- Quella volta che ringraziai segretamente un certo Kurt Cobain.
Ascoltavo una canzone d'addio e il tempo si è fermato.
La canzone proseguiva ancora, le immagini scorrevano senza fermarsi, davanti ai miei occhi dall'aria sospesa.
Alla fine tirai su col naso e ascoltai un'altra canzone.
E parole di sublimi anime in pena mi supplicarono di dar loro ascolto: loro ci provarono a vivere, anche se l'immensità delle cose li aveva schiacciati.
Vinse sul loro corpo, non sul loro spirito.
Mi dicevano di cantare con loro, imitando quella commozione che avevano nel cuore, perchè non gli era rimasto nient'altro.
Lo feci e riuscii a dirti quello che, in realtà, tentavo di dirti dal primo momento che ti ho ritenuto più importante di qualsiasi altra cosa.
- Tu sei la mia casa.
Dissi prendendoti le mani tra le mie. Mi hai guardato con un cipiglio preso alla sprovvista.
- Cosa?
- Tu sei la mia casa, ecco cosa. Io...non credo di avertelo detto mai. Te l'ho detto mai?
Hai sbattuto gli occhi una o due volte. Sconcertato proprio.
- Ehm, non saprei. Non lo ricordo, amore...
- No. Non te l'ho detto mai. Voglio lasciare intatto il mio spirito, anche se il mio corpo verrà schiacciato. Voglio lasciarlo dimorare in te, perchè sei l'unico scrigno capace di contenermi.
Rare volte sono stata così convinta di quello che dicevo. Rare volte mi hai guardata in quel modo.
- Non dovresti nemmeno dirmele, queste cose.
Hai mormorato avvicinando la tua testa alla mia.
- Perchè? E' quello che provo, è colpa tua se sei l'unico capace di farmi esistere.
Avevo allontanato la mia testa dalla tua.
- Perchè io queste cose le so già. - Mi hai riavvicinata a te.
- Perchè anche tu sei la mia sola casa...
Quella notte dormimmo con la serenità dipinta sul volto, dopo aver pianto a lungo.