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Autore: The Half Blood Pierrot    28/12/2011    1 recensioni
Si tratta di una one shot scritta per un concorso a tema natalizio. Beh, non si respira propriamente un'aria di festa. È il Natale di Severus Piton. L'ultimo Natale del Principe Mezzosangue.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Severus Piton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Questa FF è in gara all'interno di un concorso natalizio organizzato da una fan page su Facebook. 
Se qualcuno fosse interessato a votarla, si trova QUI



{ N.d.a.: Anche questa immagine è stata da me personalmente realizzata.  Nel caso in cui
qualcuno fosse interessato al suo utilizzo, è pregato di farmelo presente e di usare i credits. }
 


« ...chiamarmi schifosa Mazzosangue? Ma chiami così tutti quelli come me, Severus. Perchè io dovrei essere diversa? »
Un Piton quindicenne stava per ribattere, ma con uno sguardo sprezzante la ragazza dai capelli rossi si voltò e varcò il buco di un ritratto...
Un altro Piton, molto più vecchio, osservava la scena. Non era se stesso che guardava, non aveva bisogno di osservare la sua patetica disperazione. Erano passati vent’anni, ma l’unica cosa che aveva potuto fare era stato nasconderla dietro una doppia maschera.
Non è mai seria la sorte, quando traccia il cammino dell’essere umano: Severus aveva sempre sentito una tensione verso l’unità, verso l’unico amore, l’unica passione, l’unico interesse, l’unico “colore”; eppure il solo modo per assecondare quell’inclinazione si era rivelato essere quello di passare attraverso una dualità che arrivava a toccare, in alcuni momenti, la totale depersonalizzazione dell’attore.
Le prime volte che si era trovato lì, Severus non aveva saputo resistere allo slancio che partiva dalle sue viscere e lo spingeva in avanti, per tentare di afferrare la mano della ragazza che scompariva attraverso il ritratto... e quanto era stato frustrante sentirsi risucchiare, percepire il proprio corpo che scivolava via, lontano - lontano di pochi metri, ma di molti anni. E anche questa volta, pur rimanendo immobile, dopo qualche istante si ritrovò con i piedi posati su un pavimento di legno scuro, vicino al muro incurvato di una stanza circolare, con gli occhi neri e appena appena lucidi rivolti verso la superficie argentea dei ricordi che sembravano quasi danzare, ipnotizzanti, all’interno dei Pensaoio.
Si costrinse a distogliere lo sguardo, voltandosi con uno scatto rigido, come se l’imponente mano della volontà lo avesse preso per le spalle e lo avesse spinto violentemente a farlo.
Era consapevole delle decine di paia d’occhi puntati su di lui, una cosa che senz’altro lo intimidiva e disturbava, ma alla quale soggiaceva inerme, ché in lui il rispetto nei confronti di Hogwarts e delle sue tradizioni era troppo grande per assecondare il desiderio di far portare via i quadri che ritraevano coloro che avevano guidato quella scuola prima e meglio di lui.
Per quanto si sforzasse di ignorarli, tuttavia, c’erano due occhi azzurri ai quali proprio non riusciva a restare indifferente: Albus Silente continuava a fissarlo attraverso i suoi occhiali a mezzaluna, come quando era ancora in vita, era ancora un uomo. Era stato in grado di scrutare il suo animo in profondità, giacché scavava senza pudore, e non c’era Occlumanzia che potesse tenere, perché non era la mente ad interessargli. Tutte le volte che il vecchio Preside l’aveva osservato in quel modo, Severus aveva provato un misto di disagio e ammirazione, quel il timore reverenziale che può nascere solo dalla meraviglia, dalla meraviglia della scoperta della verità nascosta dentro una formula apparentemente vaga e indistinta. Gli occhi... erano veramente, dunque, lo specchio dell’anima! Quelli di Silente avevano portato in lui questa conoscenza latente al livello della coscienza, e sotto questa nuova luce aveva ripensato a tutta la sua vita, aveva visto cose nuove e tutto era risultato più chiaro, più sensato - anche il motivo per cui tutto in lui era dominato da uno sguardo di un verde sconfinato.
“Non potevo fare nulla, allora. Sapevo, ma non capivo...” I rintocchi di un orologio dentro la stanza interruppero il corso dei suoi pensieri, seguiti come un’eco lontano da quelli, più cupi e ovattati, del grande orologio sulla facciata del castello. Mezzanotte.
« Buon Natale, Severus » disse Silente. Era stato il solo a parlare, gli altri ritratti avevano ormai imparato ad evitare di rivolgergli la parola. Piton lo guardò per qualche attimo ancora, poi ritornò, senza parlare, vicino al Pensatoio. La sua bacchetta giaceva lì accanto, la prese e la usò per riappropriarsi di quei ricordi accuratamente selezionati, pronti per la fine. Ripose al suo posto il bacile di pietra ornato di rune e raccolse da un tavolino un piccolo sacchetto di velluto nero. Si spostò poi nuovamente nei pressi del quadro di Silente, alle spalle della scrivania, sulla quale era adagiata una spada scintillante, con il nome del proprietario, Godric Grifondoro, inciso sulla lunga e affilata lama. La sua mano si strinse attorno all’elsa tempestata di rubini, la sollevò e cominciò a spingerla, con cautela, all’interno del sacchetto, nel quale doveva evidentemente esserci molto più spazio di quanto ci si potesse aspettare, senza che ciò impedisse a Severus di farlo poi sparire dentro una tasca della sua tunica.
Ancora una volta, sollevò lo sguardo su Silente, che evidentemente era rimasto tutto il tempo ad osservare i suoi movimenti.
« Buona fortuna. » disse questa volta il ritratto dell’anziano mago, ma di nuovo non ricevette risposta, non una risposta verbale, per lo meno.
Severus si congedò con un cenno del capo e lo superò. Raggiunse la finestra, la aprì e una folata di vento gelido lo investì, dandogli la sensazione di essere appena stato schiaffeggiato da un pupazzo di neve. I fiocchi avevano smesso di cadere, ma anche nell’oscurità si poteva distinguere il manto bianco che ricopriva ogni cosa. “È vero” pensò Severus, “Natale... A quanto pare, quest’anno farò un regalo a Potter.” Uno sbuffo di cinica ironia fuoriuscì dalle narici del suo naso adunco. “Non illuderti, Potter. Per me è un giorno come tutti gli altri. Un altro giorno in cui farò tutto per lei. L’unica differenza è che per farti arrivare a questa spada dovrò mostrarti qualcosa che... cosa importa? Tanto, come al solito, non capirai. Non capirai niente.”

   
 
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