Spencer se
ne stava accoccolato tra la soffice coperta con la testa dolcemente poggiata
sul cuscino del suo letto, il sonno lo aveva temporaneamente abbandonato. Guardò la piccola radiosveglia che troneggiava
sul comodino al suo fianco, erano appena le sei di mattina. Decise che era
troppo presto persino per lui per alzarsi, dopotutto era in vacanza, e dopo
tutti i musei e altri monumenti italiani che Clelia gli aveva fatto visitare il
giorno precedente si sentiva piuttosto stanco. Si girò dall’altra parte e provò
a richiudere gli occhi, ma senza nessun risultato: il sonno non decideva a
tornare. Dopo svariati tentativi si ritrovò a girarsi tra le mani il ciondolo
del braccialetto che la ragazza gli aveva donato prima di partire, e a fare
quello che al dottor Reid veniva meglio: pensare. Pensava a lei, a quanto erano
stati piacevoli e intensi quei pochi giorni in sua compagnia; poi i ricordi lo portarono
fino al primo giorno in cui la vide, nella sua mente era ancora chiara
l’immagine di quella ragazza dagli eccentrici capelli che si avvicinava a lui
con il viso imbronciato, pensò a quanto in una settimana la ragazza fosse
cambiata e a quanto si fosse legato lei. Ma questo lo portò a pensare anche a
lui, che non riusciva a dirle quanto le fosse mancata in quei mesi, e che non
riusciva a dirle che forse dopotutto si era innamorato di lei. Scosse la testa
come a voler allontanare quel pensiero, come se il fuoco dell’amore si potesse
semplicemente spegnersi soffiandoci sopra. Cambiò di nuovo posizione, ma ancora
una volta i pensieri ebbero la meglio su di lui, la mente lo portò di nuovo a
Clelia, in quegli ultimi giorni aveva trovato qualcosa di strano in lei, come
se lei gli nascondesse qualcosa o forse qualcosa che lui non era riuscito a
capire, malgrado la sua brillante dote da profiler. Era diversa dalla donna che
gli aveva dato il ciondolo, qualcosa nei suoi occhi così blu, quegli occhi che
non si sarebbe mai stancato di guardare; era cambiato, quel bagliore che grazie
a lui era riuscita a riaccendere si stava spegnendo. Ancora una volta Spencer
si girò nel letto, con lo sguardo restò a fissare il soffitto fino a che non
vide una figura minacciosa avvicinarsi a letto. Un ombra tozza che si avvicina
a piccoli passi verso di lui, sempre di più; finché con un balzo non arrivò sul
suo letto. Quasi spaventato il ragazzo si mise a sedere e lo vide, sul suo
letto proprio affianco ai suoi piedi c’era Mefistofele. Se ne stava seduto
sulle zampe e lo guardava fisso, era dal primo giorno in cui aveva messo piede
in quella casa che il gatto continuava a fissarlo da lontano con quel aria
minacciosa. Gli occhi che nella semioscurità della stanza brillavano e i ciuffi
di pelo rosso cremisi davano alla sua figura un aspetto ancora più inquietante,
guardandolo il genio capì perché Clelia avesse scelto quel nome per lui. Cercò
di muovere i piedi per allontanarlo, ma ricevette dal gatto solo un grande
sbadiglio, poi Mefistofele, con il suo solito passo felpato iniziò a camminare
verso di lui. Sapeva che era solo un gatto, ma Reid ebbe lo stesso paura e
dovette trattenersi per non chiamare Clelia. Quando il gatto arrivò all’altezza
del suo petto capì finalmente le sue intenzioni: udì il forte rumore delle sue
fusa, e come se avesse letto i suoi pensieri in segno di risposta il gatto
prese a strusciare la sua testa contro il corpo del ragazzo. Intenerito dalla scena
il ragazzo allungò la mano,se pur ancora incerta, e la poggiò sulla sua testa
come per accarezzarlo, la risposta del gatto fu chiara: le fusa divennero
ancora più forti e per rispondere alla carezza del ragazzo gli strofinò la
testa sotto al collo e sulla guancia. A spencer scappò un sorriso, mentre il
gatto si beava delle sue coccole.
“Allora è
tutta scena la tua! Tu e Clelia fate tanto i duri ma poi infondo siete due romanticoni!” il genio della BAU si ritrovò a parlare con
un gatto, che nel frattempo si era acciambellato intorno al suo braccio godendo
ancora delle sue carezze. Il tepore che emanava la pelliccia di Mefistofele, e
il dolce ritmo delle sue fusa favorirono la venuta del sonno anche al ragazzo
che in pochi minuti si abbandonò a Morfeo.
Nell’altra
stanza Clelia bevendo la sua quarto tazzina di caffè non riusciva più a
trattenere le lacrime, che venivano giù come pioggia. Invani erano i tentativi
di Noemi, che lei stessa aveva chiamato alle cinque del mattino, di cercare di
tirarle su il morale.
“Ma
gliel’hai detto?” sussurrò Noemi all’orecchio della ragazza che era scossa dai
singhiozzi.
“No! Non
voglio rovinare questi pochi giorni che ho da passare con lui, raccontandogli
di quanto faccia schifo la mia vita!” la ragazza era caduta in una forte crisi
di pianto, l’ennesima da quando aveva lasciato l’America.
“Ti prego
Clelia, non dire così! È un momentaccio tutto qui, ma passerà tranquilla!”
cercò di calmarla la piccola ragazza, accarezzandole i capelli.
“Non credo
che passerà…” disse Clelia asciugandosi le ultime
lacrime e cercando di riprendere il suo naturale controllo.
“Bè comunque
io ti consiglio di parlargli, forse lui potrà aiutarti…”
continuò la ragazza sinceramente dispiaciuta per quello che stava accadendo all’amica.
“Ma cosa gli
dico? Che mi sono licenziata perché il mio lavoro mi ricordava di lui, che mi
hanno sfrattato e che se non fosse stato per te che mi hai ospitato qui a casa
tua sarei finita sulla strada? Che come una ragazzina mi sono innamorata di lui
in solo una settimana? Dai non posso dirgli questo..” disse tutto d’un fiato la
rossa mentre le sue guance diventavano paonazze prendendo quasi la stessa
sfumatura dei suoi capelli. Dentro la sua mente regnava il caos, da una parte
aveva voglia di dire a Spencer tutto quello che la tormentava e di reclamare a
gran voce il suo aiuto, dall’altra non voleva farlo sentire responsabile o di
dargli anche il peso dei suoi problemi. Noemi come se avesse letto i suoi
pensieri la strinse forte tra le se braccia: Clelia doveva molto a lei, quando
era rimasta senza casa l’amica, anche se la conosceva solo da pochi mesi, l’aveva
ospitata nella sua casa ,dato che lei sarebbe andata a vivere con il suo
fidanzato, senza chiederle niente. Ed era sicura che con la loro compagnia
Noemi e Agnese le avevano salvato anche un po’ la vita. La ragazza cercò di
consolare ancora Clelia, poi andò via lasciandola sola. La rossa Finì di bere
il suo caffè e si alzò dal tavolo, camminando in punta di piedi si diresse
verso la camera degli ospiti, la camera dove stava dormendo Spencer. Spinse
piano la porta e affacciò la testa per guardarlo: il suo amico dormiva stretto
con il suo gatto, le si strinse il cuore, e una lacrima ancora le solcò il
viso, avrebbe dato la vita per trovarsi lì a fianco a lui.