirsi entro pochi giorni i
quattro se ne andarono.
- Potevano almeno prendere qualcosa, mentre ti facevano
il terzo grado! - sbottò stizzito il ragazzo guardando in
cagnesco
la porta da dove gli Arashi erano appena usciti.
Giulia alzò gli occhi al cielo – A parte che non
mi
hanno fatto il terzo grado... mi hanno chiesto solo come li ho
conosciuti... e poi invece di lamentarti, dovresti essere contento
del fatto che abbiano scelto questo posto come candidato per fare la
festa di compleanno a Macchan! Si vede che l'altra volta sono rimasti
soddisfatti! -
- Ovvio che sono rimasti soddisfatti! Dopo che li hai
trattati in quel modo sfido chiunque a lamentarsi! - sbraitò
– E
li hai fatti pagare troppo poco dopo un servizio del genere! -
brontolò. Infatti l'altra volta aveva deciso lei, alla fine,
il
prezzo della “semi cena”. E ovviamente all'altro
non era andato
bene perché avrebbe voluto spillargli di più
– Questa volta, se
decidono di farla qui, li spenno! - continuò acido
– Con tutto
quello che guadagnano possono permettersi di pagare qualsiasi cifra!
-
Giulia sospirò rassegnata. E dovette sopportare le sue
lamentele fino a che non chiusero il bar. Non che lo stesse ad
ascoltare, più che altro fecero da sotto fondo ai suoi
pensieri che
erano tutti rivolti agli Arashi. Questa volta sapeva che li avrebbe
rivisti o risentiti sicuramente. E la cosa la rendeva enormemente
felice. Anche perché fino a quella sera pensava che avrebbe
passato
la Vigilia a servire cioccolata calda alle coppiette che si sarebbero
rintanate nel locale, ma ora le si prospettava una serata
inaspettatamente diversa e decisamente fantastica.
24/25 DICEMBRE
Tokyo
quel giorno era più movimentata del solito. Dalla vetrina
del bar
“Hōkiboshi”,
al di là delle tende bianche tirate si intravedevano miriadi
di
passanti sovraccarichi di buste stracolme di regali di ogni forma,
dimensione e colore. Erano molti i ritardatari che avevano aspettato
quel giorno per fare gli acquisti.
Dal bancone del bar Kazuki borbottava ormai da un'ora
buona. Non gli andava giù il fatto che dovesse tenere chiuso
quel
giorno: stava perdendo l'occasione di guadagnare molto con tutto quel
via vai di gente. E il fatto che fosse presente il soggetto del suo
malumore non lo scoraggiava, anzi, ogni occasione era buona per far
sentire in colpa il poveretto, o i poveretti.
Infatti alla fine gli Arashi avevano deciso di fare la
festa proprio lì. E se Giulia era euforica, nonostante la
settimana
di agonia che aveva dovuto passare perché Sakurai si era
deciso a
far sapere qualcosa ben oltre i due giorni che aveva annunciato
l'ultima sera che si erano visti – l'umore della poveretta in
quei
giorni era stato di un nero pece -, e nonostante avesse rischiato di
morire il giorno in cui aveva ricevuto la telefonata del ragazzo
–
dopo l'accaduto si era ripromessa di non rispondere più al
telefono
con la bocca quasi piena -, il capo era di tutt'altro umore. L'unica
cosa che lo rendeva felice era che ci avrebbe guadagnato un bel po'
di soldi.
- Scusalo! - fu il sussurro che la ragazza rivolse a
Ohno dopo l'ennesima frecciatina lanciata dal capo al ragazzo. Si
trovavano entrambi seduti ad un tavolo a gonfiare con l'elio
palloncini colorati che poi avrebbero appeso per la stanza.
Lui sorrise – Non ti preoccupare! - la
tranquillizzò
– Infondo non ha tutti i torti... guarda quanta gente
c'è in giro,
a quest'ora il locale sarebbe stato strapieno! -
- Bé... io ne sono felice! - sussurrò, si
voltò a
controllare che il capo non avesse sentito e ritornò a
parlare –
Sarei arrivata a fine serata morta e domani mi si sarebbe prospettata
una giornata collassata sul letto... invece così non
dovrò
spremermi come un arancio! - spiegò ammiccando.
L'altro ridacchiò divertito – E che farai invece
domani? - chiese.
Lei restò disorientata dalla domanda: in effetti non ci
aveva proprio pensato. - Uhm... dormirò fino a tardi,
pranzerò,
verrò a pulire e poi credo che tornerò a casa e
me ne starò al
calduccio a guardarmi qualche film. - doveva ammettere che la cosa
non l'allettava molto, era decisamente avvilente, ma non aveva altre
opzioni. Quell'anno avrebbe passato il Natale da sola.
- Non trascorrerai il Natale con nessuno? - domandò
stupito.
Scosse la testa - Non ho nessuno con cui trascorrerlo...
né parenti, né amici o qualsivoglia fidanzato,
visto che per voi è
un giorno da passare insieme al proprio partner! - l'informò.
Ohno stava per aggiungere qualcosa, ma venne interrotto
dalla voce di Matsumoto che, entrato dalla porta che dava sul retro
–
Giulia li aveva avvisati di passare da lì, almeno non
avrebbero
attirato l'attenzione -, poco dopo fece capolino nella stanza. E la
sua espressione non era certo delle migliori, sembrava alquanto
seccato. Dietro di lui spuntò subito dopo Sakurai che teneva
in mano
uno scatolone.
Si diedero tutti il buongiorno, poi il Riida aggrottò
la fronte - Che c'è? - chiese al primo, che si stava
avvicinando.
- Ho dormito poco! - rispose con tono cupo.
- Caffè? - domandò Giulia sorridendo.
- Cappuccino! - fece lui sedendoglisi accanto.
- Io invece un caffè, per favore! - esclamò
Sakurai
appoggiando lo scatolone sul tavolo – Dov'è Nino?
- domandò
guardandosi in giro.
- E' andato a comprare altri palloncini che questi non
bastano! - rispose Ohno indicando quelli ancora sgonfi sparpagliati
davanti a loro.
- Io glielo avevo detto che erano pochi, ma non mi ha
voluto ascoltare! - bofonchiò Matsumoto passandosi una mano
fra i
capelli neri e sbadigliando senza mettere la mano davanti la bocca.
In quel momento Kazuki appoggiò con poca grazia il
caffè davanti a Sakurai – Il cappuccino arriva! -
grugnì prima di
ritornare al suo posto.
I due nuovi arrivati lo guardarono sconvolti – Che ha?
- sussurrò il cantante rap rivolto alla ragazza.
- Niente, è solo di malumore.... gli passerà... -
spiegò con la stessa tonalità di voce sventolando
una mano per
minimizzare la cosa – spero! -
-
Tadaimaaaa!
- si sentì dal retro e pochi istanti dopo anche Ninomiya
faceva il
suo ingresso con in mano due pacchetti di palloncini – Fuori
si
gela! - riferì dopo aver salutato i due amici appena
arrivati.
- C'è aria da neve! - annunciò Sakurai
sorseggiando il
suo caffè.
-
Hontō
ni?
- esclamò Giulia sgranando gli occhi meravigliata e
sfoderando un
sorriso che piano piano si allargava sul viso.
- Le previsioni dicono che non nevicherà! - intervenne
Matsumoto. Il sorriso della ragazza si spense in un istante.
- Mai dire mai! - mormorò crucciata.
I ragazzi passarono tutto il resto della
mattinata a
gonfiare i palloncini e a chiacchierare. Giulia ormai si era temprata
alla loro presenza. Negli ultimi dieci giorni i quattro Arashi le
avevano fatto visita spessissimo per organizzare la festa alla
perfezione. Quindi ormai era immune alla loro vicinanza e ai loro
sorrisi, anche se ce ne era sempre qualcuno che la lasciava senza
fiato.
E sembrava che a loro piacesse chiacchierare con lei. In
quei giorni avevano avuto la possibilità di conoscersi
meglio e,
nonostante la diffidenza iniziale, dovettero ammettere che si
trovavano bene in sua compagnia.
Nel pomeriggio gli Arashi si dedicarono ad appendere gli
striscioni, che aveva portato Sakurai quella mattina, e di attaccare
i palloncini alle pareti; mentre Giulia iniziò a preparare
da
mangiare. Avevano optato per la pizza. Quando la ragazza aveva
rivelato di saperla preparare, non ci avevano pensato su due volte a
scegliere quella come portata. Invece il dolce sarebbe stato una
sorpresa anche per loro.
E così volarono pure le ore del pomeriggio. Verso le
sei e mezza gli Arashi se ne andarono a casa a cambiarsi. Matsumoto
poi avrebbe recuperato Aiba e condotto lì con la scusa di
fare un
aperitivo insieme.
Alle sette e un quarto erano tutti di nuovo al bar in
attesa del festeggiato. Tutto era pronto. Giulia fece capolino dalla
cucina: aveva il viso arrossato a causa del calore che emanava il
forno. Osservò i tre ragazzi seduti al tavolo apparecchiato
al
centro della stanza e sorrise dolcemente. Si vedeva benissimo che
erano tutti su di giri. Si erano impegnati tantissimo in quegli
ultimi giorni per rendere la festa indimenticabile. Ritornò
al suo
lavoro: lei non poteva essere da meno. Controllò la spianata
su cui
stava lavorando. Le pizze erano farcite e pronte per essere
informate; la torta era in frigo in attesa di essere gustata. In quel
momento il capo la raggiunse e l'avvisò che il festeggiato
stava per
arrivare: Matsumoto doveva aver fatto lo squillo come da accordo.
Infornò le prime pizze. Pochi minuti dopo dal salone si
levò
un'acclamazione accompagnata dal battito delle mani: Aiba era
arrivato.
La ragazza si affacciò di nuovo e vide il viso
sorridente del festeggiato che veniva abbracciato dagli amici.
Notò
che si portò una mano agli occhi: si era commosso. Erano
davvero
cinque ragazzi eccezionali. Sentì la presenza del capo
dietro di lei
– Ecco perché sono una loro fan, Hicchi!
Perché nonostante siano
famosi, valori come l'amicizia, la famiglia, la solidarietà
sono
sempre al primo posto. -
L'altro farfugliò qualcosa di incomprensibile prima di
entrare nella stanza e fare gli auguri al festeggiato. Giulia lo
imitò, si trattenne qualche minuto con loro, poi
ritornò in cucina
a controllare le pizze.
La cena andò benissimo: la pizza
le era venuta
incredibilmente bene ed era finita in un baleno; la torta, che aveva
rischiato di fare una brutta fine spiaccicata a terra –
Sakurai
aveva incespicato sui suoi passi mentre la portava al tavolo -, era
un rettangolo enorme, completamente ricoperta di panna, con al centro
un'immagine di tutti e cinque gli Arashi che li ritraeva nel loro
ultimo concerto. I ragazzi erano rimasti sconcertati quando l'avevano
vista: non si aspettavano una cosa così elaborata. Aiba non
fece che
ringraziarla in continuazione, nonostante lei gli ripetesse che si
era divertita un mondo ad organizzare tutto con gli altri.
Dopo la torta era arrivato il turno dei regali.
Matsumoto gli fece una camicia celeste; Sakurai un portafoglio; Ohno
un disegno di loro cinque insieme, fatto da lui, un cappello di lana
e una sciarpa; Ninomiya un trattamento completo al centro massaggi.
Giulia approfittò del momento dei commenti sui regali
per andare a buttare via la spazzatura. Aveva appena aperto la porta
sul retro quando un grido di stupore le uscì dalla bocca.
Gli altri
si precipitarono da lei e la trovarono impalata sulla porta che
guardava incredula di fuori.
- Che è successo? - le domandò preoccupato Aiba.
- E' tutto bianco! - fu l'unica cosa che riuscì a dire.
Sakurai le si avvicinò - la porta non era grandissima e
lei lì in mezzo ostruiva la visuale – e finalmente
riuscì a
capire a cosa si stesse riferendo. Il vicolo era ricoperto di una
coltre bianca e dal cielo cadevano fiocchi giganti fittissimi. -
Wooooooo! - esclamò eccitato.
La ragazza infilò il sacco dell'immondizia nel
cassonetto lì di fronte, percorse velocemente il vicolo e si
ritrovò
nella piazzetta completamente sommersa da alcuni centimetri di neve.
Anche gli altri la raggiunsero, dopo essersi coperti con
i giacconi. Aiba si era subito infilato il cappello e la sciarpa che
il Riida gli aveva regalato. E si sorpresero nel notare i lacrimoni
che si erano formati agli angoli degli occhi di lei.
- E' stupendo! - riuscì a farfugliare nonostante il
groppo alla gola.
-
Dovresti vedere la tua espressione in questo momento... è
davvero
kawaii!
- le disse Matsumoto. Per risposta ricevette un sorrisone a trentadue
denti.
Un grido li fece voltare all'unisono verso destra dove
videro un Aiba spalmato a terra a faccia in avanti. Inutile dire che
scoppiarono tutti a ridere come matti.
- Attenti che si scivola! - disse fra una risata e
l'altra una volta rialzatosi intento a tirarsi via la neve dal
giaccone.
Ohno stava per dirgli qualcosa, ma una palla di neve lo
colpì in pieno addome. Si voltò di scatto nella
direzione in cui
era arrivata e fece appena in tempo a schivarne un'altra in arrivo
che andà a colpire Matsumoto ad un fianco. Il colpevole era
Ninomiya
che velocemente si era chinato per farne un'altra. Ovviamente gli
altri non si fecero pregare e in pochi secondi la piazzetta venne
attraversata da bolidi bianchi.
Giulia, che si era ritrovata inaspettatamente in mezzo,
all'inizio aveva cercato disperatamente un riparo, ma quando Aiba
l'aveva colpita, i suoi occhi si erano infiammati e si era aggregata
anche lei.
Il risultato fu che mezz'ora dopo rientrarono nel locale
bagnati fradici ed esausti.
Kazuki, che se ne era rimasto al calduccio – anche se
la neve lo entusiasmava, ma con quei cinque non voleva avere niente a
che fare -, quando li vide entrare grondanti di acqua
sbiancò e si
portò le mani nei capelli. Però non poteva certo
lasciarli fuori –
anche se la tentazione era tanta -. Così racimolò
alcuni
asciugamani che aiutarono i lottatori a togliere il grosso della neve
ormai scioltasi. Tutti gli Arashi erano zuppi dalla testa ai piedi
dato che avevano fatto la stessa fine di Aiba, nessuno escluso.
Giulia invece si era riuscita a salvare, anche se aveva più
volte
rischiato di cadere.
- Oh... è mezzanotte passata... è Natale! -
esclamò
all'improvviso Matsumoto che per caso aveva lanciato uno sguardo
all'orologio.
In un attimo la stanza riecheggiò degli auguri di
tutti.
- Credo che ci sia qualcosa per voi sotto l'albero... -
riferì Giulia.
- Per voi chi? - chiese Sakurai stupefatto.
- Per voi tutti! - rispose lei sorridendo e con una mano
indicò i pacchettini colorati accatastati sotto il finto
abete, che
si era trasformato in un “Albero di Natale degli
auguri”. Infatti
giorni prima uno dei suoi amici studenti, per scherzo, vi aveva
appeso un bigliettino con su una frase di augurio per lei. I suoi
compagni, per non essere da meno, fecero altrettanto e così
anche
gli altri clienti. In due giorni i biglietti erano talmente tanti che
non vi era più un posto libero dove metterli.
Così avevano iniziato
ad appenderli sulle ghirlande attorno alle vetrate. Gli Arashi
iniziarono ad alternare lo sguardo confusi da lei ai regali. -
Avanti! - li esortò ad andarli a prendere.
Il primo che recuperò il suo fu Kazuki. Ogni pacchetto
aveva su un bigliettino rosso con il nome scritto in oro. Il capo lo
scartò e aperta la scatola vi estrasse una cravatta a righe
oblique
blu e celesti. La guardò meravigliato – E' proprio
quella che
volevo! Come... -
- Lo hai accennato due settimane fa che avevi visto nel
negozio all'angolo una cravatta che ti era piaciuta e me l'avevi
descritta. Quel pomeriggio sono andata subito a comprartela. -
spiegò
compiaciuta.
-
Arigatō
gozaimasu!
- disse contento, poi sembrò ricordarsi di qualcosa.
Posò il regalo
sul tavolo e si precipitò nello stanzino dove si cambiavano,
ne
tornò subito dopo con un pacchetto in mano che le porse
– Anche io
ti ho fatto qualcosa... non è niente di che... -
mormorò
leggermente imbarazzato.
Lei
lo ringrazio e scartò subito il pacchetto da cui ne
uscì una
trousse fornita di vari ombretti e fard – Oh... mi serviva
proprio!
- dichiarò contenta, quindi gli stampò un
fulmineo bacio sulla
guancia che lo fece arrossire - Fingi di essere un duro, ma alla fine
hai il cuore tenero anche tu, ne?
-
-
Urusai!
- borbottò imbarazzato.
-
Woo! - esclamò improvvisamente Ohno. Aveva scartato il suo
regalo,
curiosissimo, e ora teneva tra le mani una scatola di legno che
conteneva colori a tempera, a pastello e a spirito di tutte le
tonalità. Sollevò lo sguardo sulla ragazza: gli
occhi che gli
brillavano – Arigatō!
- le disse con un sorriso, gongolando.
-
Sugoi!
- commentarono gli altri quattro che lo avevano circondato.
Il secondo ad aprire il suo fu Aiba: a lui aveva
regalato un braccialetto con le maglie di acciaio opaco. Poi fu il
turno di Matsumoto che ricevette un anello – per la gioia di
tutti
non era la solita patacca gigante, ma uno di dimensioni normali:
largo nemmeno un centimetro – anche questo dello stesso
materiale.
A Sakurai regalò una collanina con le maglie in acciaio
satinato.
Infine a Ninomiya un CD di Luciano Ligabue.
- E' il cantante dell'altra volta... visto che mi avevi
detto che la canzone ti era piaciuta, ho pensato di regalarti il CD!
Se vuoi ti posso tradurre le canzoni! - gli disse.
-
Arigatō!
Appena torno a casa lo ascolterò! - fece entusiasta.
- Ti ringraziamo davvero molto per i regali, sono
stupendi, ma non dovevi! - l'ammonì Sakurai mentre indossava
la
collana.
- E' solo un pensierino! - replicò lei soddisfatta che
gli fossero piaciuti.
- Noi però non ti abbiamo fatto niente! - mormorò
Aiba
con aria abbattuta.
- Non è così... - precisò. Quelli la
guardarono
confusi. - Aver potuto passare la Vigilia di Natale con voi
è il più
bel regalo che mi avreste potuto fare! - rivelò con un
sorriso
radioso.
Aiba, che le stava lì vicino, l'abbracciò di
slancio,
scioccandola non poco: non era certo preparata a una cosa simile. Il
cuore le iniziò a martellare nel petto e le gambe a tremare.
Gli
occhi le si velarono di lacrime, provò a trattenerle, ma non
ci
riuscì. Era incredibilmente felice.
- Aiba-chan... l'hai fatta piangere! - gli fece notare
il Riida.
-
Gomen
gomen... demo...eri
troppo kawaii!
- informò quello accarezzandole la testa.
- Non è un motivo per abbracciare la gente! -
l'ammonì
Ninomiya.
-
Chotto
matte...
- saltò su Matsumoto – Non dirmi che è
lui il tuo ichiban!
-
- Ancora con questa storia? Vi ho detto che non ve lo
dico! - dichiarò asciugandosi le lacrime.
- Oh, avantiii! Dicceloo! - la supplicò Sakurai
inginocchiandosi ai suoi piedi con le mani congiunte.
Lei distolse lo sguardo arrossendo – Scordatevelo! -
rispose lapidaria.
- Nemmeno se te lo chiedono come regalo di Natale? -
intervenne Kazuki che sghignazzò malefico all'espressione
allarmata
di lei.
Subito
dopo lo incenerì con lo sguardo mentre gli altri
concordavano che
fosse un'ottima idea. “Se ne è stato zitto fino ad
ora, perché
non ha continuato a tenere la boccaccia chiusa? Altro che cuore
tenero... è bastardo fino al midollo!”
pensò mordendosi il labbro
inferiore. Poi spostò lo sguardo su ognuno: Aiba, Matsumoto,
Ninomiya, Ohno e Sakurai che era rimasto lì in ginocchio.
Tutti
avevano una faccetta troppo kawaii
con
un'espressione implorante stampata sopra. Sbuffò e
arrossì –
Sakurai-san! - mormorò talmente impercettibilmente che
sperò che
nessuno la sentisse. Ma il diretto interessato si trovava troppo
vicino per non riuscire ad ascoltare. E in un impeto di gioia la
abbracciò.
La poveretta rischiò un infarto, ma pensò che, in
fondo, non ci sarebbe potuta essere morte migliore di quella.
Il giorno seguente la ragazza si era recata
al bar verso
le due del pomeriggio per pulire il locale. Quella notte erano andati
a dormire tardi e quindi si era svegliata da poco, era ancora mezza
insonnolita. Il fatto che avrebbe dovuto fare tutto da sola non la
confortava per niente: Kazuki era andato a trovare i suoi parenti
–
aveva già organizzato da tempo l'uscita – e quindi
non l'avrebbe
aiutata.
Osservò controvoglia la sala sbuffando. Si tirò
su le
maniche della felpa della tuta e afferrata la scopa iniziò a
spazzare per terra.
Ovviamente le venne naturale ripensare a tutto quello
che le era successo nell'ultimo mese. Alla prima volta che aveva
incontrato gli Arashi pensando inizialmente fosse un sogno; a quella
successiva quando per poco non si era rotta l'osso del collo
rischiando di cadere dalla scala; delle svariate figuracce che aveva
collezionato ogni volta che li vedeva – perché non
si era limitata
solo ai primi due incontri -; ai dieci giorni consecutivi in cui le
avevano fatto visita per organizzare il compleanno ad Aiba; alle
lunghe chiacchierate che aveva avuto con ognuno di loro; e infine la
sera precedente: la più bella e la più
emozionante.
Sospirò
con aria sognante mentre ripensava all'abbraccio del suo ichiban.
Aveva una gran voglia di raccontarlo alle sue amiche, ma
probabilmente non l'avrebbero mai creduta.
Dei
rumori dietro di lei la fecero riscuotere dai suoi pensieri. Si
voltò
per controllare cosa fosse e si spaventò quando si
ritrovò la
faccia di Aiba a pochi centimetri di distanza. Urlò e fece
un
piccolo salto all'indietro andando a sbattere contro un tavolino a
cui si aggrappò per non rischiare di cadere a terra.
Guardò
stralunata le cinque facce gioiose davanti a lei farfugliando
qualcosa di insensato: in quel momento non riusciva a ricordarsi
nemmeno come si chiamava. - Minna...
cosa... qui... - anche il secondo tentativo non fu eccellente.
Loro la guardarono divertiti, poi Sakurai le si avvicinò
e le mostrò la mano che fino a quell'istante aveva tenuto
dietro la
schiena. In questa vi era un piccolo pacchettino. Lei guardò
l'oggetto alcuni istanti, poi lanciò al ragazzo un'occhiata
interrogativa.
- E' per te! - le disse afferrandole la mano,
sorridendole. Sul palmo rivolto verso l'altro ci posò il
regalo.
Era
in stato confusionale e le mani le tremavano – in
verità non solo
quelle, era tutta un tremore -, ma riuscì comunque ad
aprirlo.
Quando sollevò il coperchio della scatolina vide un
braccialetto d'argento, sottile, con alcune lettere appese. All'inizio
non vi fece
caso tanto era lo stupore, ma ad uno sguardo più attento
notò che
erano le iniziali dei loro cognomi che formavano la parola
“A.M.N.O.S.”
Si morse il labbro mentre cercava di trattenere le lacrime.
Gli
altri quattro le si avvicinarono e con un sorriso luminoso
esclamarono - Giuria-chan... Merī
Kurisumasu!
- con la loro personale pronuncia inglese che tanto adorava.
Quello fu troppo per lei. Scoppiò a piangere e a ridere
in simultanea.
Sakurai, allora, le circondò le spalle con il braccio
attirandola a sé per confortarla, senza rendersi conto che
in quel
modo peggiorava solo la situazione.
Più tardi avrebbe dovuto avvisarli di prepararla
psicologicamente la prossima volta, prima di fare una cosa del
genere. C'era in gioco la sua sanità fisica e mentale.
-
FINE -
SIGNIFICATO PAROLE GIAPPONESI:
Yatta:
parola
che viene usata come esultanza, può significare
“evviva”.
Baka:
scemo,
stupido, idiota. Dategli voi la traduzione che preferite, tanto
potete sbizzarrirvi dato che Kazuki la usa spesso.
Chotto
matte: aspetta
un attimo.
Senpai:
viene
chiamata così una persona più grande che ha
più esperienza di
lavoro, o un collega di scuola più grande.
Gakuran:
è l'uniforme scolastica maschile.
Demo:
ma.
Kedo:
però.
Arigatō:
grazie.
Arigatō
gozaimasu: grazie
mille.
Minna:
tutti.
Gomen
nasai:
scusa.
Iie:
no.
Hai:
sì.
Daijōbu:
va
bene.
Ano:
ehm.
Etto:
ecco...
Irasshaimase:
benvenuto.
Hontō
ni:
davvero, veramente.
Umae:
buono.
Arashi:
tempesta.
Itai:
doloroso.
Yoshi:
bene.
Zettai
ni: assolutamente.
Sumimasen:
perdono.
Ne:
vero?
Hora:
ehi, ohi.
Majite:
seriamente
(non so se si scrive così).
Kawaii:
carino.
Chigau:
sbagliato,
no.
Ichiban:
preferito.
Tadaima:
sono
tornato.
Urusai:
silenzio.
Sugoi:
fantastico.
Merī
Kurisumasu:
Merry Christmas.
NOTE
DELL'AUTRICE:
Ho
realizzato questa one-shot per un contest sull'AMNOS Fansub
(http://amnos.forumfree.it/),
dove tra l'altro mi son classificata prima a pari merito. Era da un
po' che volevo scrivere qualcosa con gli Arashi e non potevo perdere
quest'occasione! Spero vi siate divertiti a leggerla quanto mi sia
divertita io a scriverla! :)
E'
un augurio di Natale, anche se in ritardo, per tutte le fan di questi
adorabili baka.
Le
recensioni sono sempre ben gradite! ^^
Bacione.
Kicca