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Autore: Alessia_Way    31/12/2011    1 recensioni
Bella. Una ragazza che ha molti problemi, sia personali che familiari. Non sa cosa significhi per lei la parola AMORE, una parola del tutto nascosta, non presente nella sua vita. Ma qualcosa di inaspettato arriverà, lei del tutto inconsapevole di ciò, che la cambierà, stravolgerà la sua persona.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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*Sospira*
E' meglio che prima leggete e poi... beh, si. Ci vediamo giù ;)





Do not leave me 27 (Pov Edward)

10 mesi dopo… 23 Dicembre
Sospirai, per l’ennesima volta.
Dieci mesi senza Bella.
Era andata via. Mi aveva detto addio, sul serio. Era stata una donna di parola.
Pensavo che tornasse, pensavo che fosse andata a Seattle da qualcuno, o da qualche altra parte per un paio di settimane, ma mi ero sbagliato. Non era più tornata.
“Mi dispiace, Edward. Non so dove sia andata. Mi ha lasciato un biglietto, dove diceva che era partita, ma la sua meta non me l’ha scritta”, mi aveva risposto Alice, quando le chiesi dove si trovava Bella. Mi aveva risposto, però, con un tono… strano, indeciso, che nascondeva qualcosa. Ma non ci avevo badato molto.
Poi, esattamente una settimana prima di Natale, lei era partita per Londra.
“Perché stai partendo?”, le avevo chiesto, mentre lei si stava sistemando le valigie.
Aveva esitato prima di rispondere, “Ci sono… dei miei cugini. Siccome sono sola, sto andando da loro”.
Oramai Alice era diventata come una sorella per me. Non se l’era presa con me, quando le avevo confidato il litigio con Bella. Anzi, mi aveva confortato. Eravamo entrambi soli, senza Bella. Solo tra di noi potevamo capirci, gli altri non sapevano come alleviare il nostro dolore. Non era colpa loro, non potevano farci nulla.
Alice ed io, da quel momento, potevamo dirci di tutto e di più, ci fidavamo entrambi dell’altro. Ma quella volta, sembrava mi stesse nascondendo qualcosa. Lo notai dal tono in cui mi aveva risposto, lo stesso che aveva usato tempo prima, per la storia della lettera.
“Sicura? Non mi convinci”, le avevo detto.
“Secondo te, che cosa ci farei a Londra da sola?”, mi aveva fatto notare, “Ma sai, li mi aspetta una persona importante e non posso lasciarla sola. Ha appena cominciato a capire una cosa importante”.
Con questa frase, se ne era andata, lasciandomi un enigma piuttosto complicato in testa.
Spesso non riuscivo a dormire la notte: non riuscivo a non pensare a quella frase. Mi chiedevo sempre che cosa significasse, se centrasse qualcosa con Bella…
Per un lungo periodo, però, lasciai perdere. Troppo dolore mi consumava, pensando il suo nome.
 
 
Mancavano pochi giorni a Natale, e mia madre non poteva sprecare altro tempo: doveva velocemente acquistare i regali migliori.
“Su, Edward, fai una faccia più serena”, notò mia madre.
Erano passate ore dalla nostra partenza da casa per arrivare a Seattle, nel centro commerciale.
“Mamma, sono ore che siamo chiusi qui dentro, per dei stupidi regali. Dobbiamo ancora guardare molto?”, chiesi esasperato, mentre la osservavo scegliere un regalo per papà.
“Si. Devo prendere un regalo per Emmett, per Jasper, per papà… e non dimentichiamoci delle donne! Per Rosalie, per Alice, per Bella…”, e si bloccò, fissandomi con un aria di scuse.
Le avevo confidato tutto, dall’inizio alla fine. Dal litigio del ballo, evento che non potevo non dirle, al litigio che avevo avuto con lei mesi prima.
Sapeva che non era cambiato nulla. Sapeva che io soffrivo ancora per lei. Sapeva che non doveva tirarla in ballo nei nostri discorsi.
“Scusa”, sussurrò, accarezzandomi una guancia.
Le sorrisi debolmente, mentre una coltellata mi trafisse il cuore.
Bella.
Il pensiero del suo nome, scatenava in me la tempesta: dolore, vuoto, disperazione, odio, malinconia… e, in più, si aggiungevano quei maledetti ricordi! Tutti i nostri momenti felici, si aggiungevano a quelli brutti, i più brutti della mia vita.
Troppe volte mi ero trovato in quelle condizioni e non riuscivo a calmarmi: non respiravo bene, diventavo arrabbiato. Una volta, tanta era stata la rabbia in me, avevo rotto uno specchio con un pugno. Troppo era il dolore e non riuscivo a essere me stesso, perché diventavo un’altra persona, più furiosa e addolorata.
“Edward, stai bene?”, mi riscosse mia madre dai pensieri.
“Eh? Oh, si, si, sto bene”, risposi.
Poco dopo avermi lanciato uno sguardo confuso, tornò a guardare il bancone pieno di telefoni.
“Che hai intenzione di comprare a papà?”, chiesi curioso, ne tentativo di cambiare discorso.
“Non so. Visto che il suo cellulare, ieri, si è rotto, pensavo di comprargliene uno nuovo. Che ne dici di questo?”, e mi mostrò un BlackBarry di ultima generazione.
“Umh… troppo sofisticato! Sa romperli subito”, scherzai ridendo, seguito da lei.
“Tu dici? Non finirà come l’anno scorso, quando, per sbaglio, il suo I-Phone gli è scivolato dal comodino?”, ricordò anche lei. Quante imprecazioni aveva lanciato!
“Penso che secondo lui, questo andrebbe bene”, e le mostrai un altro BlackBarry, uguale al primo, solo un po’ meno sensibile.
“Mi piace! È molto carino. Prendo questo”, asserì, dopo aver controllato tutte le informazioni sul cellulare.
Uscimmo dal negozio di tecnologia, pieni di regali già pronti.
“Pensi che quell’aggeggio, sia perfetto per Emmett?”, mi chiese, curiosando dentro una busta arancione. Avevamo scelto, per Emm, un mp3 pieno di tasti e nuove applicazioni.
“Tranquilla. Lui ci sa fare”, la tranquillizzai, ma non fui molto sicuro delle mie parole. L’ultima volta, dopo aver premuto un tasto sbagliato, aveva formattato un mp4 in un solo colpo.
“Io, invece, sono sicura che a Jasper piacerà molto quel PC. Mi aveva detto che aveva un difetto e che non poteva più sistemarsi. Ho fatto bene secondo te?”, mi spiegò lei.
“Mamma, ma di cosa ti preoccupi? I regali sono perfetti, stai tranquilla”, le dissi e fece un sospiro. Tornò a fissarmi, più raggiante.
“Non dovrei dirtelo, ma lo faccio. Ho comprato un regalo anche per te”, ammise contenta.
“Spero non sia qualcosa di tecnologico”, le dissi.
“Tranquillo. Nulla di sofisticato e cose varie. Vedrai, ti piacerà parecchio”.
“Un indizio?”.
“Umh… non penso te lo dirò”.
“Come sei cattiva! Va beh, se la metti così, non voglio sapere niente”.
“Devi godertelo fino alla fine”.
“Come dici tu”.
Chissà che regalo mi avrebbe dato! Sotto sotto, ero davvero curioso.
Lasciai perdere e seguii mia madre dentro un negozio di vestiti femminili. Questa volta era davvero troppo.
“Io non entro di certo”, l’avvisai, fermandomi a pochi centimetri dall’entrata.
“Dai, vieni! Così mi aiuti a scegliere qualcosa per le ragazze”, mi invitò mia madre.
Sbuffai ed entrai.
Ricordavo ancora quando ero entrato nel negozio di intimo con Emmett, Rosalie, Jasper, Alice e… Bella.
Era come se fosse accaduto da poco, invece che mesi e mesi prima.
 
 
“Edward? Puoi venire qui, un momentino?”, mi chiamò Alice da dentro il negozio di intimo.
Mi voltai verso di lei e per poco, non persi i sensi. Fissai la creatura più bella dell’intero pianeta davanti a me, con aria sorpresa e maliziosa allo stesso tempo. Come diamine poteva essere così bella?
Era coperta da un completino di pizzo nero, che a malapena le copriva l’intero corpo. L’abitino le lasciava scoperte le gambe, lunghe e morbide. Per poco non mi venne un accidente.
Mi avvicinai, spinto dai ragazzi, e la vidi ridere contenta, forse a causa della mia faccia.
La presi per i fianchi e l’avvicinai a me, e la vidi arrossire pericolosamente.
“Se-e-e-e-e-e-i… davvero stu-u-u-u-penda”, balbettai deglutendo rumorosamente.
“Grazie”, mormorò maliziosa.
 
 
Sospirai. Quanto mi mancava! Nessuno poteva immaginarselo.
La sognavo in continuazione, mi sembrava di vedere i suoi capelli color mogano ogni giorno a scuola, la immaginavo seduta nel salotto di Alice, intenta a fare qualcosa. Qualcosa di lei, ogni giorno, risvegliava in me la voglia matta di vederla.
Mi sedetti in una sedia, vicino ai camerini e abbassai lo sguardo, triste.
Se ne è andata, a causa tua. Non tornerà più!, mi disse una vocina nella mia testa.
Mi tappai le orecchie, nella speranza non risentirla ancora.
Fattene una ragione! È tutta colpa tua!, continuò a dire la vocina.
“Edward? Edward, stai bene?”, una voce mi chiamò.
Sobbalzai spaventato, ma mi calmai vedendo il viso di mia madre.
“Tutto bene?”, continuò preoccupata.
“Si, mamma, scusa”.
“Bene, allora, possiamo andare. Ho preso tutto il necessario per le ragazze”, mi tese una mano, che accettai volentieri.
Tornammo a casa e lasciai mia madre in cucina per preparare la cena.
“Qualche preferenza Edward?”, mi chiese.
“No, mamma. Fai qualsiasi cosa e a me va benissimo”, risposi dalle scale.
Sentii una risata felice, poi un rumore di padelle e pentole aleggiava in cucina.
“Ehy Edward!!!”, esclamò Emm, vedendomi.
“Emmett”, risposi io.
“Siete tornati finalmente. Che cosa avete comprato?”, chiese curioso.
“Nulla che ti riguardi”, mentii, “Abbiamo comprato alcuni regali per Alice, Rosalie e…”, continuai ma non riuscii a finire la frase.
È tutta colpa tua!, la frase di prima mi rimbombò nella mente.
“Capito”, rispose deluso.
“Ma sono certo che ti avrà fatto un bel regalo. Non l’ha comprato con me ma… penso che sia qualcosa di bello”.
“Tu dici?”.
“Io dico. So come è fatta la mamma, ci tiene a queste cose. Non preoccuparti”, e lo lasciai andare, vedendolo più rasserenato.
Mi faceva tenerezza quell’omone alto due metri.
La sua curiosità mi faceva sciogliere, mi calmava, ma non sapevo spiegarmi il motivo.
Appena mi chiusi la porta alle spalle, mi sentii terribilmente stanco. La giornata era stata pesante.
Mi vestii con abiti comodi e mi sdraiai sul letto, finendo coll’addormentarmi.
Purtroppo il sonno non era stato ristoratore come sognavo: una voce insistente mi affollava la mente, di continuo.
Mi svegliai di soprassalto, sudato e stanco. Strizzai gli occhi e respirai a fatica.
È tutta colpa tua! È tutta colpa tua! È tutta colpa tua!
“Basta! Basta!”, esclamai, senza rendermene conto.
Mi tappai le orecchie con forza, mentre la voce continuava a ripetere la stessa frase.
Cacciai un urlo disperato, incapace di far smettere quella voce. Lacrime di dolore bagnarono il mio viso, senza un motivo valido.
Sentii dei passi dietro la porta. Si aprì, rivelando la figura preoccupata di mia madre.
“Edward”, mi chiamò agitata, venendo verso di me.
Appena si sedette accanto a me sul letto, mi buttai su di lei, piangendo.
“Tesoro, che è successo?”, mi chiese, accarezzandomi la testa, cercando di calmarmi.
Non risposi, e continuai a singhiozzare e a tremare.
Quando mi calmai del tutto, mia madre mi asciugò le lacrime, gesto che mi fece tornare un bambino indifeso di una volta.
“Tesoro cosa succede?”.
“Io, non capisco che cosa mi sta succedendo. Sento una voce, che continua a ripetermi che è tutta colpa mia. So a cosa si riferisce. È perché Bella se ne è andata. Io… non posso continuare in questo modo. Mi manca”, spiegai.
Mi abbracciò delicatamente.
“Ti capisco. Sono i sensi di colpa. Non riesci a capacitarti all’idea che Bella se ne sia andata. Tutto intorno a te ti sembra inutile senza di lei e vorresti sistemare le cose, con scarsi risultati. Quindi, pensi che sia stata colpa tua e vorresti rivederla ancora una volta, nella speranza che tutto torni come prima”, constatò ed io annuii, concordando con le sue parole.
Mi staccai da lei a la guardai.
“Non so cosa fare”.
“Vedrai che arriverà il momento in cui tu capirai cosa dovrai fare. Sai aspettare no?”.
“Certo ma…”.
“Nessun ma! Forza vieni a mangiare”, e si alzò, tendendomi ancora la mano.
Il mio salvagente. Mia madre mi aveva tirato su molte volte. Mi salvava da qualsiasi cosa. Mi capiva e sapeva cosa doveva consigliarmi. Non potevo far nulla senza di lei.
L’accettai, ancora una volta, lieto che mi avesse aiutato ancora. Se non ci fosse stata lei, sarei rimasto nell’abisso del mio dolore.
Le dovevo tanto e potevo solamente ringraziare il Signore per avermi mandato, anni e anni fa, una madre così affettuosa e generosa come lei.
“Mamma?”, la chiamai.
“Si?”, e mi rivolse un suo smagliante sorriso.
“Grazie. Grazie di tutto”.
Quasi si commosse e venne ad abbracciarmi.
 
 
25 Dicembre. Ore 7:00 del mattino.
Quel giorno la sveglia mi era suonata prestissimo. Mi alzai assonnato e controllai l’ora: segnava le sette del mattino.
Stavo per rimettermi a dormire, quando una scatolina azzurra, che stazionava nel comodino, attirò la mia attenzione.
Mi misi a sedere, presi la scatolina e l’aprii: c’era una busta bianca, indirizzata a me, e sotto c’era un biglietto aereo per Londra.
“Che cosa…”, sussurrai e aprii di fretta la busta, dove c’era una lettera. Stirai per bene il foglio e cominciai a leggere.
 
Caro Edward,
Buon Natale!
Ti avevo detto che ti avrei regalato qualcosa che ti sarebbe piaciuto. So che adesso starai pensando che cosa significa ed è l’ora che te lo spieghi.
Non posso più vederti soffrire in questo modo, non ce la faccio. Vederti in quello stato, sapendo il motivo, il mio cuore si frantuma, e sai che sono così.
Voglio aiutarti e ho capito, grazie a una persona, che cosa devo fare. Se non fosse stato per lei, non ti avrei mai e poi mai mandato a Londra.
Il volo è fissato per le nove, così arriverai a destinazione prima del previsto.
Non venire da me per farti spiegare il motivo di questa partenza così affrettata, non pensare a me… pensa a Londra e pensa a ciò che penserai di vedere.
Arrivato in albergo, ci sarà una lettera a darti il benvenuto. Lì capirai cosa devi fare.
Adesso, senza fare domande, fatti la valigia e parti.
È dura per me, lasciarti andare in questo modo il giorno di Natale, ma c’è un motivo valido che scoprirai.
Perché ti mando a Londra? Semplice. Ci sarà una persona ad aspettarti, che ha tanto bisogno di te. Ha appena capito una cosa importante e che tu sai.
Adesso vai, non svegliarmi, parti senza pensieri sulla testa. Arrivato lì, capirai tutto.
Non mi è concesso dirti più nulla, dovrai scoprire tutto da solo.
Ti voglio bene, tesoro mio.
Buon Natale.
Mamma.
 
Cosa? Che diamine aveva progettato mia madre? Un volo per Londra? Cosa…
Come mi aveva detto lei, mi alzai di fretta. Dovevo ascoltarla, non avevo tempo da perdere.
Dopo essermi fatto la doccia, aprii la valigia e la poggiai a terra, cominciando a riempirla di vestiti.
Quanto tempo sarei rimasto a Londra? Tanto o poco?
Rivuotai la valigia e scelsi un bagaglio a mano maneggevole e comodo, uno zainetto. Lo riempii dello stretto necessario e mi vestii con i soliti abiti.
Scesi in cucina e trovai già la tavola apparecchiata. Il caffè doveva essere solamente riscaldato. Finito quello mi catapultai in auto.
Col tempo che avevo perso in camera per cambiarmi e scegliere i vestiti da portare, si erano fatte le otto e mezza.
Parcheggiai nel parcheggio dell’aeroporto e andai a fare il check-in.
Mancava poco che chiamassero il mio volo, perciò mi affrettai ad arrivare di fronte il corridoio dell’imbarco.
Seduto in poltrona, mi lasciai andare contro lo schienale, sospirando.
In che casino mi aveva messo mia madre? Soprattutto, dove mi stava portando?
 
 
Pov Bella
“Oh, suvvia Alice, smettila!”, sgridai Alice, ma sorrisi felice.
Mi aveva torturato per entrare in un negozio di intimo ed era da un bel pezzo che continuava a “venerarmi” perché un mini completino, che mi aveva fatto provare, mi stava davvero bene. Solo che, ad ogni complimento, arrossivo di continuò.
“Oddio! Sei bellissima! Cambiati e lo ritorni a me, così lo pago”, rispose lei, spingendomi verso il camerino.
“No, Alice! Lo pago io, tranquilla”.
“No, no! Il vestito lo scelto io per te, come regalo di Natale. Visto che continui a dire che ti piace, te lo prendo”.
Sospirai sorridendo e abbracciai quell’uragano che tanto mi stava a cuore. Aveva fatto parecchio per me, mi aveva aiutato nei momenti più difficili e non potevo rimanere senza di lei. Avevo fatto bene a spedirla a Londra da me per passare il Natale insieme. Almeno non sarei rimasta sola.
Avevo recuperato tutto, tutto il tempo perso. Avevo capito tutto, ricordato ogni singolo momento passato, ogni singolo giorno passato con… Edward…
Edward. Quanto mi era mancato in quei mesi.
Anche se mi aveva fatto soffrire, non riuscivo a non pensarlo durante il giorno: pensavo di vederlo accanto al mio letto, addormentato, con quel sorriso sghembo, che tanto amavo, sul viso; oppure di vederlo nella mia cucina, intento a prepararmi la colazione; oppure sotto la soglia di casa mia, premuroso nell’accompagnarmi ovunque volessi.
Dopo aver riacquistato la memoria, mi ero resa conto che vivere senza di lui era come vivere senza l’ossigeno, senza l’aria. Mi sentivo morire… ogni giorno che passava, ripensavo al modo in cui l’avevo lasciato, cacciato da casa mia.
Mi ero pentita dell’azione che avevo compiuto quel benedetto giorno. Dovevo pensare, prima di agire. Ma non l’avevo fatto.
Scossi la testa ed entrai nel mio camerino. Mi cambiai ed uscii, lasciando il vestito ad Alice. Pagò e, dopo avermi presa a braccetto, uscimmo definitivamente dal negozio.
Il suo cellulare squillò. Ci fermammo sul marciapiede, lasciando che la neve ci coprisse lievemente.
“Pronto?”, rispose e le si illuminarono gli occhi, “Jasper! Tesoro mio! Grazie!”, esclamò felicissima, “Auguri anche a te”, poi fece una pausa, “Io tutto bene! Si, qui è davvero magnifico”, pausa, “Oh! Si, è qui con me”, mi guardò e mi mimò, con le labbra, “Ti saluta la famiglia Cullen”. Sorrisi e poi continuò a parlare al telefono, “Esme? Oh! Si, passamela subito. Ti amo”, e poi aspettò, “Esme! Auguri”, pausa, “Allora? Come è finita? Tutto fatto?”, pausa, “Si! Perfetto!”, squittì, “Ok! Alle 18:00. Fantastico. Bene, adesso ti lascio. Buon Natale e salutami gli altri. Baci”, e la vidi staccare la telefonata. Sospirò contenta, prima di posare il cellulare nella borsa.
“Successo qualcosa?”, chiesi indagando.
“Eh? No, no, tutto apposto. Mi aveva solo fatto gli auguri”, rispose lei.
“E come mai hai detto “Alle 18:00. Fantastico”?”, notai quella frase che non mi era sfuggita.
“Nulla di speciale. Siccome mi aveva detto del regalo per suo marito e mi aveva confidato che cosa aveva in mente di fare, cose del genere”, rispose noncurante.
“Capito”, risposi annoiata, lasciando perdere di indagare su una cosa per nulla importante.
Camminammo per qualche ora per le strade di Londra, bianche e sempre affollate.
Quando una folata di vento gelido colpì me e Alice, ci chiudemmo i nostri cappotti pesanti.
“Non vedo l’ora di tornare a casa. Ho le mani ghiacciate”, disse lei e ci affrettammo per arrivare a casa.
Chiusa la porta, ci togliemmo il cappotto e Alice accese il camino di fretta e furia.
Quando ero arrivata a Londra, avevo trovato, in pochi minuti, un appartamento piccolo ma spazioso per una persona. I soldi che avevo portato durante il viaggio, mi erano bastati. Avevo trovato anche un lavoretto, con la quale mi mantenevo abbastanza bene: cameriera in un ristorante a tre stelle.
Preparammo il pranzo e mangiammo in silenzio.
Poco dopo, Alice mi diede la busta con il mio vestitino, quello che avevamo comprato nel negozio di intimo, e un'altra busta, sconosciuta.
“E questa?”, chiesi, fissando il fardello nelle mie mani.
“Niente di che! Un regalino”, rispose.
La fissai con gli occhi sbarrati. Un altro regalo?
“Su, cosa aspetti! Aprila”, mi incitò e obbedii.
Dentro la busta, si nascondeva una scatola, contenente un cellulare molto sofisticato.
“Il tuo era troppo vecchio e andato. Ho pensato di regalartene uno nuovo”, ammise e corsi ad abbracciarla.
“Grazie Aly. Sai che non dovevi. Bastava anche il vestito”.
“Di nulla! Puff, che vuoi che siano! Li ho spesi bene i miei soldi, per cose utilissime”, e mi fece ridere.
Mi staccai da lei e corsi verso l’albero di Natale, che aveva fatto insieme ad Alice, in salotto. Presi il suo regalo e glielo porsi.
“Non dovevi!”, esclamò, aprendo la busta.
“Oh, si che dovevo”.
La busta conteneva un pigiama natalizio, con delle stelline sparse per i pantaloni, bianco e rosso, con disegnato un albero di Natale e su scritto “Buon Natale e dolce notte” a caratteri cubitali.
“Questo si che mi terrà calda la notte. Grazie Bells”, e corse ad abbracciarmi.
“Di nulla”.
Passammo l’intero pomeriggio a commentare i nostri regali, sedute sul pavimento del salotto, accanto al camino.
Mi misi a guardare il fuoco e un viso comparve tra le fiamme rosse. Era uguale: lo stesso taglio di occhi, il sorriso stampato, il naso perfetto, i capelli disordinati…
Chissà cosa starà facendo in questo momento…
Poi fissai i regali sotto l’albero, soffermandomi su una busta in particolare. Gli avevo fatto un regalo, che forse non avrebbe mai e poi mai ricevuto.
Non mi accorsi che si era fatto buio: troppe risate e parole con Alice, mi avevano fatto perdere la cognizione del tempo.
“Emh, Bella! Io devo scappare. Sono le 20:00 e ho un appuntamento importantissimo. Sono pure in ritardo”, mi avvisò Alice, alzandosi in piedi.
“Con chi?”, la fissai, con aria interrogatoria.
“Con un mio vecchio amico che conosco e che non vedo da tempo”. Non sapevo avesse amicizie anche dall’altra parte del mondo.
“Ah, d’accordo”, e la vidi scappare al piano di sopra.
Pochi minuti dopo era già pronta e sistemata.
“Bells, io non so quando torno. Tu mangia anche senza di me, può darsi che questo mio amico mi inviti a cena. Però devi fare una cosa”, mi disse.
“Cosa?”.
“Alle… 23:30 devi catapultarti in aeroporto”.
“Perché?”.
“C’è James che è appena venuto a Londra e voleva parlarti. Mi ha telefonato questa mattina, dicendomi che oggi pomeriggio partiva per venire qui. Gli avevo detto che tu eri qui e voleva incontrarti”.
“James? Oh, va bene”.
“Ok, allora… ciao”, mi salutò, lasciandomi un bacio nella guancia.
Che cosa ci faceva James qui? Era veramente venuto da me per parlarmi?
 
 
Pov Edward
Dopo nove ore di viaggio, stancanti e per nulla rilassanti, arrivai nell’aeroporto di Londra.
Non ci ero mai stato, perciò mi era tutto nuovo.
L’aria natalizia si sentiva più forte, rispetto a Forks. Già, dall’aspetto interno dell’aeroporto, la città dava il benvenuto nel migliore dei modi.
Vagai per l’enorme aeroporto, perdendomi nella meraviglia dei festoni e della gente che passava. Molti si davano il ben tornato, altri si salutavano. Io non avevo né salutato né visto una persona. Mi sentivo terribilmente solo.
Raggiunsi, a passo pensate, col mio zaino, l’uscita e chiamai un taxi. Presi la scatolina e dettai al guidatore la via che doveva percorrere. Partì a tutto gas, ed io sprofondai nel sedile posteriore.
Arrivato a destinazione, scesi dall’auto.
“Buon Natale, signore!”, mi augurò il guidatore sorridendo.
“Grazie, anche a lei”, risposi felice.
Mi diressi alla reception e suonai il campanello.
“Buonasera e buon Natale. Come posso aiutarla?”, mi rivolse la parola un uomo ben fatto e cordiale.
“Salve emh… le chiavi della stanza numero 119, per favore”, risposi, sempre leggendo il foglietto della scatola.
“Subito”, rispose l’uomo e si dileguò, tornando, poco dopo, con una chiave in mano, “Ecco a lei. Chiamo un cameriere per aiutarla con i bagagli… o forse per trovare la camera”, disse, notando che avevo solamente un bagaglio a mano. Mi fissò confuso.
Al mio fianco, si materializzò un ragazzo, sorridente e cordiale.
“Prego signore, se vuole seguirmi”, mi fece cenno di seguirlo e obbedii.
Arrivato nella mia camera, mi misi alla ricerca della lettera che mi aveva detto mia madre. La trovai posizionata sul comodino, chiusa e con scritto il mio nome.
La aprii e la lessi.
 
Benvenuto a Londra!
So che pensi, in questo momento, in che casino ti abbia messo tua madre ma… è meglio per ENTRAMBI.
Siccome non posso vedere soffrire te e LEI, mi sono messa in contatto con tua madre.
Edward…
Per me sei come un fratello. Non posso vederti in queste condizioni.
Alle 20:00 preparati per un appuntamento al Lounge Bar, così parliamo.
Adesso rilassati, il viaggio sarà stato lungo e pesante.
A stasera.
Baci.
Tu sai chi!
 
Alice!
Era stata lei a parlare con mia madre, per progettare questo viaggio!
Ma chi era questa LEI? L’avrei vista? E soprattutto… la conoscevo?
Troppe domande, ancora una volta. Mi buttai sul letto e chiusi gli occhi, stanco e assonnato dal viaggio.
Il mio cellulare di botto squillò. Mi misi a sedere di scatto e risposi alla telefonata.
“Buon Natale, Edward!”, un grido dall’altro capo del telefono mi fece sorridere.
“Grazie, anche a voi!”, risposi, ben consapevole di chi fossero quelle voci.
Sentii un rumore, poi una voce parlò, “Eddino ci lasci soli per Natale? Come puoi fare questo ai tuoi cari fratelloni? Ti abbiamo fatto qualcosa? Eh? EH?”, su Emmett a parlare e io risi.
“Emm, smettila! Sai che è stata la mamma a mandarlo lì”, fu Jasper a farlo stare zitto.
“Prima che mi addormenti, che sono stanco morto, mi passate mamma?”, dissi io e poi mia madre rispose.
“Tesoro, sei arrivato finalmente? Come stai? Andato bene il viaggio?”.
“Si, mamma, grazie”.
“Allora… emh… hai letto la lettera? Trovato tutto?”.
“Si, ho letto tutto”.
“Bene. Adesso hai capito perché ti ho mandato lì?”.
“Si, mamma, ma ancora devo capire una cosa, poi sarò lieto di ringraziarti come si deve. Se è per una cosa inutile, non penso che lo farò”, scherzai e rise.
“Sono certo che, a dovere, mi ringrazierai. E ringrazierai anche Alice”, rispose.
“Giusto! Bene, adesso vado che sono stanchissimo. Voglio dormire. Ciao mamma”, salutai.
“D’accordo. Buona notte e buon Natale ancora”, salutò lei, staccando la telefonata.
Mi sdraiai ancora sul letto e chiusi gli occhi definitivamente, con il pensiero di quello che sarebbe successo di lì a poco.
 
 
Mi svegliai di soprassalto. Non ero riuscito a chiudere occhio in tutto quell’arco di tempo.
Notai che si erano fatte le 19:30. Mi alzai e, di corsa, mi lavai e mi vestii.
Presi la lettera, per ricordarmi dove dovevo andare e uscii di fretta dalla mia stanza.
Presi un taxi e, dopo aver detto al guidatore la meta, mi appoggiai allo schienale, per nulla rilassato.
Arrivai a destinazione. Pagai il tassista e scesi dall’auto, trovandomi di fronte l’entrata del bar.
Respirai profondamente e mi incamminai per entrare.
Non fu facile trovare ciò che cercavo: c’era un sacco di gente dentro il bar, che si faceva fatica anche a respirare.
Una mano, tra la folla, si alzò e si muoveva a destra e a sinistra. La fissai confuso, ma poi mi accorsi che era il braccio di Alice, che veniva verso di me.
“Finalmente sei venuto!”, mi salutò lei, abbracciandomi.
Ricambiai l’abbraccio, un po’ rigido, “Tutto bene, Edward? Sei stanco, al quanto vedo. Non hai riposato bene?”, chiese lei.
“No, purtroppo no. Non sono riuscito a riposare”, ammisi.
“Vieni con me, ti offro un caffè così parliamo”.
Ci sedemmo ad un tavolo appartato e ordinammo due caffè, che arrivarono molto in fretta.
“Allora, beh, tu sai perché sono qui, giusto?”, cominciò lei.
“Non ho ancora capito chi è questa LEI”.
Sospirò, “Ha bisogno di te”.
“Come posso capire chi è questa persona, se mi dici così?”.
“È ovvio”.
“Per me non lo è!”, sbottai ma poi mi bloccai.
Ha bisogno di te.
È meglio per ENTRAMBI.
Non posso vedere soffrire te e LEI.
Non poteva essere! LEI era qui!
“Dimmi che è qui!”, le dissi, alzandomi per cercarla.
“Cosa?”, chiese lei confusa.
Mi sedetti e la fissai, “Dov’è? Dimmelo ti prego. Ho bisogno di… vederla!”.
“Hai capito chi è?”.
“Non sono poi così stupido. Dimmi dov’è!”.
“Non posso dirtelo”.
“Perché no? Alice, sono passati dieci mesi! Non posso più continuare a non vederla. Ho bisogno di lei come lei ha bisogno di me. Sono stato uno stupido e… voglio chiarire al più presto”.
“E lo farai! Ho organizzato tutto!”.
“Che intendi dire?”.
“Alle 23:30. In aeroporto!”.
“Che cosa? In aeroporto? Come pretendi che, con quel casino che c’è lì, io possa vederla?”.
“Riuscirai a trovarla. Agli arrivi la vedrai. Devo andare! Non fare tardi, ti prego. Cercala ovunque”, mi disse e se ne andò, senza darmi il tempo di replicare.
L’avrei rivista! Si, l’avrei rivista! Non mi restava altro che aspettare.
Pagai i caffè e uscii dal bar, ansioso della serata.
La rivedrò! Finalmente la rivedrò!
 
 
Pov Bella
Ero intenta a prepararmi la cena, quando ricevetti un messaggio.
 
Ricorda che James atterra alle 23:30. Devi essere puntuale. Ti aspetta agli arrivi. Baci. A.
 
Wow!, pensai, Arriva tardi!
Mandai un grazie e una conferma ad Alice, poi mi dedicai alla cucina. Avrei mangiato una pizza fatta a mano.
L’impasto era già steso così, dopo averlo condito per bene, lo infornai.
Mangiai in silenzio, davanti alla TV in salotto, pensando all’incontro che avrei avuto con James.
Chissà che cosa vorrà dirmi. Forse perché non l’ho più avvisato che non venivo a quella cena, quando me ne ero andata. Chissà.
Finito di cenare, lavai con cura i piatti e tutto il resto, lasciando che il tempo passasse tranquillo fino all’ora stabilita per l’incontro.
Mi lavai il viso e mi vestii con abiti pesanti e uscii sotto la neve bianca di Londra, passeggiando per le strade illuminate dai decori natalizi.
Mi ritrovai a sospirare, pensando ad un possibile Natale insieme a Edward. Non riuscivo a stare senza di lui.
Perché?, chiese una vocina nella mia testa.
Perché lo amo!, risposi felice di quell’affermazione che aspettavo da tempo.
Lo amavo! Si, lo amavo davvero, con tutta me stessa e una vita senza di lui… sarebbe stato come vivere all’inferno. Io volevo il paradiso, e lui era la soluzione al mio problema.
Mi fermai, stanca di camminare. Avevo dimenticato che l’aeroporto era lontano, perciò chiamai un taxi.
Quella sera, l’aeroporto era affollatissimo, pieno di persone che si abbandonavano, o che si salutavano.
Io, quando ero partita, ero sola, senza nessuno. E lo ero stata per dieci mesi, fin quando non decisi di chiamare Alice per dirle di raggiungermi perché finalmente avevo capito chi ero veramente. Non volevo rimanere, poi, da sola, il giorno di Natale.
Purtroppo, con il casino che c’era, non riuscii a capire quando avrebbero chiamato il volo di James, che doveva partire da Seattle.
Guardai il tabellone e mi accorsi che c’erano moltissimi voli da Seattle.
Chissà in quale aereo si trova.
Mi sedetti in una sedia del bar, proprio di fronte agli arrivi, ad aspettare.
 
 
Pov Edward
Ero diretto verso l’aeroporto, più ansioso e felice che mai.
Pagai il tassista, augurandogli un felice Natale e mi diressi verso l’entrata dell’aeroporto, in ritardo.
Si, avevo fatto in ritardo perché per le strade del ritorno in albergo erano affollate. Per non parlare delle strade per arrivare in aeroporto!
Mi feci largo fra la gente, nella speranza di arrivare al più presto agli arrivi.
Poi, perché avrebbe dovuto trovarsi lì? Aspettava qualcuno? Alice le aveva detto che sarei arrivato io?
Con un pensiero positivo in testa, mi misi a correre nel corridoio vuoto che univa l’entrata con l’uscita degli arrivi.
Non riuscii a vederla.
Dove può essere?
La cercai ovunque, non rendendomi conto che c’era un bar di fronte l’uscita.
Guardai l’orologio e notai che mancavano pochi minuti a mezzanotte.
Se ne sarà andata? Avevo fatto troppo tardi? Avrà pensato che non arrivassi più?
Mi bloccai, e tutte le mie speranze andarono a farsi benedire.
Alzai lo sguardo verso gli arrivi, lontani da dove ero io, e notai una chioma color mogano, tanto familiari.
La ragazza si voltò alla sua destra, così da permettermi di fissarle il profilo.
È lei! Non ci sono dubbi.
Mi misi a correre verso la sua direzione, scontrandomi con qualche passante.
“Bella!”, urlai il suo nome, nella speranza che mi sentisse.
Dovetti ripeterlo molte volte, fin quando lei non si voltò.
Il suo viso era confuso ma poi si fece incredulo e sorridente. Vidi che correva verso di me. Mi fermai, aspettando che arrivasse.
Con un sorrisone sulle labbra, si buttò tra le mia braccia, singhiozzando.
La strinsi a me e annusai i suoi capelli, beandomi di quel profumo che emanavano, che mi era tanto mancato.
Alzò il volto e mi fissò, con quei occhi cioccolatosi e umidi, “Edward…”.
Sorrisi e, lentamente, appoggiai le labbra alle sue, baciandola dolcemente.
Quanto mi erano mancate quelle splendide labbra, morbide e carnose.
La baciai, con lentezza, gustandomi quel momento tanto atteso. Lei sorrise e contraccambiò il bacio, mettendo le mani tra i miei capelli, per attirarmi di più al suo volto.
Fu uno scontrarsi di lingue, una danza leggera, dolce, ma con un tocco di passione.
Quel bacio durò che mi parvero ore interminabili. Ci staccammo, ansanti e sorridenti.
Poggiai la fronte alla sua e la guardai.
“Edward… io…”, balbettò ma la bloccai con un bacio.
“Non dire nulla. Sono io quello che deve scusarsi”.
“No, anch’io! Sono stata io a lasciarti”, e nel dire quella parola, nascose il viso nel mio petto, “Mi sei mancato. Tanto!”.
“Anche tu, credimi!”.
Ricambiò stringendomi più a sé.
“Ti amo!”, dissi e mi parve di ritornare indietro, quando lo dissi per la prima volta.
“Ti amo anch’io”.
Mi guardò ancora una volta e, per la seconda volta, unimmo le nostre labbra, promettendoci che non ci saremo mai lasciati.
Avevo ritrovato il mio paradiso, e non intendevo lascialo ancora una volta.
Con me… sarebbe rimasta. Per sempre!
 

  


Lungo eh?
Non valeva farvi aspettare tanto! Dovevo dividerlo ma poi ho pensato che, proprio nel momento cruciale, non potevo farvi aspettare parecchio tempo per sapere come sarebbe finito tutto. Meglio così no? :D
E' bene che sappiate che... questo è l'ultimo capitolo *piange sommensamente*!
Ma non è ancora finita :D Chissà quando, posterò l'epilogo ;) Per sapere come finirà tutto :D
Allora, adesso c'è il momento dei ringraziamenti :D
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<3 Grazie tantissime *-*
E ringrazio anche a coloro che mi seguono nel mio gruppo Facebook *-* http://www.facebook.com/#!/groups/181860785241396/  *-*
Io, non so cosa dirvi a tutte :D Mi avete fatta sentire al mio agio qui :D Grazie a voi ho continuato a scrivere :D Grazie alle vostre recensioni *-* Che per me sono ossigeno *-*
Bene, adesso vado :)
Spero che questo finale vi sia piaciuto :D Perchè a me è piaciuto tantissimo *-*
Una recensione? xD
Sapete, l'ultimo capitolo xD Vorrei sapere se vi è piaciuto :D
Adesso vado che ho parlato troppo xD
Vi auguro un felice Anno nuovo *-* Che sia pieno di felicità e serenità *-*
Bacioni e a prestissimo *-*
Alessia

 Vi auguro un felice
   
 
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