C’è chi è convinto che un omicida non sia altro che un
omicida, una persona spregevole, senza cuore e senz’anima, addirittura. Qualcuno
pensa che non meriti altro che friggere sulla sedia elettrica.
Ma non è così, non per
tutti gli omicidi, almeno.
Io ad esempio ho ucciso, ma
non mi ritengo un sanguinario assassino. Mi definirei un artista, piuttosto. Il
più grande di tutti i tempi, oserei persino aggiungere. Ma nessuno mi
prenderebbe sul serio; d’altronde, nessuno di questi grandi difensori della
giustizia ha potuto ammirare la meraviglia della mia geniale opera. Un peccato,
dico sul serio. Si sono persi la nascita di una vera e propria stella, il suo
primo sfavillio in un cielo di mediocre e sterile benpensantismo. Eh sì, devo
ammettere di essere un principiante, ma, ve lo assicuro, non significa niente.
Il vero talento non ha bisogno di esperienza. E si vede dai
risultati.
Posso ancora sentire il
caldo odore agrodolce del sangue che stilla dalla giugulare. Un’estasi
prolungata nel tempo: cosa c’è di più artistico e di più talentuoso se non saper
comunicare emozioni durature? Che lavoro perfetto, il mio. Il minimo sforzo per
il massimo risultato.
Un corpo così bello e
giovane giace ora immobile sull’asfalto freddo di Via M. Una via così poco
trafficata! Lo troveranno quando la neve avrà già raffreddato ogni sua pulsione
umana, quando la sua pelle sarà ormai livida e secca. Sarebbe bellissimo poterla
vedere, quella donna così splendida e dalla bellezza così affascinante, vestita
nel suo cappotto rosso, con la pelle leggermente violacea. Uno spettacolo
impareggiabile: una statua umana, una statua che ha respirato, che ha conosciuto
l’ebbrezza del vivere. Perfettamente realistica, assolutamente
reale.
Pensate ancora che io non
sia un artista? Che sia solo uno scaltro calcolatore che uccide a sangue freddo?
Niente di più sbagliato, amici miei. Come sono affrettati i giudizi degli
uomini, come sono poco fantasiosi e tremendamente prevedibili.
Lei era innamorata di me,
avevamo appena fatto all’amore e le sue labbra profumavano ancora di passione.
Ed era arrabbiata con me, per un motivo futile, incredibilmente futile. Come
sono piccole le cose che fanno arrabbiare le donne; hanno una forza d’animo
invidiabile, ma non sono in grado di sfruttarla al meglio. Il massimo sforzo per
il minimo risultato.
E comunque era arrabbiata e
mi urlava contro ed aveva gli occhi diversi e la pelle tirata, la bocca
deformata. Aveva perso ogni sua bellezza; quella sua sobria, semplice, fresca
bellezza si era trasformata in un’aggressiva, sterile, strabordante bruttezza
furiosa. Non potevo sopportare un tale sfregio, la profanazione di un capolavoro
della natura. Era troppo, per me, e sarebbe stato troppo per qualunque artista,
per chiunque ami davvero la bellezza.
E mentre lei urlava, io non
riuscivo a pensare. E’ stato l’istinto a guidarmi o, meglio, il talento. Sono
riuscito a trovare il modo per riportare quel volto allo splendore originario,
donandogli, anzi, un incanto maggiore: il misterioso fascino della morte, il
velo greve e cupo della triste mietitrice.
E mentre lei
urlava, io afferrai un coccio di vetro da terra e mi avventai su di lei. E’
curioso come la casualità, a volte, aiuti le azioni umane o, addirittura, le
indirizzi verso differenti conseguenze. Se nessuno avesse rotto quella
finestra, io non avrei potuto portare a compimento la mia opera d’arte, non
avrei potuto riaggiustare ciò che la rabbia stava
rovinando.
E mentre lei si dimenava
incredula, io riuscii a trafiggere il suo collo delicato e pallido. E’
indescrivibile la sensazione che si prova quando si affonda la lama nella carne
umana. E’ inesprimibile la forza del brivido che s’impossessa di te, quando
senti il sangue sulla mano.
E mentre lei moriva,
cercando di conquistare gli ultimi respiri, io la guardavo, pervaso da una
soddisfazione disumana, da un orgasmo che cresceva in me, esponenziale e
incontenibile.
Qualcuno dirà che sono
pazzo e io non potrò negarlo, perché la pazzia è un elemento indispensabile per
gli uomini dotati di vero talento. E non proverò vergogna, a sentirmi chiamare
“matto”, perché la follia è ciò che realmente segna il confine tra una persona
che ha valore e una che non ne ha alcuno. Se non si è folli, non si è niente di
speciale.
E, fiero della mia follia,
cammino verso il mio polveroso appartamento, a qualche isolato dal cosiddetto
“luogo del delitto”. La neve bagna i miei pantaloni di panno sottile e attutisce
i miei passi lenti e misurati. Il silenzio della città che ancora dorme è ciò
che attribuisce ulteriore splendore a questo attimo, ciò che lo rende irreale e
quasi astratto, collocandolo al di là delle cose umane, su un piano
incomprensibile per tutti coloro che entro breve si sveglieranno e si recheranno
nei loro spogli uffici.
Non era mia intenzione convincere nessuno di voi banali lettori né del mio genio, né, tanto meno, della mia innocenza. Per questo mondo arretrato e ignorante in materia artistica, sono colpevole e indifendibile. “La sentenza è già scritta”, titoleranno i giornali di stasera e di domattina. Sarebbe inutile cercare di scappare, sarebbe come rinnegare il mio capolavoro e non ho alcuna intenzione di farlo. Aspetterò domani per poter vedere le foto sul giornale, godendomi la sensazione di aver creato qualcosa di incomprensibilmente sublime.
E’ difficile spiegare come mi sia venuta in mente questa storia a partire dalla traccia che mi è stata data (volevo postarla in modo da farvela sentire, ma non saprei come!). Inizialmente ho pensato ad una danza vorticosa e quasi violenta, come un tango particolarmente appassionato, talmente appassionato che porta ad una drammatica conclusione. Mi si è accesa la lampadina! Perché non descrivere un omicidio, un omicidio non banalmente passionale, ma anche artistico? Ecco, credo sia così che è nata questa storia.
A presto,
Miss Dark