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Autore: Kicca    27/12/2011    4 recensioni
"Rilesse di nuovo quelle poche parole, incredula: “Hountō ni, arigatō!”. Poco più sotto un kanji che conosceva perfettamente: “嵐”. - Arashi! - sussurrò asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. Gesto inutile dato che continuavano a fuoriuscire."
Quando il destino ti offre un'occasione inaspettata, ma fantastica.
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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MERĪ KURISUMASU!”


20 NOVEMBRE

Ogni città, piccola o grande che sia, si trasforma durante le feste di Natale. Acquisisce quell'aria magica tipica di quel periodo.
Tokyo non era da meno. Da pochi giorni si erano iniziati a vedere i primi segni dell'imminente arrivo della festività: gli alberi spogli lungo i viali erano stati completamente rivestiti di luci colorate e i negozi addobbati a tema; facendo così diventare la capitale ancora più luminosa di quanto non fosse già. Era uno scenario fantastico, sopratutto per chi vi assisteva per la prima volta.
E questo era il caso di Giulia. Ormai erano nove mesi che si trovava lì a Tokyo, ma ad uno spettacolo del genere non era preparata. Anche perché era abituata alle luminarie della sua città: un piccolo comune italiano; quello per lei era tutto un altro mondo. Ultimamente, quando usciva per delle commissioni, rimaneva spesso impalata sul marciapiede a guardarsi intorno meravigliata. E ciò le causava sempre una strigliata da parte del suo capo, dato che ci metteva una vita a rientrare a lavoro.
Quel giorno non era da meno. Si era trattenuta fuori più dei dieci minuti che le erano stati dati per andare a comprare alcune cose al Konbini. E se non fosse stato per Kazuki, il suo capo, che le aveva telefonato due minuti prima sbraitandole nell'orecchio – rischiando per di più di romperle un timpano – che se entro tre minuti non si fosse ripresentata al bar le avrebbe ridotto drasticamente lo stipendio, starebbe ancora piazzata davanti la vetrina di addobbi natalizi immersa nel vitale – dal suo punto di vista – dilemma che la stava affliggendo da lì a una settimana: di che colore agghindare il locale. Era stato affidato a lei il compito di decorarlo – dopo essersi prostrata ai suoi piedi come se fosse stata una questione di vita o di morte, costui non era riuscito a dirle di no – e così si era imposta di fare la cosa in modo impeccabile. Il suo motto era: “Se le cose bisogna farle, allora devono essere fatte per bene!”.
Ora si trovava a zigzagare come un fulmine tra la folla, cercando di non trascinarsi dietro nessuno, nel disperato tentativo di arrivare in tempo. L'aria gelida di quel pomeriggio le sferzava la parte superiore del viso che non teneva avvolta nella sciarpa rosa. Controllò l'orologio al polso. Mancava un minuto: poteva ancora farcela. Riusciva a scorgere in lontananza l'insegna del bar riportante la scritta “
ほうき星”: “Hōkiboshi”, cioè “Cometa”. Strinse i denti e accelerò per compiere quegli ultimi metri che la dividevano dalla meta. Dopo aver rischiato di travolgere una signora anziana che si era ritrovata improvvisamente davanti, si lanciò verso la porta che spalancò con impeto, facendo irruzione nel locale. Venne investita da un tepore piacevole che iniziò a propagarsi lentamente per il corpo. Gli zigomi, già rossi per la corsa e per il freddo, si fecero ancora più accesi. Le iridi nocciola saettarono all'orologio appeso al muro, sopra la porta che dava in cucina. Un sorriso soddisfatto le increspò le labbra sottili mentre ansimante sollevò le braccia in aria.
-
Yatta! - esultò incurante della presenza di alcuni ragazzi seduti ad un tavolo che sorrisero divertiti. Ormai i clienti consueti erano abituati agli atteggiamenti strambi della ragazza. Ma non ebbe il tempo di godersi appieno quel momento di gloria perché ricevette una manata alla testa.
-
Baka! - la insultò una voce maschile alle sue spalle. Giulia si voltò massaggiandosi la parte lesa. Davanti a lei incombeva un ragazzo moro che la osservava minaccioso: il suo capo, Kazuki Himura. Aveva due anni in più di lei e il locale era di sua proprietà. Gli occhi neri dal taglio orientale stretti in due fessure la fissavano spazientiti. La ragazza indietreggiò di un passo intimidita. - Quando ti dico dieci minuti, non significa che ne hai altri dieci di bonus... - la rimbeccò – e non provare a tirar fuori la scusa del quarto d'ora accademico! - la zittì prima che potesse emettere alcun suono.
Lei sbuffò e mise il broncio – Ma Hicchi... - il diretto interessato ringhiò pericolosamente nel sentirsi chiamare in quel modo: odiava quel soprannome, ma sembrava che a lei piacesse un mondo - ho tardato per una cosa importante... - cercò di giustificarsi – mi sono fermata a vedere una vetrina che vendeva degli addobbi natalizi veramente graziosi... -
- Ti prego... risparmiamelo! - la interruppe bruscamente decisamente seccato ritornando al suo posto dietro il bancone del bar. Era da quando le aveva dato il permesso di occuparsi della cosa che ne parlava in continuazione. Non ne poteva più.
- Solo che li avevano sia blu che rossi e ho iniziato a riflettere quale colore starebbe meglio qui dentro... - continuò imperterrita.
-
Chotto matte... - la interruppe di nuovo – Hai perso tutto questo tempo a fissare una stupida vetrina? - chiese tra l'adirato e l'incredulo – Ma ti pare normale?! Non puoi lasciarmi da solo! Come faccio a gestire tutti i clienti? E' per questo che ti ho assunta! - sbottò stranito - E poi da quand'è che sai riflettere? - la schernì incorporandovi l'espressione più sorpresa che potesse fare – Pensavo che per te fosse un optional di cui non sei stata dotata! -
- Hicchi! - esclamò lei contrariata e offesa – Me ne sono andata adesso perché c'erano solo i ragazzi! - si difese indicando i cinque giovani seduti al tavolo – E non mi sembra che sia entrato nessun altro! Tra l'altro in dieci minuti quanta gente pensi che possa arrivare? -
- Sono
venti i minuti! E piantala di chiamarmi in quella maniera! - sibilò lapidario fulminandola con lo sguardo – E poi portami rispetto... sono sempre un tuo senpai! -
-
Demo... ci conosciamo da otto mesi ormai... - provò a replicare.
- Questo non cambia le cose! Non ti ho mai dato il permesso di darmi così tanta confidenza! - le ricordò – E falla finita di startene lì impalata a parlare di cose frivole... hai già perso troppo tempo... rimettiti subito a lavoro! -
- Sei crudele! - si lagnò dirigendosi con passo flemmatico a recuperare il grembiule nello sgabuzzino – E comunque non mi hai detto quale colore preferisci per le luci! - riprese il discorso una volta riemersa in sala.
- Non... mi... interessa! - scandì parola per parola in modo da chiudere lì il discorso.
La ragazza lo guardò crucciata per alcuni secondi, poi afferrò un vassoio e si diresse infastidita al tavolo dei giovani studenti – indossavano tutti la
gakuran - a recuperare le tazze vuote sporche di cioccolata.
- Rosse! - proferì uno dei giovani dai capelli biondi ossigenati regalandole un sorriso.
Giulia restò con la tazza sollevata a mezz'aria e un'espressione ebete sul viso – Eh? - chiese non avendo capito cosa intendesse l'altro.
- Kataoka-kun sta parlando delle luci... - spiegò quello seduto di fronte, i capelli cortissimi, castani.
- Oh! Quindi, Sadacchi, pensi che rosse siano meglio? - domandò lei di nuovo di buon umore, ma mantenendo il tono basso per non rischiare di farsi sentire dal capo. Era contenta che qualcuno le desse corda, parlare con l'altro era come parlare con un muro.
Quello affermò deciso con il capo.
- Io le preferisco blu! - si intromise un terzo; era moro, la corporatura robusta.
-
Demo, Ibu-kun, blu non sono molto natalizie... vanno bene per le luminarie esterne, qui ci starebbero meglio le rosse! - disse Kataoka.
Quello ci pensò su un po', poi dovette ammettere che l'amico aveva ragione.
- Credo che allora opterò per le rosse! Magari potrei aggiungerci qualcosa di oro... e potrei comprare anche qualcosa sul verde... - iniziò a ragionare la ragazza.
- Potresti fare anche un albero. - propose il ragazzo seduto di fronte a Kataoka.
- Mitsuwa-kun ha ragione! Sarebbe fantastico! - lo assecondò il vicino dai capelli tinti sul rosso.
Alla ragazza si illuminò il viso –
Etto... in effetti mi piacerebbe un sacco poterne fare uno... - gli occhi le brillavano – magari potrei metterlo nell'angolo laggiù... - con il dito indicò il punto – Ora che ci penso, ho visto delle palline rosse e oro davvero belle, proprio l'altro giorno. - si ricordò, l'entusiasmo che andava incrementandosi – E potrei usare dell'ovatta per fare la neve finta da appoggiare sopra il davanzale delle vetrate... - il sorriso che le stava illuminando il viso si sciolse poco dopo - demo non so se Hicchi me ne darà la possibilità! - il suo umore le era tornato sotto le suole delle scarpe.
- Non c'è mica bisogno che glielo dici! - intervenne il ragazzo che era restato in silenzio fino a quel momento, aveva la carnagione più scura degli altri, gli occhi marroni e i capelli neri leggermente lunghi – Credo che Himura-san se la sia presa perché lo tormenti ogni cinque minuti. - spiegò, l'altra chinò il capo con aria colpevole – Prova a fare da sola, sono sicuro che riuscirai a fare un ottimo lavoro. Le idee che ci hai detto adesso non erano niente male! - concluse facendole l'occhiolino.
-
Arigatou Mitsu-chan! - gli sorrise riconoscente.
- E se hai bisogno di qualche consiglio chiedi pure a noi... - suggerì il ragazzo dai capelli rossi – Tanto veniamo qui un giorno sì e l'altro pure! -
- Hide-chan... - mormorò lei prima di mordersi il labbro inferiore. Quei cinque le erano stati simpatici fin dal primo momento che li aveva conosciuti. L'avevano molto aiutata con la lingua e ad ambientarsi, nonostante fosse di ben otto anni più grande. Era felice di averli conosciuti. -
Minna... siete davvero dei bravi ragazzi! - esclamò, gli occhi lucidi.

Con il calare della sera, nonostante fosse ancora pieno pomeriggio, e l'irrigidirsi della temperatura, il bar iniziò a riempirsi e la ragazza dovette immergersi completamente nel lavoro. Ogni tanto, fra un'ordinazione e l'altra, si fermava dai ragazzi che si erano proposti di aiutarla a fare una lista delle cose di cui aveva bisogno e anche di andare a comprarne alcune, dato che per lei era impossibile non potendo lasciare per molto il locale. Una volta terminata, prima di andarsene, le promisero che avrebbero iniziato a portare le prime cose l'indomani pomeriggio, subito dopo la scuola.
Era felicissima. Nonostante non sarebbe tornata in Italia per le vacanze, sembrava che potesse festeggiare comunque il Natale lì. I suoi parenti ci erano rimasti male quando aveva riferito loro che non sarebbe tornata. Per non parlare delle sue amiche. Ma non poteva farci niente. Aveva promesso a Kazuki che l'avrebbe aiutato sotto le feste: il bar sarebbe stato chiuso solo il giorno di Natale e di Capodanno. Non poteva certo lasciarlo da solo. E poi, in fondo, era meglio così.
Il sorriso solare che aveva avuto fino a quel momento sul viso andò scemando. Restò ad osservare il tavolo che stava pulendo, immersa nei suoi pensieri. I clienti se ne erano tutti andati data l'ora tarda. Spostò lo sguardo fuori la vetrata. A sinistra vi era la strada illuminata dai lampioni e dai fanali delle auto che sfrecciavano. Anche lì gli alberi erano stati ricoperti di luci blu. A destra vi era la piazzetta, con al centro una grande aiuola e una fontana che di giorno zampillava acqua. Lo spiazzo era attraversato ogni tanto da qualche passante: probabilmente gli ultimi lavoratori che si erano attardati in ufficio e adesso si affrettavano a rincasare.
Scosse la testa e si diede mentalmente della stupida. Aveva promesso che non ci avrebbe più pensato. Era difficile, ma ce l'avrebbe messa tutta. “Accidenti! Proprio adesso che ero su di giri... mi son rovinata la serata!” pensò sospirando affranta.
-
Ano... - mormorò una voce alle sue spalle che la fece letteralmente saltare e gridare. Immersa com'era nei suoi pensieri non aveva minimamente sentito il campanello della porta suonare e quindi il cliente entrare. Si portò una mano al petto. Il cuore le martellava per lo spavento. - Gomen nasai! - sentì la voce scusarsi, ma percepì anche delle risatine. Imprecò tra se e sé e arrossì per la figuraccia. Si girò con il viso in fiamme, cercando di sorridere come meglio poteva. Da una parte sperava che colui che stesse sghignazzando di lei si strozzasse con la sua stessa saliva. - Iie... daijō... - le parole le morirono in bocca. Rimase a fissare i clienti per alcuni secondi incredula. Poi avvampò – peggiorando la tonalità del viso - e un mugolio sorpreso le uscì dalla gola. Notò gli sguardi perplessi dei cinque ragazzi e cercò di dire qualcosa di sensato, ma il suo cervello sembrava non voler funzionare. In quel momento si domandò dove diavolo fosse finito il suo capo, ora che aveva disperatamente bisogno di lui. Lo maledì mentalmente. - I-irasshaima-se! - farfugliò.
Ano... state chiudendo? - chiese il ragazzo più vicino a lei, sorridendo, mentre gli altri quattro cercavano di trattenersi dallo scoppiarle a ridere in faccia, ma l'impresa era difficile.
Le ci volle uno sforzo tremendo per rispondergli – Chiudiamo alle due! - sussurrò. Sembrava che la voce non volesse collaborare in quel momento.
- Oh, perfetto! Allora ci accomodiamo! - esclamò il più alto e, senza farselo ripetere due volte, si sedette sulla sedia che aveva sottomano mostrandole uno splendido sorriso.
- Hai
! Vado a prendere i menu. - informò dirigendosi con aria frastornata verso il bancone. Il cuore continuava a batterle velocemente, ma ora non era più per lo spavento. I rumori delle sedie le giungevano attutiti. “Probabilmente sto sognando!” iniziò a pensare “Sì! Non può essere diversamente! Questo è solo un sogno! Quindi non devo far altro che godermelo. Va tutto bene... è solo un sogno!” posò i menu sul tavolo. Avevano scelto quello nell'angolo in fondo al locale. Era abbastanza nascosto e appartato – Quando avete scelto chiamatemi! -
-
Hai! Arigatō gozaimasu! - la ringraziarono i cinque individui sorridendole.
Il cuore le perse un battito. Ricambiò comunque il sorriso e si allontanò, continuando a ripetersi che si trattava solo di un sogno. Bellissimo per giunta. Probabilmente si era addormentata mentre stava pulendo. Sperava solo che il capo non si sarebbe arrabbiato quando l'avrebbe scoperta. Proprio in quel momento si sentì chiamare da lui. Entrò nel panico, convinta che si sarebbe svegliata da un momento all'altro. Lanciò un'ultima occhiata al tavolo da dove provenivano le risate di quei cinque ragazzi. “E' stato bello finché è durato!” pensò con aria afflitta. Chiuse gli occhi pronta a ricevere la sua punizione. Che non si fece attendere: la seconda manata in testa della giornata.
- Potresti evitare di dormire in piedi? - fu la richiesta spazientita che sentì pronunciare.
Riaprì gli occhi massaggiandosi la testa e notò che si trovava proprio nella stessa posizione e nello stesso posto di poco prima ed iniziò a preoccuparsi: ora era anche sonnambula. Forse aveva bisogno di una vacanza. Poi la consapevolezza si fece strada nella sua mente e disse addio allo splendido sogno.
Kazuki notò l'espressione delusa che le si era formata sul viso e corrugò la fronte – Che hai? - ma non attese una sua risposta. Spostò lo sguardo sul tavolo in fondo alla stanza e lo indicò con il capo – Ti stanno chiamando! - la informò.
- Eh? - esclamò lei confusa.
Lui la osservò con aria preoccupata. - Ho detto che i clienti che sono appena arrivati ti stanno chiamando! - ripeté. - Ma ti senti bene? -
Lei corrugò la fronte e si voltò verso il tavolo che nel sogno era occupato da quei ragazzi. E le prese un colpo – il secondo nel giro di pochi minuti – quando vide che non erano affatto spariti. Anzi, quello che le stava di fronte sventolava la mano e le fece cenno di raggiungerlo. Il tutto accompagnato da uno splendido sorriso che le fece perdere un altro battito. Ma non ebbe tempo di ammirarlo perché si sentì spingere con una certa veemenza verso di loro. Si voltò a guardare in malo modo il capo: aveva quasi rischiato di cadere. Ma lo sguardo che le lanciò era categorico: o ti riprendi o ti licenzio seduta stante. Ricevuto il messaggio si diresse titubante dai suoi clienti. Ora che aveva capito che non era un sogno e nemmeno tutto frutto della sua fantasia, il panico stava prendendo il sopravvento. Le mani le avevano iniziato a sudare e le si erano ghiacciate: succedeva ogni volta che era agitata. E di sicuro il fatto che
quello non sembrava avere nessuna intenzione di staccarle gli occhi di dosso peggiorava solo le cose. Pregò mentalmente di non fare altre figure di merda davanti a loro. Quella di prima le bastava e avanzava.
- Cosa vi porto? - domandò con il tono più normale che fosse capace di produrre in quel momento. Afferrò il block notes e la penna pronta a scrivere.
-
Etto... in verità... avremmo una certa fame! - rivelò quello seduto alla sua sinistra, puntandole i bellissimi occhi nocciola addosso; sembrava un po' in difficoltà – Però sul menù non c'è nulla che potrebbe... come dire... riempirci lo stomaco. - farfugliò.
Ovvio, è un bar, non è mica un ristorante!” si disse lei rimanendo però composta. L'altro lanciò una veloce occhiata ai compagni che ricambiarono con una di incoraggiamento. La cosa non sfuggì alla ragazza che intuì che probabilmente stavano facendo parlare lui per cercare di abbindolarla. “Non vale giocare sporco!” si lamentò lei fra sé e sé.
Quindi, se non è un disturbo, potremmo avere qualcosa che ci possa saziare? - proseguì con tono incerto.

La ragazza lanciò un'occhiata veloce ad ognuno prima di concentrarsi sul suo taccuino che improvvisamente iniziò a trovare interessantissimo. – Un piatto di pasta vi va bene? - chiese. Erano riusciti completamente nel loro intento. E come poteva dire di no a delle faccette così? Avevano tutti gli occhi da cane bastonato che la imploravano. E si capiva benissimo che avevano veramente fame. Non poteva mica lasciarli lì a morire. Ce li avrebbe avuti per sempre sulla coscienza, per non parlare del fatto che avrebbe privato il mondo della loro presenza. Questo era impossibile.
-
Hontō ni?! - esclamarono all'unisono, sorpresi.
- Nessun problema! Dovrei riuscire a racimolare qualcosa... però mi ci vorrà un po' di tempo! Riuscite ad aspettare? -
I larghi sorrisi che si formarono sui loro visi furono sufficienti come conferma. Anche perché la mandarono completamente in tilt e non ascoltò minimamente ciò che aveva aggiunto uno di loro dopo.

Era intenta a tagliare una melanzana quando Kazuki, rimasto a fissarla alle sue spalle per più di cinque minuti, si decise ad aprir bocca.
- Sai... non avresti dovuto farlo! - proferì incrociando le braccia.
Lei sorrise. Non poteva vederlo in faccia perché gli dava le spalle, ma poteva benissimo immaginare la sua espressione crucciata. Quei cinque non gli erano mai stati molto simpatici e in questo momento probabilmente stava desiderando che se ne andassero di lì il prima possibile. Forse si stava anche domandando perché avessero scelto proprio il suo bar. - Potrebbe sembrarti strano... e puoi benissimo non credermi...
kedo non lo sto facendo perché sono loro! - replicò afferrando i cubetti di melanzana che gettò nella padella in cui stava friggendo la cipolla - Lo avrei fatto comunque per qualsiasi altra persona! -
Quello sollevò un sopracciglio poco convinto - Sarà... - commentò scettico – Tanto sei tu che devi lavorare in più... a me non cambia molto la cosa. - si discostò dalla parete sulla quale si era appoggiato e si diresse verso la porta che dava al bancone – Basta che pagano! -
- Ah, decidi quanto mettere un piatto di pasta! - richiese lei – Almeno poi glielo riferisco. -
- Uhm... considerando quanto guadagnano, potrei spillargli un po' di soldi! - disse mentre ghignava perfido .
Giulia roteò gli occhi e si voltò a guardarlo – Hicchi... i clienti sono tutti uguali! - gli ricordò.
- Senti da che pulpito viene la predica. Chi è che venti minuti fa si è precipitato fuori dal bar in cerca degli ingredienti per preparare qualcosa a quei cinque? - vedere la ragazza arrossire lo soddisfò – Tra l'altro ci hai impiegato pochissimo tempo ad andare e tornare... e sei dovuta anche arrivare fino a casa tua... -
Lei sbuffò spazientita – Piantala! - lo interruppe accigliata - E ora vai via che mi stai distraendo! - esclamò iniziando a spingerlo fuori della porta della cucina – Non voglio propinargli qualcosa di immangiabile! -
Il ragazzo scoppiò a ridere divertito. Gli gustava un mondo tormentarla.


Dopo mezz'ora finalmente Giulia posò i piatti stracolmi di pasta davanti ai cinque clienti a cui brillavano gli occhi per la felicità. - Gomen nasai! Vi ho fatto aspettare molto! - si scusò mortificata chinando il capo. Ci aveva impiegato più di quanto aveva calcolato.
-
Iie, iie! Nessun problema! - la tranquillizzò uno di loro.
-
Ano...cos'è? - le domandò invece quello che le stava di fianco, sulla destra.
- Tortiglioni con sugo e melanzane! E' una cosa semplice, ma è tutto quello che sono riuscita a racimolare a casa mia. - sussurrò arrossendo.
Calò il silenzio per alcuni secondi mentre un'espressione sconvolta si andava formando sul loro volto. Poi venne interrotto da un fiume di esclamazioni sorprese.
- Non dovevi disturbarti così tanto! - disse il più grande.
- Non vi preoccupate, l'ho fatto volentieri! - farfugliò abbozzando un sorriso imbarazzato – Qui non avevo ingredienti per prepararvi qualcosa! - aggiunse.
I cinque si scambiarono un'occhiata avvilita, poi spostarono lo sguardo sul piatto di pasta fumante sotto il loro naso. Un profumino invitante li trattenne dall'aggiungere altro e si concentrarono totalmente sul cibo. Un coro di “
umae” si levò in aria non appena assaggiarono la prima forchettata.
E la cosa, ovviamente, riempì di gioia la cuoca. Ma non tanto per il fatto che avessero trovato buono ciò che aveva preparato. Lei era contenta per aver vissuto quel momento “dal vero”. Le loro espressioni dal vivo erano decisamente migliori di quelle che vedeva quando tutto questo accadeva in uno dei loro programmi televisivi. Il cuore le mancò di nuovo un battito. E si rese conto che se andava ancora avanti così non sarebbe arrivata alla fine della serata. Ma non poteva sperare in un modo più soddisfacente di morire: felice e appagata.


Dopo l'abbuffata di pasta – con tanto di bis – Giulia preparò loro una tazza di cioccolata calda con panna e dolcetti. I ragazzi furono molto stupiti nello scoprire che anche quei biscotti erano stati cucinati da lei.
- Sei davvero una brava cuoca! - commentò quello più basso.
-
Arigatō gozaimasu! - non c'era niente da fare, ogni volta che le rivolgevano la parola avvampava, indistintamente da chi fosse dei cinque a farlo.
-
Bravo! Bravo! - esclamò in un italiano stentato un altro, battendo le mani.
Giulia lo fissò alcuni secondi con aria indecisa – Si dice “brava”. - lo corresse – “Bravo” si dice ai maschi. - precisò.
- Oh, allora sei veramente italiana! - saltò su quello che aveva ordinato – Lo dicevo io! - aggiunse con un sorrisone soddisfatto. Lei affermò dopo essersi ripresa dall'ennesimo colpo.
- Da quanto sei qui? - si informò il più grande.
- Sono arrivata a febbraio per studiare giapponese un mese e mezzo. All'inizio il fatto di trasferirmi direttamente qui era solo una speranza, poi invece sono riuscita a trovare lavoro e a sistemarmi. - spiegò, felicissima che si stessero interessando a lei.
- Tornerai in Italia per Natale? - chiese un altro.
-
Iie! Lavorerò fino alla Vigilia e anche l'ultimo dell'anno! Non riuscirei a rimpatriare. -
- Certo che il tuo capo potrebbe anche darti un po' di giorni di ferie per tornare a casa. Ti sfrutta proprio! -
Kazuki aveva sentito perfettamente la suddetta frase e seccato si diresse verso di loro, pronto a insultarli. Ma Giulia se ne accorse e rimediò fulminea. - Non mi sfrutta affatto, anzi mi tratta bene. E' davvero una brava persona. Se non fosse stato per lui ora non sarei qui. Sono io che ho deciso di rimanere per aiutarlo! - sorrise e non aggiunse altro. Con la coda dell'occhio vide che il capo si era calmato; sembrava anche sorpreso delle parole di elogio. Tirò un sospiro di sollievo.
- Certo che hai avuto davvero un gran coraggio nel decidere di partire e trasferirti così lontano da casa! - disse il ragazzo seduto alla sua destra – E' ammirevole! -
- Bé, non è stato poi così difficile! Era da un paio di anni che mi frullava per la testa l'idea di venire in Giappone. Mi ero innamorata dei vostri usi e costumi, nonché della vostra lingua. E trasferirmi qui era il mio più grande sogno che ho realizzato! Dopo che sono riuscita a mettere da parte un po' di soldi ho fatto le valigie e sono partita. Sapevo che quella era l'occasione giusta e che se avessi aspettato ancora non avrei più potuto farlo e l'avrei rimpianto per tutta la vita. Sono veramente felice ora di essere qui. - le parole le erano uscite da sole e si capiva quanto fossero sincere – E naturalmente l'amore per questa nazione è andato aumentando da quando sono arrivata. Mi sono trovata subito benissimo! -
Erano tutti rimasti in silenzio ad ascoltarla. L'impeto che vi aveva messo in quelle parole li aveva lasciati di stucco. Anche Kazuki era sorpreso. Giulia era una ragazza che non parlava molto e anche lui non era il tipo che faceva domande. Quindi non aveva mai avuto occasione di constatare quanto fosse importante per lei lo stare lì. Quando se l'era ritrovata otto mesi prima davanti, per chiedergli di essere assunta come cameriera, non ci aveva pensato molto ad accettare. E' vero che era straniera, ma le era sembrata subito una ragazza a posto. Aveva notato che era disperata e lui aveva assolutamente bisogno di aiuto. Solo quella volta le aveva fatto una domanda: perché ci tenesse tanto a lavorare; si ricordava ancora la risposta: “Perché se riesco a lavorare e a guadagnare decentemente non torno a casa!”. In quel momento aveva letto nel suo sguardo una forte determinazione. Aveva deciso comunque di tenerla in prova per una settimana. Ma già dopo due giorni l'aveva assunta. Era una gran lavoratrice e una persona seria. E poi c'era da aggiungere che, da quando era arrivata, i clienti erano aumentati in modo spropositato. Questo non poteva che soddisfarlo. Le labbra si piegarono in un sorriso e tornò dietro il bancone. Ma in quel momento, lanciando uno sguardo veloce all'orologio appeso al muro, si accorse di quanto si fosse fatto tardi.
-
Minna-san mi spiace interrompervi, demo dobbiamo chiudere! - li informò.
Giulia sorpresa si voltò a guardare l'orologio che segnava le una e tre quarti. Sgranò gli occhi interdetta. Il tempo in presenza di quei cinque era volato.
Questi allora si alzarono e si prepararono velocemente, sotto lo sguardo malinconico della ragazza. Si diressero alla cassa a pagare continuando a elogiarla e ringraziarla per tutto quello che aveva fatto per loro. - Se non ci rivediamo... buon Natale e buon anno! - augurarono sia a Giulia che a Kazuki.
- Anche a voi! - ricambiò lei sorridendo. Si stava sforzando, lo sapeva benissimo. Avrebbe voluto sorridere sinceramente, ma in quel momento proprio non le riusciva. Aveva un sacco di cose da dirgli, ma le si era formato improvvisamente un nodo in gola. Riuscì solo a salutarli con la mano prima che scomparissero definitivamente. Restò imbambolata a fissare quel punto per diversi minuti. Con il cuore che le batteva all'impazzata e la triste realtà che le era piombata improvvisamente addosso: non li avrebbe più rivisti. Ma sicuramente non avrebbe mai dimenticato quella sera per il resto della sua vita.
- Signorina... dovresti sbrigarti a pulire... io vorrei chiudere e andare a dormire! - la riportò alla realtà il ragazzo – Tu fai lì, io penso alla cucina! - gridò dall'altra stanza.
Lei affermò e sospirò con aria abbattuta “Bé... ho avuto il mio regalo di Natale! Anche se in anticipo!” constatò cercando di restare allegra. Afferrò uno strofinaccio e la scopa e andò a pulire il tavolo. Era immersa nei suoi pensieri, intenta a ripercorrere le ultime ore di quella serata, così inizialmente non si era accorta che il tovagliolo di carta bianco che aveva appallottolato e gettato a terra aveva su delle scritte. Solo quando le ci ricadde l'occhio spostandolo con la scopa, le notò. Corrugò la fronte mentre si chinava a raccoglierlo. Lo spiegò e per poco non le prese un colpo quando lesse cosa vi era scritto. Gli occhi le si riempirono di lacrime che si riversarono sulle sue guance. Trattenne a stento un singulto. Rilesse di nuovo quelle poche parole, incredula: “H
ountō ni, arigatō!”. Poco più sotto un kanji che conosceva perfettamente: “. - Arashi! - sussurrò asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. Gesto inutile dato che continuavano a fuoriuscire. Sì, era stato proprio un bel regalo inaspettato di Natale poter incontrare quella sera i suoi idoli. Coloro che da diversi anni, ormai, allietavano ogni suo giorno. Aveva avuto la possibilità di parlarci quelle poche ore. Era davvero contenta.
Stava per alzarsi, ma qualcos'altro attirò la sua attenzione. A terra, sotto una sedia, vi era un oggetto colorato. Si allungò sotto il tavolo per afferrarlo e un'esclamazione sorpresa le uscì dalla gola – Questa è... - mormorò rigirandosi la sciarpa rossa fra le mani.
- Che stai facendo lì sotto? - chiese il capo che la osservava interdetto da dietro il bancone.
Giulia sobbalzò per lo spavento e questo le causò una capocciata contro il tavolo. Inutile dire che il ragazzo scoppiò a ridere divertito. -
Itai! - si lamentò sollevandosi.
- Cos'hai in mano? - domandò incuriosito l'altro.
- Una sciarpa. - riferì massaggiandosi il punto che aveva sbattuto – E' di uno degli Arashi! - spiegò dolorante. Doveva essere di Ninomiya, c'era lui seduto in quel posto. Anche se non ricordava che la portasse quando erano arrivati. Ma in effetti non aveva fatto proprio caso a cosa indossassero. Si era concentrata solo sui loro visi – La metterò da parte, potrebbe venire a riprendersela! - mormorò appoggiandola su un altro tavolo.
- Aspetta e spera! - fu il commento aspro che le regalò lui. Ora che quei cinque se ne erano andati poteva tornare a parlarne male – Ne avranno una marea di sciarpe, cosa vuoi che importi loro se ne perdono una! O comunque, con tutti i soldi che hanno, potrebbero comprarsene a bizzeffe! -
Lei gli lanciò un'occhiataccia – Smettila di parlare così! - esclamò stizzita – Il fatto che ti stanno sulle scatole non te ne dà il diritto. - sibilò prima di ritornare a pulire a terra con la scopa.
- Che ci troverai di tanto speciale in loro... - borbottò mentre si dirigeva a cambiarsi.
- Il semplice fatto che appena li sento cantare o li vedo sorridere riescono a rendermi ogni giornata decisamente migliore di quella che mi si prospetterebbe! - rispose con tono autorevole.
- Io invece ogni volta che li sento cantare sto male! - dichiarò tragico.
Giulia scosse la testa, ma non rispose. Non le andava di iniziare un battibecco con lui. Era tardi e l'indomani mattina si sarebbe dovuta svegliare presto. Si sbrigò a pulire, afferrò la sciarpa, salutò il ragazzo e se ne tornò a casa. Ma già sapeva che avrebbe trascorso la notte insonne a ripensare ai quei cinque adorabili
baka e a fantasticare su un possibile nuovo incontro. Questa volta forse, non inaspettato.


8 DICEMBRE


Il Natale era alle porte e anche l'atmosfera si faceva via via sempre più festosa a Tokyo. Ormai tutti i negozi e i grandi magazzini erano addobbati da cima a fondo e le radio trasmettevano in continuazione vecchi e nuovi successi natalizi.
All'
Hōkiboshi si stavano facendo gli ultimi preparativi.
Quella mattina Kazuki era rimasto sorpreso di trovare Giulia al locale. Era arrivata prima di lui e aveva già sistemato tutto, pronta ad accogliere il primo cliente. Era talmente sbalordito che le aveva chiesto subito se si sentisse bene e il sorriso luminosissimo che gli aveva mostrato nel rispondergli l'aveva non poco preoccupato. Era da giorni che la ragazza si comportava in modo impeccabile: faceva sempre tutto quello che le chiedeva, non osava contraddirlo e sopratutto, cosa incredibile, quando usciva poi rientrava sempre in perfetto orario. Questo l'aveva fatto insospettire. Ora, trovarla già lì di prima mattina a canticchiare “Jingle bells” mentre zompettava allegra da un tavolo all'altro non presagiva nulla di buono. Ancora non sapeva quanto il suo presentimento fosse fondato.
Nel pomeriggio, infatti, si era visto invadere il negozio da un lungo scatolone di cartone trasportato da Kataoka, Mitsuwa, Ibu, Takashita e Yanagi, i cinque studenti amici di Giulia. La ragazza, euforica, si era subito fiondata su di loro e insieme avevano iniziato ad aprirlo. E al poveretto quasi prese un colpo nel constatare che dentro vi era un gigante albero di Natale finto, pronto per essere montato. Nonostante inizialmente fosse contrario, vedendo l'espressione felice che aveva la ragazza e l'entusiasmo che ci stava mettendo per convincerlo a darle la possibilità di farlo, alla fine dovette cedere.
Nel giro di poco tempo la ragazza aveva involontariamente coinvolto tutti i clienti presenti – e non erano pochi – nella fase di addobbo. Si respirava un aria di festa incredibile: tutti sorridevano, cantavano e sopratutto si facevano comandare a bacchetta da lei che suggeriva dove appendere le varie palline e cianfrusaglie. Sembrava seguisse uno schema ben preciso per lui sconosciuto e incomprensibile.


Nonostante la moltitudine di gente che si era impegnata quel pomeriggio, l'albero a tarda serata era ancora in fase di allestimento. Con tutta quella gente la ragazza non ci si era potuta concentrare pienamente, ma finalmente, ora che non c'era più nessuno, aveva tutto il tempo di dedicarcisi cambiando la posizione di quello che era appeso e finendo di mettere quello che mancava. Osservò da lontano la finta pianta per vedere se la disposizione degli addobbi potesse andare, poi spostò lo sguardo sul tavolo dove vi erano due scatole ancora chiuse. Non sapeva se riusciva a farci stare tutto, ma ci avrebbe provato. Si era resa conto troppo tardi di aver comprato troppa roba, ma sapeva già dove mettere le cose che sarebbero avanzate. Attorno alle vetrate, infatti, aveva appuntato dei rami finti di abete che aspettavano solo di essere abbelliti. Sorrise contenta. Quel pomeriggio era stato davvero divertente fare l'albero insieme a tutti quanti. Era davvero enorme, la punta arrivava fin quasi al soffitto. E non le era costato nemmeno tantissimo: l'aveva trovato in offerta. In quel momento aveva il cuore stracolmo di gioia e una gran voglia di cantare. Piroettò velocemente verso il suo portatile e fece partite la musica. Ma non fece in tempo a dire “a” che Kazuki comparve dalla cucina con un'aria minacciosa sulla faccia.
- Spegni immediatamente quel “coso”! - sbraitò spazientito. Era tutto il giorno che sentiva le canzoni di Natale: non ne poteva più. Ma il suo fervore andò scemando nel vedere l'espressione afflitta, con tanto di labbro tremolante, che si era formata sul viso di lei. - Ok... puoi tenerlo acceso, ma ti prego non farmi più sentire quelle canzoni piene di trilli e scampanellii! Va bene qualsiasi altra cosa,
kedo non quelle! -
A Giulia non sembrò vero di udire quelle parole e colse subito la palla al balzo. Fece partire la riproduzione casuale di Windows Media Player e attese che cominciasse la canzone. La voce di Fiorella Mannoia si diffuse per la sala. Non aveva mai ascoltato musica italiana lì dentro, ma solo giapponese, dei cantanti e gruppi che piacevano al capo - fortunatamente avevano gusti molto simili – perché pensava che a lui potesse dare fastidio. Ma ora aveva detto “qualsiasi cosa” e quindi eccolo accontentato. E poi aveva un gran bisogno di ascoltare musica italiana ad alto volume. L'unico momento che poteva farlo era di notte, a casa, con le cuffie, quei pochi minuti prima di addormentarsi. Sentirla in quel modo, con le casse che la propagavano per il locale, era una vera emozione. E era libera di cantare a squarciagola lì. Infatti sembrava che al ragazzo non desse fastidio la cosa. Anzi, ogni tanto anche lui si aggregava, sempre dopo aver controllato che non vi fossero clienti e al primo rumore sospetto smetteva subito.
Iniziò a cantare “I dubbi dell'amore” un po' titubante. Ogni tanto controllava la porta che dava in cucina aspettandosi di vedere comparire l'altro che infuriato le ordinava di cambiare. Ma inaspettatamente non fu così. Riprese quindi, ancora più contenta di prima, l'addobbamento. Decise che l'albero andava bene così, non lo avrebbe rimpinzato con altre cianfrusaglie – come le chiamava l'altro-. Mancava solo una cosa: la punta. Prese la stella rossa e oro dal tavolo e si arrampicò sulla scala mentre la Mannoia lasciava il posto agli 883 con “La dura legge del gol”. In un attimo venne investita dai ricordi. Si rivedeva da bambina a giocare d'estate nel cortile davanti casa con gli amici e le canzoni di questo gruppo come colonna sonora. Quanto le mancava quei giorni di pura spensieratezza. “Beata gioventù!” pensò sorridendo malinconica. Certo, quella volta non si sarebbe mai immaginata che a ventisei anni si sarebbe ritrovata ad addobbare un albero di Natale in un bar di Tokyo. Se qualcuno glielo avesse detto probabilmente gli sarebbe scoppiata a ridere in faccia.
- Si alza dalla sedia del bar chiuso, lentamente Cisco e all'improvviso dice: "Voi non capite un cazzo è un po' come nel calcio"... - infilò la stella sulla punta –
Yoshi! - esclamò soddisfatta - E' la dura legge del gol, fai un gran bel gioco però, se non hai difesa gli altri segnano e poi vincono... loro stanno chiusi ma alla prima opportunità salgon subito e la buttan dentro a noi, la buttan dentro a noi... - cantò il ritornello a squarciagola – Ohi... Hicchiiii... mi vieni a dire se la stella è dritta? - gridò mentre sistemava meglio un fiocco rosso su un ramo.
- Pende un po' a destra! - si sentì dire da sotto. La ragazza allora spostò la stella verso sinistra. - Perfetto! -
- Ci sono due palline uguali vicine! - le fece notare un'altra voce – Lì, vicino alla tua mano sinistra! -
Giulia ne afferrò una e iniziò a guardare perplessa l'albero per trovarle posto. Poi ad un tratto qualcosa sembrò destarla dai suoi pensieri ancora rivolti alla sua infanzia. Quella non era la voce del suo capo, decisamente no. Erano due e sopratutto le sembravano familiari. Si voltò di scatto a guardare giù e si ritrovò davanti le faccette sorridenti di coloro che giorni prima avevano rischiato di farla morire di infarto, cosa che si stava ripetendo anche in quel momento. Esclamò sorpresa e lasciò la presa sulla pallina di vetro che precipitò pericolosamente a terra. Scattò in avanti per riafferrarla, ma nel fare ciò perse l'equilibrio. Delle grida si levarono sotto di lei. Si aggrappò fulminea alla scala che vacillò pericolosamente, ma restò in piedi grazie al pronto intervento di Matsumoto, Ohno e Sakurai che l'avevano trattenuta. Riaprì gli occhi che aveva chiuso per la paura. Lei era salva, l'albero era salvo. Guardò in basso e vide che anche la pallina era salva fra le mani di Ninomiya.
Tirò un sospiro di sollievo mentre Kazuki, che aveva seguito tutta la scena, la insultava per la sua sconsideratezza -
Baka! Hai rischiato di ammazzarti! - le urlò contro quando ebbe toccato terra – Daijōbu? - le chiese poi, preoccupato: era bianca cadaverica.
-
Hai! - Affermò con voce tremolante. Se l'era vista davvero brutta. Ringraziò i tre ragazzi che l'avevano salvata e Ninomiya per aver salvato la pallina.
- Tutto per quella stupida cianfrusaglia. - borbottò il capo indicando l'oggetto.
- Se non mi fosse costata 811 yen non avrei certo rischiato la mia vita per riprenderla! - commentò lei afferrandola dalle mani del salvatore che, nel sentire la cifra, sgranò gli occhi nocciola guardandola come se fosse un alieno.
- Quanto!? - gridò subito dopo credendo di non aver capito bene.
- 811 yen! - ripeté lei senza scomporsi prima di mettere di nuovo un piede sul gradino della scala.
- Che stai facendo? - le domandò Matsumoto trattenendola per la manica della camicia bianca, l'espressione tra il preoccupato e il sorpreso.
- Vado ad appenderla. - gli disse interdetta: non si aspettava da lui un gesto simile.
- E' masochista per caso? - domandò Sakurai ad Himura che restò a fissarlo alcuni secondi in silenzio prima di rispondergli affermativamente.
Intanto Giulia continuava ad alternare lo sguardo dalla mano di Matsumoto, che continuava a tenerle la camicia, alle facce degli presenti. Dire che stava andando in brodo di giuggiole era poco. “Mi sta toccando! Mi sta toccando! Junjun mi sta toccando, anche se indirettamente! Oddio... l'espressione di Sho è bellissima! A Nino invece penso sia preso un colpo quando gli ho detto il prezzo della pallina... è rimasto pietrificato! E il Riida... perché mi ha preso la pallina? Perché sta montando sulla scala?” in un attimo entrò nel panico – Riida... mi raccomando stai attento! - esclamò. Le era scappato “Riida” invece che “Ohno-san” involontariamente. Era preoccupata per lui: se gli fosse successo qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato.
- Non far cadere la pallina,
zettai ni! - pregò invece Ninomiya, che le si era affiancato.
Lei si voltò a guardarlo sbalordita. Era davvero più preoccupato per la sfera che per l'amico?
- Dove la devo mettere? - chiese Ohno guardando l'albero come per trovare una risposta.
- Uhm... vedi quel ramo che sporge a sinistra, poco più sopra la tua testa? No, non quello... sì, ecco, quello lì! Perfetto! - esclamò sollevando il pollice quando lui l'appese al ramo. Ma soltanto quando toccò terra tirò un sospiro di sollievo.
-
Yoshi! L'albero è finito! - esclamò Sakurai – Devo ammettere che è veramente bello! Sei incredibile... ehm... sumimasen, com'è che ti chiami? - il ragazzo si era accorto solo in quel momento di non conoscere il suo nome.
Lei lo guardò con un espressione ebete sulla faccia. Non si aspettava una richiesta simile. Che poi, alla fine, le aveva chiesto solo come si chiamava, mica di andarci a letto. - Giulia Landolfi! - disse imbarazzata.
- Giuria Randorufi,
ne? - ripeté in versione giapponese. Ma a lei andava bene lo stesso, anzi, detta da lui, in quel modo, suonava anche più bello.
- Puoi chiamarla tranquillamente “
Baka”! - Kazuki aveva distrutto in pochi secondi quel momento di piena felicità. E lei non gli risparmiò certo l'occhiataccia inceneritrice.
-
Ano... Giuria-san... - mormorò Matsumoto chino sul tavolo, poi si voltò mostrando le due scatole che teneva nelle mani – E queste? -
- Ah!
Etto... quelle siccome sono avanzate, avevo pensato di appenderle sulle ghirlande sopra le vetrate. - spiegò indicando i lunghi rami finti.
- Mh! Ok... lo faccio io! - si propose dopo una pausa di alcuni secondi di riflessione, sorridendole.
- Eh!
Iie, iie! Non se ne parla! - questa volta si oppose, anche se la sua risolutezza era andata a farsi benedire, scemata per colpa di quel bellissimo sorriso – Lo faccio io! - detto ciò prese le scatole dalle mani del ragazzo.
- Non mi pare che tu sia molto pratica! - commentò Ninomiya mostrandole un sorrisetto di scherno.
- Prima ho rischiato di cadere perché mi sono distratta! Mi avete sorpresa e così ho lasciato la presa! Non accadrà di nuovo! - spiegò arrossendo.
Matsumoto le afferrò le scatole dalle mani – Tranquilla starò attento! - promise.
- Se lo fai tu ci vorrà troppo... dovrò dirti ogni volta dove va messo l'addobbo... - provò ad obiettare rubandogliele di nuovo.
Matsumoto stava per ribattere, ma Sakurai, che nel frattempo aveva spostato la scala, rubò dalle mani della ragazza le tanto agognate scatole e si arrampicò fino in cima pronto a posizionare le decorazioni.
-
Hora! - si lamentarono quelli all'unisono guardandolo male.
- Fra i due litiganti il terzo gode! - fu la sua risposta – Allora... a quale distanza devono essere posizionati ognuno di questi? - chiese sorridendo.
Giulia chinò il capo sconfitta. Contro di loro non poteva di certo averla vinta. La partita era persa dall'inizio. Sbuffò e iniziò a dargli ordini.


Quando finalmente fu tutto finito, fortunatamente senza incidenti, i ragazzi guardarono soddisfatti il lavoro. Tra gli addobbi che aveva messo nei giorni precedenti e l'albero che aveva fatto quel giorno, insieme agli ultimi ritocchi, ne era venuta fuori una meraviglia. L'unica cosa che stonava ora era la musica di sottofondo: “Un'emergenza d'amore” di Laura Pausini non c'entrava proprio niente.
Ma non si poteva avere tutto nella vita. Giulia si diresse verso il suo portatile per stoppare la canzone quando questa finì. E nel sentire le note iniziali dell'altra si bloccò a metà strada. Il silenzio calò nella stanza. Il cuore le perse un battito e arrossì vistosamente maledicendo subito dopo la riproduzione casuale. “Perché fra tutte le canzoni che ho doveva sceglierne una delle loro?” si domandò mentre era indecisa se ridere o se piangere per la situazione che si era creata. “E anche questa volta ho fatto la mia figura di merda!” concluse demoralizzata.
Riusciva a sentire distintamente gli occhi di tutti puntati sulla sua schiena mentre la voce di Sakurai, quella della canzone, si divulgava nella stanza.
- Oh... Pikanchi! - fece sorpreso Ohno subito dopo.
Gli altri tre scoppiarono a ridere –
Majite... non me l'aspettavo! - commentò Ninomiya. Ma il suo tono, diversamente da come aveva previsto la ragazza, non era divertito o canzonatorio, ma sembrava felice.
- Almeno ascolta musica di qualità! - fu la volta di Matsumoto.
- Io l'ho detto fin dall'inizio che è una tipa tosta! - rivelò Sakurai compiaciuto – Già il fatto di essere venuta in Giappone le fa onore, poi è diventata una nostra fan... -
- Il fatto che ascolta la nostra musica non vuol dire che sia una nostra fan... - replicò Ninomiya.
- Prima però mi ha chiamato “Riida”... quindi dovrebbe esserlo... non sei una nostra fan? - le domandò Ohno.
Giulia si voltò cercando di mostrare un'espressione normale. La cosa non le riuscì propriamente bene, ma meglio non riusciva a fare –
Hai, sono una vostra fan... - farfugliò imbarazzatissima.
-
Kawaii! - esclamarono sia Matsumoto che Sakurai. Altro colpo per la poveretta.
- Da quanto tempo? - le chiese Ohno, interessato alla cosa.
La ragazza corrugò la fronte – Vediamo... - era concentrata per ricordarsi a quando risalisse il primo incontro, il capo leggermente inclinato – Credo più o meno tre anni. - rivelò perplessa.
I quattro esclamarono sorpresi. – Tre anni? Pensavo fosse una questione di mesi. Non ci hai conosciuti quando sei arrivata in Giappone? - chiese interdetto Matsumoto.
Lei scosse la testa – Vi conosco da molto prima! - disse sorridendo – Sopratutto te, Matsumoto-san. Sei stato il primo del gruppo che ho conosciuto! - quello la guardò stupefatto.
- Non me lo dire... l'hai visto in Hanadan! - intervenne Ninomiya.
- Esattamente! - confermò lei ridacchiando.
Matsumoto le si avvicinò con un sorriso a trentadue denti - Hai visto Hanadan? E come ti è sembrato? - sembrava davvero contento di aver trovato una straniera che lo conoscesse.
- E' stato il primo
dorama che ho visto e l'ho trovato bellissimo! Inoue-san è così kawaii... è la mia attrice preferita! - riferì entusiasta.
-
Chotto matte! - Matsumoto aveva sollevato la mano, sembrava alquanto confuso – Che c'entra Mao-chan? Non dovrebbero interessarti gli attori maschili? -
Giulia scoppiò a ridere divertita seguita a ruota dagli altri – Cos'è, Matsujun? Un modo carino per chiederle se le sei piaciuto? - domandò Ninomiya.
- Guarda che, se glielo chiedi direttamente, non penso che si offenda! - gli fece notare Sakurai.
-
Chigau, chigau! Non è per quello... - provò a replicare, ma si capiva benissimo che voleva sapere come gli fosse sembrato lui.
La ragazza si asciugò le lacrime agli angoli degli occhi. Non avrebbe mai immaginato di ritrovarsi a fare una conversazione simile con gli Arashi. Poi vederli ridere dal vero era una cosa stupenda. -
Hai, mi sei piaciuto anche tu, Matsumoto-san! Anzi, se proprio vuoi saperlo, mi ero presa una cotta per te! - rivelò.
- E ti pareva! – commentò seccato Ninomiya.
- Matsujun colpisce ancora... anche oltreoceano! Dovresti esserne contento! - disse Sakurai dandogli una pacca sulla spalla.
Ma quello sembrava concentrato su qualcos'altro – Ero? - domandò, questa volta direttamente.
-
Hai, eri! Ora il mio ichiban è diventato qualcun altro! Mi spiace! - dichiarò prima di scoppiare di nuovo a ridere a causa dell'espressione afflitta che si era formata sul viso del ragazzo.
- E' sempre qualcuno di noi Arashi? - si informò Ninomiya. Lei affermò con il capo.
- E chi è allora adesso il tuo
ichiban? - chiese Ohno incuriosito. Anche gli altri tre tesero le orecchie, tutti in attesa della sua risposta.
Lei li guardò uno ad uno e sorrise – Non ve lo dico! - esclamò con aria soddisfatta.
- Non puoi tenerci sulle spineeee! - si lamentò Sakurai.
- Invece sì! Non ve lo rivelerò mai! Già vi ho detto troppo! - replicò sicura, puntando le mani ai fianchi.
I ragazzi misero il broncio contrariati. - Veramente non ci hai detto come hai fatto a conoscere noi altri! - ricordò Ninomiya – Ci hai parlato solo di Matsujun. -
- Ah... bé, questo posso dirvelo... praticamente vedendo Hanadan mi ha attratta la canzone che c'era come opening ed ending... così un giorno la sono andata ad ascoltare tutta e me ne sono innamorata. E poi ho scoperto che del gruppo che la cantava vi faceva parte anche Matsumoto-san... ci sono rimasta scioccata... -
- Perché l'hai sentito cantare? - la interruppe Ninomiya che ghignava malefico.
- Ora capisco perché non è più il tuo
ichiban! - intervenne Ohno.
-
Hora! - protesto il diretto interessato fulminandoli con lo sguardo.
- Assolutamente no, non è per quello! Sono rimasta impressionata dal fatto che oltre a recitare, cantasse anche. O dovrei dire che oltre a cantare, recitasse anche? - precisò sorridendo – Quindi è con “Wish” che vi ho conosciuti! E da lì non ci è voluto molto a farmi piacere tutte le altre canzoni! - i quattro sembravano soddisfatti, ma vedendo che Sakurai stava ritornando sul discorso dell'
ichiban, decise di cambiare velocemente argomento – Comunque... - lo interruppe - perché siete qui? -
- Ah! Me ne stavo dimenticando... - saltò su Ninomiya – hai per caso trovato una sciarpa rossa, l'altra volta? -
-
Hai! Allora era veramente la tua! L'ho trovata sotto la sedia su cui eri seduto, ma non ero sicura appartenesse a te! Te la vado a prendere! - riferì allontanandosi.
- Ci sarebbe anche un'altra cosa che vorremmo chiedere.... ma dov'è il tuo capo? - Ohno si stava guardando intorno per cercarlo.

Probabilmente si è dileguato quando ha sentito che la conversazione riguardava argomenti per lui poco piacevoli!” pensò la ragazza rispuntando nella sala con la sciarpa fra le mani che diede al suo proprietario – Devo chiamarlo? -
- Possiamo parlarne anche con te, credo... - proferì Sakurai – L'altra volta hai detto che lavorerai anche il 24 dicembre, giusto? - lei affermò con il capo – E' solo un'idea, ma ci chiedevamo se fosse possibile affittare il locale tutto il giorno... perché vorremmo fare una festa a sorpresa ad Aiba-chan, dato che sarà il suo compleanno! -
Ecco perché manca sta sera!” pensò. Stava per rispondere, ma venne interrotta da Kazuki che spuntò all'improvviso alle sue spalle – Se siete disposti a pagarmi bene non ci sono problemi! - dichiarò beccandosi un'occhiata torva da parte di Ninomiya.
- D'accordo! Allora ci penseremo su e entro dopodomani vi faremo sapere! - disse Matsumoto prima di ritornare a rivolgersi alla ragazza – A te creerebbe problemi cucinarci qualcosa per quel giorno? -
Giulia lo guardò stralunata –
Iie, nessun problema! -
- Ovviamente questo aumenterà il prezzo... - ma Kazuki non poté continuare perché si ritrovò il gomito della ragazza piantato tra le costole.
- Sei sempre il solito avido! - lo ammonì guardandolo male, poi tornò a concentrarsi sugli altri –
Etto... in quanti pensate di essere? - quella era la cosa che più la preoccupava. Finché si trattava di cucinare per cinque o sei persone non le causava alcun problema, ma quando aumentavano iniziava a trovarsi in difficoltà. E rimase totalmente stupita nello scoprire che fossero solo loro cinque. Si aspettava grandi festeggiamenti.
Così con la promessa di risentirsi entro pochi giorni i quattro se ne andarono.
- Potevano almeno prendere qualcosa, mentre ti facevano il terzo grado! - sbottò stizzito il ragazzo guardando in cagnesco la porta da dove gli Arashi erano appena usciti.
Giulia alzò gli occhi al cielo – A parte che non mi hanno fatto il terzo grado... mi hanno chiesto solo come li ho conosciuti... e poi invece di lamentarti, dovresti essere contento del fatto che abbiano scelto questo posto come candidato per fare la festa di compleanno a Macchan! Si vede che l'altra volta sono rimasti soddisfatti! -
- Ovvio che sono rimasti soddisfatti! Dopo che li hai trattati in quel modo sfido chiunque a lamentarsi! - sbraitò – E li hai fatti pagare troppo poco dopo un servizio del genere! - brontolò. Infatti l'altra volta aveva deciso lei, alla fine, il prezzo della “semi cena”. E ovviamente all'altro non era andato bene perché avrebbe voluto spillargli di più – Questa volta, se decidono di farla qui, li spenno! - continuò acido – Con tutto quello che guadagnano possono permettersi di pagare qualsiasi cifra! -
Giulia sospirò rassegnata. E dovette sopportare le sue lamentele fino a che non chiusero il bar. Non che lo stesse ad ascoltare, più che altro fecero da sotto fondo ai suoi pensieri che erano tutti rivolti agli Arashi. Questa volta sapeva che li avrebbe rivisti o risentiti sicuramente. E la cosa la rendeva enormemente felice. Anche perché fino a quella sera pensava che avrebbe passato la Vigilia a servire cioccolata calda alle coppiette che si sarebbero rintanate nel locale, ma ora le si prospettava una serata inaspettatamente diversa e decisamente fantastica.


24/25 DICEMBRE

Tokyo quel giorno era più movimentata del solito. Dalla vetrina del bar “Hōkiboshi”, al di là delle tende bianche tirate si intravedevano miriadi di passanti sovraccarichi di buste stracolme di regali di ogni forma, dimensione e colore. Erano molti i ritardatari che avevano aspettato quel giorno per fare gli acquisti.
Dal bancone del bar Kazuki borbottava ormai da un'ora buona. Non gli andava giù il fatto che dovesse tenere chiuso quel giorno: stava perdendo l'occasione di guadagnare molto con tutto quel via vai di gente. E il fatto che fosse presente il soggetto del suo malumore non lo scoraggiava, anzi, ogni occasione era buona per far sentire in colpa il poveretto, o i poveretti.
Infatti alla fine gli Arashi avevano deciso di fare la festa proprio lì. E se Giulia era euforica, nonostante la settimana di agonia che aveva dovuto passare perché Sakurai si era deciso a far sapere qualcosa ben oltre i due giorni che aveva annunciato l'ultima sera che si erano visti – l'umore della poveretta in quei giorni era stato di un nero pece -, e nonostante avesse rischiato di morire il giorno in cui aveva ricevuto la telefonata del ragazzo – dopo l'accaduto si era ripromessa di non rispondere più al telefono con la bocca quasi piena -, il capo era di tutt'altro umore. L'unica cosa che lo rendeva felice era che ci avrebbe guadagnato un bel po' di soldi.
- Scusalo! - fu il sussurro che la ragazza rivolse a Ohno dopo l'ennesima frecciatina lanciata dal capo al ragazzo. Si trovavano entrambi seduti ad un tavolo a gonfiare con l'elio palloncini colorati che poi avrebbero appeso per la stanza.
Lui sorrise – Non ti preoccupare! - la tranquillizzò – Infondo non ha tutti i torti... guarda quanta gente c'è in giro, a quest'ora il locale sarebbe stato strapieno! -
- Bé... io ne sono felice! - sussurrò, si voltò a controllare che il capo non avesse sentito e ritornò a parlare – Sarei arrivata a fine serata morta e domani mi si sarebbe prospettata una giornata collassata sul letto... invece così non dovrò spremermi come un arancio! - spiegò ammiccando.
L'altro ridacchiò divertito – E che farai invece domani? - chiese.
Lei restò disorientata dalla domanda: in effetti non ci aveva proprio pensato. - Uhm... dormirò fino a tardi, pranzerò, verrò a pulire e poi credo che tornerò a casa e me ne starò al calduccio a guardarmi qualche film. - doveva ammettere che la cosa non l'allettava molto, era decisamente avvilente, ma non aveva altre opzioni. Quell'anno avrebbe passato il Natale da sola.
- Non trascorrerai il Natale con nessuno? - domandò stupito.
Scosse la testa - Non ho nessuno con cui trascorrerlo... né parenti, né amici o qualsivoglia fidanzato, visto che per voi è un giorno da passare insieme al proprio partner! - l'informò.
Ohno stava per aggiungere qualcosa, ma venne interrotto dalla voce di Matsumoto che, entrato dalla porta che dava sul retro – Giulia li aveva avvisati di passare da lì, almeno non avrebbero attirato l'attenzione -, poco dopo fece capolino nella stanza. E la sua espressione non era certo delle migliori, sembrava alquanto seccato. Dietro di lui spuntò subito dopo Sakurai che teneva in mano uno scatolone.
Si diedero tutti il buongiorno, poi il Riida aggrottò la fronte - Che c'è? - chiese al primo, che si stava avvicinando.
- Ho dormito poco! - rispose con tono cupo.
- Caffè? - domandò Giulia sorridendo.
- Cappuccino! - fece lui sedendoglisi accanto.
- Io invece un caffè, per favore! - esclamò Sakurai appoggiando lo scatolone sul tavolo – Dov'è Nino? - domandò guardandosi in giro.
- E' andato a comprare altri palloncini che questi non bastano! - rispose Ohno indicando quelli ancora sgonfi sparpagliati davanti a loro.
- Io glielo avevo detto che erano pochi, ma non mi ha voluto ascoltare! - bofonchiò Matsumoto passandosi una mano fra i capelli neri e sbadigliando senza mettere la mano davanti la bocca.
In quel momento Kazuki appoggiò con poca grazia il caffè davanti a Sakurai – Il cappuccino arriva! - grugnì prima di ritornare al suo posto.
I due nuovi arrivati lo guardarono sconvolti – Che ha? - sussurrò il cantante rap rivolto alla ragazza.
- Niente, è solo di malumore.... gli passerà... - spiegò con la stessa tonalità di voce sventolando una mano per minimizzare la cosa – spero! -
-
Tadaimaaaa! - si sentì dal retro e pochi istanti dopo anche Ninomiya faceva il suo ingresso con in mano due pacchetti di palloncini – Fuori si gela! - riferì dopo aver salutato i due amici appena arrivati.
- C'è aria da neve! - annunciò Sakurai sorseggiando il suo caffè.
-
Hontō ni? - esclamò Giulia sgranando gli occhi meravigliata e sfoderando un sorriso che piano piano si allargava sul viso.
- Le previsioni dicono che non nevicherà! - intervenne Matsumoto. Il sorriso della ragazza si spense in un istante.
- Mai dire mai! - mormorò crucciata.


I ragazzi passarono tutto il resto della mattinata a gonfiare i palloncini e a chiacchierare. Giulia ormai si era temprata alla loro presenza. Negli ultimi dieci giorni i quattro Arashi le avevano fatto visita spessissimo per organizzare la festa alla perfezione. Quindi ormai era immune alla loro vicinanza e ai loro sorrisi, anche se ce ne era sempre qualcuno che la lasciava senza fiato.
E sembrava che a loro piacesse chiacchierare con lei. In quei giorni avevano avuto la possibilità di conoscersi meglio e, nonostante la diffidenza iniziale, dovettero ammettere che si trovavano bene in sua compagnia.
Nel pomeriggio gli Arashi si dedicarono ad appendere gli striscioni, che aveva portato Sakurai quella mattina, e di attaccare i palloncini alle pareti; mentre Giulia iniziò a preparare da mangiare. Avevano optato per la pizza. Quando la ragazza aveva rivelato di saperla preparare, non ci avevano pensato su due volte a scegliere quella come portata. Invece il dolce sarebbe stato una sorpresa anche per loro.
E così volarono pure le ore del pomeriggio. Verso le sei e mezza gli Arashi se ne andarono a casa a cambiarsi. Matsumoto poi avrebbe recuperato Aiba e condotto lì con la scusa di fare un aperitivo insieme.
Alle sette e un quarto erano tutti di nuovo al bar in attesa del festeggiato. Tutto era pronto. Giulia fece capolino dalla cucina: aveva il viso arrossato a causa del calore che emanava il forno. Osservò i tre ragazzi seduti al tavolo apparecchiato al centro della stanza e sorrise dolcemente. Si vedeva benissimo che erano tutti su di giri. Si erano impegnati tantissimo in quegli ultimi giorni per rendere la festa indimenticabile. Ritornò al suo lavoro: lei non poteva essere da meno. Controllò la spianata su cui stava lavorando. Le pizze erano farcite e pronte per essere informate; la torta era in frigo in attesa di essere gustata. In quel momento il capo la raggiunse e l'avvisò che il festeggiato stava per arrivare: Matsumoto doveva aver fatto lo squillo come da accordo. Infornò le prime pizze. Pochi minuti dopo dal salone si levò un'acclamazione accompagnata dal battito delle mani: Aiba era arrivato.
La ragazza si affacciò di nuovo e vide il viso sorridente del festeggiato che veniva abbracciato dagli amici. Notò che si portò una mano agli occhi: si era commosso. Erano davvero cinque ragazzi eccezionali. Sentì la presenza del capo dietro di lei – Ecco perché sono una loro fan, Hicchi! Perché nonostante siano famosi, valori come l'amicizia, la famiglia, la solidarietà sono sempre al primo posto. -
L'altro farfugliò qualcosa di incomprensibile prima di entrare nella stanza e fare gli auguri al festeggiato. Giulia lo imitò, si trattenne qualche minuto con loro, poi ritornò in cucina a controllare le pizze.


La cena andò benissimo: la pizza le era venuta incredibilmente bene ed era finita in un baleno; la torta, che aveva rischiato di fare una brutta fine spiaccicata a terra – Sakurai aveva incespicato sui suoi passi mentre la portava al tavolo -, era un rettangolo enorme, completamente ricoperta di panna, con al centro un'immagine di tutti e cinque gli Arashi che li ritraeva nel loro ultimo concerto. I ragazzi erano rimasti sconcertati quando l'avevano vista: non si aspettavano una cosa così elaborata. Aiba non fece che ringraziarla in continuazione, nonostante lei gli ripetesse che si era divertita un mondo ad organizzare tutto con gli altri.
Dopo la torta era arrivato il turno dei regali. Matsumoto gli fece una camicia celeste; Sakurai un portafoglio; Ohno un disegno di loro cinque insieme, fatto da lui, un cappello di lana e una sciarpa; Ninomiya un trattamento completo al centro massaggi.
Giulia approfittò del momento dei commenti sui regali per andare a buttare via la spazzatura. Aveva appena aperto la porta sul retro quando un grido di stupore le uscì dalla bocca. Gli altri si precipitarono da lei e la trovarono impalata sulla porta che guardava incredula di fuori.
- Che è successo? - le domandò preoccupato Aiba.
- E' tutto bianco! - fu l'unica cosa che riuscì a dire.
Sakurai le si avvicinò - la porta non era grandissima e lei lì in mezzo ostruiva la visuale – e finalmente riuscì a capire a cosa si stesse riferendo. Il vicolo era ricoperto di una coltre bianca e dal cielo cadevano fiocchi giganti fittissimi. - Wooooooo! - esclamò eccitato.
La ragazza infilò il sacco dell'immondizia nel cassonetto lì di fronte, percorse velocemente il vicolo e si ritrovò nella piazzetta completamente sommersa da alcuni centimetri di neve.
Anche gli altri la raggiunsero, dopo essersi coperti con i giacconi. Aiba si era subito infilato il cappello e la sciarpa che il Riida gli aveva regalato. E si sorpresero nel notare i lacrimoni che si erano formati agli angoli degli occhi di lei.
- E' stupendo! - riuscì a farfugliare nonostante il groppo alla gola.
- Dovresti vedere la tua espressione in questo momento... è davvero
kawaii! - le disse Matsumoto. Per risposta ricevette un sorrisone a trentadue denti.
Un grido li fece voltare all'unisono verso destra dove videro un Aiba spalmato a terra a faccia in avanti. Inutile dire che scoppiarono tutti a ridere come matti.
- Attenti che si scivola! - disse fra una risata e l'altra una volta rialzatosi intento a tirarsi via la neve dal giaccone.
Ohno stava per dirgli qualcosa, ma una palla di neve lo colpì in pieno addome. Si voltò di scatto nella direzione in cui era arrivata e fece appena in tempo a schivarne un'altra in arrivo che andà a colpire Matsumoto ad un fianco. Il colpevole era Ninomiya che velocemente si era chinato per farne un'altra. Ovviamente gli altri non si fecero pregare e in pochi secondi la piazzetta venne attraversata da bolidi bianchi.
Giulia, che si era ritrovata inaspettatamente in mezzo, all'inizio aveva cercato disperatamente un riparo, ma quando Aiba l'aveva colpita, i suoi occhi si erano infiammati e si era aggregata anche lei.
Il risultato fu che mezz'ora dopo rientrarono nel locale bagnati fradici ed esausti.
Kazuki, che se ne era rimasto al calduccio – anche se la neve lo entusiasmava, ma con quei cinque non voleva avere niente a che fare -, quando li vide entrare grondanti di acqua sbiancò e si portò le mani nei capelli. Però non poteva certo lasciarli fuori – anche se la tentazione era tanta -. Così racimolò alcuni asciugamani che aiutarono i lottatori a togliere il grosso della neve ormai scioltasi. Tutti gli Arashi erano zuppi dalla testa ai piedi dato che avevano fatto la stessa fine di Aiba, nessuno escluso. Giulia invece si era riuscita a salvare, anche se aveva più volte rischiato di cadere.
- Oh... è mezzanotte passata... è Natale! - esclamò all'improvviso Matsumoto che per caso aveva lanciato uno sguardo all'orologio.
In un attimo la stanza riecheggiò degli auguri di tutti.
- Credo che ci sia qualcosa per voi sotto l'albero... - riferì Giulia.
- Per voi chi? - chiese Sakurai stupefatto.
- Per voi tutti! - rispose lei sorridendo e con una mano indicò i pacchettini colorati accatastati sotto il finto abete, che si era trasformato in un “Albero di Natale degli auguri”. Infatti giorni prima uno dei suoi amici studenti, per scherzo, vi aveva appeso un bigliettino con su una frase di augurio per lei. I suoi compagni, per non essere da meno, fecero altrettanto e così anche gli altri clienti. In due giorni i biglietti erano talmente tanti che non vi era più un posto libero dove metterli. Così avevano iniziato ad appenderli sulle ghirlande attorno alle vetrate. Gli Arashi iniziarono ad alternare lo sguardo confusi da lei ai regali. - Avanti! - li esortò ad andarli a prendere.
Il primo che recuperò il suo fu Kazuki. Ogni pacchetto aveva su un bigliettino rosso con il nome scritto in oro. Il capo lo scartò e aperta la scatola vi estrasse una cravatta a righe oblique blu e celesti. La guardò meravigliato – E' proprio quella che volevo! Come... -
- Lo hai accennato due settimane fa che avevi visto nel negozio all'angolo una cravatta che ti era piaciuta e me l'avevi descritta. Quel pomeriggio sono andata subito a comprartela. - spiegò compiaciuta.
-
Arigatō gozaimasu! - disse contento, poi sembrò ricordarsi di qualcosa. Posò il regalo sul tavolo e si precipitò nello stanzino dove si cambiavano, ne tornò subito dopo con un pacchetto in mano che le porse – Anche io ti ho fatto qualcosa... non è niente di che... - mormorò leggermente imbarazzato.
Lei lo ringrazio e scartò subito il pacchetto da cui ne uscì una trousse fornita di vari ombretti e fard – Oh... mi serviva proprio! - dichiarò contenta, quindi gli stampò un fulmineo bacio sulla guancia che lo fece arrossire - Fingi di essere un duro, ma alla fine hai il cuore tenero anche tu,
ne? -
-
Urusai! - borbottò imbarazzato.
- Woo! - esclamò improvvisamente Ohno. Aveva scartato il suo regalo, curiosissimo, e ora teneva tra le mani una scatola di legno che conteneva colori a tempera, a pastello e a spirito di tutte le tonalità. Sollevò lo sguardo sulla ragazza: gli occhi che gli brillavano –
Arigatō! - le disse con un sorriso, gongolando.
-
Sugoi! - commentarono gli altri quattro che lo avevano circondato.
Il secondo ad aprire il suo fu Aiba: a lui aveva regalato un braccialetto con le maglie di acciaio opaco. Poi fu il turno di Matsumoto che ricevette un anello – per la gioia di tutti non era la solita patacca gigante, ma uno di dimensioni normali: largo nemmeno un centimetro – anche questo dello stesso materiale. A Sakurai regalò una collanina con le maglie in acciaio satinato. Infine a Ninomiya un CD di Luciano Ligabue.
- E' il cantante dell'altra volta... visto che mi avevi detto che la canzone ti era piaciuta, ho pensato di regalarti il CD! Se vuoi ti posso tradurre le canzoni! - gli disse.
-
Arigatō! Appena torno a casa lo ascolterò! - fece entusiasta.
- Ti ringraziamo davvero molto per i regali, sono stupendi, ma non dovevi! - l'ammonì Sakurai mentre indossava la collana.
- E' solo un pensierino! - replicò lei soddisfatta che gli fossero piaciuti.
- Noi però non ti abbiamo fatto niente! - mormorò Aiba con aria abbattuta.
- Non è così... - precisò. Quelli la guardarono confusi. - Aver potuto passare la Vigilia di Natale con voi è il più bel regalo che mi avreste potuto fare! - rivelò con un sorriso radioso.
Aiba, che le stava lì vicino, l'abbracciò di slancio, scioccandola non poco: non era certo preparata a una cosa simile. Il cuore le iniziò a martellare nel petto e le gambe a tremare. Gli occhi le si velarono di lacrime, provò a trattenerle, ma non ci riuscì. Era incredibilmente felice.
- Aiba-chan... l'hai fatta piangere! - gli fece notare il Riida.
-
Gomen gomen... demo...eri troppo kawaii! - informò quello accarezzandole la testa.
- Non è un motivo per abbracciare la gente! - l'ammonì Ninomiya.
-
Chotto matte... - saltò su Matsumoto – Non dirmi che è lui il tuo ichiban! -
- Ancora con questa storia? Vi ho detto che non ve lo dico! - dichiarò asciugandosi le lacrime.
- Oh, avantiii! Dicceloo! - la supplicò Sakurai inginocchiandosi ai suoi piedi con le mani congiunte.
Lei distolse lo sguardo arrossendo – Scordatevelo! - rispose lapidaria.
- Nemmeno se te lo chiedono come regalo di Natale? - intervenne Kazuki che sghignazzò malefico all'espressione allarmata di lei.
Subito dopo lo incenerì con lo sguardo mentre gli altri concordavano che fosse un'ottima idea. “Se ne è stato zitto fino ad ora, perché non ha continuato a tenere la boccaccia chiusa? Altro che cuore tenero... è bastardo fino al midollo!” pensò mordendosi il labbro inferiore. Poi spostò lo sguardo su ognuno: Aiba, Matsumoto, Ninomiya, Ohno e Sakurai che era rimasto lì in ginocchio. Tutti avevano una faccetta troppo
kawaii con un'espressione implorante stampata sopra. Sbuffò e arrossì – Sakurai-san! - mormorò talmente impercettibilmente che sperò che nessuno la sentisse. Ma il diretto interessato si trovava troppo vicino per non riuscire ad ascoltare. E in un impeto di gioia la abbracciò.
La poveretta rischiò un infarto, ma pensò che, in fondo, non ci sarebbe potuta essere morte migliore di quella.


Il giorno seguente la ragazza si era recata al bar verso le due del pomeriggio per pulire il locale. Quella notte erano andati a dormire tardi e quindi si era svegliata da poco, era ancora mezza insonnolita. Il fatto che avrebbe dovuto fare tutto da sola non la confortava per niente: Kazuki era andato a trovare i suoi parenti – aveva già organizzato da tempo l'uscita – e quindi non l'avrebbe aiutata.
Osservò controvoglia la sala sbuffando. Si tirò su le maniche della felpa della tuta e afferrata la scopa iniziò a spazzare per terra.
Ovviamente le venne naturale ripensare a tutto quello che le era successo nell'ultimo mese. Alla prima volta che aveva incontrato gli Arashi pensando inizialmente fosse un sogno; a quella successiva quando per poco non si era rotta l'osso del collo rischiando di cadere dalla scala; delle svariate figuracce che aveva collezionato ogni volta che li vedeva – perché non si era limitata solo ai primi due incontri -; ai dieci giorni consecutivi in cui le avevano fatto visita per organizzare il compleanno ad Aiba; alle lunghe chiacchierate che aveva avuto con ognuno di loro; e infine la sera precedente: la più bella e la più emozionante.
Sospirò con aria sognante mentre ripensava all'abbraccio del suo
ichiban. Aveva una gran voglia di raccontarlo alle sue amiche, ma probabilmente non l'avrebbero mai creduta.
Dei rumori dietro di lei la fecero riscuotere dai suoi pensieri. Si voltò per controllare cosa fosse e si spaventò quando si ritrovò la faccia di Aiba a pochi centimetri di distanza. Urlò e fece un piccolo salto all'indietro andando a sbattere contro un tavolino a cui si aggrappò per non rischiare di cadere a terra. Guardò stralunata le cinque facce gioiose davanti a lei farfugliando qualcosa di insensato: in quel momento non riusciva a ricordarsi nemmeno come si chiamava. -
Minna... cosa... qui... - anche il secondo tentativo non fu eccellente.
Loro la guardarono divertiti, poi Sakurai le si avvicinò e le mostrò la mano che fino a quell'istante aveva tenuto dietro la schiena. In questa vi era un piccolo pacchettino. Lei guardò l'oggetto alcuni istanti, poi lanciò al ragazzo un'occhiata interrogativa.
- E' per te! - le disse afferrandole la mano, sorridendole. Sul palmo rivolto verso l'altro ci posò il regalo.
Era in stato confusionale e le mani le tremavano – in verità non solo quelle, era tutta un tremore -, ma riuscì comunque ad aprirlo. Quando sollevò il coperchio della scatolina vide un braccialetto d'argento, sottile, con alcune lettere appese. All'inizio non vi fece caso tanto era lo stupore, ma ad uno sguardo più attento notò che erano le iniziali dei loro cognomi che formavano la parola “
A.M.N.O.S.” Si morse il labbro mentre cercava di trattenere le lacrime.
Gli altri quattro le si avvicinarono e con un sorriso luminoso esclamarono - Giuria-chan...
Merī Kurisumasu! - con la loro personale pronuncia inglese che tanto adorava.
Quello fu troppo per lei. Scoppiò a piangere e a ridere in simultanea.
Sakurai, allora, le circondò le spalle con il braccio attirandola a sé per confortarla, senza rendersi conto che in quel modo peggiorava solo la situazione.
Più tardi avrebbe dovuto avvisarli di prepararla psicologicamente la prossima volta, prima di fare una cosa del genere. C'era in gioco la sua sanità fisica e mentale.


  • FINE -


SIGNIFICATO PAROLE GIAPPONESI:
Yatta:
parola che viene usata come esultanza, può significare “evviva”.
Baka:
scemo, stupido, idiota. Dategli voi la traduzione che preferite, tanto potete sbizzarrirvi dato che Kazuki la usa spesso.
Chotto matte:
aspetta un attimo.
Senpai:
viene chiamata così una persona più grande che ha più esperienza di lavoro, o un collega di scuola più grande.
Gakuran
: è l'uniforme scolastica maschile.
Demo
: ma.
Kedo:
però.
Arigat
ō: grazie.
Arigat
ō gozaimasu: grazie mille.
Minna
: tutti.
Gomen nasai:
scusa.
Iie
: no.
Hai:
sì.
Daij
ōbu: va bene.
Ano:
ehm.
Etto:
ecco...
Irasshaimase:
benvenuto.
Hont
ō ni: davvero, veramente.
Umae
: buono.
Arashi:
tempesta.
Itai
: doloroso.
Yoshi:
bene.
Zettai ni:
assolutamente.
Sumimasen
: perdono.
Ne
: vero?
Hora
: ehi, ohi.
Majite:
seriamente (non so se si scrive così).
Kawaii:
carino.
Chigau:
sbagliato, no.
Ichiban:
preferito.
Tadaima:
sono tornato.
Urusai:
silenzio.
Sugoi:
fantastico.
Mer
ī Kurisumasu: Merry Christmas.



NOTE DELL'AUTRICE:
Ho realizzato questa one-shot per un contest sull'AMNOS Fansub (http://amnos.forumfree.it/), dove tra l'altro mi son classificata prima a pari merito. Era da un po' che volevo scrivere qualcosa con gli Arashi e non potevo perdere quest'occasione! Spero vi siate divertiti a leggerla quanto mi sia divertita io a scriverla! :)
E' un augurio di Natale, anche se in ritardo, per tutte le fan di questi adorabili baka.
Le recensioni sono sempre ben gradite! ^^
Bacione.
Kicca

   
 
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