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Autore: Lady Snape    13/08/2006    3 recensioni
Uno dei film di animazione che ho amato di più. E' vero, a volte è impreciso e ignora le leggi dalla fisica, ma che importa? Questa è la storia successiva all'attivazione del Titan. Si svolge ancora negli spazi profondi e coinvolge un personaggio che, a rigor di logica, dovrebbe essere uscito di scena per sempre. Ma, come ho già detto, il film non rispetta le leggi della fisica e non lo farò nemmeno io. Joseph Korso dovrà scontrarsi con le sue colpe e riacquistare la fiducia di chi ama. Buona lettura! Baci Lady Snape
Genere: Romantico, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Titan AE

Titan AE

Rebirth

Introduction

Il Titan A.E. era stato attivato. Una specie di esplosione aveva dato il via alla formazione del nuovo pianeta. Un clone della Terra. Un luogo dove vivere. Una nuova speranza per la razza umana. Cale e Akima avevano fatto un ottimo lavoro. Dopo molte difficoltà, dopo aver superato molti ostacoli, erano riusciti a compiere la loro missione. Erano dei veri eroi. Da lì a poco sarebbero giunte le colonie umane da tutte le galassie. Durante quei quindici anni di vita senza una patria la razza umana era stata sul punto di estinguersi, ma, fortunatamente, non era accaduto.

I Drej erano stati sconfitti per sempre. Erano stati pura energia e quella stessa energia, che aveva distrutto la Terra, era stata utile al Titan.

Tutti se l’erano cavata. Tutti. E…no, non tutti. Un uomo, il comandante Joseph Korso, era stato ferito nel tentativo di salvare il Titan e attivare il processo di clonazione. Ferito? Beh, Cale lo aveva visto per l’ultima volta tutto intero, ma la situazione era precipitata. I Drej lo avevano ferito, ma lui era stato solerte nel portare a termine la sua missione.

Non bisogna farsi un’idea troppo rosea di lui. Anzi, al contrario, lui non è stato un eroe. Non proprio. Ha tentato di distruggere il Titan; forse perché aveva perso la speranza; forse perché ormai era accecato dal proprio egoismo.

Ma chi è Joseph Korso?

Il comandante Korso era stato uno dei militari a guardia e tutela del Titan Project. Collaborava con il professor Sam Tucker, padre di Cale. Il professore era stato l’ideatore di quello straordinario strumento.

Nell’anno 3028 a Pierce in Colorado Korso era sotto il comando del generale Mark Faith con il grado di capitano. Il generale era un uomo molto affabile, nonostante il suo grado incutesse qualche timore. Faith aveva una grande villa non molto lontano dalla piattaforma di lancio del Titan: era lui ad occuparsi della sicurezza del luogo. Viveva lì con sua figlia, Medina, l’unica che le era rimasta. Due figli maschi erano morti nella Terza guerra Galattica. I loro corpi non erano mai stati ritrovati. La ragazzina aveva solo quindici anni. Era nata dal suo secondo matrimonio. Una ragazzina come tante.

Joseph Korso dovette recarsi da lui per informarlo personalmente dei nuovi problemi che il progetto aveva incontrato. Non era una bella giornata, ma il dovere lo costringeva a uscire dalla base sotterranea. Percorse agilmente a bordo di un velivolo ad idrogeno la strada che lo separava dalla villa. Parcheggiò di fronte ad essa e si identificò allo scanner presente all’ingresso. Le porte si aprirono permettendogli l’accesso. All’interno l’abitazione aveva qualcosa di antico, di nostalgico. Ma Korso non era tipo da farsi prendere dalla nostalgia e da sentimenti simili: Korso era famoso per essere un uomo concreto, senza fronzoli per la testa. Trovò facilmente l’ufficio del generale. Bussò. Una voce al suo interno gli diede il permesso di entrare.

< Generale Faith. > disse il capitano salutandolo.

< Riposo, capitano. Si accomodi. Quali sono le novità? >

Korso si sedette sulla poltroncina in pelle davanti alla scrivania.

< I radar hanno rilevato l’avvicinamento della nave madre Drej. Non hanno buone intenzioni. Il Colonnello May ha proposto di attaccarli, ma non credo sia una buona idea. >

< E’ una pessima idea, in effetti. Dobbiamo porci sulla difensiva e guadagnare tempo per l’evacuazione e la partenza del Titan. E’ di estrema importanza. Attivate lo Scudo Protettivo al più presto. >

< Certo, signore. >

La porta dello studio si aprì all’improvviso. Una ragazzina con occhi color dell’ambra entrò. Appena si accorse della presenza dell’ufficiale si fermò sulla soglia. Aveva già visto quel militare e, beh, quel militare era bello. Arrossì leggermente. Suo padre la fissò con rimprovero per l’intrusione.

< Scusa, papà. > disse la ragazza.

< Non importa. Avevamo finito. Capitano, faccia eseguire i miei ordini. E speriamo che vada tutto bene. >

Korso si alzò con decisione. Superò la ragazzina e si avviò verso l’uscita con passo deciso e sicuro. Medina lo osservava attentamente: una cotta adolescenziale….

Korso era quasi arrivato al velivolo quando notò uno strano movimento. Sospetto e insolito in quel luogo, solitamente molto sorvegliato. Si fermò come un lupo che annusa l’aria per scovare la preda. I suoi occhi blu erano stretti come fessure e i suoi movimenti si fecero cauti e misurati. Pose la mano destra al calcio della pistola laser lentamente. Un’ombra alla sua sinistra attirò la sua attenzione. Qualcuno era dietro la villa. Corse in quella direzione, pistola in pugno. Non arrivò in tempo. Avvertì un’esplosione e delle urla. Accelerò ancora. Si fermò slittando sulle pietre del vialetto che si trovava anche sul retro. Uno squarcio nella parete, dalla quale fuoriuscivano dei cavi elettrici. Entrò arma in pugno, pronto a fare fuoco. La stanza era vuota. Ma tracce di terriccio del vialetto indicavano che qualcuno era passato in corridoio. Controllò che non ci fosse nessuno. Sembrava che chiunque fosse entrato avesse già tagliato la corda senza lasciare tracce evidenti. Entrò nell’ufficio del generale. Il suo corpo era riverso sul pavimento e sgorgava sangue da una ferita probabilmente sull’addome.

Un rumore strano acuì i suoi sensi e il suo istinto. Qualcuno era al piano di sopra. Non fece in tempo ad affacciarsi sulla rampa delle scale che la figlia del generale, ormai morto, si precipitò al piano di sotto. Korso non ebbe il tempo di bloccarla: la ragazzina si fiondò nell’ufficio del padre. Si bloccò alla vista del suo cadavere, senza dire una parola.

Korso si avvicinò a lei e le posò una mano sulla spalla per tirarla via. Ma qualcuno colpì alle spalle il capitano che cominciò una lotta con il suo aggressore. Ne spuntò un altro e la situazione sarebbe precipitata se Medina non avesse raccolto la pistola di suo padre da terra e non avesse ucciso uno dei due. Korso si liberò dell’altro, prese la ragazzina e la portò sul suo velivolo ancora intatto. Si allontanarono in fretta.

Ciò che successe poi, beh, difficile dirlo con chiarezza. Medina viveva tutti gli avvenimenti come un brutto sogno, un incubo, uno dei peggiori. La morte di suo padre era stata un trauma molto forte: aveva già perso sua madre e i suoi fratelli, perdere anche lui fu troppo, davvero troppo per lei. Inoltre qualcosa si era rotta nel suo animo, quando con rabbia e un istinto vendicativo che non avrebbe mai pensato di possedere aveva raccolto la pistola di suo padre. Non avrebbe mai creduto di avere il coraggio di uccidere qualcuno. Lo aveva fatto. Senza nemmeno soffermarsi a pensare. Avevano ucciso suo padre e lei lo avrebbe vendicato. Lo aveva fatto.

Korso aveva portato la ragazzina, che non aveva pronunciato parola, al Comando Generale e l’aveva affidata ad un ufficiale, Lisa Stendhal, che si occupò di lei fino alla fine.

In capo a venti ore i Drej attaccarono la Terra e tutti erano impegnati a mettere in salvo se stessi, per un semplice istinto di sopravvivenza. E Medina…lei con la Stendhal si era messa in salvo su uno dei velivoli messi a disposizione dalle forze armate. La destinazione di tutti questi mezzi, militari e non, era sconosciuta agli stessi piloti. Ciò che importava ora era allontanarsi abbastanza da evitare l’onda d’urto dovuta all’esplosione della Terra. Spettacolo terribile e affascinante insieme. Una spettacolo da sempre impresso nella mente di tutti coloro che lo hanno vissuto. Nessuno di loro dimenticherà mai.

After Earth

Il Titan aveva compiuto il suo dovere. Appena era stato attivato il processo di clonazione del pianeta Terra un impulso era stato inviato alle navi militari, vecchie si, ma di grande importanza a causa di un particolare sistema di comunicazione creato per comunicare la riuscita dell’esperimento.

Una nave, la Ramses, aveva recuperato questo vecchio sistema da una nave militare ormai distrutta dall’usura del tempo. L’impulso del Titan l’aveva raggiunta in modo violento: si trovava a poche migliaia di kecks di distanza. Il capitano aveva fatto immediatamente rotta verso la fonte del segnale. Giunse in pochi minuti e assistette alla formazione del nuovo pianeta. Una sensazione celestiale e meravigliosa, un segno di vittoria e di speranza per la razza umana.

< Capitano, c’è un oggetto non identificato sulla nostra traiettoria. > l’addetto al radar aveva identificato un corpo estraneo. < E’…un essere vivente, signore, e credo sia ancora vivo, qualunque cosa sia. >

< Aprite i portelli e recuperatelo. > fu l’ordine. Il capitano si mosse in direzione della plancia della nave per giungere ai portelli agevolmente. Nella plancia c’erano due componenti dell’equipaggio che stavano recuperando…un uomo.

< Capitano Faith, è un uomo ed è ferito…è grave! >

< Portatelo subito in infermeria da Gingan. Se ne occuperà lui. >

I suoi ordini furono eseguiti all’istante. Il capitano seguì i suoi uomini, ma non potette entrare in infermeria: Gingan preferiva non avere nessuno tra i piedi.

Erano passate un paio d’ore dal completamento delle operazioni di clonazione del pianeta. I membri dell’equipaggio della Ramses avevano avuto il permesso di recarsi sulla nuova dimora del genere umano. Sulla nave erano rimasti solo il capitano Faith, Gingan e il ferito. Il capitano si recò in infermeria.

< Ciao, Medina >

< Gingan > salutò lei. < Di chi si tratta? > chiese curiosa.

< Di una vecchia conoscenza… >

La donna era scettica: solitamente le vecchie conoscenze o erano pessime o erano morti.

< E’ ancora vivo? >

< Sì, ma non so se ce la farà. Per il momento sconsiglio qualsiasi tipo di viaggio o spostamento dalla nave. E’ ridotto molto male: ha uno squarcio sul fianco sinistro e pare che sia stato attraversato da una potente scarica di energia. E’ sopravvissuto per puro miracolo. Non dovrà muoversi per un bel pezzo…. >

< Perché tutte queste raccomandazioni? > chiese Medina. I suoi occhi ambrati erano sospettosi.

< Perché si tratta del comandante Joseph Korso. > Gingan fu lapidario. Medina lo fissò negli occhi.

< Stai scherzando? >

< Affatto. E ti prego di non disturbarlo, non fargli domande e non affaticarlo in alcun modo. A meno che non voglia farlo morire. In questo caso sei autorizzata! > concluse con un pizzico di ironia.

< Quindi se voglio farlo fuori…posso? >

< Mmmmh…davvero vorresti ucciderlo? >

< Forse. > disse uscendo dall’infermeria.

Korso. Era assurdo? Ma da dove era spuntato? Aveva giurato a se stessa che non lo avrebbe più visto, non avrebbe più parlato con lui, non dopo quello che era successo. Il suo comportamento inspiegabile l’aveva urtata molto e da allora aveva deciso che per lei Joseph Korso era morto. Defunto. Inesistente!!!

Erano passati otto anni dall’ultima volta che si erano visti. In quel periodo Medina faceva parte dell’equipaggio di Korso. Era stata sulla sua nave, la Valkiry, per tre anni.

La nave di Korso si era fermata per un rifornimento alla colonia Athena. Lì Medina viveva da quattro anni con l’ufficiale Lisa Stendhal. Era stata lei a prendersi cura della ragazzina e ad impartirle un’educazione militare. A diciannove anni si imbarcò sotto il comando di Joseph Korso.

I traffici di Korso e le sue attività non erano chiari, ma si occupava principalmente dei contatti tra gli umani superstiti. Aveva perso il proprio ruolo militare da tempo: in fin dei conti non esisteva più un pianeta e gli organi di comando in carica dopo l’esplosione della Terra erano dispersi. Perlopiù morti per mano Drej. O anche assassinati dopo. Chi era sopravvissuto aveva abbandonato il proprio ruolo.

Gli esseri umani…beh, vivevano le conseguenze di un pianeta estinto: non avendo più una patria avevano accettato qualsiasi condizione pur di sopravvivere. Le colonie alla deriva, dette così perché fuori da qualsiasi orbita, erano l’ultimo caposaldo della razza umana. Anche se in condizione di vita difficili, mantenevano la loro autonomia. Se volevi mettere su un equipaggio era lì che dovevi cercare i tuoi uomini: gente motivata, giovani che volevano cambiare le cose, come sempre.

Era lì che Korso aveva trovato quattro membri del suo equipaggio: uno di loro era Medina. Una ragazza promettente che a quindici anni aveva smesso di essere una bambina. Era stata subito d’aiuto nella colonia e Lisa era convinta che, con un addestramento al combattimento, sarebbe stata fondamentale per la rinascita della razza umana.

Lisa aveva cercato di organizzare un fronte di Indipendenza Umana, provando anche ad unificare le colonie, ma aveva fallito miseramente. Era stata uccisa in uno scontro con i Drej. Alla sua morte Medina era nuovamente sola ed è per questo che, quando Korso cercava uomini, lei accettò subito la sua offerta, senza pensare ai pro e ai contro.

Medina era un ottimo soldato. Celere e precisa nei compiti a lei affidati. Era anche diventata una ragazza interessante. Furono in molti a notarlo, ma lei aveva solo occhi per lui: Joseph Korso. La cotta adolescenziale, a quanto pareva, non le era passata. Se in un primo momento Korso non provava alcun tipo di interesse verso di lei, dopo due anni di convivenza sulla nave spaziale qualcosa parve cambiare.

Inizialmente si trattava solo di giochi di sguardi. Medina era piuttosto ingenua e spesso il comandante la scopriva a fissarlo. Una volta scoperta, la ragazza abbassava lo sguardo e tornava ad interessarsi dei suoi compiti sulla Valkiry. Korso era lusingato da tante attenzioni. Era abile a nasconderlo, non lasciando trapelare le proprie sensazioni ed emozioni. Ma, in fatto di donne, beh, era un uomo esigente e, a dirla tutta, lo si poteva vedere raramente in loro compagnia. Avendo notato l’interesse che quella giovane donna provava verso di lui non potette fare a meno di metterla alla prova: se avrebbe superato le sue aspettative avrebbe potuto prenderla in considerazione.

Medina non era una stupida e si accorse di essere stata messa in esame: ma non immaginava per cosa! In quelle settimane dovettero affrontare parecchie battaglie: erano entrate nel territorio degli Stirk, esseri spregevoli che commerciavano qualsiasi creatura vivente, mercanti di schiavi, insomma. Gli Stirk non sono creature amichevoli e detestano che il loro territorio venga violato, anche se questo accade per errore. Bisogna comunque considerare che il comandante Korso li aveva attaccati consapevolmente: questo popolo di mercanti aveva assaltato un convoglio di navi terrestri uccidendo e catturando molti schiavi, specialmente bambini, per le miniere di Finderin, pietre dure utilizzate per ornamento e dal costo molto elevato.

Medina fu messa alla prova: le fu affidato il comando di un gruppo. Doveva distruggere l’avamposto degli Stirk. Ci riuscì con coraggio e determinazione, sgominando un attacco a sorpresa contro il gruppo di Korso.

Nella Valkiry si cominciava a mormorare che Medina Faith fosse entrata nelle grazie del comandante. In effetti, era la verità. Ma, oltre a questo, Medina aveva fatto breccia nel cuore di Korso. Non bisogna pensare che il comandante fosse diventato dedito a romanticismi, ma aveva iniziato a fidarsi davvero di lei, a parlare con lei e a passare del tempo con lei. Joseph Korso non era un uomo frettoloso, nemmeno quando si trattava di faccende personali. Cominciò innanzitutto a conoscerla meglio. A osservarla. A scoprila. Molto lentamente. Alla fine la giovane donna occupava buona parte dei suoi pensieri. Ogni genere di pensieri.

In un primo momento non era molto convinto di tentare un approccio sentimentale o comunque coinvolgente a livello personale con lei. Si rendeva conto che le differenze tra loro erano molte, a cominciare dalla loro non trascurabile differenza di età: diciotto anni non erano pochi. Tutti i dubbi furono spezzati una sera.

Sul ponte di comando non era rimasto nessuno tranne loro due. Korso controllava la rotta che stavano seguendo. Erano fuori di qualche migliaio di kecks. Una correzione di rotta era necessaria. Era sul pannello di controllo per modificarla quando sentì odore di gelsomini. Sorrise. Sapeva a chi apparteneva quel profumo. Da qualche tempo pareva perseguitarlo.

< Se è davvero un militare, non dovrebbe utilizzare certi….cosmetici. >

< Sono un militare, ma è pur vero che conservo una certa classe. > disse Medina segnando sui registri elettronici i consumi di carburante.

< Gran bella risposta, ma il suo profumo distrae l’equipaggio. >

< L’equipaggio o…lei, comandante? > adorava provocarlo: erano ormai settimane che giocavano in questo modo, ma non c’era mai nessun tipo di iniziativa da parte di Korso.

< Lo sa che potrei metterla agli arresti per oltraggio? > disse l’uomo avvicinandosi.

< E’ lei che ha il comando. Può fare ciò che vuole. > Medina lo fissò negli occhi. Quanto li amava: e ricordavano il mare….da bambina giocava spesso sulla spiaggia quando il tempo era bello, ma più di tutto amava il mare in tempesta, quando assumeva sfumature blu scuro che lasciavano risaltare la spuma bianca , luminosa come i lampi nel cielo. Gli occhi di Korso le ricordavano tutto questo.

< No, non la metterò agli arresti. > il comandante distolse lo sguardo, come per voler evitare qualcosa.

Medina fremeva. Erano soli. Nessuno li avrebbe disturbati. Ma cosa aspettava? Giocavano a lanciarsi segnali da tempo. Le allusioni a ciò che desiderava erano evidenti! Questi indizi erano lanciati solo in privato: Medina manteneva un’ottima facciata di alta serietà di fronte all’equipaggio.

Ora o mai più. Posò il registro sul pannello di controllo.

< Korso? > chiamò per farlo voltare.

L’uomo si girò, lanciandole uno sguardo interrogativo. Lei lo fissò negli occhi per un attimo, poi posò le sue labbra sulle sue. Korso era spiazzato. Con una lieve carezza della lingua Medina chiese alle labbra dell’uomo di schiudersi. Solo allora Korso si abbandonò al bacio. Chiuse gli occhi e assecondò la donna, posando le mani sui suoi fianchi. Medina portò una mano dietro la sua nuca per tirarlo verso di sé. Questo fu il momento in cui i due per la prima volta dopo tanto tempo, furono attraversati da sentimenti autentici, sinceri. Uno di quei pochi momenti in cui abbandonavano le maschere che portavano per mostrare determinate immagini di sé, come ognuno di noi fa.

Fu il comandante a interrompere il bacio. La fissò negli occhi. Non staccò le mani dai suoi fianchi, quasi per sottolineare che, ormai, erano legati.

La loro relazione fu intensa. Ogni sera Medina era nella stanza del comandante. Non bisogna pensare che i due fossero dediti a soli passatempi amorosi. Al contrario: Korso continuò ad essere il suo comandante e, per quanto riguardava le occupazioni relative alla nave spaziale, continuava ad esigere serietà totale. Nella sua stanza spesso discutevano animatamente questioni relative alla rotta da percorrere per portare a termine le missioni affidate alla Valkiry (erano diventati dei veri mercenari, anche se spesso agivano come pirati spaziali). Pareva quasi che la nuova posizione di Medina in campo relazionale fosse un incentivo a richiedere più professionalità, più precisione, più responsabilità. Essere la compagna del comandante era incredibilmente difficile. Era come essere costantemente sotto esame. Conoscere il finale di questa storia rende più comprensibile il perché. Ora si può solo dire che Korso pretendeva che Medina fosse pronta a qualsiasi evento. Lei era il suo soldato migliore.

Le missioni più difficili erano affidate alla donna. Spesso Medina si chiedeva il perché: non aveva chiesto di essere agevolata, ma almeno voleva che a volte le fosse permesso sbagliare.

Una sera, durante una sortita contro una nave spaziale Drej che aveva attaccato una colonia, la donna era stata ferita. Una ferita leggera, non c’era nulla di cui preoccuparsi. Gingan, medico a bordo della Valkiry, aveva sanato la lesione. Nonostante la ferita la missione era riuscita: la nave Drej era stata messa in fuga ed era stato attivato uno scudo protettivo intorno alla colonia. Medina era appena tornata nella sua stanza dall’infermeria. All’interno c’era Korso.

< Non credevo fossi qui. > disse la donna, ma si accorse subito che c’era qualcosa che non andava. Joseph era in piedi accanto all’oblò della stanza, braccia incrociate sul petto e uno sguardo poco rassicurante. < Gingan ha detto che con un po’ di riposo tornerò come prima. La ferita è stata chiusa, comunque. > lo informò. Lo sguardo di Korso era sempre lo stesso. Decise di avvicinarsi a suo rischio e pericolo.

< Mi spieghi cosa hai combinato? > fu la domanda di lui.

< Che vuoi dire? >

< Voglio dire che devi essere totalmente impazzita! La manovra che hai effettuato ha messo in pericolo te e la squadra che ti era stata affidata! >

< Non si è fatto male nessuno. >

Risposta sbagliata. Korso le rifilò uno schiaffo.

< E’ questo quello che pensi? >

< L’unica persona che è rimasta coinvolta sono io. Cosa hai da lamentarti? > anche lei stava perdendo la pazienza: ma che succedeva?

< Nessuno doveva essere ferito! Non pensavo che avresti fatto un errore del genere. > crudele! Uscì dalla stanza senza più guardarla.

Ci volle qualche giorno per sbollire la tensione. Korso si scusò. Abbandonò il suo orgoglio per una volta e chiese scusa per il suo gesto. Medina aveva accettato le sue scuse, ma aveva anche notato che da qualche tempo Korso era cambiato. Se si fosse trattato del solito Korso l’avrebbe rimproverata, forse, ma si sarebbe anche preoccupato per lei, come avrebbe fatto pure per altri membri dell’equipaggio. Ma c’era qualcosa di più.

Medina conosceva benissimo le ragioni per cui il comandante Korso aveva intrapreso il suo viaggio per le galassie. Il suo obiettivo era rintracciare una persona, un ragazzino. Questo piccoletto era indispensabile per trovare il Titan. L’ultima speranza dell’umanità. Negli ultimi tempi, però, c’era qualcosa di diverso: Joe non era più lo stesso. Spesso lo si poteva vedere perso nei propri pensieri, distante e distratto. Sembrava che stesse ponderando riguardo una decisione, che stesse valutando i pro e i contro di qualcosa. Anche se lei avesse tentato di scoprirlo, tutto sarebbe stato inutile. Innanzitutto Korso era un uomo blindato: impossibile coglierlo in fallo; poi non amava svelarsi molto, specie quando non aveva ancora preso una decisione.

Questi erano i pensieri di Medina quella sera: vecchi ricordi che ritornavano alla mente carichi di nuovi sentimenti ed emozioni. Certo rivederlo era stato strano: non avrebbe mai creduto che fosse possibile. Lo spazio è immenso e la probabilità di incontrare nuovamente un individuo era quasi nulla, eppure….eppure era successo. Alla mente di Medina giunsero anche altri ricordi, ricordi di tenerezze e di gesti gentili nei suoi confronti, quando lei aveva posto nell’esistenza di lui.

Ma cosa era successo? Anche qui la situazione è parecchio confusa. Fatto sta che dopo due anni di felice convivenza e notti di fuoco qualcosa cambiò. Korso la rifiutava molto spesso, si chiudeva in se stesso e pensava chissà che cosa. Cominciarono a litigare: Medina chiedeva attenzioni o, almeno, spiegazioni. Korso era irritabile. Litigavano molto spesso. Anche Gingan si accorse che c’era qualcosa di strano. Insomma, nonostante i due avessero tenuto la loro relazione nascosta, non era difficile immaginare che qualcosa di più che rispetto e amicizia aleggiasse tra loro. I loro litigi furono una conferma: solo due “innamorati” si sarebbero concessi a scenate e discussioni accese in pubblico e non. Non era difficile sentirli quando litigavano nella stanza di Korso. Per non parlare degli sguardi che Medina lanciava a Joseph quando lui non la guardava. Sguardi carichi di speranze che furono puntualmente deluse.

Tutto si disgregava a piccoli passi fino alla rottura finale. Korso cambiò equipaggio. Dopo essersi fermati su una delle colonie, Korso consegnò delle lettere di “licenziamento”, mandando tutti a casa. Medina compresa.

La donna lo seguì nella sua cabina con la lettera stretta tra le mani.

< Perché? > chiese

< Non devo spiegazioni. E poi è tutto scritto. > Korso era serio e rilassato.

Non doveva spiegazioni!?

< Non sono adeguata ai tuoi nuovi obiettivi!? >

< Esatto. >

< Che cosa è successo? > chiese. Voleva una spiegazione plausibile, anche perché si sentiva terribilmente offesa e presa in giro; in più si sentiva bruciare per tutte le volte che aveva donato se stessa a quell’uomo.

< Non è accaduto nulla. > Korso non la guardava in viso. Dentro di lui, una parte di lui, voleva dirle la verità: di come aveva venduto se stesso ai Drej, di come aveva chiuso, eliminato le possibilità di poter ricreare un’esistenza per gli esseri umani superstiti. Però….però sapeva che Medina non avrebbe approvato, che avrebbe tentato di fargli cambiare idea. Odiava se stesso. In fin dei conti era sempre stato un uomo calcolatore ed egoista, ma mai fino a questo punto.

< Nulla?….nulla. Non c’è mai stato nulla tra noi, vero? > rischiava di fare la figura della ragazzina….rischiava di piangere davanti a lui, ma, fortunatamente, il suo orgoglio glielo impediva.

Korso si voltò verso di lei.

< Vuoi sapere perché venivo a letto con te? > sono uno stronzo, sono uno stronzo…ormai era un mantra nella mente di Korso. < Semplicemente perché sei una bella donna, sei intelligente e…piacevole. >

< Spero di averti fatto divertire abbastanza. > Medina voltò le spalle all’uomo e uscì dalla stanza. Giunse al portellone della nave, si fermò un attimo indecisa, poi andò via.

Questi ricordi vagavano nella mente della donna. Pessimi ricordi. Ritrovarsi davanti quell’uomo non era il massimo. In ogni caso non lo avrebbe mai buttato fuori dall’astronave in quelle condizioni: appena si sarebbe ripreso sì.

First times

< Buongiorno, Korso! > disse Gingan. Il comandante aveva appena aperto gli occhi.

< Gingan!? >

< In persona. Come ti senti? > domanda di routine.

< A pezzi…..dove siamo? > Korso si era seduto sul letto con aria confusa e si era tolto la mascherina dell’ossigeno. Non aveva mai visto quel posto.

< Siamo sulla Ramses, una nave spaziale mercenaria. Ti abbiamo trovato mentre vagavi nello spazio ferito. Cosa hai combinato? >

< Una storia lunga….. > Joe non aveva molta voglia di parlare. Come spiegare tutto quello che gli era capitato. Troppo complicato.

< Che ha a che fare con il Titan! > disse sornione Gingan. Korso lo fissò sorpreso.

< Come lo sai? >

< Esistono dei sistemi, molto vecchi, che collegano il Titan a delle vecchie navi militari. Una sorta di vecchio sistema GPS. Le onde di trasmissione utilizzano qualsiasi tipo di satellite artificiale per propagarsi. Così quando l’interruttore del Titan è stato attivato il sistema ha propagato un segnale che le colonie e alcune navi hanno captato. >

< Vuoi dire che esiste un nuovo pianeta abitabile? >

< Esatto. Da due settimane è abitato da terrestri. >

Una bella notizia. Korso era felice. La missione era riuscita. Il suo cuore era più leggero. In fin dei conti era tutto andato a posto.

< Chi è il comandante qui? > chiese Joseph. Voleva ringraziarlo per avergli salvato la vita.

< Io > disse una voce di donna. Medina Faith entrò in infermeria con passo sicuro. Korso non credeva ai suoi occhi: non avrebbe mai pensato di rivederla, non che non avrebbe voluto, ma non credeva che sarebbe stato possibile.

< Non sapevo fossi diventata comandante. > Korso decise di restare sul vago e di nascondere le proprie emozioni. La guardò negli occhi ambrati con fermezza, senza distogliere lo sguardo. Il profumo di gelsomini lo invase prepotente.

< Ci sono molte cose che non sai. Otto anni sono lunghi e possono accadere molte cosa. Come ti senti? >

< Bene, grazie. > Korso era lapidario, Medina fredda e Gingan alzò gli occhi al cielo: quei due erano irrecuperabili.

< Meglio così. Gingan > disse rivolgendosi al medico < Ho lasciato che l’equipaggio scendesse sul pianeta, sono liberi dal contratto. Quando il nostro ospite potrà affrontare la discesa, entreremo nell’atmosfera. > e andò via.

Gingan era senza parole: evidentemente la ferita dentro di lei bruciava ancora, ma parlare come se lui non fosse nella stanza era un po’ troppo. Korso, da parte sua, era rimasto immobile; quando la donna era uscita dalla stanza, aveva abbassato lo sguardo. Che fosse pentito di ciò che aveva fatto anni addietro? Forse.

< Mi odia. > disse Korso con un sorriso amaro sulle labbra.

< Non farci caso. A volte è isterica, ma le passa tutto. > non ne era sicuro. Stavolta Gingan non ne era affatto sicuro. Ma perché doveva restare su quella nave da solo in loro compagnia?

Medina era nella sua cabina. Marciava per la stanza come una tigre in gabbia, sbuffando e imprecando sottovoce. Quel bastardo, quello stronzo era lì, sulla sua nave. Avrebbe voluto spingerlo a calci fuori dalla Ramses. Gingan glielo avrebbe impedito.

Passò qualche giorno. Korso fu in grado di mettersi in piedi, ma raramente usciva dall’infermeria. Non aveva molta voglia di trovarsi faccia a faccia con lei. Un atteggiamento da vigliacco, forse si, ma preferiva questo piuttosto che spiegare cosa aveva fatto, i suoi errori e tutto ciò che ne era derivato. Medina, d’altronde, non si avvicinava all’infermeria neanche per sbaglio: il motivo era semplice: meno vedeva l’uomo più era tranquilla.

Gingan faceva la spola, tentando di trattenerli nella stessa stanza. Pranzavano in camere differenti. Gingan restava con Korso perché al momento era quello più bisognoso di aiuto. Medina poteva cavarsela da sola per il momento.

< Il tuo comportamento è da bambina. > disse il medico una mattina sul ponte di comando. Medina non rispose subito.

< Se dovessi restare più di cinque minuti nella stanza con quello gli sparerei. E non scherzo. >

< Posso anche provare a capire ciò che provi, ma esageri. Ha bisogno di restare tranquillo per riprendersi e il tuo comportamento lo agita. >

< Poverino! > disse con sarcasmo la ragazza.

< C’è poco da ridere. Le sue condizioni non sono delle migliori. >

Medina lo guardò negli occhi.

< Credi che non lo sappia. Anch’io sono un medico, non scordarlo. > il suo volto si rabbuiò. Era consapevole che se Korso era vivo, era dovuto ad un puro miracolo.

Mentre Gingan si prendeva una pausa, parecchi giorni prima, era andata in infermeria. Non era stato divertente. Nella sua mente aveva creduto che vedere l’uomo che l’aveva fatta soffrire in condizioni critiche l’avrebbe divertita, o meglio, le avrebbe dato quel tipo di soddisfazioni proprie della vendetta. Quando, però, si fu avvicinata al letto cambiò idea radicalmente. Korso respirava a fatica e dolorosamente. I sedativi lo aiutavano a sopportare il dolore, che pareva molto forte. Restò bloccata ad osservarlo con un nodo alla gola. Inconsapevolmente si ritrovò a sistemargli la mascherina e le lenzuola. Quando si rese conto di ciò che aveva fatto, decise che non avrebbe messo più piede lì dentro. Ecco perché la sua freddezza e il suo sarcasmo: aveva paura di riallacciare i rapporti con lui. Oltre a volersi vendicare, ovvio.

Erano tutti in sala comandi. Ormai Joseph si era ripreso e solo la volontà di Gingan impediva a Medina di fare rotta sulla nuova terra. Korso si era rivelato utile. L’uomo non voleva starsene con le mani in mano come un ospite incapace, così aveva riparato i pannelli di controllo dei cannoni laser a tribordo della nave.

Mentre eseguivano un controllo di routine dell’astronave ricevettero una comunicazione. A quanto pareva non tutti gli esseri umani erano riusciti ad arrivare sul nuovo pianeta. Le astronavi di appoggio, le colonie alla deriva, nel tempo erano danneggiate: non avevano abbastanza energia da muoversi dal luogo di ubicazione. Potevano anche esserci guasti ai motori o un qualsiasi altro motivo per cui non c’era speranza che raggiungessero la nuova terra. Medina ricevette l’ordine di recuperare la colonia NY, a 564 milioni di kecks di distanza.

< Fantastico… > commentò la donna.

< Non è così male. In effetti non possiamo ancora scendere sulla terra; recuperare qualcuno in difficoltà sarà un modo per guadagnare tempo. >

< Non ricordarmelo. > Medina guardò storto Gingan < Lo so che vuoi fare in modo che parli e che sia gentile con lui, ma sono faccende nelle quali non hai voce in capitolo. >

Medina tornò nella sua stanza. Va bene, d’accordo, le dispiaceva vedere Korso triste e abbattuto, ma non voleva saperne di cedere….forse….

Fly away

La Ramses era partita verso le coordinate fornite dalle Forze Terrestri. Medina era decisa: infondo aveva scelto di essere un militare e non si sarebbe tirata indietro anche a costo di dover affrontare pericoli e anche se avrebbe dovuto affrontare il suo passato o ciò che ne era rimasto.

Era ormai molto tardi. Non è facile mantenere il conto delle ore e dei giorni nello spazio, ma era necessario o il fisico umano, che si era sempre mosso a ritmo con i cicli solari e la rotazione terrestre, avrebbe corso dei rischi. Fatto sta che era ora di dormire. Il pilota automatico avrebbe governato al suo posto. In caso di pericolo un allarme spaccatimpani avrebbe provveduto a tirare tutti giù dalle brande.

La donna stava per raggiungere la propria stanza. Prima di fare ciò controllava sempre che tutto fosse a posto, che gli occupanti della nave fossero in buone condizioni, quasi come una mamma. La porta della cabina di Korso era aperta. Sbirciò al suo interno: l’uomo era in piedi accanto all’oblò e fissava gli spazi profondi sorseggiando della vodka. Chissà quali pensieri gli attraversavano la mente. Il suo sguardo, immaginava Medina, era perso oltre le stelle. Korso si passò una mano tra i capelli e sospirò in modo leggero, ma udibile. Si voltò di scatto. Medina non ebbe il tempo di muoversi di lì e fu colta in fallo. Lo sguardo di Joseph era smarrito, almeno per un attimo.

< Ciao > disse abbassando gli occhi.

< Ciao > rispose lei titubante. Era stata sorpresa ad osservarlo come una ragazzina. < Passavo di qui per dare un’occhiata….faccio la ronda prima di andare a letto. > spiegò. Era la verità. “Passavo di qui per dare un’occhiata a cosa!?” si rimproverò.

< Vuoi entrare? > propose lui. < Per bere qualcosa. > specificò, quasi a volersi difendere.

Medina non rispose, ma entrò nella sua cabina. Nonostante fosse la sua stanza da molto tempo non era molto diversa rispetto a quando era disabitata. Korso non mostrava mai i suoi interessi, le sue nostalgie riguardo la Terra. C’era chi tappezzava la propria cabina con poster di vario genere, chi ci teneva oggetti della propria infanzia o che ricordavano il passato. Lui no.

La ragazza si accomodò su una sedia e Korso fece altrettanto porgendole un bicchiere pulito con il liquore.

< Ti sto offrendo qualcosa di tuo… > disse con un flebile sorriso.

< E’ il pensiero quello che conta. > scherzò Medina.

Dopo un po’ di silenzio fu l’uomo a prendere la parola dopo aver sorseggiato la vodka.

< Volevo ringraziarti per avermi salvato la vita. Credevo che fosse davvero finita per me. >

< Non ce n’è bisogno. >

< Tu dici? > era molto serio. < Vorrei chiederti una cosa e ti prego di essere sincera: se avessi saputo prima che si trattava di me mi avresti salvato comunque? > i suoi occhi puntarono quelli della donna, scrutandoli senza pietà e con un po’ di timore: se avesse detto di no….forse…. avrebbe deciso di mettere fine alla sua esistenza.

< Sei stupido o cosa? > disse Medina. Non c’era rabbia o rimprovero nelle sue parole, solo consapevolezza di quanto lui fosse debole. Non era più il comandante sicuro di sé e delle sue scelte. < Credi che io sia così crudele e vendicativa? Credi che sarei arrivata al punto di lasciarti morire? >

Korso abbassò lo sguardo. < E’ solo che…..insomma…. >

< Vuoi sapere se sono ancora arrabbiata per quello che è successo otto anni fa? > non aspetto la sua risposta < In parte si. Non mi sarei mai aspettata di essere trattata in quel modo. Ho pensato di vendicarmi, ma alla fine non l’ho fatto, anche se la cosa mi brucia. >

< Mi dispiace. > Korso sembrava sincero. Il suo sguardo era davvero dispiaciuto.

< Conosco tutta la verità. So del tuo patto con i Drej. > disse la donna a bruciapelo.

Korso la guardò spiazzato. Come faceva a saperlo? Poi ricordò che era stato a lungo incosciente e che, forse, Cale era riuscito a mettersi in contatto con lei o viceversa. La verità….lei sapeva tutto ormai….forse ora lo odiava davvero.

< Non potevo rischiare la tua vita. > questo era vero: l’aveva allontanata per proteggerla.

< Non fare il romantico….non ti si addice molto. >

< Non sto facendo il romantico > Korso dava segni di cedimento: dopo che si era scusato sinceramente, una provocazione come quella non faceva piacere. < Ti sto solo dicendo la verità, anche se non ti importa. >

< Perché non mi hai detto la verità allora? >

< Ti saresti messa di mezzo e lo sai anche tu. > la sua voce era diventata più dura. Stavano per litigare, lo sapevano entrambi.

< Ovvio! Certo che l’avrei fatto! Avrei tentato di farti cambiare idea. >

< Era tardi per questo. > Korso fece qualcosa di inaspettato: prese la propria testa tra le mani. Pareva disperato per i suoi errori, per le sue paure, per aver mentito a lei e per il tempo che aveva perso per il suo egoismo.

Medina sentì il cuore stringersi. Pensava che si sarebbe incavolato, che le avrebbe urlato contro, invece….invece eccolo lì triste, abbattuto, forse tratteneva anche le lacrime….

Medina si inginocchiò davanti a lui.

< Calmati. > disse in un sussurro. Gli prese le mani. Korso alzò lo sguardo. Dio…quanto era vicina!

< Mi dispiace > disse. Ormai sussurravano entrambi. < Non volevo ferirti, non volevo nemmeno lasciarti in quel modo, senza una spiegazione. E poi…mi avresti odiato in ogni caso, con o senza la verità. >

< Mi sarei arrabbiata, sì. > perché mentirgli?

< E’ troppo tardi ora? > gli occhi azzurri di Korso la stavano supplicando. Supplicavano una possibilità di rimediare, di recuperare i sentimenti del passato.

La donna sapeva che sarebbero giunti a questo. Sapeva che lui le avrebbe chiesto di recuperare la loro vita sentimentale.

< Ascolta…. >

< Si o no? > era davvero deciso.

< Non mettermi alle strette, sai che non mi piace. >

< Ho bisogno di saperlo. >

< E io ho bisogno di tempo. Non puoi piombare qui dopo tutto questo tempo e chiedermi di dimenticare. > Medina si alzò stizzita e uscì dalla stanza.

< Ti amo ancora. > sussurrò Joseph, chiudendo gli occhi.

< Si può sapere cosa è successo? > chiese Gingan a Medina. Joseph gli era parso tubato da qualcosa.

La donna sospirò e guardò in direzione di Korso.

< Non preoccuparti, passerà tutto. Siamo arrivati ad argomenti scottanti, diciamo così. >

Gingan decise di far morire lì il discorso.

Il loro viaggio procedette senza intoppi. Giunsero prima del previsto alla colonia spaziale NY, chiamata così in onore della Grande Mela americana.

Appena furono a bordo furono accolti come degli eroi. Dopo quelli che potevano definirsi festeggiamenti il magico trio dovette occuparsi di risolvere i problemi di movimento della colonia.

< Il motore è fuso. > disse Korso, pulendosi le mani dal grasso di motore.

< E ti pareva…. > disse Medina. < Puoi ripararlo? >

< Non sono molto esperto. Posso provare, ma non garantisco nulla. >

< Ti aiuto io….non so cosa potrò fare, ma ti aiuto. >

Erano almeno due ore che tentavano di riuscire almeno a capire quale fosse il pezzo da cambiare, riparare o altro, ma non era semplice. Lo spazio era esiguo e la luce mirata, ma scarsa. Medina e Korso erano ricoperti di olio di motore: una delizia.

< Possiamo prenderci una pausa? > chiese la donna speranzosa.

< Direi di sì. >

Entrambi si tirarono fuori dal pertugio.

< Forse avrei dovuto farlo, il corso da meccanico. > disse la donna.

Qualcuno giunse per dare un’occhiata al loro lavoro. Era il “sindaco” della comunità. Offrì loro aiuto e un pasto caldo per quella sera. Erano in quella che poteva definirsi la mensa della colonia. Il pasto loro offerto era gustoso e confortante: si respirava una strana atmosfera. I profumi che aleggiavano in quel luogo rimandavano al passato, ad una infanzia felice, all’odore del bucato, delle scarpe nuove, delle pagine di un libro nel quale erano stati conservati petali di rosa. Questi sentimenti e sensazioni idilliche furono interrotte dall’allarme della colonia. Qualcuno si stava avvicinando.

Attack

Una nave spaziale pirata era entrata nell’orbita della colonia. Avanzava minacciosa, con chiari intenti ostili.

< Chi diavolo sono? > Medina era stanca e non aveva molta voglia di combattere: sarebbe stato uno spreco di energie, ma era pur vero che occorreva rispondere ad un eventuale attacco.

< Preparare i cannoni per la difesa. > ordinò.

Fortunatamente sulla colonia risiedeva qualche militare. Organizzarono gli armamenti della Ramses in modo da poter difendere sia la colonia che la nave spaziale.

I pirati attaccarono. Una scarica di raggi laser piombò sulla loro postazione aprendo uno squarcio sul fianco destro dell’astronave. La Ramses rispose al fuoco, sfiorando i loro cannoni e danneggiandone uno.

< Esco con la Carter. > la Carter era una piccola navicella d’attacco, una monoposto utile per un attacco su più fronti. Era l’evoluzione spaziale dei vecchi jet militari terrestri. Raggiungeva alte velocità e aveva potenti armi laser e ultrasuoni, capaci di mandare in tilt qualsiasi sistema di orientamento e sistema radar.

< Come? Medina è pericoloso! > Korso era allarmato. Era una pazzia uscire la fuori e infilarsi nel fuoco incrociato di pirati, Ramses e colonia.

< L’ho già fatto altre volte. > fu la risposta della donna. < Prendi tu i comandi della Ramses! >

< Tu sei davvero matta! > commentò Joseph.

La piccola navicella uscì dal portellone posteriore e volò dritta verso il nemico. Con un attacco su tre fronti quei fuorilegge potevano essere sconfitti facilmente, bisognava solo rischiare un po’.

Medina era agguerrita: nessuno era mai riuscito a colpirla quando pilotava la piccola astronave. Non avrebbe sbagliato certo questa volta! Innanzitutto l’effetto sorpresa era praticamente garantito. Decise di spostarsi passando sotto le file nemiche. Quello era l’unico posto dove non rischiava di essere colpita. Si spostò sul retro della nave pirata. Azionò gli ultrasuoni, mandando in tilt per due secondi i loro radar; si spostò di nuovo in fretta e colpì il nemico con i suoi raggi laser. Nel frattempo Korso faceva un ottimo lavoro con il fuoco di copertura. La sua esperienza era di ottimo aiuto.

La colonia faceva la sua parte nonostante si trovasse in una posizione di pieno svantaggio: non poteva spostarsi dalla sua posizione e veniva colpita regolarmente. Korso riuscì ad eliminare l’ultimo loro cannone e la nave pirata fu costretta alla resa.

Tutti esultarono per la battaglia vinta. I pirati furono arrestati e mandati alla prigione intergalattica.

Medina rientrò dal portellone posteriore della Ramses. Aprì la cupola superiore e scese la scaletta tranquilla. Quando fu a terra notò Korso in cima alle scale.

< Che ci fai lì? > chiese, anche se conosceva già la ragione di quel gesto.

< Indovina! > rispose lui con un sorrisetto malizioso, scendendo la scalinata con calma.

< Andiamo…sono capace di badare a me stessa. So pilotare e combattere con una Carter! >

< L’ho notato….questo non vuol dire che non rischiavi di essere colpita. > giunse sulla rampa e incrociò le braccia sul petto.

< Tsk! > Medina era divertita dal suo atteggiamento tra il paterno e l’autoritario. Forse si sentiva ancora il suo comandante. Oppure si considerava ancora l’uomo che aveva salvato una ragazzina da un attentato che sicuramente l’avrebbe uccisa. Oppure…sì, era innamorato! < Ma smettila! Come vedi sono tutta intera, come la navicella. Piuttosto, complimenti per le manovre d’attacco! >

< Ma per chi mi hai preso?! >

Salirono insieme la scaletta che portava alla sala comando. Lì Gingan attendeva il loro arrivo.

< Finalmente! Avete smesso di amoreggiare? > Medina voleva strozzarlo! < Abbiamo un problema. La colonia è danneggiata. >

< Mmh…questo è IL problema. > Medina non ci aveva pensato all’inizio. Si era accorta della difficoltà della situazione solo quando, per errore, un suo colpo aveva centrato NY.

< Questo è vero, ma la nave pirata, che gentilmente ci è stata donata, è meno danneggiata della colonia. Per cui una parte dei coloni qui e un’altra in quella nave e possiamo partire per la Terra! > Korso si era dimostrato più logico di tutti quanti.

< Hai ragione! > disse Medina, ormai presa dall’entusiasmo per la vittoria e per la risoluzione del problema.

< Lo so! > Joseph gongolava un po’.

< Un genio! > Gingan calcò la mano a dovere.

< Lo so! > ora l’uomo rideva.

< Non esageriamo. Genio!? Ma per favore! > Medina si avviò ridendo verso il pannello di controllo per comunicare alla colonia il nuovo piano.

Il trasferimento di persone, viveri e averi fu completato nel giro di sei ore.

< Era tanto che questa nave non fosse così affollata. > disse Gingan.

< Staremo un po’ stretti, ma il viaggio non durerà tantissimo. Un paio di giorni al massimo. Tutto dipende dalla velocità che potremo supportare. > Medina era molto professionale in questo. Si trattava sempre di una missione a lei affidata dal comando centrale delle Forze Terrestri. Per il comando dell’altra nave Medina aveva deciso di affidare tutto nelle mani di Korso. Lui non ne era stato molto felice.

< Sei l’unico di cui possa fidarmi. > aveva cercato di rabbonirlo, quando aveva cercato di protestare.

< Non ne ho voglia…perché io? >

< Questa è una domanda stupida! Sai cosa fare su una nave e non è certo la prima volta che ne prendi il comando. > “So che vuoi restare qui con me…” Medina lo fissò negli occhi. Erano di un azzurro accecante, con riflessi violetti quando era turbato. Splendidi. < Ti prego… > il tono usato era tra il supplicante e il sensuale. A Korso gli venne quasi un colpo.

< Ti odio! > disse ridendo. < Va bene, accetto. Non ti sopporto quando fai così. >

< Per così poco? > Medina passò le dita delicatamente sul suo pizzetto e andò via sorridendo. Joseph si voltò a guardarla: “Mi ha fregato…..non so dirle di no! E lei lo sa benissimo…”

La partenza avvenne appena possibile. Nelle navi si stava un po’ stretti, ma non si poteva fare altrimenti.

< Mi ricevi? > Medina provava la radio.

< Forte e chiaro! > Korso aveva assunto uno strano tono professionale. Pareva che fossero tornati a dieci anni prima.

< Bene! Le coordinate sono R456GE575 e DF0934JI34 >

< Roger! Ho effettuato un controllo e ho gli alettoni di destra danneggiati. Non posso superare gli 8.000.000 kekcs all’ora. >

< Andiamo a 7.500.000 per il momento; meglio non esagerare. >

< Roger! >

La partenza fu tranquilla. Non ci fu alcun tipo di problema. Gli ospiti erano tranquilli e felici di poter finalmente avere una nuova casa.

Medina rimase in sala comando. Non poteva spostarsi di lì: la sua stanza era stata occupata da un gruppo di infermi che necessitavano di un luogo tranquillo per riposare.

< Permesso? > Gingan tentava di avvicinarsi alla postazione della donna, ma era una vera impresa: in molti si erano adagiati sul pavimento per passare qualche ora di sonno. < Finalmente! > il vecchio medico si sedette accanto a lei. < Come va? > chiese con un sorriso.

< Tutto a posto. Lo vedi ance tu. Siamo alla fine della missione: dobbiamo solo arrivare a destinazione. > tornò a fissare lo spazio infinito davanti a sé. Un’enorme distesa nera trapuntata di punti luminosi più o meno grandi.

< Cosa farai una volta a terra? > Gingan era curioso. La sua protetta aveva passato la vita tra navi spaziale, battaglie e avventure. Cosa sarebbe successo una volta che tutto sarebbe terminato? Che lo spazio avrebbe cessato di essere la dimora degli esseri umani?

< Non lo so. Forse entrerò nell’esercito per davvero. Servirà qualcuno che si occupi della sicurezza. Se aggiungi che sono anche un medico….è una soluzione, no? >

Gingan era scettico.

< E lui? > Medina lo guardò in tralice.

< Che vuoi che ne sappia! Farà ciò che vuole! >

< Sai a cosa mi riferisco. Sarà espulso dal corpo militare per aver ostacolato il ritrovamento del Titan… >

< Solo se la verità è giunta alle loro orecchie! Cale Tucker mi ha assicurato che, per ora, nessuno a parte noi e altre tre persone conoscono lo svolgimento dei fatti. Al momento non corre rischi. > era turbata: cosa gli sarebbe successo se avessero scoperto la verità? Lei….lei lo avrebbe difeso, di questo era certa. Non lo avrebbe lasciato solo in un momento così difficile.

In ogni caso sperava che non dovesse mai accadere qualcosa di così traumatico. Dopotutto non meritava una simile umiliazione: era davvero pentito del suo gesto e questo doveva bastare…..

< Sai…. > ma quando si voltò Gingan non c’era. Evidentemente era andato a dormire….da qualche parte, sempre che trovasse uno spazio abbastanza grande, vista la sua stazza da pachiderma!

Tornò a guardare le stelle…un led del pannello di controllo lampeggiò…una comunicazione.

< Faith > rispose, attivando lo schermo.

< Sono Korso. >

La donna sorrise: doveva aspettarselo. < Chiacchiere notturne? >

< Solo un po’. Mi sto annoiando e, per evitare di addormentarmi, chiacchierare è l’unica soluzione. >

< Capisco. Come va da quelle parti? >

< Tutto bene. Qualcuno russa, ma è sopportabile! > entrambi sussurravano, un po’ per privacy, un po’ per non disturbare nessuno.

< Io e Gingan parlavamo di te. > disse diventando improvvisamente seria. Korso se ne accorse. Sembrò quasi ponderare la domanda da rivolgere alla donna.

< Perché? > meglio andare dritti al punto.

< Forse non sono affari miei, ma cosa farai una volta a terra?…ciò che voglio dire è cosa farai se la storia del Titan è trapelata? >

< Se così fosse….sarei espulso dalle forze armate. Lo sai già, non devo certo dirtelo io. Non credo prenderebbero altri provvedimenti. Se invece non sanno niente continuerò con loro: sono un capitano, nonostante sia passato molto tempo. >

< Già…. >

< La cosa non ti piace? > aveva notato un velo di tristezza nei suoi occhi.

< Cosa?…no figurati. Immaginavo che avresti operato una scelta del genere. Potresti tornare ad essere il mio comandante! >

< Entri nell’esercito? > Korso pareva sorpreso. In realtà preferiva che ne restasse fuori.

< Credo di sì. Sono addestrata. So pilotare qualsiasi mezzo e sono laureata in medicina. Un posto per me ci sarà di certo. Se ci metti che ho ottime referenze e una famiglia che è perita per meriti militari, dovrebbe essere tutto automatico, no? >

< Saranno tempi duri per i militari… >

< Vuoi dissuadermi? > lo fissò con un sopracciglio alzato < Non sei mio padre! >

< Questo lo so bene. Sono solo in pensiero per te. > disse sulla difensiva.

< Non dovresti. > oddio, cominciava a diventare possessivo. Forse era solo preoccupato. Forse la sua esperienza permetteva che avesse una visione più ampia dell’essere un militare per davvero. Far parte di una nave era un conto, essere a disposizione delle Forze Terresti un altro.

< Lo sarò sempre e non c’è bisogno che ti spieghi il perché! > la fissò ancora. Non avrebbe mai smesso. Avrebbe dato tutto per sentire il suo profumo in quel momento!

< Non cominciare! > allarme rosso! Medina distolse lo sguardo. Quegli occhi….la ipnotizzavano.

< Non posso far finta di niente. Posso provare quello che voglio, no? Non ti sto chiedendo nulla….So che è passato molto tempo e sono successe molte cose, ma ciò che provo nei tuoi confronti… >

< Korso, no! > aveva paura, davvero paura. Paura di soffrire ancora e….di essere scaricata ancora.

< Ascolta… >

< No!…. Ho troppa paura. > l’aveva ammesso. Forse avrebbe capito. Lui, l’uomo sul monitor. Un uomo maturo, ma decisamente affascinante.

< Anch’io. Ho paura anch’io >

Si fissarono per un po’. Era uno stano momento magico. Cercavano di leggere negli occhi dell’altro la soluzione ai loro problemi. Sarebbe stato tutto molto più facile se fossero stati come le persone che in quel momento trasportavano verso la nuova Terra. Essere dei semplici civili che si preoccupavano di piccole cose, che avevano una vita tranquilla, senza scosse, senza colpi di scena dolorosi. Uccidere un uomo a quindici anni, stringere un patto omicida con i propri nemici, pilotare astronavi da guerra per le galassie….questa era la loro vita: non era bella, facile e felice, ma era pur sempre una vita che meritava di essere vissuta fino in fondo, fino all’ultima goccia di fiele sul fondo di quel bicchiere scheggiato.

< Quando saremo a terra > riprese Korso con un tono più dolce, ma allo stesso tempo deciso < ne riparleremo. >

< D’accordo. Buonanotte. > e la comunicazione fu chiusa.

On the Earth

< Faith a Korso! > chiamò Medina nella ricetrasmittente.

< Korso! > rispose la voce dell’uomo.

< Attivare la manovra di atterraggio. Stiamo per entrare nell’atmosfera. >

< Ricevuto! >

Le due astronavi avevano compiuto in loro viaggio senza intoppi ed erano giunti a destinazione. La Ramses compì la manovra di atterraggio su un’ampia pianura. Medina aveva ricevuto ordini direttamente dalle Forze Terresti in una comunicazione radio. A terra alcuni militari erano pronti a smistare i nuovi arrivati nei campi che erano stati attrezzati non molto lontano da lì.

Era una strana sensazione mettere i piedi su un manto erboso. Nonostante gli stivali pesanti Medina riusciva a sentire la consistenza del terreno sotto i piedi. Resistette all’istinto di togliersi le scarpe e correre per quella distesa immensa.

Un’altra stana sensazione era respirare quell’aria pulita, limpida, piena di profumi. Non era l’aria refrigerata delle astronavi, degli asteroidi o delle piccole stazioni spaziali. Non aveva nessuno degli odori riscontrati in uno dei pianeti su cui Medina aveva messo piede. Era l’aria della Terra, per quanto tutto apparisse surreale e impensabile!

Il cielo! Il cielo aveva il colore che ricordava, con la sola differenza che era solcato da due soli, due stelle che fungevano da astri del mattino.

Un desiderio infantile le sbocciò nel cuore: il mare! Voleva vedere il mare, sentire il profumo della salsedine e ascoltare il rumore delle onde che sbattevano sulla scogliera! E voleva annegare nell’azzurro….

Tutti i passeggeri delle due astronavi si erano precipitati fuori ed erano stati indirizzati verso i campi gia pronti ad accoglierli. Gingan era accanto a lei. Non era un terrestre, ma era nato anche lui sulla Terra e quella, anche per lui, era una nuova casa. Un uomo si avvicinò a lei. Era l’uomo che l’aveva contattata per la missione di salvataggio, il tenente Duncan.

< Lei è il comandante Faith. > chiese alla donna, porgendole la mano.

< Si, sono io. > Medina rispose alla stretta < Abbiamo avuto qualche problema, ma tutto è stato risolto molto bene, come può notare. >

L’uomo guardò le due astronavi.

< Ha trovato qualcuno in grafo di pilotare un’ HERO-58900? > era sorpreso: da quel che sapeva non c’erano militari in grado di farlo a bordo della colonia NY.

< Avevo sulla mia astronave il capitano Joseph Korso. > disse con un po’ di orgoglio.

< Quel Korso? Beh…..è splendido! > Medina sapeva a cosa illudesse: i suoi meriti passati lo precedevano.

In quel momento Korso si avvicinò al gruppo. Era curioso di scoprire chi fosse quell’uomo.

< Tenente Duncan > disse il militare presentandosi al nuovo venuto.

< Joseph Korso > rispose l’uomo con un po’ di diffidenza. Perché quell’uomo di nome Duncan sorrideva?

< Capitano, è un onore! >

Medina corse in aiuto di Korso.

< Come vi siete organizzati qui? >

< Per ora siamo riuniti in otto campi. Stiamo effettuando il censimento dei nuovi arrivati e abbiamo iniziato la costruzioni di quattro città. Forse sarebbe meglio dire villaggi. Abbiamo squadre di esplorazione, squadre per l’approvvigionamento di risorse alimentari e per le energie…..Non so come ci sia riuscito, ma il dott. Sam Tucker ha riprodotto la fisionomia dei continenti terrestri in modo quasi perfetto!…Le esplorazioni che effettuiamo servono solo per individuare i terreni maggiormente produttivi e scoprire le tane di animali feroci in modo da aggirarle…..non tutti possono avere una seconda possibilità con le estinzioni e la salvaguardia dell’ambiente, no? > il discorso del tenente filava che era una meraviglia. In fin dei conti gli esseri umani potevano addirittura ritenersi fortunati.

Duncan fece fare loro il giro di uno dei campi e li fece registrare all’anagrafe. Ebbero un pasto caldo e potettero scegliere un kit di alloggio e installarlo dove meglio credessero.

< C’è tanto spazio! > aveva detto il tenente < e non siamo nemmeno molti. Le ultime stime ammontano a cinque milioni di abitanti. > il dato era sconsolante, ma nulla era perduto.

Era quasi il tramonto. Quando erano atterrati Medina aveva notato che l’accampamento, visibile perfettamente dall’alto, non distava molto dalla costa. D’accordo era infantile in quel momento, ma ormai tutto era giunto a conclusione, perché attendere ancora di vedere il mare?

Si incamminò con il kit di alloggio (una specie di scatola a sorpresa che conteneva una specie di casa gonfiabile che diventava rigida e resistente a contatto con l’anidride carbonica, anche in piccole quantità. Disponeva di un letto e altri oggetti necessari) sulle spalle. Il percorso era accidentato. Non sapeva bene dove andare. Si sentiva confusa.

< Bisogna andare verso est. > una voce alle sue spalle la fece voltare di scatto. Korso era dietro di lei.

< Ne sei sicuro? > domandò con diffidenza Medina.

< Ho controllato prima di atterrare. Sapevo che lo avresti cercato. > già, lui lo sapeva. Si conoscevano troppo bene per non sapere cosa passasse nella mente dell’altro. La loro relazione era stata breve, ma in compenso era stata molto intensa. Inoltre Korso non avrebbe mai dimenticato i gesti gentili e affettuosi dopo una notte di amplessi con lei. Il suo dannato vizio di fissarlo negli occhi.

< Perché mi fissi così? > chiese lui una sera.

< I tuoi occhi mi ricordano il mare. E’ ciò che amo di più e ciò che mi manca di più……il mio preferito è il mare in tempesta. I tuoi occhi ne hanno lo stesso colore! >

Marciarono ancora per un po’ stancandosi parecchio.

< Voglio arrivarci prima del tramonto! > disse la donna accelerando la salita.

Korso le tenne dietro senza faticare molto. Superarono un boschetto e lo videro, il mare. Una distesa d’acqua azzurra immensa. Le correnti disegnavano increspature leggere sulla superficie e le onde coloravano di tanto in tanto di bianco l’azzurro del mare.

< E’ bellissimo! > disse lei. Korso la fissò per un attimo, ripensando al giorno in cui la loro vita, come quella di altri, cambiò. Ripensò a quel pomeriggio a casa sua. Se fosse stato più forte, se fosse stato più riflessivo, lei non si sarebbe sporcata le mani di sangue. Forse avrebbe avuto una vita differente, non sarebbe diventata un soldato, il suo cuore non sarebbe stato turbato (lui sapeva che quel dannato colpo di pistola aveva ucciso una parte di lei). Forse non l’avrebbe mai più rivista, ma di sicuro sarebbe stata più felice, non avrebbe sofferto per causa sua, forse avrebbe avuto dei bambini….

< A cosa pensi? > Medina aveva notato il suo turbamento.

< Nulla > lei lo guardò eloquente. Sapeva che stava mentendo. Lo sguardo di Korso diceva “So che lo sai”.

Medina era esausta ormai. Si sedette sulla scogliera. Buttò via quel dannato kit. Non le importava avere una casa in quel momento. Korso la imitò, sedendosi accanto a lei.

< Joe… > la donna lo chiamò con dolcezza. Korso sapeva che quando Medina lo chiamava per nome era per stabilire un rapporto di intimità esclusiva.

< Cosa c’è? >

< Ho pensato a lungo a noi. > era in imbarazzo. Era da molto che non si trovavano soli e così vicini.

< Ci ho pensato anch’io. Ti capisco se non intendi darmi un’altra possibilità. Il mio comportamento è stato…orrendo…se non mi vuoi, me ne farò una ragione. >

< Ma io ti voglio. > Korso la fissò incredulo. Era meravigliato. Forse stava dormendo. Forse era tutta una sua invenzione. < Ti voglio, nonostante tutto. Anche se hai sbagliato. So che lo hai fatto per proteggermi e che hai sofferto anche tu. Non ti nascondo che sarò molto sulla difensiva, che fidarmi ciecamente di te sarà difficile all’inizio, che sarò una vera rompiscatole. > sorrise. Vedere Korso smarrito era stranamente appagante.

< Mi vuoi lo stesso? >

< Sì, anche se sei un po’ attempato… >

< Non sono vecchio! >

< Ma smettila! Hai quarantotto anni, non sei mica un ragazzino! >

< Chi ha detto che sono un ragazzino!? Ho solo detto che… >

< ‘Sta zitto! >

Lo baciò. Si, certo, era infantile e stupido forse. Non erano più dei ragazzini alla ricerca di un’avventura. Sapevano bene che la loro scelta sarebbe stata una scelta per la vita.

A volte non è un prete o una qualsiasi altra autorità a determinare che due persone costruiranno insieme il futuro, a definire stabile un rapporto, che, magari, darà vita ad una nuova famiglia. Spesso sono gli sguardi a deciderlo. Quello sguardo che dice: “Sei mio!” accettando gli errori e i difetti; quando gli errori diventano la parte più importante di ciò che abbiamo, perché abbiamo imparato da essi.

Medina aveva imparato a leggere nel cuore di Joseph e lui aveva imparato a non tenerla più all’oscuro di nulla. Essere sincero uno con l’altra sarebbe stata la loro forza. Poco importa se avrebbero dovuto cominciare da zero, se avrebbero dovuto affrontare nuove difficoltà, ora avevano qualcosa che valeva più di qualsiasi cosa: loro stessi.

The End

Lady Snape

   
 
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