Fanfic su attori > Robert Pattinson
Segui la storia  |       
Autore: Frytty    28/12/2011    3 recensioni
Arlyn ha perso la memoria. Non ricorda di avere una vita, ma diverse cose, al suo rientro a casa, non quadrano e lei decide che se vuole ritornare ad essere felice come un tempo, non può semplicemente aspettare, ma agire.
E Robert, che ruolo ha nella sua vita?
E Tom? E' solo il suo migliore amico, come vuole farle credere?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Salve a tutte!

Scusate l'imperdonabile ritardo, so che avrei dovuto aggiornare stamani, ma quando cominciano a venire a trovarti parenti e amici così, all'improvviso, sono capaci di stravolgerti la giornata, per cui chiedo venia e perdono ç.ç

Che dirvi di questo capitolo? Innanzitutto, che è l'ultimo, prima dell'epilogo che, la fortuna dalla mia parte, dovrei riuscire a pubblicare la settima prossima, tra martedì e mercoledì; secondo, ci tenevo a precisare che io, in quanto a Medicina e cose simili, non ho nessun tipo di competenza, perciò, se notate qualche castroneria, non esitate a dirmelo, anche perché imparare cose nuove è sempre positivo ed io non sono certo la tipa che si offende per cose simili; terzo, il nome Sally mi sta particolarmente a cuore, perché mi ricorda sempre Susy Salmon, la protagonista del libro Lovely Bones-Amabili Resti, un libro che davvero mi ha toccato e mi è rimasto dentro, anche perché non racconta assolutamente nulla di trascendentale, ma qualcosa che potrebbe succedere ad ognuna di noi e che, purtroppo, è ancora oggi una triste verità; quindi, se non l'avete letto, fatelo e se l'avete letto, regalatelo, perché è qualcosa di meraviglioso *.*; ultimo appunto, non ho avuto tempo di rileggere, quindi perdonate eventuali orroracci di grammatica italiana ù.ù.

Credo di aver concluso. Spero che le vacanze natalizie siano state felici, serene e gioiose per tutte! <3

Approfittando di questo, vi auguro anche una felice fine e uno scoppiettante inizio d'anno a tutti! BUON 2012! *.*

Buona continuazione di settimana e, come di consueto,

 

 

 

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La settimana successiva, con l'approssimarsi del Natale e dello shopping natalizio, ebbi pochissimo tempo a disposizione per rimuginare sul fatto che di lì a otto mesi avrei dovuto cominciare a prendermi cura di un bambino; avrei dovuto imparare a cambiargli i pannolini, a cullarlo per farlo addormentare, a fargli il bagnetto, a dargli la pappa e sarei diventata più responsabile e matura.

Quando l'avevo comunicato ai miei genitori, decidendo di andarli a trovare piuttosto che telefonargli, facendo risultare il tutto più freddo e distaccato, oltre alla gioia iniziale del diventare finalmente nonni, oltre alle congratulazioni a Robert e agli sguardi commossi e orgogliosi che mi rivolsero, non persero occasione, facendoci accomodare in terrazza e servendoci una tazza di tè, per rammentarmi che la gravidanza mi avrebbe resa più forte, più indipendente e soprattutto più grande. Mia madre non avrebbe escluso che avrebbe potuto aiutarmi a ricordare qualcosa di più su di me, anche se io nutrivo ancora forti perplessità in merito.

Non era più così importante recuperare la memoria, non era più così importante riuscire a ricordarmi cos'era davvero successo quella sera, quando avevo preso l'auto e avevo guidato fino al momento dell'incidente; non lo era, perché avevo il presente di cui occuparmi, perché, volente o nolente, una nuova vita stava crescendo nel mio grembo e non sarei mai riuscita a guardare al futuro se prima non fossi stata in grado di abbandonare il passato. E poi, tutto quello di cui avevo bisogno era accanto a me e aveva un nome e un sorriso splendidi: Robert.

Dopo tutto quello che avevamo dovuto affrontare per stare insieme, sembrava assurdo ritrovarmelo accanto ogni mattina, aprire gli occhi con la consapevolezza che lui era lì, che ci sarebbe sempre stato e che mi avrebbe stretto la mano ogni notte prima di addormentarmi.

Era qualcosa alla quale non potevi semplicemente abituarti.

Quella mattina, dopotutto, non fu diversa dalle altre: mi ero svegliata con il suo respiro caldo, placido e tranquillo tra i capelli e le dita della mano sinistra intrecciate alle sue. Sorrisi e gli accarezzai una guancia, sperando che le mie dita non fossero così fredde da svegliarlo.

Erano trascorsi cinque mesi dalla sera della prima ecografia, cinque mesi e due settimane, per la precisione e la mia pancia era più che evidente, ormai.

Avevamo trascorso il Natale in casa Pattinson e le nipoti di Robert, Emily e Cloe, figlie di Victoria, le stesse bambine che lui mi aveva ricordato di adorare, non avevano fatto altro che poggiare l'orecchio sul mio maglione teso per tentare di carpire anche il più piccolo rumore. Erano curiose di sapere se si trattasse di una femminuccia o di un maschietto, ma noi avevamo deciso di non volerlo sapere fino alla data del parto, nonostante l'ostetrica ci avesse ripetutamente annunciato di poter dichiararne il sesso con assoluta sicurezza. Io preferivo l'effetto sorpresa, sebbene i miei genitori e quelli di Robert avevano cominciato a lamentarsi del fatto che non avrebbero potuto acquistare nessun regalo sicuro. Io continuavo a sostenere che non c'era certo bisogno di comprare un passeggino rosa o azzurro, o una tutina rosa o azzurra, che ce n'erano di centinaia di colori diverti, neutri, ma loro erano tradizionalisti e volevano fare le cose per bene, perciò, avevano finito con l'esaurirsi nell'esplorazione di ogni singolo reparto bebè di ogni singolo negozio di Londra e dintorni.

Alexandra sembrava essere stata l'unica a non essersi persa d'animo, visto che mi aveva già fatto dono di una bellissima borsa per riporre tutto il necessario per il bambino e di una bellissima tutina verde acqua che, come aveva lei stessa specificato, sarebbe stata perfetta sia per una bambina che per un bambino.

Robert si schiarì la voce e aprì un occhio, constatando che era già mattina e che io ero già sveglia e sorrise, portandosi più vicino al mio viso per baciarmi una guancia.

< Buongiorno. > Mormorò, slegando le nostre dita e accarezzandomi, come sua abitudine, il pancione.

< Ben svegliato. > Risposi, accarezzandogli i capelli.

< Come ti senti? > Mi domandò, aprendo definitivamente gli occhi.

< Benissimo. > Sorrisi. Se escludevamo qualche piccolo calcio durante la giornata e qualche piccolo movimento quando mi sdraiavo per dormire, il bambino era piuttosto tranquillo, quasi invisibile, se non per la pancia.

< Sembra tu stia per partorire, sai? > Scherzò, continuando ad accarezzarmi il ventre con dolcezza e premura.

Ero abituata a quella frase, me la ripetevano tutti, anche i clienti della libreria e io rispondevo che, di certo, non sarei esplosa, o, almeno, lo speravo, facendoli scoppiare irrimediabilmente a ridere.

< So che sto diventando una mongolfiera, grazie, ma non c'è bisogno di ricordarmelo ogni giorno. > Alzai gli occhi al cielo. Se all'inizio non facevo che posizionarmi di profilo davanti allo specchio per tentare di intravedere i primi segni evidenti che fossi incinta, adesso era diventato così normale veder lievitare la mia pancia, che quando mi legavo i capelli davanti allo specchio e, sollevando le braccia, la maglietta automaticamente lasciava intravedere il pancione, sorridevo soltanto e scuotevo la testa divertita. Non era un problema prendere peso, anche se a stento riuscivo a sedermi su una sedia o a sdraiarmi.

< Ma tu ogni giorno diventi più bella, quindi dov'è il problema? > Mi baciò la bocca e mi sistemò i capelli dietro le orecchie. Dovevo ammetterlo: fare l'amore con lui mi mancava, ma avevamo deciso di essere prudenti, anche se l'ostetrica aveva più volte sottolineato che non ci sarebbero stati problemi per il bambino se avessimo fatto attenzione.

< Sei un bugiardo. > Gli morsi una guancia in maniera scherzosa, facendolo protestare.

< Non potrei mai mentirti, lo sai. > Mi baciò di nuovo prima che il suo cellulare cominciasse a suonare.

Mugugnai in disapprovazione quando si allontanò appena da me per recuperarlo, sussurrandomi uno scusa, dolly. 

Lo sentii discutere di bagagli, biglietti aerei, prenotazioni di alberghi e di orari di lavoro, ma non riuscii a ricollegare le cose fino a quando non mi ricordai che l'indomani sarebbe dovuto partire per le riprese di un nuovo film a Vancouver.

Strabuzzai gli occhi quando me ne resi conto: me ne aveva parlato esattamente sei mesi prima, qualche giorno prima che partisse per la premier di Bel Ami a Praga e poi me l'aveva ricordato qualche settimana prima, ma io ero stata troppo presa dai miei pensieri per farci caso e in quel momento non potei fare a meno di darmi della stupida: come avevo potuto dimenticare una cosa simile?

Ero diventata, senza neanche rendermene conto, il centro dell'universo di tutti e non avevo minimamente dato peso al resto del mondo.

Quando Robert attaccò e si lasciò cadere all'indietro sul materasso con un sospiro, lo osservai: non sembrava particolarmente entusiasta della partenza, come non lo ero io, d'altronde.

< Vorrei non dover partire. > Sbuffò, guardandomi.

< E' il tuo lavoro e hai firmato un contratto mesi fa, prima che io rimanessi incinta. > Non potevo piangere come avevo fatto sei mesi prima, perché disperarmi non sarebbe servito ad altro se non a farlo preoccupare di più, tanto da annullare il progetto per rimanermi accanto e allora l'avrei avuta vinta, ma lui, lui cosa avrebbe guadagnato? C'era sempre stato per me, mi aveva aiutata, mi aveva sostenuta e mi aveva accompagnata ad ogni singola visita di controllo; aveva esaudito le mie richieste ed era stato disposto a rimanere sveglio con me intere notti quando le nausee non facevano altro che darmi il tormento, lasciandomi credere che non sarebbero mai scomparse. Era arrivato il momento di essere io a dargli forza e sostegno.

< Lo so, ma lasciarti in queste condizioni, a soli tre mesi dal parto... > Lo interruppi.

< Non sono malata, sono incinta e sto benissimo e le riprese dureranno solo dieci settimane. Ce la farai ad essere presente quando partorirò. > Sorrisi sicura.

< E se non dovessi farcela? Sarei dall'altra parte del mondo e mi sarebbe impossibile raggiungerti prima di sei ore e non sarò con te, non potrai stringermi la mano e non sarò il primo a sapere se sarà un maschietto o una femminuccia. > Riprese lui, testardo.

< Ci sarai e andrà tutto bene, ne sono sicura. > Incrociai i suoi occhi lucidi e gli scompigliai i capelli. < E sarai il primo a sapere se sarà maschio o femmina, anche a costo di portarmi un cellulare in sala parto. > Continuai, facendolo ridere.

< Vorrei che partissi con me. > Mi baciò la fronte e poi la tempia.

< Mi mancherai anche tu. > Risposi, perché sarei voluta partire con lui anch'io.

 

Quando lo salutai in aeroporto, il giorno successivo, mi sembrò di ritornare indietro nel tempo, quando i flash mi facevano paura e le domande dei giornalisti mi paralizzavano. Ora sorridevo, nonostante il fatto che stessi aspettando un bambino da lui senza che fossimo nemmeno sposati avesse attirato moltissime malelingue sul mio conto nei mesi precedenti, non riuscendo, però, a scalfirmi.

Ero orgogliosa di come ero riuscita a crescere dopo l'incidente e lo dovevo in particolar modo a Robert e, perché no, anche ai miei sbagli, ad Alexandra, come a Tom, come a Kristen, che mi aveva convinta a dare un'altra possibilità al mio ex-fidanzato.

Non risposi alle domande che mi vennero poste, ma non mi nascosi ai flash, così come Robert non si fece così tanti scrupoli dal salutarmi all'ingresso del gate, abbracciandomi, baciandomi dolcemente e raccomandandomi di fare la brava.

Alexandra, il giorno dopo, aveva suonato il campanello e si era impossessata del mio letto, mostrandomi l'ultimo giornale di gossip londinese con in copertina una foto di me e Robert all'aeroporto. Era davvero buffa, perché lui era così alto da sembrare un gigante ed io, che non ero mai andata fiera del mio metro e settantadue scarso, sembravo una bambina con un groviglio di stoffa nascosta sotto la maglia. Ci stavamo abbracciando e Robert aveva gli occhi chiusi, il mento sulla mia spalla, una mano tra i miei capelli sciolti e una sul ventre pronunciato, a mo' di saluto.

< Avete fatto notizia. > Furono le prime parole che disse, rubandomi un biscotto. < Non dovresti mangiarne, sai? Sono pieni di conservanti e fanno male al bambino. > Continuò, sfogliando la rivista sotto il mio sguardo allibito.

< Sono biologici e poi ho voglia di cioccolata. > Risposi, sedendomi accanto a lei con fatica.

Non mi diede retta, quasi non avessi parlato, e mi passò la rivista non appena ebbe trovato l'articolo a me dedicato.

Non avevo mai dato peso ai gossip, anche perché avevo imparato che sapevano gettare fango su persone alla mercé di un pubblico troppo condizionato da ciò che leggeva e che, nel bene o nel male, si sarebbe fatto un opinione di loro, vera o falsa che fosse, senza tener presente i suoi veri sentimenti, la sua vera vita, quella fuori dai riflettori.

Non era un vero e proprio articolo, quanto piuttosto delle foto che occupavano intere pagine e qualche didascalia di spiegazione accanto, le solite notizie.

< Strano non abbiano inventato niente, questa volta. > Ironizzai, passandole nuovamente il giornale e afferrando un altro biscotto.

< Uhm... forse perché siete stati così disponibili da concedervi ai flash durante le vostre coccole. > Rispose.

< E' stato Robert a lasciarsi andare così; fosse stato per me, mi sarei nascosta da qualche parte, anche se non abbiamo niente da nascondere e i giornalisti non sono più un problema. > Riafferrai la rivista, cominciando a sfogliarla a caso, senza prestarvi troppa attenzione, fin quando non scorsi una figura familiare, abbigliata con una maglia bianca e un jeans semplice, occhiali da sole e barba, quasi a camuffarsi.

< Ehi, non è Tom, questo? > Riflettei ad alta voce, ma Alex era troppo impegnata con i miei biscotti per ascoltare, così voltai pagina e non ebbi dubbi sul fatto che fosse proprio lui, perché la foto era così grande e nitida che solo un cieco non l'avrebbe riconosciuto. Questa volta, però, le figure erano due: Tom accompagnato da quella che doveva essere una ragazza, all'apparenza irriconoscibile, visto che aveva il volto nascosto da un enorme cappello di paglia a tesa larga e manteneva lo sguardo basso.

Nuova coppia all'orizzonte? Recitava il piccolo trafiletto, corredato da una terza foto dove i due si baciavano appassionatamente, appena fuori da uno Sturbucks.

Assottigliai lo sguardo e avvicinai di più la rivista per tentare un'identificazione: avrei giurato fosse Alex, quantomeno dal taglio di capelli e dalla mini-gonna a balze bianca che le avevo visto indossare centinaia di volte.

< Confessa: sei tu, vero? > Praticamente le sbattei le foto sotto il naso, mentre lei si ritirava spaventata dal mio gesto repentino, lasciando cadere metà biscotto sul parquet.

Osservò le foto e lesse il trafiletto, dopodiché, cambiò colore, diventando paonazza.

< Non ci posso credere! Siamo stati attenti! > Sbottò, fissando la parete e non me.

< Non puoi pretendere di camminare per Oxford Street con una celebrità e non essere fotografata da almeno un paio di paparazzi. > Sorrisi. Non sapevo che la sua relazione con Tom si fosse evoluta così rapidamente.

Avevano ricominciato a frequentarsi soltanto due mesi prima, senza considerare le uscite tutti insieme dei primi tempi, subito dopo la riconciliazione e l'ammissione delle proprie colpe. Alexandra aveva chiarito che voleva andarci piano, non voleva correre e a Tom era sembrata la cosa giusta da fare, senza contare che si comportava come un ragazzino alla sua prima cotta: le augurava una buona giornata dopo averla accompagnata in libreria, salutandola con un bacio sulla guancia, le telefonava il pomeriggio per sapere se era troppo stanca, se aveva avuto molto lavoro e se doveva annullare i loro programmi per la sera e poi la passava a prendere all'ora di chiusura con una rosa, facendo arrossire lei e sorridere me e gli ultimi clienti. Stava facendo le cose per bene ed ero sicura che Alex lo meritasse, meritasse di essere trattata così, meritasse qualcuno in grado di farla sentire speciale così com'era.

< Avrei dovuto immaginarlo! > Sbottò.

< Non è così grave, no? Siete usciti allo scoperto ed è una cosa positiva. > Ribattei, incoraggiandola.

< Lo è? > Chiese, guardandomi persa, stranita.

< Sì, sì che lo è, lo è eccome! Non dovrete più nascondervi e, superato il periodo di caos iniziale, i paparazzi si stancheranno di voi e vi lasceranno in pace. > Risposi. Era esattamente quello che era accaduto a me e a Robert.

< Pensi che stiamo correndo troppo? > Mi chiese. Sorridevo e mi si stringeva il cuore al pensiero che Alex fosse cambiata così tanto in così poco tempo, che fosse tornata un'adolescente alle sue prime esperienze con i ragazzi.

< Se senti che è giusto, non stai correndo troppo. E poi sono davvero felice per voi! Insomma, siete adorabili insieme! > La abbraccia, per quanto potessi permettermelo e la vidi sorridere felice.

 

Quella sera, ancora prima di andare a letto, ancora prima di realizzare che, finalmente, dopo dieci settimane di assenza e dopo centinaia di telefonate e sms, Robert era a casa, ancora prima di prendere in considerazione l'eventualità che avrei potuto partorire da un momento all'altro, sentii che c'era qualcosa di strano nell'aria, nell'atmosfera che si respirava in casa e non dipendeva solo dal fatto che non ero più sola e che non avrei più condiviso il letto con un orsacchiotto di peluche perché svegliarmi tutte le mattine con accanto il vuoto era troppo deprimente. Forse dipendeva dal fatto che Robert era così felice al pensiero che, dopotutto, era a casa e non si era dovuto perdere la nascita di suo figlio, che anch'io mi ero rilassata inconsapevolmente e fu solo quando, già sotto le coperte, in attesa che lui mi raggiungesse a letto dopo una doccia, avvertendo una fitta al basso ventre decisamente poco usuale, che realizzai che, forse, l'atmosfera in casa era diversa perché tutto sembrava in fervida attesa di qualcosa o di qualcuno.

Robert mi trovò con gli occhi chiusi, stretti, una mano sul pancione e l'altra che arpionava un lembo delle lenzuola.

< Che succede, dolly? > Mi domandò apprensivo, sedendosi accanto a me e accarezzandomi i capelli. Aveva indosso ancora l'accappatoio e una nuvola di profumo di vaniglia mi invase le narici quando allungò una mano verso di me, facendomi tornare a respirare.

< Credo che... insomma... forse ci siamo. > Risposi.

Strabuzzò gli occhi e la sua espressione sorpresa e meravigliata, per un attimo, mi fece prendere in considerazione l'idea di ridere, se solo non fosse risultato piuttosto indelicato.

< Vuoi dire che stai per... > Lo studiai per qualche istante, in attesa che pronunciasse la parola partorire, ma l'unica cosa che era in grado di fare, era gesticolare e stropicciarsi i capelli ancora umidi.

< Non ne ho idea; ho sentito una fitta piuttosto forte al basso ventre e non mi era mai successo prima, perciò... > Feci spallucce.

< E' presto, no? Voglio dire, manca ancora una settimana! > Era preoccupato, riuscivo a leggerglielo negli occhi.

< Beh, non è così presto e la dottoressa mi aveva avvertita, in ogni caso. > Quasi nessun bambino, ormai, nasceva il giorno esatto delle previsioni dell'ostetrica.

< Credi che dovremmo andare in ospedale? > Chiese. Mi fece una tenerezza unica, perché era chiaro che non avesse idea del cosa fare e di come farla.

< Suppongo di sì; potrebbe essere un falso allarme, ma meglio controllare comunque. > Scostai le coperte e mi misi seduta, mentre osservavo Robert cominciare a vestirsi in tutta fretta.

La nostra stanza da letto, ormai, traboccava di oggetti per neonati: giocattoli, sonagli, tutine di tutti i colori, una culla ancora da montare, un passeggino, carta da parati con palloncini e orsacchiotti e secchi di vernice. Avevamo deciso di sistemare la vecchia stanza degli ospiti, considerato che non la utilizzava più nessuno e Robert, prima della partenza per Vancouver, si era dato da fare per smantellare il vecchio mobilio. Nell'attesa, avevamo sistemato tutto il necessario nella nostra stanza da letto, in un angolo, tanto che sembravamo degli accampati. Era divertente, però e sapeva di futuro, di qualcosa che avremmo messo su con le nostre sole forze.

Quindici minuti dopo eravamo in viaggio verso l'ospedale, anche se non avevo accusato più nessuna fitta e nessun dolore. Fortuna che avevo preparato la borsa per il piccolo o la piccola tempo addietro, altrimenti avrei perso soltanto tempo a scegliere copertine e tutine varie.

< Tutto bene? > Mi chiese Robert, lanciando un'occhiata a me e una alla strada.

Annuii.

< Bene. Forse era un falso allarme. > Pensai ad alta voce, facendo spallucce.

All'accettazione avevo spiegato il mio problema, qualche minuto più tardi, Robert che mi stringeva la mano, e l'infermiera aveva subito comunicato l'urgenza all'ostetrica di turno che ci accompagnò in un piccolo laboratorio radiografico, aiutandomi a stendere per eseguire un'ecografia.

Sembrava fosse proprio arrivato il momento: la posizione del bambino era quella giusta e tutti i parametri sembravano normali.

Fu in quell'istante che mi resi conto, probabilmente, che di lì a poche ore avrei stretto tra le braccia un bambino tutto mio, tutto nostro. Non importava quanto avrei dovuto soffrire, non importava se sarebbe stato difficile o meno, volevo solo conoscerlo, fargli capire che gli volevamo bene, che gliene avremmo sempre voluto e che avremmo cercato di essere dei buoni genitori per lui.

Anche Robert aveva paura, una paura diversa dalla mia: era quella per cui non riuscivi nemmeno a pronunciare una frase di senso compiuto, quella per cui saresti potuto svenire da un momento all'altro, quella che voleva dire solo una cosa: non sentirsi all'altezza; eppure io ero sicura che sarebbe stato un ottimo padre, così come per me si era rivelato un ottimo fidanzato.

Quando decise di accompagnarmi in sala parto, avrei voluto tenerlo lontano, dirgli che non era obbligato, ma la determinazione nei suoi occhi mi fece desistere e così gli permisi di stringermi la mano e di accarezzarmi i capelli.

Tre ore dopo stringevo tra le braccia un fagottino rosa di due chili e ottocentonovantasei grammi.

< Avete deciso come chiamarla? > Ci chiese Clare, osservandola dormire pacificamente nella culla che avevano posizionato accanto al mio letto.

Ero stremata e avevo avuto modo di dormire soltanto un'ora, prima dell'arrivo dei miei genitori e di quelli di Robert.

< Pensavamo Susy o Lily. > Rispose Robert, sorridente. Alla fine avevo lasciato decidere tutto a lui, perché la bambina gli assomigliava in maniera incredibile: stessi capelli biondi, stessi occhi azzurri profondi e stessa espressione dolce.

< Susy è perfetto. > Tom la sollevò in braccio, miracolosamente senza svegliarla, e cominciò a cullarla, camminando avanti e indietro per la stanza sotto lo sguardo attento di Robert e Alexandra.

< Come ti senti? > Robert si sedette accanto a me, sistemandomi qualche ciocca di capelli dietro l'orecchio.

< Bene, ma non credo di riuscire a reggere per molto. > Ammisi con un sorriso, lasciandomi andare alle sue carezze.

< Posso mandare via tutti, se vuoi. > Scherzò, avvicinandosi per baciarmi una guancia.

< Non sarebbe una cattiva idea, voglio dormire. > Misi il broncio e lui sorrise, baciandomi le labbra.

< Sai che ti amo e che questo è il secondo miglior regalo che potessi farmi? > Congiunse la fronte alla mia e mi guardò negli occhi, sincero e felice.

Aggrottai le sopracciglia.

< E il primo quale sarebbe? > Chiesi curiosa e confusa.

< Dirmi che vuoi ancora sposarmi. > Mormorò.

Portavo ancora il vecchio anello di fidanzamento che mi aveva regalato anni addietro, prima dell'incidente e della mia conseguente perdita di memoria, per cui, mi sentivo, in qualche assurdo modo, già sua, già sua moglie.

< Conosci già la risposta. > Gli feci una linguaccia. < Assolutamente sì. > Continuai, baciandolo ancora e cominciando, senza essermene neanche resa conto, a piangere di felicità.

Era tutto quello che avevo sempre desiderato, tutto quello di cui avevo sempre avuto bisogno ed era vero, reale.

Non avrei potuto chiedere di meglio.

 

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Robert Pattinson / Vai alla pagina dell'autore: Frytty