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Autore: _Bec_    27/12/2011    44 recensioni
"Tra l'odio e l'amore c'è la distanza di un bacio" dal punto di vista del protagonista maschile, Lorenzo Latini.
Per rivivere attraverso i suoi occhi la sua storia d'amore con Alice.
Può essere letta anche da chi non ha seguito la storia dal punto di vista femminile, ma consiglio comunque, se interessate, di leggere prima la storia originale.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ed eccomi qua con questo primo capitolo che è più un esperimento che altro

Ed eccomi qua con questo primo capitolo che è più un esperimento che altro. Non so se vi piacerà (personalmente lo trovo noioso, ma penso sia perché si tratta solo del primo capitolo, più avanti le cose diventeranno più interessanti come in Tra l’odio e l’amore pov Alice), se verrà seguito, commentato, letto.

Non so se questa storia ricalcherà fedelmente ogni capitolo di Tra l’odio e l’amore o se ne salterà alcuni, diventando così solo una raccolta di pov Lore.

Potrebbe, se l’idea di rileggervi tutta la storia dal punto di vista Lore non vi alletta, trattare solo i capitoli che più vi interessano e lasciar perdere gli altri.

Insomma, se si è capito quello che ho detto, vorrei sentire le vostre opinioni, ditemi un po’ cosa vi piacerebbe di più leggere, per me è uguale :)

I missing moments futuri ho iniziato a scriverli e ne posterò qualcuno a breve, quindi occhio alla sezione delle storie romantiche ;)

Detto questo, mi scuso fin da subito per il linguaggio utilizzato dal protagonista e per i suoi pensieri in questo capitolo.

Ricordo che siamo nella mente di un ragazzo (o almeno, io ci ho provato ad entrarci :P) e che quindi i suoi discorsi con gli amici sono ben diversi da quelli di una ragazza.

Vi lascio alla lettura e ringrazio chi vorrà cimentarsi in questa storia.

Un grazie di cuore anche alle meravigliose ragazze che hanno seguito Tra l’odio e l’amore, è un piacere rincontrarvi qui, spero che questo pov Lore non vi deluda.

 

 

I protagonisti di questa storia sono tratti da “Tra l’odio e l’amore c’è la distanza di un bacio

  

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Capitolo 1: Primo giorno di scuola

 

 

 

 

Oh sì. Cazzo Bìa, tu sì che ci sai fare con quelle mani…e quella bocca, oh sì, sì, sì…ma che…?

Mi alzai di colpo, sbattendo la testa su quella stupida e orribile mensola blu che avevo voluto a tutti i costi da piccolo, per poterci appoggiare sopra il mio prezioso Game Boy la sera, una volta finito di giocarci.

-Alla buon’ora!-

Lo strillo di mia sorella –di una delle due, non avevo ancora identificato quale- dritto dritto nell’orecchio ebbe il potere di mandare a puttane i pochi neuroni rimasti nel mio cervello dopo quella botta madornale.

La guardai in cagnesco e mi massaggiai la testa, gli occhi ancora annebbiati per il sonno e per il male.

Mi aveva colpito pure in faccia quella stronza! Non bastava prendere a calci il materasso, tirarmi i capelli e conficcarmi le unghie nelle braccia per svegliarmi, ora voleva pure spaccarmi il naso!

Avevo sempre tutte le braccia piene di segni rossi per colpa sua, i miei amici più di una volta mi avevano addirittura strizzato l’occhio maliziosi, pensando probabilmente che fosse opera di una qualche amante focosa. Ovviamente io confermavo le loro ipotesi con un’alzata di spalle, mica mi smerdavo dicendo che era stata mia sorella.

-Muoviti idiota, sei in ritardo! E se pensi che ti accompagni in macchina questa volta…beh, scordatelo, ti attacchi al cazzo.-

Sempre carina Rossella. Normalmente, non di certo alle sette del mattino e con un bernoccolo in fase di sviluppo sulla testa, mi compiacevo di quel suo caratterino tanto simile al mio che teneva alla larga parecchie teste di cazzo.

Insomma, nessun ragazzo con un minimo di amor proprio si sarebbe avvicinato a lei! Escluso Christian, il suo ragazzo, che doveva avere un lato veramente masochista.

-Ma chi te l’ha chiesto, stronza!- Sbraitai senza smettere un attimo di massaggiarmi la parte lesa.

Porco cazzo, stavo facendo un sogno degno dei migliori film porno…dovevo assolutamente mettermi d’accordo con la mia migliore scopamica Bìa per vederci uno di quei giorni, prima che me lo dimenticassi.

Feci per alzarmi, ma un cuscino –il mio cuscino- mi arrivò dritto in faccia, -E copriti almeno! Non voglio nemmeno immaginare i sogni che fai, guarda!- Rossella gesticolò schifata e altezzosa come sempre, prima di girare i tacchi ed uscire dalla stanza. Finalmente.

Capii subito a che cosa fosse dovuta quell’ultima frase, mi bastò dare un’occhiatina in basso: era rimasto deluso tanto quanto me per l’interruzione del sogno. E che sogno…e Bìa quanto cazzo gemeva porca vacca, dal vivo mica era così eccitante!

Con molta calma –chi aveva sbatti di fare in fretta? Sarei arrivato in ritardo dando la colpa ai mezzi come sempre-, mi alzai e mi avviai verso il bagno per buttarmi sotto l’acqua fredda della doccia.

I miei piani furono sconvolti dall’arrivo dell’altra piaga, leggasi sorella, che mi si attaccò alla schiena come un koala.

-Loreee! Ma fratellino mio, ti sei già svegliato?-

Sapeva quanto ero nervoso e scazzato appena sveglio e lei si divertiva un mondo a provocarmi con tutte quelle smancerie.

Inutile chiedersi perché tra un Rottweiler sempre incazzato e un Chihuahua appiccicoso, non ci fosse potuta essere una via di mezzo. Ero così fortunato ad avere due sorelle gemelle, una più adorabile dell’altra. L’ironia abbondava anche nei miei pensieri.

-Levati Glenda!- Sbuffai e me la scrollai di dosso come un cane con le pulci. 

Non ero un tipo affettuoso che dispensava baci e abbracci a tutti, anzi, ero esattamente il contrario. Odiavo essere abbracciato dai parenti, specie da quelli che vedevo meno frequentemente e che ripetevano cento volte quanto fossi cresciuto, era una cosa che mi indisponeva da morire.

Potevo sopportare l’abbraccio di un’amica, ma non quello di mia madre o delle mie sorelle. Era più forte di me, era sempre stato così da quando ero piccolo.

Mi scocciava ammetterlo, ma quello era un lato del carattere che avevo preso da mio padre.

Quando Glenda lo abbracciava –perché lei aveva l’irrefrenabile impulso di abbracciare qualsiasi cosa, probabilmente avrebbe abbracciato anche una montagna di merda se ne avesse avuta una davanti- reagiva allo stesso mio identico modo: si irrigidiva, le dava qualche pacchetta sulla spalla e la allontanava.

Mi feci una doccia veloce e mi vestii in fretta; tanto per cambiare ero in ritardo. Il primo giorno. Ma la prima ora c’era il prof di economia, quindi nessun problema.

-Ma’, mi servono cinque euro per il bar, faccio colazione lì.- Ricordate quanto avevo detto prima? Bene, dimenticatelo. Perché da grandissimo ruffiano, quando mi serviva qualcosa, facevo l’immenso sforzo di diventare affettuoso, se non altro per quei pochi secondi necessari ad avere ciò di cui avevo bisogno.

Lei, in risposta, si indicò la guancia e io, mio malgrado e sbuffando, dovetti darle una guanciata frettolosa molto poco simile ad un bacio.

Subdola ricattatrice.

Era anche vero che c’erano sempre di mezzo i soldi le uniche volte che dimostravo un po’ di forzato affetto, quando veniva lei ad abbracciarmi e a dirmi: “Ma quanto è bello mio figlio!”, io la scostavo un po’ malamente con un “Sì, dai ma’, basta.”

Ad ogni modo con quei soldi non avrei comprato nulla al bar della scuola e lo sapeva anche lei: li avrei semplicemente messi da parte insieme a tutte le altre mance per uscire il sabato sera o comprare ricariche per il telefono.

-Guai a te se ti compri le sigarette.- Mi fulminò con lo sguardo, la mano con la banconota a mezz’aria, incerta.

Che rottura. Da quando sapeva che avevo iniziato a fumare –che poi fumare era una parola grossa, fregavo solo qualche sigaretta agli amici di tanto in tanto- era diventata il triplo più apprensiva e rompicoglioni. Si preoccupava, certo, ma non sopportavo che le persone mi stessero troppo addosso. Evitavo di essere troppo brusco con lei solo perché era mia madre, ma una cosa del genere non l’avrei tollerata da parte di nessun altro. Forse per quello avevo avuto solo due ragazze fisse, storie che peraltro erano durate ben poco e che erano finite con un mio “Mi sono rotto i coglioni, e mollami cazzo!” quando le tipe erano diventate troppo appiccicose e avevano iniziato a pretendere troppo.

Misi una mano sul petto con aria solenne, -Giuro.- 

Lei si convinse e, dopo avermi abbracciato –con conseguente mio alzare gli occhi al cielo, mi lasciò finalmente i soldi.

Quanta fatica per guadagnarsi cinque euro. Non vedevo l’ora di essere maggiorenne per andare a lavorare il pomeriggio.

Presi in mano il cellulare ed uscii di casa, giusto in tempo per vedere la porta dell’appartamento di fronte chiudersi dietro ad una bassa figura, molto simile a quella di una bambina: la mia vicina di casa. 

Doveva avere più o meno la mia età, anche se per via dell’altezza sarebbe potuta benissimo passare per una quattordicenne.

In anni e anni che abitavamo vicino non ci eravamo mai parlati, ci salutavamo e basta. O meglio, lei mi salutava e basta, io il più delle volte le rispondevo a grugniti o gesti.

Non mi stava particolarmente simpatica, se la tirava decisamente troppo, ma non si poteva parlare nemmeno di antipatia. Mi era del tutto indifferente.

Le sue labbra si tesero in una smorfia vagamente simile ad un sorriso. Come sempre, non sembrava particolarmente contenta di vedermi, -Ciao.- La sua vocetta bassa ed infantile ebbe il potere di irritarmi più di quanto già non lo fossi per il brusco risveglio.

Chissà perché si ostinava ogni volta a volermi salutare, quando era chiaro che non mi sopportasse. Il motivo non lo avevo mai capito e neanche mi interessava trovarlo.

-Ciao.-  Risposi svogliato -della serie, “se proprio devo risponderti…”-, abbassando gli occhi proprio in quel momento sullo schermo del mio cellulare per leggere un messaggio appena arrivato.

 

Quest’anno si scopa nei bagni, non ci sono storie o prof che tengano. Devo farmi ancora la Kla, la tettona della 5B.

 

Quanto poteva essere scemo il mio amico Andrea?

Sorrisi e mi diressi verso le scale, non avendo voglia di aspettare l’ascensore insieme a quella nanerottola altezzosa.

 

Coglione, ancora non l’hai capito che non te la darà mai? Perché dovrebbe cagare un cazzone di quarta?!

Piuttosto…con Mel ci hai rinunciato definitivamente?

 

Melanie sarebbe stata l’unica ragazza in classe con noi quell’anno, Bìa purtroppo aveva cambiato scuola.

Avevamo frequentato la stessa classe alle elementari, ma non l’avevo mai calcolata più di tanto, cioè, era una femmina, un essere non degno di giocare a calcio con noi maschi nell’intervallo.

Fui sorpreso di ritrovarla alle superiori, tre anni dopo. Era sempre stata al centro delle nostre sfide o scommesse in quegli ultimi anni: nessuno di noi era riuscito a sverginarla, ormai io e il mio amico ci avevamo quasi rinunciato e ci limitavamo a considerarla come un’amica.

 

Sti cazzi, ormai ho perso le speranze! Secondo me è lesbica, non c’è altra spiegazione!

 

Classica giustificazione dataci dal nostro orgoglio maschile. Fisicamente Mel non era male, ma c’era di meglio in giro: era stato solo il suo rifiuto a spingerci a scommettere più volte su di lei.

Avvertii dei passi alle mie spalle ed istintivamente alzai lo sguardo; la mia “deliziosa” vicina di casa mi aveva appena sorpassato per fermarsi qualche metro più avanti, accanto al cartello della fermata dell’autobus.

La osservai, inclinando lievemente la testa ed arricciando involontariamente le labbra: tutto sommato era carina, niente di eclatante però, quante ce n’erano del resto di ragazze carine? E poi aveva un viso troppo da bambolina per i miei gusti. Anche se con una quarta o una quinta di seno quel particolare sarebbe passato in secondo piano…

Si spostò una ciocca di capelli e, dopo aver adocchiato l’orologio, sbuffò scocciata e sbatté ripetutamente un piede a terra. Nervosetta la biondina.

Trattenni a stento una risata, c’era solo un modo per definire le ragazze come lei: ridicole.

Mento in alto, petto in fuori, vestita e truccata tutta di punto. Una gallina. Una cazzo di Barbie altezzosa che credeva di essere chissà chi. Quando in fondo era solo una materia scopabile come un’altra.

Sarebbe stato meraviglioso vederla inciampare e cadere, una gran bella figura di merda era quello che le ci voleva.

Tornai ai miei messaggi, deciso più che mai a scrivere alla mia amica Bìa per chiederle di vederci a casa sua uno di quei giorni. Quel sogno stuzzicava ancora piacevolmente la mia mente ogni tanto…

L’autobus arrivò ed io schizzai subito in fondo per appoggiare il mio regale culo al solito posto, prima che qualcuno potesse fottermelo.

Un’odiosa vecchia inacidita, urtata per sbaglio, mi guardò irritata e borbottò un “Che modi!”. La ignorai, come tutte le sue inutili coetanee.

Finito di sgrovigliare il filo delle cuffie, me le infilai e feci partire la musica dell’Ipod al massimo.

Rialzando lo sguardo, mi accorsi della presenza di Barbie più avanti. Strano che non fosse ancora scesa, di solito scendeva alla fermata della metro a quanto ricordavo.

Probabilmente neanche si era accorta di averla superata. O magari andava da un’altra parte.

Hai capito la nanetta, se la bigia il primo giorno.

La persi di vista e la lasciai perdere poco dopo, quando l’autobus incominciò a riempirsi di fermata in fermata.

Milano. Autobus ogni quindici minuti -anche se la mattina in teoria sarebbe dovuto passare ogni otto, persone che per fare due metri si mettevano al volante e file di macchine ad ogni semaforo o incrocio. C’erano pure da aggiungere i tipi dell’AMSA che passavano a pulire le strade a quell’ora, ecco come si formava il traffico. Ed ecco perché ero sempre in ritardo. Svegliarsi prima la mattina? Non era neanche da prendere in considerazione quell’idea.

Una ventina di minuti dopo, la simpatica voce registrata dell’ATM mi annunciò l’imminente arrivo al capolinea e quindi alla mia destinazione.

Già lì, pronti ad aspettarmi per affrontare quel traumatico primo giorno, c’erano Giulio e Stefano, due miei compagni di classe.  

Ste’ mi venne incontro e si spostò con aria da figo un ciuffo di capelli, -Oh, bella Lore!-

Alzai il braccio e gli strinsi la mano scazzato come al solito.

-Come va?-

Alzai impercettibilmente un sopracciglio, -Sono le otto del mattino, come cazzo credi che vada?-

Ste’ annuì senza aggiungere altro, quasi ammirato per via di quella risposta antipatica.

Avevo come l’impressione che cercasse di imitarmi, il suo modo di fare e di prendere per oro colato tutto quello che dicevo era piuttosto inquietante.

Per carità, avevo già avuto un amico che imitava tutto quello che facevo, dal modo di parlare, alla marca dei boxer, e me n’ero liberato a fatica. Ci mancava solo lui!

Più avanti, sul solito vialetto che conduceva al cancello dell’istituto tecnico Molinari, incontrammo Andrea: il tipo dei messaggi, sì.

-Giuro che se tutte ‘ste tipe non la piantano di salutarmi mi incazzo sul serio!- Esordì gesticolando come un cretino, -Non riesco a fare più di due passi porca puttana! Perché le tipe devono per forza attaccarsi alla tua guancia come delle cozze allo scoglio per salutarti?! Che si incollassero al mio cazzo con la bocca, almeno servirebbero a qualcosa!-

Scrollai le spalle divertito, giusto due secondi prima che una massa di capelli rossi mi coprisse la visuale.

-We Lollo!- Fabiana Salvino, 4C. Grazie al cielo non eravamo nella stessa classe, non credo sarei riuscito a sopportarla, troppo logorroica.

Odiavo il suo entusiasmo di prima mattina e odiavo anche il modo in cui mi chiamava, Lollo sembrava il nome di una caramella appiccicosa o di uno yoyo.

-Fabi.- Alzai gli occhi al cielo, mentre Fabiana si staccava dalla mia guancia e si appiccicava a quella di un isterico Andrea.

-Che ha?- Mi chiese dopo averlo salutato.

-Sindrome premestruale.- Spiegai, guadagnandomi un bel dito medio da parte del mio amico.

Ci avviammo, a passo più lento possibile, verso quello che sarebbe stato il nostro carcere per un altro anno, il penultimo per fortuna.

Certo, il Molinari rispetto a tante altre scuole era il Paradiso, dato che durante la stragrande maggioranza delle lezioni non facevamo un beneamato cazzo, ma era pur sempre una scuola, un posto dove si supponeva avremmo dovuto studiare. Solo la parola mi faceva star male.

Entrammo a fatica, dopo aver spintonato un bel po’ di idioti che avevano preso l’atrio come punto di ritrovo per fare i cazzoni. Che cavolo, c’era il cortile per quello!

-Siamo nell’aula 37.- Constatai un po’ scocciato, una volta letto il foglio appeso alla colonna dell’ingresso.

-Oh no! Siamo al secondo piano, che sbatti non c’ho voglia di fare tutte quelle scale, cazzo!- Se avessero detto a Ste’ che il giorno seguente sarebbe stato il 21 dicembre 2012 probabilmente l’avrebbe presa meglio.

-Minchia serio!!! Che palle!-

Spintonai Andre e lo derisi con un: -E dai Andre, hai davvero così poca resistenza? Ecco perché ultimamente Bìa è sempre da me…-

Lui spalancò la bocca indignato, mentre Giulio e Ste’ ridevano come pazzi, -Ma vaffanculo!-

Ridacchiai soddisfatto. Ci voleva veramente poco per provocare Andrea, bastava colpirlo in quel punto, niente avrebbe scalfito di più il suo orgoglio.

Certo, fare due piani di scale la mattina quando si era mezzi addormentati e in ritardo non era il massimo, ma pazienza. Sempre meglio che stare nelle minuscole aule –o meglio, topaie- del piano terra.

-Cazzo, questa sì che è un’aula!- Giulio lanciò il suo zaino su un banco a casaccio, per poi sedercisi sopra ed appoggiare i piedi sulla sedia.

In effetti era piuttosto grande, con un degno spazio fra i banchi che ci avrebbe permesso di muoverci più liberamente.

Anche a costo di fare lo stronzo, mi limitai ad alzare gli angoli della bocca in una smorfia un po’ svogliata quando i miei compagni di classe mi salutarono: non ero decisamente dell’umore per chiacchierare o salutarli decentemente, così non li degnai di ulteriori attenzioni.

Andre, nel frattempo, si era già stravaccato su una delle sedie in fondo, -Ohi, sigaretta?- Poggiò la suola delle scarpe sul bordo del banco e mi porse il pacchetto.

Gliene sfilai una ghignando, -Ci sta.- Prima dell’inizio della lezioni era d’obbligo, per inaugurare l’anno.

La misi fra le labbra e fregai l’accendino al mio amico quando ebbe finito di usarlo.

Occupai il posto vicino e fumai tranquillo l’unica cosa che mi diede la pazienza necessaria a sopportare i suoi successivi sproloqui.

-Una quarta! Dico, una quarta! Mi spieghi come cazzo si può resistere a una quarta?! Te lo dico io: non si può.-

-Ah ah.- Soffiai il fumo e lo aspirai, alzando appena la testa verso il soffitto.

Non vedevo l’ora che incominciassero le lezioni, sempre meglio dei discorsi di Andrea.

Sapeva essere schifosamente logorroico quando voleva, fortuna che era anche stupido e non si era minimamente accorto del fatto che come al solito non lo stessi ascoltando.

-Cazzo oh, poi però non riuscivo più a scrollarmela di dosso, una volta che le svergini...-

Si bloccò di colpo ed un coro di "Alleluja" si levò soave nella mia testa.

Non mi preoccupai troppo di accertarmi che nel suo cervello non si fosse formato un nido di vermi, né mi girai a guardare l'oggetto che aveva catturato la sua attenzione.

Poteva essere un piccione, così come poteva essere il culo di Mel -nulla di nuovo quindi; già visto, più e più volte.

-Oh, Lore.- Sghignazzando, mi diede una gomitata.

-Che c'è?- Borbottai stizzito, senza staccare gli occhi dal soffitto. Già era dura sopportare le sue inutili chiacchiere da donna pettegola con una sigaretta fra le labbra, ci mancavano pure le gomitate da amicone.

-Guardala.-

Annuii svogliato, non facendo subito caso a quanto aveva detto.

Un momento. Guardala? Ma guardare cosa, chi? Mel? La cicca che aveva appena attaccato sotto il banco?

Abbassai finalmente lo sguardo, curioso per una volta di vedere di che cosa stesse parlando.

L'oggetto in questione, che aveva fatto zittire improvvisamente tutti, altro non era che una ragazza.

Il mio cervello -e non solo- fu particolarmente contento di quella visione, dopo Bìa pensavo si sarebbe sentita la mancanza di una tipa da farsi nei bagni.

Si sperava che quella non fosse come Mel, una tipa "guardare ma non toccare".

Uhm, belle gambe, tette…-con lo sguardo, seguii rapito il contorno della canotta che indossava e risalii per esaminare quell’invitante porzione di pelle- nella norma ma comunque arrapanti, collo, capelli biondi, faccia...

Oh cazzo, ma quella...!

Quando finii il mio esame e arrivai ad analizzarla attentamente in volto, la riconobbi subito: la perfettina rompicoglioni che abitava di fronte a me, la Barbie!

La sua faccia già diceva "guardare ma non toccare" e ci aggiungeva pure un "coglioni", visto con quanto ribrezzo ci stava osservando. Grandioso. Una verginella snob e pudica. Ma che ci faceva Barbie lì in mezzo a noi? Dove lo aveva piantato quel frocio di Ken?

-Ah, con questa addio federica...- Andre si sporse in avanti sul banco per osservarla meglio e quasi mi aspettai che si desse lo slancio con le braccia per alzare la testa in alto e ululare.

-Stai sbavando sul banco.- Gli feci notare impassibile. Bastava un essere dotato di tette e figa a far partire quei pochi neuroni rimasti nel suo cervello.

La biondina lanciò un’occhiata un po’ disorientata e spaurita -che si aspettava, era appena entrata nella tana dei lupi!- alla classe, prima di alzare il mento apparentemente sicura di sé e dirigersi verso il primo banco.

La seguii, stranamente curioso, con gli occhi: strano che si fosse iscritta proprio al Molinari. Perché non in un’altra scuola di Milano? Il Molinari non era di certo un liceo, i professori erano degli idioti incompetenti che ci lasciavano perlopiù cazzeggiare durante le lezioni e le poche ragazze iscritte erano completamente diverse da lei, erano ben integrate con...l’ambiente. Lei non c’entrava nulla lì, l’avrei vista bene in un qualche liceo snob, di quelli pieni gremiti di secchioni pronti ad andare in qualche università “prestigiosa”.

-Che figa oh!- Marco si passò la lingua sul labbro visibilmente eccitato.

-Serve una doccia fredda qui.- Ste’ boccheggiò un paio di volte.

Riccardo mosse il bacino eloquentemente contro la sua sedia e tirò fuori la lingua come un cane assetato, -Minchia oh, qui si tromba.-

Che coglioni. Solo a me vedere quella faccia da santarellina faceva passare la voglia di scoparmela? Chissà che cazzo di suora doveva essere.

Anche se…quella canotta che indossava lasciava ben poco all’immaginazione…

-Da quando le santarelline ti arrapano?- Chiesi sovrappensiero, senza staccare gli occhi dalla testa bionda della nuova arrivata. Osservava insistentemente il prof, le cuffie alle orecchie e le mani che si torcevano nervose sotto il banco.

-Da quando ho capito che è tutta una facciata, le santarelline son le più porche.- Mi rispose Andrea compiaciuto.

Inarcai un sopracciglio; anche quello era vero. Restava il fatto che mi risultava abbastanza difficile immaginare che Barbie lo fosse, probabilmente aveva la stessa espressione controllata e sprezzante anche mentre scopava.

In diciassette anni che abitavo vicino a lei, ricordavo di averla vista sempre e solo con la stessa faccia, stesso sorriso forzato e stessa smorfia di sufficienza.

Ma tiratela un po’ di meno, sei ridicola.

Tante volte avrei voluto dirglielo, ma avevo sempre evitato. Non erano cazzi miei, non la conoscevo e non mi sembrava il caso. Alla fine, poteva comportarsi come voleva, se non dava fastidio a quella faccia di minchia del suo ragazzo quell’aria da smorfiosa…

-Ciao ragazzi!- L’arrivo in classe di Mel mi distrasse dalla mia rete di pensieri: si sporse a baciare tutti sulla guancia e mi preoccupai seriamente di vedere la mano di Andre scattare al suo collo quando fu il suo turno di essere salutato.

Fortunatamente, si limitò a sorridere sornione, -‘Giorno Mel, quando ti vedo mi si rizza da morire, sai?-

Tentativo di abbordaggio di Andre: fallito.

Tentativo mio di non ridere: fallito.

-Credo di avertelo già sentito dire un paio di volte, ma questa volta l’hai detto con così tanta…passione. Sono tutta un fremito guarda.- Mel finse di rabbrividire, poi, dopo averci lanciato un’occhiata divertita e aver scosso la testa, si avvicinò alla nuova arrivata.

Istintivamente, poggiai l’avambraccio sul banco e mi alzai appena dalla sedia per cercare di sentire qualcosa.

-Che fai?- Già dal tono di voce e dal ghigno poco trattenuto di Andre, capii che avesse intuito tutto e che mi stesse sfottendo.

Socchiusi gli occhi irritato, più per il fatto di essere stato scoperto che per altro, -Fatti i cazzi tuoi.-

Mel, intanto, aveva attaccato bottone con la bionda, le si era seduta vicino e ci parlava come se la conoscesse da una vita. Era incredibile la velocità con cui le ragazze riuscivano a fare amicizia, a loro bastava tirar fuori qualsiasi argomento stupido per poter socializzare e ridere come cretine.

-Armandi.-

Spostai lo sguardo verso il prof nello stesso momento in cui Marco alzò la mano.

Oh, il vecchio si era svegliato. E solo quindici minuti dopo l’inizio della lezione.

Non attesi che finisse l’appello per fregare un’altra sizza ad Andre, il prof Masetti non spiegava praticamente mai, controllava i presenti solo per far vedere ai colleghi che il suo dovere di prof della prima ora di compilare il registro l’aveva fatto. Poi tornava al suo giornale.

-Oggi si raddoppia?- Andre mi guardò interessato e un po’ sorpreso.

Mi strinsi nelle spalle e accesi la sigaretta, stando comunque attento a non farmi notare troppo dal prof, -È il primo giorno.-

-Latini.-

Merda.

Tossii appena e nascosi la mano sotto il banco, sollevando l’altra con l’intento di scacciare il fumo.

Fortunatamente non disse nulla, proseguì spedito con gli altri nomi senza soffermarsi troppo su di me. Mi doveva ancora un paio di jeans quel vecchio di merda, per colpa sua l’anno precedente, per nascondergli il fatto che stessi fumando, ne avevo bruciato un paio.

-Puccio.-

Il mio sguardo volò subito verso la Barbie e, sorpreso, mi ritrovai i suoi occhi verdi puntati addosso. Si era accorta di me.

Cazzo hai da guardare?

Durò un attimo, si girò subito dopo per alzare la mano e sorridere affabile al professore. Masetti borbottò a malapena un benvenuto, prima di ritornare al suo prezioso appello, quello che, una volta finito, gli avrebbe permesso di ritornare a leggere il giornale.

La Puccio sembrò restarci male per la scarsa considerazione ottenuta dal prof, si sporse verso Mel e le sussurrò qualcosa di incomprensibile.

-Puccio, eh?-

Mi ero quasi dimenticato della presenza del mio amico Gabriele alla mia sinistra, durante le lezioni era uno dei pochi a restare zitto e attento.

-Già.- Risposi distratto, -Che c’è, ti interessa?- Sghignazzai divertito al solo pensiero.

-A Lele piace la figa? Miracolo!- Andre rise così forte che per un attimo il prof staccò gli occhi dal suo giornale per lanciarci un’occhiataccia.

In anni di scuola insieme, Lele non era mai stato con nessuna ragazza a quanto ne sapevamo, per quello Andre lo provocava sempre con frasi del tipo: “Ti conservi per qualcuna in particolare? O qualcuno?”

Lele si sistemò gli occhiali sul naso con la sua solita aria da intellettuale superiore a tutti, -Coglione.-

Andre, del resto, non poteva sapere che il primo anno Lele, considerandomi il suo più caro amico, aveva avuto il coraggio di confidarmi che si era innamorato di Fabiana.

In un attacco di stronzaggine, gli ero scoppiato a ridere in faccia dicendogli che non aveva speranze e da allora non mi aveva più detto nulla sulla sua vita sentimentale.

-Piuttosto, mi sembra che Lore sia un tantino assorto.- Alzò ed abbassò le sopracciglia più volte, gesto che mi piacque decisamente poco. Se Andre era un coglione, Lele era fin troppo intelligente.

Feci una smorfia e spensi la sigaretta sulla gamba del tavolo, -Come sempre. Mai seguita una lezione del Masetti.-

-Mai fumate due sigarette.- Osservò il mio gesto corrugando la fronte stranito.

-È il primo giorno.- Ripetei scocciato. Ci mancava solo che incominciasse a rompere come mia madre.

Capì che per il suo bene non gli conveniva ribattere, stette zitto per il resto dell’ora, mentre Andrea ricominciava con il suo noioso discorso di prima.

Quando, finalmente, smise di parlare, mi alzai dalla sedia con un intento ben preciso.

-Vai anche tu a dare il benvenuto alla nuova arrivata?-

Lo ammazzo.

Dovetti contare fino a cento per impedirmi di strozzare Lele.

-Abita vicino a me, la conosco già e non è niente di speciale.- Mi voltai prima che potesse pormi qualsiasi altra curiosa e invadente domanda da pettegola, lasciandolo alle congetture che di sicuro avrebbe fatto il suo cervello da secchione.

Non sapevo nemmeno io che cosa avevo voluto far intendere con quel “non è niente di speciale”,  probabilmente avrebbe pensato che me la fossi scopata e che non fosse stato un granché. Di certo non mi schifava l’idea che tutti lo pensassero.

Inarcai appena un sopracciglio e mi poggiai al banco della Puccio con nonchalance.

Lei non si era ancora accorta di me, presa com’era da una discussione sicuramente poco interessante con Mel.

-Non sapevo frequentassi questa scuola.-

Sobbalzò spaventata e sollevò lentamente la testa. Qualcosa mi disse che mi aveva già riconosciuto dalla voce, prima ancora di vedermi, la sua espressione sprezzante e disgustata non mutò quando i suoi occhi incontrarono i miei.

-Non l’ho mai frequentata. È solo da quest’anno che sono iscritta qui.- Sorridere sembrò costarle uno sforzo immane, quasi fosse al cesso.

Perché?

Perché si era iscritta lì? Perché proprio nella mia classe? Impossibile che c’entrassi io, non sapeva che frequentavo quella scuola, non ci eravamo mai neanche parlati! Eppure…era una coincidenza strana.

-Vi conoscete?- Mel, pettegola come solo le donne -e Lele- potevano essere, ci guardò curiosa.

Inclinai la testa pensieroso, -Più o meno.- Sempre che la nostra potesse considerarsi una conoscenza.

Lei non dovette pensarla allo stesso modo, perché i suoi occhi verdi si dilatarono parecchio per la sorpresa.

Che ho detto?

-Non direi.- Dio, sembrava un’acida prof che correggeva il modo di parlare di un suo alunno, -Visto che il qui presente signorino non si degna mai di salutare.-

Stava ghignando? Stava davvero mostrando un’espressione diversa dal solito? Miracolo!

-Di che stai parlando? Io saluto sempre.- Tutta la fatica che facevo per ricambiare il suo saluto la mattina, se non a parole, a gesti, mi dava ragione.

-Ma se sono sempre io a salutare e non dire cazzate va!-

Cazzate? Diceva parolacce? E si stava pure irritando. Bene bene, allora la faccia della bambolina non era di plastica come pensavo, riusciva anche ad arrabbiarsi come i comuni mortali.

-Non è assolutamente vero, tesoro. Sei tu quella maleducata che va sempre di corsa e che mi spia dal buco della serratura per evitarmi.- Piegai le labbra in un sorriso vittorioso nel vederla boccheggiare e avvampare sconfitta.

Più di una volta mi ero accorto di essere spiato sul pianerottolo, non ne avevo mai avuto conferma, ma sospettavo che i passi leggeri e corti che sentivo aldilà della sua porta di casa appartenessero a lei.

-Co…non è assolutamente vero!-

Portai una mano davanti alla bocca per evitare di scoppiarle a ridere in faccia. Mai visto delle guance diventare così rosse in così poco tempo, stava letteralmente per scoppiare.

-Nelle scale c’è silenzio e non è difficile sentire dei passi e dei rumori dietro alla tua porta, dato che è appiccicata all’ascensore.- Ghignai soddisfatto.

-È vero, lo faccio, ma solo perché non voglio andare in ascensore con te.- Incrociò le braccia al petto con decisione ed alzò il mento nella sua solita espressione fiera.

Non potei fare a meno di trovare la frase piena di molteplici significati a cui dare molteplici risposte: per quale motivo non voleva entrare in ascensore con me? Disagio? Temeva –o sperava- che le saltassi addosso?

-Allora vedi che sei tu la maleducata?- Colpita e affondata Puccio.

Sembrava che la parola “maleducata” per lei fosse un insulto peggiore di “puttana”, era a dir poco sconvolta.

Divertito, me ne tornai al mio banco senza lasciarle possibilità di replica. Ci sarebbe stato da divertirsi con quella nanerottola lì, sarebbe stata un piacevole passatempo.

L’ora successiva, quella di matematica, contavo di passarla a messaggiare con Bìa, ma il continuo ed infinito ciarlare di Andrea mi impedì di concentrarmi adeguatamente sulle risposte ai suoi messaggi altamente erotici e stuzzicanti.

-Ma se è un’altra scopata che vuole questa, dalle due botte e poi mollala, no?- Sbottai esasperato.

Di sfuggita, mi accorsi della presenza della Puccio alla lavagna; la prof doveva averla chiamata per metterla alla prova e vedere il suo livello…piuttosto basso evidentemente. Stava cercando, con scarsi risultati, di risolvere una semplice equazione, ma si bloccava ogni due secondi su calcoli semplicissimi.

Ridacchiai, decisamente allietato da quell’ultima scoperta: la biondina perfettina era pure bella ignorante. Nulla di sorprendente, certo, dovevo ancora conoscerla una bionda intelligente. Bìa stessa aveva difficoltà a scuola e a volte se ne usciva con certe frasi cretine…se non altro era brava a letto.

-Allora?-

Eh?

Osservai il mio amico perplesso. Doveva avermi detto qualcosa, ma non lo avevo nemmeno sentito.

Gli diedi una pacca amichevole sulla spalla, -Certo.-

Qualsiasi cosa tu abbia appena detto.

-Oh, grande!- Si illuminò in un sorriso preoccupante, -Grazie oh, sei un amico!-

Annuii poco convinto, -Prego.- Si sarebbe sicuramente dimenticato di quella conversazione conoscendolo, quindi potevo anche concedergli tutto quell’entusiasmo.

Stavo ancora sorridendogli accondiscendente, come si poteva fare ad un bambino a cui si prometteva un giocattolo che non avrebbe mai avuto, quando, voltandomi verso la lavagna, incontrai degli occhi verdi puntati insistentemente su di me.

Accortasi di essere stata colta in flagrante, Alice Puccio si morse il carnoso labbro inferiore –gesto che per qualche contorto motivo i miei occhi seguirono- e sussultò, ma non distolse comunque lo sguardo.

Sembrava mi stesse chiedendo implicitamente di aiutarla, mi fissava quasi supplichevole.

Arcuai un sopracciglio, le labbra ancora piegate in un sorriso. Strano, pensavo di essere l’ultima persona a cui si sarebbe abbassata a chiedere aiuto. Perché guardava me e non, ad esempio, Mel? Forse aveva già saputo della gloriosa media del 4 della Zorzi?

Un’idea brillante mi attraversò la mente e mi fece accentuare il sorriso: lentamente, sfilai le mani dalle tasche dei jeans e le suggerii un risultato inventato così, su due piedi.

-Puccio?- La prof la richiamò, probabilmente stufa della sua lentezza e delle sue esitazioni.

Lei si voltò di scatto, l’aria terrorizzata di chi era ad un passo dal patibolo. Poi, sospirò teatralmente, iniziando a tracciare qualcosa con il gessetto. Il mio averla presa per il culo doveva averle dato una scossa.

Ma…

Aprii la bocca incredulo: no ma dai, ma allora era veramente cretina…due terzi? Aveva davvero scritto la risposta che le avevo suggerito io?!

-Due terzi? Puccio, ci arriva anche un bambino delle elementari che quattro sedicesimi per ventisette primi non può dare due terzi.-

Non riuscii più a trattenere una fragorosa risata a cui si unì ben presto il resto della classe.

Era pure stata smerdata dalla prof! La Zerbato, la prof più comprensiva di tutti, le aveva appena fatto fare una figura di merda davanti all’intera classe il primo giorno di scuola!

E la faccia della Puccio era un vero spettacolo, stavo letteralmente soffocando dal ridere!

-È evidente che sei un tantino indietro con il programma di matematica…- Un tantino? La situazione era molto critica, la prof aveva addolcito fin troppo il tutto.

-Credo che tu debba essere seguita da qualcuno dei tuoi compagni finché non ti rimetterai in pari.-

Non invidiavo per niente il povero sfigato che avrebbe dovuto spiegarle i “meccanismi oscuri” di quella materia così impossibile da capire per il suo cervellino.

Sicuramente la prof avrebbe scelto Lele, era il più adatto a dare ripetizioni, avrebbe avuto la pazienza necessaria a spiegarle le stesse cose più e più volte, anche se dubitavo sarebbe servito a qualcosa.

La Puccio annuì, lo sguardo ancora basso, -Nessun problema, mi faccio prestare il quaderno da Zorzi e…-

Oh, allora non sapeva della media del 4 di Mel. Tra una e l’altra difficile dire quale fosse messa peggio, già immaginavo che scintille avrebbe provocato lo scontro di due menti brillanti come le loro.

-La Zorzi non è molto brava in matematica.-

Diciamo pure che fa cagare.

-Latini,- Un momento, che c’entravo io? -Aiuterai Puccio a mettersi in pari con il programma. Tu hai la media del nove con me, non sarà un problema aiutarla.-

Ahahah, no, cos’era, una battuta? La prof aveva voglia di scherzare.

Ci mancava solo che dovessi sprecare i miei pomeriggi per aiutare quella lì in matematica! Ma non esisteva proprio!

-Prof, mi scusi,- Feci contrariato, guardando male la bionda ignorante vicino alla cattedra, -Quest’anno abbiamo diritto in più come materia, non ho il tempo di stare dietro anche a Puccio.-

Ovviamente di diritto non me ne fregava un cazzo, era solo una scusa per non rinunciare alle uscite con gli amici e alle favolose scopate pomeridiane con Bìa.

-Latini, diritto è una materia che avranno anche tutti gli altri tuoi compagni…- La Zerbato socchiuse gli occhi pensierosa, -Da coordinatrice di classe, però, posso provare a parlare con il professor Crescentini e chiedergli di interrogare per ultimi te e la Puccio nella sua materia.-

Ecco, ora se ne poteva riparlare. Essere interrogato per ultimo equivaleva a ore di ozio durante le prime interrogazione del prof Crescentini, mentre gli altri si affannavano a ripassare col terrore di essere chiamati fuori.

-Sarebbe davvero un angelo se lo facesse prof.- Sfoderai il mio miglior sorriso da ruffiano, lo stesso che utilizzavo per chiedere a mia madre soldi per il sabato sera.

Non avrei comunque dato ripetizioni alla Puccio, avrei solo finto di farlo per evitare di essere interrogato subito in diritto.

Suonata la campanella che decretava l’inizio dell’intervallo, presi il mio quaderno e i miei libri di matematica e li buttai senza troppa gentilezza sul suo banco.

Sussultò, per la terza volta in quella mattinata. Si lasciava cogliere troppo di sorpresa la signorina.

-Questi sono gli appunti, gli esercizi e i libri di matematica tesoro, divertiti.- Ghignai soddisfatto e malefico.

Sollevò la testa e socchiuse gli occhi irritata. Mi odiava proprio. E la cosa mi divertiva da morire.

-E che dovrei farci?-

Oh Dio, era pure più ignorante di quanto pensassi.

-Arrangiarti.- Semplice, no? A quel punto doveva aver capito, così, mi girai per andarmene, ma lei mi bloccò con un: -Fermo, fermo, fermo.-

Sospirai pesantemente. Che rottura di coglioni, che voleva ancora? -Che c’è?-

-Senti, se la tua voglia di passare del tempo con me è paragonabile a quella che ho io di passarlo con te, posso assicurarti che ti capisco.- Prese fiato, le guance arrossate e gli occhi che continuavano a lanciarmi saette di odio puro, -Ma la sufficienza in matematica la voglio e a me sembra troppo comodo servirsi così della mia totale incompetenza per le materie scientifiche per non essere interrogato in diritto mio caro. Quindi, o tu mi aiuti come si deve in matematica, o ci metto un attimo a chiedere alla professoressa di cambiarmi tutor, ok?-

Logorroica, petulante, perfettina e rompicazzo: grandioso. E chi l’avrebbe sopportata?

Sbuffai scocciato ed incrociai le braccia al petto, -A casa mia non ci puoi venire.- Era fuori discussione, avrebbe contaminato l’aria di casa con quel profumo nauseante e dolce.

-Va bene, le faremo a casa mia le ripetizioni.- Da brava pazzoide, alzò le braccia esasperata e le lasciò ricadere con uno sbuffo, –Mercoledì?-

Un mercoledì pomeriggio buttato nel cesso… -Ok.- Risposi infine, a fatica.

–Bene. Tanto ti basta attraversare il pianerottolo, non mi sembra ti servano ulteriori spiegazioni.- I suoi occhi diventarono due sottilissime fessure.

-No, infatti.-

Fosse stata come Bìa, sarebbe stato interessante passare un pomeriggio a casa sua. Ma lei non aveva niente della mia amica, era l’esatto contrario.

Altro che arrapante. Andrea era fuori di testa, quella era solo una santarellina rompicoglioni del cazzo. Di quelle appiccicose, di quelle che una volta sverginate non la smettevano più di starti addosso, di quelle che parlavano, parlavano, convinte di aver sempre ragione e di essere superiori a tutto.

Nessun ragazzo sano di mente l’avrebbe sopportata, poco ma sicuro.

 

 

Note dell’autrice:

 

E’ stato stranissimo immedesimarsi in Lorenzo in questo primo capitolo, immagino di doverci prendere di nuovo la mano a scrivere i suoi pov.

Non sono ancora del tutto convinta del risultato, spero sia venuto bene e che vi abbia convinto, come al solito, per qualsiasi vostra perplessità, sono qui :)

Dal prossimo, così come in Tra l’odio e l’amore, le cose inizieranno a diventare più interessanti.

Sempre che non preferiate appunto una sorta di “raccolta” e che quindi vogliate subito un determinato pov di Lore (tipo quello famoso delle scale).

Vado a nascondermi sotto metri di terra che è meglio, stranamente non ho molto altro da dire :)

Colgo l’occasione per augurarvi, un po’ in ritardo, un buonissimo Natale, spero abbiate passato dei bellissimi giorni festivi! :D

Un bacione grande e grazie di cuore per tutto quanto.

Bec

   
 
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