Titan AE
Rebirth
Introduction
Il
Titan A.E. era stato attivato. Una specie di esplosione aveva dato il via alla
formazione del nuovo pianeta. Un clone della Terra. Un luogo dove vivere. Una
nuova speranza per la razza umana. Cale e Akima avevano fatto un ottimo lavoro.
Dopo molte difficoltà, dopo aver superato molti ostacoli, erano riusciti a
compiere la loro missione. Erano dei veri eroi. Da lì a poco sarebbero giunte
le colonie umane da tutte le galassie. Durante quei quindici anni di vita senza
una patria la razza umana era stata sul punto di estinguersi, ma,
fortunatamente, non era accaduto.
I Drej erano stati
sconfitti per sempre. Erano stati pura energia e quella stessa energia, che
aveva distrutto la Terra, era stata utile al Titan.
Tutti
se l’erano cavata. Tutti. E…no, non tutti. Un uomo, il comandante Joseph
Korso, era stato ferito nel tentativo di salvare il Titan e attivare il processo
di clonazione. Ferito? Beh, Cale lo aveva visto per l’ultima volta tutto
intero, ma la situazione era precipitata. I Drej lo avevano ferito, ma lui era
stato solerte nel portare a termine la sua missione.
Non
bisogna farsi un’idea troppo rosea di lui. Anzi, al contrario, lui non è
stato un eroe. Non proprio. Ha tentato di distruggere il Titan; forse perché
aveva perso la speranza; forse perché ormai era accecato dal proprio egoismo.
Ma
chi è Joseph Korso?
Il
comandante Korso era stato uno dei militari a guardia e tutela del Titan Project.
Collaborava con il professor Sam Tucker, padre di Cale. Il professore era
stato l’ideatore di quello straordinario strumento.
Nell’anno
3028 a Pierce in Colorado Korso era sotto il comando del generale Mark Faith con
il grado di capitano. Il generale era un uomo molto affabile, nonostante il suo
grado incutesse qualche timore. Faith aveva una grande villa non molto lontano
dalla piattaforma di lancio del Titan: era lui ad occuparsi della sicurezza del
luogo. Viveva lì con sua figlia, Medina, l’unica che le era rimasta. Due
figli maschi erano morti nella Terza guerra Galattica. I loro corpi non erano
mai stati ritrovati. La ragazzina aveva solo quindici anni. Era nata dal suo
secondo matrimonio. Una ragazzina come tante.
Joseph
Korso dovette recarsi da lui per informarlo personalmente dei nuovi problemi che
il progetto aveva incontrato. Non era una bella giornata, ma il dovere lo
costringeva a uscire dalla base sotterranea. Percorse agilmente a bordo di un
velivolo ad idrogeno la strada che lo separava dalla villa. Parcheggiò di fronte
ad essa e si identificò allo scanner presente all’ingresso. Le porte si
aprirono permettendogli l’accesso. All’interno l’abitazione aveva qualcosa
di antico, di nostalgico. Ma Korso
non era tipo da farsi prendere dalla nostalgia e da sentimenti simili: Korso era
famoso per essere un uomo concreto, senza fronzoli per la testa. Trovò
facilmente l’ufficio del generale. Bussò. Una voce al suo interno gli diede
il permesso di entrare.
<
Generale Faith. > disse il capitano salutandolo.
<
Riposo, capitano. Si accomodi. Quali sono le novità? >
Korso
si sedette sulla poltroncina in pelle davanti alla scrivania.
<
I radar hanno rilevato l’avvicinamento della nave madre Drej. Non hanno buone
intenzioni. Il Colonnello May ha proposto di attaccarli, ma non credo sia una
buona idea. >
<
E’ una pessima idea, in effetti. Dobbiamo porci sulla difensiva e guadagnare
tempo per l’evacuazione e la partenza del Titan. E’ di estrema importanza.
Attivate lo Scudo Protettivo al più presto. >
<
Certo, signore. >
La
porta dello studio si aprì all’improvviso. Una ragazzina con occhi color
dell’ambra entrò. Appena si accorse della presenza dell’ufficiale si fermò
sulla soglia. Aveva già visto quel militare e, beh, quel militare era bello.
Arrossì leggermente. Suo padre la fissò con rimprovero per l’intrusione.
<
Scusa, papà. > disse la ragazza.
<
Non importa. Avevamo finito. Capitano, faccia eseguire i miei ordini. E speriamo
che vada tutto bene. >
Korso
si alzò con decisione. Superò la ragazzina e si avviò verso l’uscita con
passo deciso e sicuro. Medina lo osservava attentamente: una cotta
adolescenziale….
Korso
era quasi arrivato al velivolo quando notò uno strano movimento. Sospetto e
insolito in quel luogo, solitamente molto sorvegliato. Si fermò come un lupo
che annusa l’aria per scovare la preda. I suoi occhi blu erano stretti come
fessure e i suoi movimenti si fecero cauti e misurati. Pose la mano destra al
calcio della pistola laser lentamente. Un’ombra alla sua sinistra attirò la
sua attenzione. Qualcuno era dietro la villa. Corse in quella direzione, pistola
in pugno. Non arrivò in tempo. Avvertì un’esplosione e delle urla. Accelerò
ancora. Si fermò slittando sulle pietre del
vialetto che si trovava anche sul retro. Uno squarcio nella parete, dalla
quale fuoriuscivano dei cavi elettrici. Entrò arma in pugno, pronto a fare
fuoco. La stanza era vuota. Ma tracce di terriccio del vialetto indicavano che
qualcuno era passato in corridoio. Controllò che non ci fosse nessuno. Sembrava
che chiunque fosse entrato avesse già tagliato la corda senza lasciare tracce
evidenti. Entrò nell’ufficio del generale. Il suo corpo era riverso sul
pavimento e sgorgava sangue da una ferita probabilmente sull’addome.
Un
rumore strano acuì i suoi sensi e il suo istinto. Qualcuno era al piano di
sopra. Non fece in tempo ad affacciarsi sulla rampa delle scale che la figlia
del generale, ormai morto, si precipitò al piano di sotto. Korso non ebbe il
tempo di bloccarla: la ragazzina si fiondò nell’ufficio del padre. Si bloccò
alla vista del suo cadavere, senza dire una parola.
Korso
si avvicinò a lei e le posò una mano sulla spalla per tirarla via. Ma qualcuno
colpì alle spalle il capitano che cominciò una lotta con il suo aggressore. Ne
spuntò un altro e la situazione sarebbe precipitata se Medina non avesse
raccolto la pistola di suo padre da terra e non avesse ucciso uno dei due. Korso
si liberò dell’altro, prese la ragazzina e la portò sul suo velivolo ancora
intatto. Si allontanarono in fretta.
Ciò che successe poi, beh, difficile dirlo con chiarezza. Medina viveva
tutti gli avvenimenti come un brutto sogno, un incubo, uno dei peggiori. La
morte di suo padre era stata un trauma molto forte: aveva già perso sua madre e
i suoi fratelli, perdere anche lui fu troppo, davvero troppo per lei. Inoltre
qualcosa si era rotta nel suo animo, quando con rabbia e un istinto vendicativo
che non avrebbe mai pensato di possedere aveva raccolto la pistola di suo padre.
Non avrebbe mai creduto di avere il coraggio di uccidere qualcuno. Lo aveva
fatto. Senza nemmeno soffermarsi a pensare. Avevano ucciso suo padre e lei lo
avrebbe vendicato. Lo aveva fatto.
Korso aveva portato la ragazzina, che non aveva pronunciato parola, al
Comando Generale e l’aveva affidata ad un ufficiale, Lisa Stendhal, che si
occupò di lei fino alla fine.
In
capo a venti ore i Drej attaccarono la Terra e tutti erano impegnati a mettere
in salvo se stessi, per un semplice istinto di sopravvivenza. E Medina…lei con
la Stendhal si era messa in salvo su uno dei velivoli messi a disposizione dalle
forze armate. La destinazione di tutti questi mezzi, militari e non, era
sconosciuta agli stessi piloti. Ciò che importava ora era allontanarsi
abbastanza da evitare l’onda d’urto dovuta all’esplosione della Terra.
Spettacolo terribile e affascinante insieme. Una spettacolo da sempre impresso
nella mente di tutti coloro che lo hanno vissuto. Nessuno di loro dimenticherà
mai.
After Earth
Il
Titan aveva compiuto il suo dovere. Appena era stato attivato il processo di
clonazione del pianeta Terra un impulso era stato inviato alle navi militari,
vecchie si, ma di grande importanza a causa di un particolare sistema di
comunicazione creato per comunicare la riuscita dell’esperimento.
Una
nave, la Ramses, aveva recuperato questo vecchio sistema da una nave militare
ormai distrutta dall’usura del tempo. L’impulso del Titan l’aveva
raggiunta in modo violento: si trovava a poche migliaia di kecks di distanza. Il
capitano aveva fatto immediatamente rotta verso la fonte del segnale. Giunse in
pochi minuti e assistette alla formazione del nuovo pianeta. Una sensazione
celestiale e meravigliosa, un segno di vittoria e di speranza per la razza
umana.
<
Capitano, c’è un oggetto non identificato sulla nostra traiettoria. >
l’addetto al radar aveva identificato un corpo estraneo. < E’…un essere
vivente, signore, e credo sia ancora vivo, qualunque cosa sia. >
<
Aprite i portelli e recuperatelo. > fu l’ordine. Il capitano si mosse in
direzione della plancia della nave per giungere ai portelli agevolmente. Nella
plancia c’erano due componenti dell’equipaggio che stavano recuperando…un
uomo.
<
Capitano Faith, è un uomo ed è ferito…è grave! >
<
Portatelo subito in infermeria da Gingan. Se ne occuperà lui. >
I
suoi ordini furono eseguiti all’istante. Il capitano seguì i suoi uomini, ma
non potette entrare in infermeria:
Gingan preferiva non avere nessuno tra i piedi.
Erano
passate un paio d’ore dal completamento delle operazioni di clonazione del
pianeta. I membri dell’equipaggio della Ramses avevano avuto il permesso di
recarsi sulla nuova dimora del genere umano. Sulla nave erano rimasti solo il
capitano Faith, Gingan e il ferito. Il capitano si recò in infermeria.
<
Ciao, Medina >
< Gingan >
salutò lei. < Di chi si tratta? > chiese curiosa.
<
Di una vecchia conoscenza… >
La
donna era scettica: solitamente le vecchie conoscenze o erano pessime o erano
morti.
<
E’ ancora vivo? >
<
Sì, ma non so se ce la farà. Per il momento sconsiglio qualsiasi tipo di
viaggio o spostamento dalla nave. E’ ridotto molto male: ha uno squarcio sul
fianco sinistro e pare che sia stato attraversato da una potente scarica di
energia. E’ sopravvissuto per puro miracolo. Non dovrà muoversi per un bel
pezzo…. >
<
Perché tutte queste raccomandazioni? > chiese Medina. I suoi occhi ambrati
erano sospettosi.
<
Perché si tratta del comandante Joseph Korso. > Gingan fu lapidario. Medina
lo fissò negli occhi.
<
Stai scherzando? >
<
Affatto. E ti prego di non disturbarlo, non fargli domande e non affaticarlo in
alcun modo. A meno che non voglia farlo morire. In questo caso sei autorizzata!
> concluse con un pizzico di ironia.
<
Quindi se voglio farlo fuori…posso? >
<
Mmmmh…davvero vorresti ucciderlo? >
<
Forse. > disse uscendo dall’infermeria.
Korso.
Era assurdo? Ma da dove era spuntato? Aveva giurato a se stessa che non lo
avrebbe più visto, non avrebbe più parlato con lui, non dopo quello che era
successo. Il suo comportamento inspiegabile l’aveva urtata molto e da allora
aveva deciso che per lei Joseph Korso era morto. Defunto. Inesistente!!!
Erano
passati otto anni dall’ultima volta che si erano visti. In quel periodo Medina
faceva parte dell’equipaggio di Korso. Era stata sulla sua nave, la Valkiry,
per tre anni.
La
nave di Korso si era fermata per un rifornimento alla colonia Athena. Lì Medina
viveva da quattro anni con l’ufficiale Lisa Stendhal. Era stata lei a
prendersi cura della ragazzina e ad impartirle un’educazione militare. A
diciannove anni si imbarcò sotto il comando di Joseph Korso.
I
traffici di Korso e le sue attività
non erano chiari, ma si occupava principalmente dei contatti tra gli umani
superstiti. Aveva perso il proprio ruolo militare da tempo: in fin dei conti non
esisteva più un pianeta e gli organi di comando in carica dopo l’esplosione
della Terra erano dispersi. Perlopiù morti per mano Drej. O anche assassinati
dopo. Chi era sopravvissuto aveva abbandonato il proprio ruolo.
Gli
esseri umani…beh, vivevano le conseguenze di un pianeta estinto: non avendo più
una patria avevano accettato qualsiasi condizione pur di sopravvivere. Le
colonie alla deriva, dette così perché fuori da qualsiasi orbita, erano
l’ultimo caposaldo della razza umana. Anche se in condizione di vita
difficili, mantenevano la loro autonomia. Se volevi mettere su un equipaggio era
lì che dovevi cercare i tuoi uomini: gente motivata, giovani che volevano
cambiare le cose, come sempre.
Era lì che Korso aveva
trovato quattro membri del suo equipaggio: uno di loro era Medina. Una ragazza
promettente che a quindici anni aveva smesso di essere una bambina. Era stata
subito d’aiuto nella colonia e Lisa era convinta che, con un addestramento al
combattimento, sarebbe stata fondamentale per la rinascita della razza umana.
Lisa aveva cercato di
organizzare un fronte di Indipendenza Umana, provando anche ad unificare le
colonie, ma aveva fallito miseramente. Era stata uccisa in uno scontro con i
Drej. Alla sua morte Medina era nuovamente sola ed è per questo che, quando
Korso cercava uomini, lei accettò subito la sua offerta, senza pensare ai pro e
ai contro.
Medina era un ottimo soldato. Celere e precisa nei compiti a lei
affidati. Era anche diventata una ragazza interessante. Furono in molti a
notarlo, ma lei aveva solo occhi per lui: Joseph Korso. La cotta adolescenziale,
a quanto pareva, non le era passata. Se in un primo momento Korso non provava
alcun tipo di interesse verso di lei, dopo due anni di convivenza sulla nave
spaziale qualcosa parve cambiare.
Inizialmente
si trattava solo di giochi di sguardi. Medina era piuttosto ingenua e spesso il
comandante la scopriva a fissarlo. Una volta scoperta, la ragazza abbassava lo
sguardo e tornava ad interessarsi dei suoi compiti sulla Valkiry. Korso era
lusingato da tante attenzioni. Era abile a nasconderlo, non lasciando trapelare
le proprie sensazioni ed emozioni. Ma, in fatto di donne, beh, era un uomo
esigente e, a dirla tutta, lo si poteva vedere raramente in loro compagnia.
Avendo notato l’interesse che quella giovane donna provava verso di lui non
potette fare a meno di metterla alla prova: se avrebbe superato le sue
aspettative avrebbe potuto prenderla in considerazione.
Medina non era una stupida e si accorse di essere stata messa in esame:
ma non immaginava per cosa! In quelle settimane dovettero affrontare parecchie
battaglie: erano entrate nel territorio degli Stirk, esseri spregevoli che
commerciavano qualsiasi creatura vivente, mercanti di schiavi, insomma. Gli
Stirk non sono creature amichevoli e detestano che il loro territorio venga
violato, anche se questo accade per errore. Bisogna comunque considerare che il
comandante Korso li aveva attaccati consapevolmente: questo popolo di mercanti
aveva assaltato un convoglio di navi terrestri uccidendo e catturando molti
schiavi, specialmente bambini, per le miniere di Finderin, pietre dure
utilizzate per ornamento e dal costo molto elevato.
Medina
fu messa alla prova: le fu affidato il comando di un gruppo. Doveva distruggere
l’avamposto degli Stirk. Ci riuscì con coraggio e determinazione, sgominando
un attacco a sorpresa contro il gruppo di Korso.
Nella Valkiry si cominciava a mormorare che Medina Faith fosse entrata
nelle grazie del comandante. In effetti, era la verità. Ma, oltre a questo,
Medina aveva fatto breccia nel cuore di Korso. Non bisogna pensare che il
comandante fosse diventato dedito a romanticismi, ma aveva iniziato a fidarsi
davvero di lei, a parlare con lei e a passare del tempo con lei. Joseph Korso
non era un uomo frettoloso, nemmeno quando si trattava di faccende personali.
Cominciò innanzitutto a conoscerla meglio. A osservarla. A scoprila. Molto
lentamente. Alla fine la giovane donna occupava buona parte dei suoi pensieri.
Ogni genere di pensieri.
In un primo momento non
era molto convinto di tentare un approccio sentimentale o comunque coinvolgente
a livello personale con lei. Si rendeva conto che le differenze tra loro erano
molte, a cominciare dalla loro non trascurabile differenza di età: diciotto
anni non erano pochi. Tutti i dubbi furono spezzati una sera.
Sul
ponte di comando non era rimasto nessuno tranne loro due. Korso controllava la
rotta che stavano seguendo. Erano fuori di qualche migliaio di kecks. Una
correzione di rotta era necessaria. Era sul pannello di controllo per
modificarla quando sentì odore di gelsomini. Sorrise. Sapeva a chi apparteneva
quel profumo. Da qualche tempo pareva perseguitarlo.
< Se è davvero un militare, non dovrebbe utilizzare
certi….cosmetici. >
< Sono un militare, ma è pur vero che conservo una certa classe. >
disse Medina segnando sui registri elettronici i consumi di carburante.
< Gran bella risposta, ma il suo profumo distrae l’equipaggio. >
<
L’equipaggio o…lei, comandante? > adorava provocarlo: erano ormai
settimane che giocavano in questo modo, ma non c’era mai nessun tipo di
iniziativa da parte di Korso.
< Lo sa che potrei metterla agli arresti per oltraggio? > disse
l’uomo avvicinandosi.
< E’ lei che ha il comando. Può fare ciò che vuole. > Medina lo
fissò negli occhi. Quanto li amava: e ricordavano il mare….da bambina giocava
spesso sulla spiaggia quando il tempo era bello, ma più di tutto amava il mare
in tempesta, quando assumeva sfumature blu scuro che lasciavano risaltare la
spuma bianca , luminosa come i lampi nel cielo. Gli occhi di Korso le
ricordavano tutto questo.
< No, non la metterò agli arresti. > il comandante distolse lo
sguardo, come per voler evitare qualcosa.
Medina
fremeva. Erano soli. Nessuno li avrebbe disturbati. Ma cosa aspettava? Giocavano
a lanciarsi segnali da tempo. Le allusioni a ciò che desiderava erano evidenti!
Questi indizi erano lanciati solo in privato: Medina manteneva un’ottima
facciata di alta serietà di fronte all’equipaggio.
Ora
o mai più. Posò il registro sul pannello di controllo.
< Korso? > chiamò per farlo voltare.
L’uomo
si girò, lanciandole uno sguardo interrogativo. Lei lo fissò negli occhi per
un attimo, poi posò le sue labbra sulle sue. Korso era spiazzato. Con una lieve
carezza della lingua Medina chiese alle labbra dell’uomo di schiudersi. Solo
allora Korso si abbandonò al bacio. Chiuse gli occhi e assecondò la donna,
posando le mani sui suoi fianchi. Medina portò una mano dietro la sua nuca per
tirarlo verso di sé. Questo fu il momento in cui i due per la prima volta dopo
tanto tempo, furono attraversati da sentimenti autentici, sinceri. Uno di quei
pochi momenti in cui abbandonavano le maschere che portavano per mostrare
determinate immagini di sé, come ognuno di noi fa.
Fu
il comandante a interrompere il bacio. La fissò negli occhi. Non staccò le
mani dai suoi fianchi, quasi per sottolineare che, ormai, erano legati.
La loro relazione fu intensa. Ogni sera Medina era nella
stanza del comandante. Non bisogna pensare che i due fossero dediti a soli
passatempi amorosi. Al contrario: Korso continuò ad essere il suo comandante e,
per quanto riguardava le occupazioni relative alla nave spaziale, continuava ad
esigere serietà totale. Nella sua stanza spesso discutevano animatamente
questioni relative alla rotta da percorrere per portare a termine le missioni
affidate alla Valkiry (erano diventati dei veri mercenari, anche se spesso
agivano come pirati spaziali). Pareva quasi che la nuova posizione di Medina in
campo relazionale fosse un incentivo a richiedere più professionalità, più
precisione, più responsabilità. Essere la compagna del comandante era
incredibilmente difficile. Era come essere costantemente sotto esame. Conoscere
il finale di questa storia rende più comprensibile il perché. Ora si può solo
dire che Korso pretendeva che Medina fosse pronta a qualsiasi evento. Lei era il
suo soldato migliore.
Le
missioni più difficili erano affidate alla donna. Spesso Medina si chiedeva il
perché: non aveva chiesto di essere agevolata, ma almeno voleva che a volte le
fosse permesso sbagliare.
Una sera, durante una
sortita contro una nave spaziale Drej che aveva attaccato una colonia, la donna
era stata ferita. Una ferita leggera, non c’era nulla di cui preoccuparsi.
Gingan, medico a bordo della Valkiry, aveva sanato la lesione. Nonostante la
ferita la missione era riuscita: la nave Drej era stata messa in fuga ed era
stato attivato uno scudo protettivo intorno alla colonia. Medina era appena
tornata nella sua stanza dall’infermeria. All’interno c’era Korso.
< Non credevo fossi qui. > disse la donna, ma si accorse subito che
c’era qualcosa che non andava. Joseph era in piedi accanto all’oblò della
stanza, braccia incrociate sul petto e uno sguardo poco rassicurante. <
Gingan ha detto che con un po’ di riposo tornerò come prima. La ferita è
stata chiusa, comunque. > lo informò. Lo sguardo di Korso era sempre lo
stesso. Decise di avvicinarsi a suo rischio e pericolo.
< Mi spieghi cosa hai combinato? > fu la domanda di lui.
< Che vuoi dire? >
<
Voglio dire che devi essere totalmente impazzita! La manovra che hai effettuato
ha messo in pericolo te e la squadra che ti era stata affidata! >
< Non si è fatto male nessuno. >
Risposta
sbagliata. Korso le rifilò uno schiaffo.
< E’ questo quello che pensi? >
< L’unica persona che è rimasta coinvolta sono io. Cosa hai da
lamentarti? > anche lei stava perdendo la pazienza: ma che succedeva?
< Nessuno doveva essere ferito! Non pensavo che avresti fatto un
errore del genere. > crudele! Uscì dalla stanza senza più guardarla.
Ci volle qualche giorno per sbollire la tensione. Korso si scusò.
Abbandonò il suo orgoglio per una volta e chiese scusa per il suo gesto. Medina
aveva accettato le sue scuse, ma aveva anche notato che da qualche tempo Korso
era cambiato. Se si fosse trattato del solito Korso l’avrebbe rimproverata,
forse, ma si sarebbe anche preoccupato per lei, come avrebbe fatto pure per
altri membri dell’equipaggio. Ma c’era qualcosa di più.
Medina
conosceva benissimo le ragioni per cui il comandante Korso aveva intrapreso il
suo viaggio per le galassie. Il suo obiettivo era rintracciare una persona, un
ragazzino. Questo piccoletto era indispensabile per trovare il Titan. L’ultima
speranza dell’umanità. Negli ultimi tempi, però, c’era qualcosa di
diverso: Joe non era più lo stesso. Spesso lo si poteva vedere perso nei propri
pensieri, distante e distratto. Sembrava che stesse ponderando riguardo una
decisione, che stesse valutando i pro e i contro di qualcosa.
Anche se lei avesse tentato di scoprirlo, tutto sarebbe stato inutile.
Innanzitutto Korso era un uomo blindato: impossibile coglierlo in fallo; poi non
amava svelarsi molto, specie quando non aveva ancora preso una decisione.
Questi
erano i pensieri di Medina quella sera: vecchi ricordi che ritornavano alla
mente carichi di nuovi sentimenti ed emozioni. Certo rivederlo era stato strano:
non avrebbe mai creduto che fosse possibile. Lo spazio è immenso e la
probabilità di incontrare nuovamente un individuo era quasi nulla,
eppure….eppure era successo. Alla mente di Medina giunsero anche altri
ricordi, ricordi di tenerezze e di gesti gentili nei suoi confronti, quando lei
aveva posto nell’esistenza di lui.
Ma
cosa era successo? Anche qui la situazione è parecchio confusa. Fatto sta che
dopo due anni di felice convivenza e notti di fuoco qualcosa cambiò. Korso la
rifiutava molto spesso, si chiudeva in se stesso e pensava chissà che cosa.
Cominciarono a litigare: Medina chiedeva attenzioni o, almeno, spiegazioni.
Korso era irritabile. Litigavano molto spesso. Anche Gingan si accorse che
c’era qualcosa di strano. Insomma, nonostante i due avessero tenuto la loro
relazione nascosta, non era difficile immaginare che qualcosa di più che
rispetto e amicizia aleggiasse tra loro. I loro litigi furono una conferma: solo
due “innamorati” si sarebbero concessi a scenate e discussioni accese in
pubblico e non. Non era difficile sentirli quando litigavano nella stanza di
Korso. Per non parlare degli sguardi che Medina lanciava a Joseph quando lui non
la guardava. Sguardi carichi di speranze che furono puntualmente deluse.
Tutto si disgregava a piccoli passi fino alla rottura finale. Korso cambiò
equipaggio. Dopo essersi fermati su una delle colonie, Korso consegnò delle
lettere di “licenziamento”, mandando tutti a casa. Medina compresa.
La
donna lo seguì nella sua cabina con la lettera stretta tra le mani.
< Perché? > chiese
< Non devo spiegazioni. E poi è tutto scritto. > Korso era serio e
rilassato.
Non
doveva spiegazioni!?
< Non sono adeguata ai tuoi nuovi obiettivi!? >
< Esatto. >
< Che cosa è successo? > chiese. Voleva una spiegazione
plausibile, anche perché si sentiva terribilmente offesa e presa in giro; in più
si sentiva bruciare per tutte le volte che aveva donato se stessa a
quell’uomo.
< Non è accaduto nulla. > Korso non la guardava in viso. Dentro di
lui, una parte di lui, voleva dirle la verità: di come aveva venduto se stesso
ai Drej, di come aveva chiuso, eliminato le possibilità di poter ricreare
un’esistenza per gli esseri umani superstiti. Però….però sapeva che Medina
non avrebbe approvato, che avrebbe tentato di fargli cambiare idea. Odiava se
stesso. In fin dei conti era sempre stato un uomo calcolatore ed egoista, ma mai
fino a questo punto.
< Nulla?….nulla. Non c’è mai stato nulla tra noi, vero? >
rischiava di fare la figura della ragazzina….rischiava di piangere davanti a
lui, ma, fortunatamente, il suo orgoglio glielo impediva.
Korso
si voltò verso di lei.
< Vuoi sapere perché venivo a letto con te? > sono uno stronzo,
sono uno stronzo…ormai era un mantra nella mente di Korso. < Semplicemente
perché sei una bella donna, sei intelligente e…piacevole. >
< Spero di averti fatto divertire abbastanza. > Medina voltò le
spalle all’uomo e uscì dalla stanza. Giunse al portellone della nave, si fermò
un attimo indecisa, poi andò via.
Questi ricordi vagavano nella mente della donna. Pessimi ricordi.
Ritrovarsi davanti quell’uomo non era il massimo. In ogni caso non lo avrebbe
mai buttato fuori dall’astronave in quelle condizioni: appena si sarebbe
ripreso sì.
First times
< Buongiorno, Korso! > disse Gingan. Il comandante aveva appena
aperto gli occhi.
< Gingan!? >
< In persona. Come ti senti? > domanda di routine.
< A pezzi…..dove siamo? > Korso si era seduto sul letto con aria
confusa e si era tolto la mascherina dell’ossigeno. Non aveva mai visto quel
posto.
< Siamo sulla Ramses, una nave spaziale mercenaria. Ti abbiamo trovato
mentre vagavi nello spazio ferito. Cosa hai combinato? >
< Una storia lunga….. > Joe non aveva molta voglia di parlare.
Come spiegare tutto quello che gli era capitato. Troppo complicato.
< Che ha a che fare con il Titan! > disse sornione Gingan. Korso lo
fissò sorpreso.
< Come lo sai? >
< Esistono dei sistemi, molto vecchi, che collegano il Titan a delle
vecchie navi militari. Una sorta di vecchio sistema GPS. Le onde di trasmissione
utilizzano qualsiasi tipo di satellite artificiale per propagarsi. Così quando
l’interruttore del Titan è stato attivato il sistema ha propagato un segnale
che le colonie e alcune navi hanno captato. >
< Vuoi dire che esiste un nuovo pianeta abitabile? >
< Esatto. Da due settimane è abitato da terrestri. >
Una
bella notizia. Korso era felice. La missione era riuscita. Il suo cuore era più
leggero. In fin dei conti era tutto andato a posto.
< Chi è il comandante qui? > chiese Joseph. Voleva ringraziarlo
per avergli salvato la vita.
< Io > disse una voce di donna. Medina Faith entrò in infermeria
con passo sicuro. Korso non credeva ai suoi occhi: non avrebbe mai pensato di
rivederla, non che non avrebbe voluto, ma non credeva che sarebbe stato
possibile.
< Non sapevo fossi diventata comandante. > Korso decise di restare
sul vago e di nascondere le proprie emozioni. La guardò negli occhi ambrati con
fermezza, senza distogliere lo sguardo. Il profumo di gelsomini lo invase
prepotente.
< Ci sono molte cose che non sai. Otto anni sono lunghi e possono
accadere molte cosa. Come ti senti? >
< Bene, grazie. > Korso era lapidario, Medina fredda e Gingan alzò
gli occhi al cielo: quei due erano irrecuperabili.
< Meglio così. Gingan > disse rivolgendosi al medico < Ho
lasciato che l’equipaggio scendesse sul pianeta, sono liberi dal contratto.
Quando il nostro ospite potrà affrontare la discesa, entreremo
nell’atmosfera. > e andò via.
Gingan
era senza parole: evidentemente la ferita dentro di lei bruciava ancora, ma
parlare come se lui non fosse nella stanza era un po’ troppo. Korso, da parte
sua, era rimasto immobile; quando la donna era uscita dalla stanza, aveva
abbassato lo sguardo. Che fosse pentito di ciò che aveva fatto anni addietro?
Forse.
< Mi odia. > disse Korso con un sorriso amaro sulle labbra.
< Non farci caso. A volte è isterica, ma le passa tutto. > non ne
era sicuro. Stavolta Gingan non ne era affatto sicuro. Ma perché doveva restare
su quella nave da solo in loro compagnia?
Medina era nella sua cabina. Marciava per la stanza come una tigre in
gabbia, sbuffando e imprecando sottovoce. Quel bastardo, quello stronzo era lì,
sulla sua nave. Avrebbe voluto spingerlo a calci fuori dalla Ramses. Gingan
glielo avrebbe impedito.
Passò qualche giorno. Korso fu in grado di mettersi in piedi, ma
raramente usciva dall’infermeria. Non aveva molta voglia di trovarsi faccia a
faccia con lei. Un atteggiamento da vigliacco, forse si, ma preferiva questo
piuttosto che spiegare cosa aveva fatto, i suoi errori e tutto ciò che ne era
derivato. Medina, d’altronde, non si avvicinava all’infermeria neanche per
sbaglio: il motivo era semplice: meno vedeva l’uomo più era tranquilla.
Gingan
faceva la spola, tentando di trattenerli nella stessa stanza. Pranzavano in
camere differenti. Gingan restava con Korso perché al momento era quello più
bisognoso di aiuto. Medina poteva cavarsela da sola per il momento.
< Il tuo comportamento è da bambina. > disse il medico una mattina
sul ponte di comando. Medina non rispose subito.
< Se dovessi restare più di cinque minuti nella stanza con quello gli
sparerei. E non scherzo. >
< Posso anche provare a capire ciò che provi, ma esageri. Ha bisogno
di restare tranquillo per riprendersi e il tuo comportamento lo agita. >
< Poverino! > disse con sarcasmo la ragazza.
< C’è poco da ridere. Le sue condizioni non sono delle migliori.
>
Medina
lo guardò negli occhi.
< Credi che non lo sappia. Anch’io sono un medico, non scordarlo.
> il suo volto si rabbuiò. Era consapevole che se Korso era vivo, era dovuto
ad un puro miracolo.
Mentre
Gingan si prendeva una pausa, parecchi giorni prima, era andata in infermeria.
Non era stato divertente. Nella sua mente aveva creduto che vedere l’uomo che
l’aveva fatta soffrire in condizioni critiche l’avrebbe divertita, o meglio,
le avrebbe dato quel tipo di soddisfazioni proprie della vendetta. Quando, però,
si fu avvicinata al letto cambiò idea radicalmente. Korso respirava a fatica e
dolorosamente. I sedativi lo aiutavano a sopportare il dolore, che pareva molto
forte. Restò bloccata ad osservarlo con un nodo alla gola. Inconsapevolmente si
ritrovò a sistemargli la mascherina e le lenzuola. Quando si rese conto di ciò
che aveva fatto, decise che non avrebbe messo più piede lì dentro. Ecco perché
la sua freddezza e il suo sarcasmo: aveva paura di riallacciare i rapporti con
lui. Oltre a volersi vendicare, ovvio.
Erano tutti in sala comandi. Ormai Joseph si era ripreso e solo la volontà
di Gingan impediva a Medina di fare rotta sulla nuova terra. Korso si era
rivelato utile. L’uomo non voleva starsene con le mani in mano come un ospite
incapace, così aveva riparato i pannelli di controllo dei cannoni laser a
tribordo della nave.
Mentre
eseguivano un controllo di routine dell’astronave ricevettero una
comunicazione. A quanto pareva non tutti gli esseri umani erano riusciti ad
arrivare sul nuovo pianeta. Le astronavi di appoggio, le colonie alla deriva,
nel tempo erano danneggiate: non avevano abbastanza energia da muoversi dal
luogo di ubicazione. Potevano anche esserci guasti ai motori o un qualsiasi
altro motivo per cui non c’era speranza che raggiungessero la nuova terra.
Medina ricevette l’ordine di recuperare la colonia NY, a 564 milioni di kecks
di distanza.
<
Fantastico… > commentò la donna.
<
Non è così male. In effetti non possiamo ancora scendere sulla terra;
recuperare qualcuno in difficoltà sarà un modo per guadagnare tempo. >
<
Non ricordarmelo. > Medina guardò storto Gingan < Lo so che vuoi fare in
modo che parli e che sia gentile con lui, ma sono faccende nelle quali non hai
voce in capitolo. >
Medina
tornò nella sua stanza. Va bene, d’accordo, le dispiaceva vedere Korso triste
e abbattuto, ma non voleva saperne di cedere….forse….
Fly away
La Ramses era partita verso le coordinate fornite dalle Forze Terrestri.
Medina era decisa: infondo aveva scelto di essere un militare e non si sarebbe
tirata indietro anche a costo di dover affrontare pericoli e anche se avrebbe
dovuto affrontare il suo passato o ciò che ne era rimasto.
Era
ormai molto tardi. Non è facile mantenere il conto delle ore e dei giorni nello
spazio, ma era necessario o il fisico umano, che si era sempre mosso a ritmo con
i cicli solari e la rotazione terrestre, avrebbe corso dei rischi. Fatto sta che
era ora di dormire. Il pilota automatico avrebbe governato al suo posto. In caso
di pericolo un allarme spaccatimpani avrebbe provveduto a tirare tutti giù
dalle brande.
La
donna stava per raggiungere la propria stanza. Prima di fare ciò controllava
sempre che tutto fosse a posto, che gli occupanti della nave fossero in buone
condizioni, quasi come una mamma. La porta della cabina di Korso era aperta.
Sbirciò al suo interno: l’uomo era in piedi accanto all’oblò e fissava gli
spazi profondi sorseggiando della vodka. Chissà quali pensieri gli
attraversavano la mente. Il suo sguardo, immaginava Medina, era perso oltre le
stelle. Korso si passò una mano tra i capelli e sospirò in modo leggero, ma
udibile. Si voltò di scatto. Medina non ebbe il tempo di muoversi di lì e fu
colta in fallo. Lo sguardo di Joseph era smarrito, almeno per un attimo.
<
Ciao > disse abbassando gli occhi.
<
Ciao > rispose lei titubante. Era stata sorpresa ad osservarlo come una
ragazzina. < Passavo di qui per dare un’occhiata….faccio la ronda prima
di andare a letto. > spiegò. Era la verità. “Passavo di qui per dare
un’occhiata a cosa!?” si rimproverò.
<
Vuoi entrare? > propose lui. < Per bere qualcosa. > specificò, quasi a
volersi difendere.
Medina
non rispose, ma entrò nella sua cabina. Nonostante fosse la sua stanza da molto
tempo non era molto diversa rispetto a quando era disabitata. Korso non mostrava
mai i suoi interessi, le sue nostalgie riguardo la Terra. C’era chi tappezzava
la propria cabina con poster di vario genere, chi ci teneva oggetti della
propria infanzia o che ricordavano il passato. Lui no.
La
ragazza si accomodò su una sedia e Korso fece altrettanto porgendole un
bicchiere pulito con il liquore.
<
Ti sto offrendo qualcosa di tuo… > disse con un flebile sorriso.
<
E’ il pensiero quello che conta. > scherzò Medina.
Dopo
un po’ di silenzio fu l’uomo a prendere la parola dopo aver sorseggiato la
vodka.
<
Volevo ringraziarti per avermi salvato la vita. Credevo che fosse davvero finita
per me. >
<
Non ce n’è bisogno. >
<
Tu dici? > era molto serio. < Vorrei chiederti una cosa e ti prego di
essere sincera: se avessi saputo prima che si trattava di me mi avresti salvato
comunque? > i suoi occhi puntarono quelli della donna, scrutandoli senza pietà
e con un po’ di timore: se avesse detto di no….forse…. avrebbe deciso di
mettere fine alla sua esistenza.
<
Sei stupido o cosa? > disse Medina. Non c’era rabbia o rimprovero nelle sue
parole, solo consapevolezza di quanto lui fosse debole. Non era più il
comandante sicuro di sé e delle sue scelte. < Credi che io sia così crudele
e vendicativa? Credi che sarei arrivata al punto di lasciarti morire? >
Korso
abbassò lo sguardo. < E’ solo che…..insomma…. >
<
Vuoi sapere se sono ancora arrabbiata per quello che è successo otto anni fa?
> non aspetto la sua risposta < In parte si. Non mi sarei mai aspettata di
essere trattata in quel modo. Ho pensato di vendicarmi, ma alla fine non l’ho
fatto, anche se la cosa mi brucia. >
<
Mi dispiace. > Korso sembrava sincero. Il suo sguardo era davvero
dispiaciuto.
<
Conosco tutta la verità. So del tuo patto con i Drej. > disse la donna a
bruciapelo.
Korso
la guardò spiazzato. Come faceva a saperlo? Poi ricordò che era stato a lungo
incosciente e che, forse, Cale era riuscito a mettersi in contatto con lei o
viceversa. La verità….lei sapeva tutto ormai….forse ora lo odiava davvero.
<
Non potevo rischiare la tua vita. > questo era vero: l’aveva allontanata
per proteggerla.
<
Non fare il romantico….non ti si addice molto. >
<
Non sto facendo il romantico > Korso dava segni di cedimento: dopo che si era
scusato sinceramente, una provocazione come quella non faceva piacere. < Ti
sto solo dicendo la verità, anche se non ti importa. >
<
Perché non mi hai detto la verità allora? >
<
Ti saresti messa di mezzo e lo sai anche tu. > la sua voce era diventata più
dura. Stavano per litigare, lo sapevano entrambi.
<
Ovvio! Certo che l’avrei fatto! Avrei tentato di farti cambiare idea. >
<
Era tardi per questo. > Korso fece qualcosa di inaspettato: prese la propria
testa tra le mani. Pareva disperato per i suoi errori, per le sue paure, per
aver mentito a lei e per il tempo che aveva perso per il suo egoismo.
Medina
sentì il cuore stringersi. Pensava che si sarebbe incavolato, che le avrebbe
urlato contro, invece….invece eccolo lì triste, abbattuto, forse tratteneva
anche le lacrime….
Medina
si inginocchiò davanti a lui.
<
Calmati. > disse in un sussurro. Gli prese le mani. Korso alzò lo sguardo.
Dio…quanto era vicina!
<
Mi dispiace > disse. Ormai sussurravano entrambi. < Non volevo ferirti,
non volevo nemmeno lasciarti in quel modo, senza una spiegazione. E poi…mi
avresti odiato in ogni caso, con o senza la verità. >
<
Mi sarei arrabbiata, sì. > perché mentirgli?
<
E’ troppo tardi ora? > gli occhi azzurri di Korso la stavano supplicando.
Supplicavano una possibilità di rimediare, di recuperare i sentimenti del
passato.
La
donna sapeva che sarebbero giunti a questo. Sapeva che lui le avrebbe chiesto di
recuperare la loro vita sentimentale.
<
Ascolta…. >
<
Si o no? > era davvero deciso.
<
Non mettermi alle strette, sai che non mi piace. >
<
Ho bisogno di saperlo. >
<
E io ho bisogno di tempo. Non puoi piombare qui dopo tutto questo tempo e
chiedermi di dimenticare. > Medina si alzò stizzita e uscì dalla stanza.
<
Ti amo ancora. > sussurrò Joseph, chiudendo gli occhi.
< Si può sapere cosa è successo? > chiese Gingan a Medina. Joseph
gli era parso tubato da qualcosa.
La
donna sospirò e guardò in direzione di Korso.
<
Non preoccuparti, passerà tutto. Siamo arrivati ad argomenti scottanti, diciamo
così. >
Gingan
decise di far morire lì il discorso.
Il loro viaggio procedette senza intoppi. Giunsero prima del previsto
alla colonia spaziale NY, chiamata così in onore della Grande Mela americana.
Appena
furono a bordo furono accolti come degli eroi. Dopo quelli che potevano
definirsi festeggiamenti il magico trio dovette occuparsi di risolvere i
problemi di movimento della colonia.
<
Il motore è fuso. > disse Korso, pulendosi le mani dal grasso di motore.
<
E ti pareva…. > disse Medina. < Puoi ripararlo? >
<
Non sono molto esperto. Posso provare, ma non garantisco nulla. >
<
Ti aiuto io….non so cosa potrò fare, ma ti aiuto. >
Erano
almeno due ore che tentavano di riuscire almeno a capire quale fosse il pezzo da
cambiare, riparare o altro, ma non era semplice. Lo spazio era esiguo e la luce
mirata, ma scarsa. Medina e Korso erano ricoperti di olio di motore: una
delizia.
<
Possiamo prenderci una pausa? > chiese la donna speranzosa.
<
Direi di sì. >
Entrambi
si tirarono fuori dal pertugio.
<
Forse avrei dovuto farlo, il corso da meccanico. > disse la donna.
Qualcuno
giunse per dare un’occhiata al loro lavoro. Era il “sindaco” della comunità.
Offrì loro aiuto e un pasto caldo per quella sera. Erano in quella che poteva
definirsi la mensa della colonia. Il pasto loro offerto era gustoso e
confortante: si respirava una strana atmosfera. I profumi che aleggiavano in
quel luogo rimandavano al passato, ad una infanzia felice, all’odore del
bucato, delle scarpe nuove, delle pagine di un libro nel quale erano stati
conservati petali di rosa. Questi sentimenti e sensazioni idilliche furono
interrotte dall’allarme della colonia. Qualcuno si stava avvicinando.
Attack
Una nave spaziale pirata era entrata nell’orbita della colonia.
Avanzava minacciosa, con chiari intenti ostili.
<
Chi diavolo sono? > Medina era stanca e non aveva molta voglia di combattere:
sarebbe stato uno spreco di energie, ma era pur vero che occorreva rispondere ad
un eventuale attacco.
<
Preparare i cannoni per la difesa. > ordinò.
Fortunatamente
sulla colonia risiedeva qualche militare. Organizzarono gli armamenti della
Ramses in modo da poter difendere sia la colonia che la nave spaziale.
I
pirati attaccarono. Una scarica di raggi laser piombò sulla loro postazione
aprendo uno squarcio sul fianco destro dell’astronave. La Ramses rispose al
fuoco, sfiorando i loro cannoni e danneggiandone uno.
<
Esco con la Carter. > la Carter era una piccola navicella d’attacco, una
monoposto utile per un attacco su più fronti. Era l’evoluzione spaziale dei
vecchi jet militari terrestri. Raggiungeva alte velocità e aveva potenti armi
laser e ultrasuoni, capaci di mandare in tilt qualsiasi sistema di orientamento
e sistema radar.
<
Come? Medina è pericoloso! > Korso era allarmato. Era una pazzia uscire la
fuori e infilarsi nel fuoco incrociato di pirati, Ramses e colonia.
<
L’ho già fatto altre volte. > fu la risposta della donna. < Prendi tu i
comandi della Ramses! >
<
Tu sei davvero matta! > commentò Joseph.
La
piccola navicella uscì dal portellone posteriore e volò dritta verso il
nemico. Con un attacco su tre fronti quei fuorilegge potevano essere sconfitti
facilmente, bisognava solo rischiare un po’.
Medina
era agguerrita: nessuno era mai riuscito a colpirla quando pilotava la piccola
astronave. Non avrebbe sbagliato certo questa volta! Innanzitutto l’effetto
sorpresa era praticamente garantito. Decise di spostarsi passando sotto le file
nemiche. Quello era l’unico posto dove non rischiava di essere colpita. Si
spostò sul retro della nave pirata. Azionò gli ultrasuoni, mandando in tilt
per due secondi i loro radar; si spostò di nuovo in fretta e colpì il nemico
con i suoi raggi laser. Nel frattempo Korso faceva un ottimo lavoro con il fuoco
di copertura. La sua esperienza era di ottimo aiuto.
La
colonia faceva la sua parte nonostante si trovasse in una posizione di pieno
svantaggio: non poteva spostarsi dalla sua posizione e veniva colpita
regolarmente. Korso riuscì ad eliminare l’ultimo loro cannone e la nave
pirata fu costretta alla resa.
Tutti
esultarono per la battaglia vinta. I pirati furono arrestati e mandati alla
prigione intergalattica.
Medina rientrò dal portellone posteriore della Ramses. Aprì la cupola
superiore e scese la scaletta tranquilla. Quando fu a terra notò Korso in cima
alle scale.
< Che ci fai lì? > chiese, anche se conosceva già la ragione di
quel gesto.
< Indovina! > rispose lui con un sorrisetto malizioso, scendendo la
scalinata con calma.
< Andiamo…sono capace di badare a me stessa. So pilotare e
combattere con una Carter! >
< L’ho notato….questo non vuol dire che non rischiavi di essere
colpita. > giunse sulla rampa e incrociò le braccia sul petto.
< Tsk! > Medina era divertita dal suo atteggiamento tra il paterno
e l’autoritario. Forse si sentiva ancora il suo comandante. Oppure si
considerava ancora l’uomo che aveva salvato una ragazzina da un attentato che
sicuramente l’avrebbe uccisa. Oppure…sì, era innamorato! < Ma smettila!
Come vedi sono tutta intera, come la navicella. Piuttosto, complimenti per le
manovre d’attacco! >
< Ma per chi mi hai preso?! >
Salirono
insieme la scaletta che portava alla sala comando. Lì Gingan attendeva il loro
arrivo.
< Finalmente! Avete smesso di amoreggiare? > Medina voleva
strozzarlo! < Abbiamo un problema. La colonia è danneggiata. >
< Mmh…questo è IL problema. > Medina non ci aveva pensato
all’inizio. Si era accorta della difficoltà della situazione solo quando, per
errore, un suo colpo aveva centrato NY.
< Questo è vero, ma la nave pirata, che gentilmente ci è stata
donata, è meno danneggiata della colonia. Per cui una parte dei coloni qui e
un’altra in quella nave e possiamo partire per la Terra! > Korso si era
dimostrato più logico di tutti quanti.
< Hai ragione! > disse Medina, ormai presa dall’entusiasmo per la
vittoria e per la risoluzione del problema.
< Lo so! > Joseph gongolava un po’.
< Un genio! > Gingan calcò la mano a dovere.
< Lo so! > ora l’uomo rideva.
< Non esageriamo. Genio!? Ma per favore! > Medina si avviò ridendo
verso il pannello di controllo per comunicare alla colonia il nuovo piano.
Il
trasferimento di persone, viveri e averi fu completato nel giro di sei ore.
< Era tanto che questa nave non fosse così affollata. > disse
Gingan.
< Staremo un po’ stretti, ma il viaggio non durerà tantissimo. Un
paio di giorni al massimo. Tutto dipende dalla velocità che potremo supportare.
> Medina era molto professionale in questo. Si trattava sempre di una
missione a lei affidata dal comando centrale delle Forze Terrestri. Per il
comando dell’altra nave Medina aveva deciso di affidare tutto nelle mani di
Korso. Lui non ne era stato molto felice.
< Sei l’unico di cui possa fidarmi. > aveva cercato di
rabbonirlo, quando aveva cercato di protestare.
< Non ne ho voglia…perché io? >
< Questa è una domanda stupida! Sai cosa fare su una nave e non è
certo la prima volta che ne prendi il comando. > “So che vuoi restare qui
con me…” Medina lo fissò negli occhi. Erano di un azzurro accecante, con
riflessi violetti quando era turbato. Splendidi. < Ti prego… > il tono
usato era tra il supplicante e il sensuale. A Korso gli venne quasi un colpo.
< Ti odio! > disse ridendo. < Va bene, accetto. Non ti sopporto
quando fai così. >
< Per così poco? > Medina passò le dita delicatamente sul suo
pizzetto e andò via sorridendo. Joseph si voltò a guardarla: “Mi ha
fregato…..non so dirle di no! E lei lo sa benissimo…”
La partenza avvenne appena possibile. Nelle navi si stava un po’
stretti, ma non si poteva fare altrimenti.
< Mi ricevi? > Medina provava la radio.
< Forte e chiaro! > Korso aveva assunto uno strano tono
professionale. Pareva che fossero tornati a dieci anni prima.
< Bene! Le coordinate sono R456GE575 e DF0934JI34 >
< Roger! Ho effettuato un controllo e ho gli alettoni di destra
danneggiati. Non posso superare gli 8.000.000 kekcs all’ora. >
< Andiamo a 7.500.000 per il momento; meglio non esagerare. >
<
Roger! >
La
partenza fu tranquilla. Non ci fu alcun tipo di problema. Gli ospiti erano
tranquilli e felici di poter finalmente avere una nuova casa.
Medina rimase in sala comando. Non poteva spostarsi di lì: la sua stanza
era stata occupata da un gruppo di infermi che necessitavano di un luogo
tranquillo per riposare.
< Permesso? > Gingan tentava di avvicinarsi alla postazione della
donna, ma era una vera impresa: in molti si erano adagiati sul pavimento per
passare qualche ora di sonno. < Finalmente! > il vecchio medico si sedette
accanto a lei. < Come va? > chiese con un sorriso.
< Tutto a posto. Lo vedi ance tu. Siamo alla fine della missione:
dobbiamo solo arrivare a destinazione. > tornò a fissare lo spazio infinito
davanti a sé. Un’enorme distesa nera trapuntata di punti luminosi più o meno
grandi.
< Cosa farai una volta a terra? > Gingan era curioso. La sua
protetta aveva passato la vita tra navi spaziale, battaglie e avventure. Cosa
sarebbe successo una volta che tutto sarebbe terminato? Che lo spazio avrebbe
cessato di essere la dimora degli esseri umani?
< Non lo so. Forse entrerò nell’esercito per davvero. Servirà
qualcuno che si occupi della sicurezza. Se aggiungi che sono anche un medico….è
una soluzione, no? >
Gingan
era scettico.
< E lui? > Medina lo guardò in tralice.
< Che vuoi che ne sappia! Farà ciò che vuole! >
< Sai a cosa mi riferisco. Sarà espulso dal corpo militare per aver
ostacolato il ritrovamento del Titan… >
< Solo se la verità è giunta alle loro orecchie! Cale Tucker mi ha
assicurato che, per ora, nessuno a parte noi e altre tre persone conoscono lo
svolgimento dei fatti. Al momento non corre rischi. > era turbata: cosa gli
sarebbe successo se avessero scoperto la verità? Lei….lei lo avrebbe difeso,
di questo era certa. Non lo avrebbe lasciato solo in un momento così difficile.
In
ogni caso sperava che non dovesse mai accadere qualcosa di così traumatico.
Dopotutto non meritava una simile umiliazione: era davvero pentito del suo gesto
e questo doveva bastare…..
< Sai…. > ma quando si voltò Gingan non c’era. Evidentemente
era andato a dormire….da qualche parte, sempre che trovasse uno spazio
abbastanza grande, vista la sua stazza da pachiderma!
Tornò
a guardare le stelle…un led del pannello di controllo lampeggiò…una
comunicazione.
< Faith > rispose, attivando lo schermo.
< Sono Korso. >
La
donna sorrise: doveva aspettarselo. < Chiacchiere notturne? >
< Solo un po’. Mi sto annoiando e, per evitare di addormentarmi,
chiacchierare è l’unica soluzione. >
< Capisco. Come va da quelle parti? >
< Tutto bene. Qualcuno russa, ma è sopportabile! > entrambi
sussurravano, un po’ per privacy, un po’ per non disturbare nessuno.
< Io e Gingan parlavamo di te. > disse diventando improvvisamente
seria. Korso se ne accorse. Sembrò quasi ponderare la domanda da rivolgere alla
donna.
< Perché? > meglio andare dritti al punto.
< Forse non sono affari miei, ma cosa farai una volta a terra?…ciò
che voglio dire è cosa farai se la storia del Titan è trapelata? >
< Se così fosse….sarei espulso dalle forze armate. Lo sai già, non
devo certo dirtelo io. Non credo prenderebbero altri provvedimenti. Se invece
non sanno niente continuerò con loro: sono un capitano, nonostante sia passato
molto tempo. >
< Già…. >
< La cosa non ti piace? > aveva notato un velo di tristezza nei
suoi occhi.
< Cosa?…no figurati. Immaginavo che avresti operato una scelta del
genere. Potresti tornare ad essere il mio comandante! >
< Entri nell’esercito? > Korso pareva sorpreso. In realtà
preferiva che ne restasse fuori.
< Credo di sì. Sono addestrata. So pilotare qualsiasi mezzo e sono
laureata in medicina. Un posto per me ci sarà di certo. Se ci metti che ho
ottime referenze e una famiglia che è perita per meriti militari, dovrebbe
essere tutto automatico, no? >
< Saranno tempi duri per i militari… >
< Vuoi dissuadermi? > lo fissò con un sopracciglio alzato < Non
sei mio padre! >
< Questo lo so bene. Sono solo in pensiero per te. > disse sulla
difensiva.
< Non dovresti. > oddio, cominciava a diventare possessivo. Forse
era solo preoccupato. Forse la sua esperienza permetteva che avesse una visione
più ampia dell’essere un militare per davvero. Far parte di una nave era un
conto, essere a disposizione delle Forze Terresti un altro.
< Lo sarò sempre e non c’è bisogno che ti spieghi il perché! >
la fissò ancora. Non avrebbe mai smesso. Avrebbe dato tutto per sentire il suo
profumo in quel momento!
< Non cominciare! > allarme rosso! Medina distolse lo sguardo.
Quegli occhi….la ipnotizzavano.
< Non posso far finta di niente. Posso provare quello che voglio, no?
Non ti sto chiedendo nulla….So che è passato molto tempo e sono successe
molte cose, ma ciò che provo nei tuoi confronti… >
< Korso, no! > aveva paura, davvero paura. Paura di soffrire ancora
e….di essere scaricata ancora.
< Ascolta… >
< No!…. Ho troppa paura. > l’aveva ammesso. Forse avrebbe
capito. Lui, l’uomo sul monitor. Un uomo maturo, ma decisamente affascinante.
< Anch’io. Ho paura anch’io >
Si
fissarono per un po’. Era uno stano momento magico. Cercavano di leggere negli
occhi dell’altro la soluzione ai loro problemi. Sarebbe stato tutto molto più
facile se fossero stati come le persone che in quel momento trasportavano verso
la nuova Terra. Essere dei semplici civili che si preoccupavano di piccole cose,
che avevano una vita tranquilla, senza scosse, senza colpi di scena dolorosi.
Uccidere un uomo a quindici anni, stringere un patto omicida con i propri
nemici, pilotare astronavi da guerra per le galassie….questa era la loro vita:
non era bella, facile e felice, ma era pur sempre una vita che meritava di
essere vissuta fino in fondo, fino all’ultima goccia di fiele sul fondo di
quel bicchiere scheggiato.
< Quando saremo a terra > riprese Korso con un tono più dolce, ma
allo stesso tempo deciso < ne riparleremo. >
< D’accordo. Buonanotte. > e la comunicazione fu chiusa.
On the Earth
<
Faith a Korso! > chiamò Medina nella
ricetrasmittente.
< Korso! > rispose la voce dell’uomo.
< Attivare la manovra di atterraggio. Stiamo per entrare
nell’atmosfera. >
< Ricevuto! >
Le
due astronavi avevano compiuto in loro viaggio senza intoppi ed erano giunti a
destinazione. La Ramses compì la manovra di atterraggio su un’ampia pianura.
Medina aveva ricevuto ordini direttamente dalle Forze Terresti in una
comunicazione radio. A terra alcuni militari erano pronti a smistare i nuovi
arrivati nei campi che erano stati attrezzati non molto lontano da lì.
Era
una strana sensazione mettere i piedi su un manto erboso. Nonostante gli stivali
pesanti Medina riusciva a sentire la consistenza del terreno sotto i piedi.
Resistette all’istinto di togliersi le scarpe e correre per quella distesa
immensa.
Un’altra
stana sensazione era respirare quell’aria pulita, limpida, piena di profumi.
Non era l’aria refrigerata delle astronavi, degli asteroidi o delle piccole
stazioni spaziali. Non aveva nessuno degli odori riscontrati in uno dei pianeti
su cui Medina aveva messo piede. Era l’aria della Terra, per quanto tutto
apparisse surreale e impensabile!
Il
cielo! Il cielo aveva il colore che ricordava, con la sola differenza che era
solcato da due soli, due stelle che fungevano da astri del mattino.
Un
desiderio infantile le sbocciò nel cuore: il mare! Voleva vedere il mare,
sentire il profumo della salsedine e ascoltare il rumore delle onde che
sbattevano sulla scogliera! E voleva annegare nell’azzurro….
Tutti i passeggeri delle due astronavi si erano precipitati fuori ed
erano stati indirizzati verso i campi gia pronti ad accoglierli. Gingan era
accanto a lei. Non era un terrestre, ma era nato anche lui sulla Terra e quella,
anche per lui, era una nuova casa. Un uomo si avvicinò a lei. Era l’uomo che
l’aveva contattata per la missione di salvataggio, il tenente Duncan.
< Lei è il comandante Faith. > chiese alla donna, porgendole la
mano.
< Si, sono io. > Medina rispose alla stretta < Abbiamo avuto
qualche problema, ma tutto è stato risolto molto bene, come può notare. >
L’uomo
guardò le due astronavi.
< Ha trovato qualcuno in grafo di pilotare un’ HERO-58900? > era
sorpreso: da quel che sapeva non c’erano militari in grado di farlo a bordo
della colonia NY.
< Avevo sulla mia astronave il capitano Joseph Korso. > disse con
un po’ di orgoglio.
< Quel Korso? Beh…..è splendido! > Medina sapeva a cosa
illudesse: i suoi meriti passati lo precedevano.
In
quel momento Korso si avvicinò al gruppo. Era curioso di scoprire chi fosse
quell’uomo.
< Tenente Duncan > disse il militare presentandosi al nuovo venuto.
< Joseph Korso > rispose l’uomo con un po’ di diffidenza. Perché
quell’uomo di nome Duncan sorrideva?
< Capitano, è un onore! >
Medina
corse in aiuto di Korso.
< Come vi siete organizzati qui? >
< Per ora siamo riuniti in otto campi. Stiamo effettuando il
censimento dei nuovi arrivati e abbiamo iniziato la costruzioni di quattro città.
Forse sarebbe meglio dire villaggi. Abbiamo squadre di esplorazione, squadre per
l’approvvigionamento di risorse alimentari e per le energie…..Non so come ci
sia riuscito, ma il dott. Sam Tucker ha riprodotto la fisionomia dei continenti
terrestri in modo quasi perfetto!…Le esplorazioni che effettuiamo servono solo
per individuare i terreni maggiormente produttivi e scoprire le tane di animali
feroci in modo da aggirarle…..non tutti possono avere una seconda possibilità
con le estinzioni e la salvaguardia dell’ambiente, no? > il discorso del
tenente filava che era una meraviglia. In fin dei conti gli esseri umani
potevano addirittura ritenersi fortunati.
Duncan fece fare loro il giro di uno dei campi e li fece registrare
all’anagrafe. Ebbero un pasto caldo e potettero scegliere un kit di alloggio e
installarlo dove meglio credessero.
< C’è tanto spazio! > aveva detto il tenente < e non siamo
nemmeno molti. Le ultime stime ammontano a cinque milioni di abitanti. > il
dato era sconsolante, ma nulla era perduto.
Era quasi il tramonto. Quando erano atterrati Medina aveva notato che
l’accampamento, visibile perfettamente dall’alto, non distava molto dalla
costa. D’accordo era infantile in quel momento, ma ormai tutto era giunto a
conclusione, perché attendere ancora di vedere il mare?
Si
incamminò con il kit di alloggio (una specie di scatola a sorpresa che
conteneva una specie di casa gonfiabile che diventava rigida e resistente a
contatto con l’anidride carbonica, anche in piccole quantità. Disponeva di un
letto e altri oggetti necessari) sulle spalle. Il percorso era accidentato. Non
sapeva bene dove andare. Si sentiva confusa.
< Bisogna andare verso est. > una voce alle sue spalle la fece
voltare di scatto. Korso era dietro di lei.
< Ne sei sicuro? > domandò con diffidenza Medina.
< Ho controllato prima di atterrare. Sapevo che lo avresti cercato.
> già, lui lo sapeva. Si conoscevano troppo bene per non sapere cosa
passasse nella mente dell’altro. La loro relazione era stata breve, ma in
compenso era stata molto intensa. Inoltre Korso non avrebbe mai dimenticato i
gesti gentili e affettuosi dopo una notte di amplessi con lei. Il suo dannato
vizio di fissarlo negli occhi.
<
Perché mi fissi così? > chiese lui una sera.
< I tuoi occhi mi ricordano il mare. E’ ciò che amo di più e ciò che mi manca di più……il mio preferito è il mare in tempesta. I tuoi occhi ne hanno lo stesso colore! >
Marciarono ancora per un
po’ stancandosi parecchio.
< Voglio arrivarci prima del tramonto! > disse la donna accelerando
la salita.
Korso
le tenne dietro senza faticare molto. Superarono un boschetto e lo videro, il
mare. Una distesa d’acqua azzurra immensa. Le correnti disegnavano
increspature leggere sulla superficie e le onde coloravano di tanto in tanto di
bianco l’azzurro del mare.
< E’ bellissimo! > disse lei. Korso la fissò per un attimo,
ripensando al giorno in cui la loro vita, come quella di altri, cambiò. Ripensò
a quel pomeriggio a casa sua. Se fosse stato più forte, se fosse stato più
riflessivo, lei non si sarebbe sporcata le mani di sangue. Forse avrebbe avuto
una vita differente, non sarebbe diventata un soldato, il suo cuore non sarebbe
stato turbato (lui sapeva che quel dannato colpo di pistola aveva ucciso una
parte di lei). Forse non l’avrebbe mai più rivista, ma di sicuro sarebbe
stata più felice, non avrebbe sofferto per causa sua, forse avrebbe avuto dei
bambini….
< A cosa pensi? > Medina aveva notato il suo turbamento.
< Nulla > lei lo guardò eloquente. Sapeva che stava mentendo. Lo
sguardo di Korso diceva “So che lo sai”.
Medina
era esausta ormai. Si sedette sulla scogliera. Buttò via quel dannato kit. Non
le importava avere una casa in quel momento. Korso la imitò, sedendosi accanto
a lei.
< Joe… > la donna lo chiamò con dolcezza. Korso sapeva che
quando Medina lo chiamava per nome era per stabilire un rapporto di intimità
esclusiva.
< Cosa c’è? >
< Ho pensato a lungo a noi. > era in imbarazzo. Era da molto che
non si trovavano soli e così vicini.
< Ci ho pensato anch’io. Ti capisco se non intendi darmi un’altra
possibilità. Il mio comportamento è stato…orrendo…se non mi vuoi, me ne
farò una ragione. >
< Ma io ti voglio. > Korso la fissò incredulo. Era meravigliato.
Forse stava dormendo. Forse era tutta una sua invenzione. < Ti voglio,
nonostante tutto. Anche se hai sbagliato. So che lo hai fatto per proteggermi e
che hai sofferto anche tu. Non ti nascondo che sarò molto sulla difensiva, che
fidarmi ciecamente di te sarà difficile all’inizio, che sarò una vera
rompiscatole. > sorrise. Vedere Korso smarrito era stranamente appagante.
< Mi vuoi lo stesso? >
< Sì, anche se sei un po’ attempato… >
< Non sono vecchio! >
< Ma smettila! Hai quarantotto anni, non sei mica un ragazzino! >
< Chi ha detto che sono un ragazzino!? Ho solo detto che… >
< ‘Sta zitto! >
Lo
baciò. Si, certo, era infantile e stupido forse. Non erano più dei ragazzini
alla ricerca di un’avventura. Sapevano bene che la loro scelta sarebbe stata
una scelta per la vita.
A
volte non è un prete o una qualsiasi altra autorità a determinare che due
persone costruiranno insieme il futuro, a definire stabile un rapporto, che,
magari, darà vita ad una nuova famiglia. Spesso sono gli sguardi a deciderlo.
Quello sguardo che dice: “Sei mio!” accettando gli errori e i difetti;
quando gli errori diventano la parte più importante di ciò che abbiamo, perché
abbiamo imparato da essi.
Medina
aveva imparato a leggere nel cuore di Joseph e lui aveva imparato a non tenerla
più all’oscuro di nulla. Essere sincero uno con l’altra sarebbe stata la
loro forza. Poco importa se avrebbero dovuto cominciare da zero, se avrebbero
dovuto affrontare nuove difficoltà, ora avevano qualcosa che valeva più di
qualsiasi cosa: loro stessi.
The
End