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Autore: thenightsonfire    31/12/2011    5 recensioni
48 milioni di miglia, la distanza media tra Terra e Marte, la distanza che Jared sentiva tra lui e Mary.
La mia, personale versione della storia tra Jared e la Mary di Buddha for Mary.
Dall'Epilogo:
«Come faccio?» chiese Jared. «Anche se andassi a Los Angeles stesso, come posso essere sicuro di riuscirci?»
Mary soppesò le parole prima di rispondere.
«La tua voce è una di quelle che fa stare bene le persone. Fa stare bene me, e nessuno può sapere quanto ho provato a stare bene in altri modi, prima» disse poi sinceramente, spiazzandolo. «Tieniti stretto il tuo sogno e punta verso l’alto, Jared, abbatti tutti i muri di cemento contro cui dovrai lottare. Credici. Io ci credo.»
[...]
Stettero in silenzio per qualche secondo, poi Jared esclamò, con un mezzo sorriso: «Allora scriverò una canzone su di te».
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Attenzione, gente, Echelon ed estranei capitati in questo fandom per puro caso. Ho aggiunto una nota finale al primo capito che vorrei leggeste. Citando Jared, “gratzia” a tutti! Adesso mi tolto dai piedi, cominciate pure la lettura.

 

Capitolo 2.

Dicembre.


  «Mary was a different girl

Had a thing for astronauts

Mary was the type of girl

She always liked to play a lot

Mary was a holy girl

Father wet her appetite

Mary was the type of girl

She always liked to fall apart.»
 

 

«Tu ce l’hai un pianeta preferito?»

Jared, sdraiato accanto a lei, inclinò la testa verso destra. «Marte» rispose. Un lieve sorriso gli increspò le labbra.

Pensò a quanto fosse incredibile quella situazione. Fino a poche settimane prima (fino alla fine di Ottobre, per l’esattezza, quando si erano incontrati per la prima volta per parlare di quella relazione) non avrebbe mai pensato che sarebbero finiti a parlare dei loro pianeti preferiti nella sua camera da letto, con quell’atmosfera intima, ma era lì che si trovavano in quel momento.

Avevano incominciato incontrandosi due pomeriggi a settimana nella biblioteca della scuola (lei si era rifiutata di andare nella casa di uno dei due, e Jared si era chiesto il perché), poi gli incontri pomeridiani erano diventati più frequenti e – il sorriso di lui si allargò –, anche dopo la consegna della relazione avevano continuato ad incontrarsi.

Se c’era una cosa che Jared non aveva ancora capito di lei, però, era in cosa fingesse. Se fingesse di essere la ragazza dalle occhiaie profonde che andava con chiunque per della roba, o quella che adesso stava osservando il soffitto con aria distratta, con le labbra rosee dischiuse e l’espressione serena.

Certo, capirla non era facile, e lui non ci era ancora riuscito. C’erano giorni in cui lei sorrideva tranquilla e lo guardava con occhi pieni di fiducia, con lo sguardo puro di una bambina, e allora chiacchieravano come se si conoscessero da secoli. Poi c’erano giorni – i peggiori – in cui anche quando erano assieme lei non faceva altro che stare in un silenzio assordante, con l’aria distrutta, i capelli raccolti in una coda fatta alla bell’e meglio, gli occhi gonfi – ed era come parlare con un muro di cemento, lei c’era, lo sfiorava (dio, se lo sfiorava), ma non esistevano argomenti di conversazione, e lei si limitava a sguardi lascivi, battutine saltuarie, allusioni. E Jared si chiedeva cosa volesse, perché sorridesse in quel modo, mordendosi il labbro, o perché si scoprisse la spalla proprio mentre lui era chinato accanto a lei, benché fosse Dicembre e in quella biblioteca non esistesse sistema di riscaldamento. Si scopriva a chiedersi con chi fosse stata con una punta di gelosia – e, cristo, lui di ragazze ne aveva avute, cos’è che la rendeva diversa? –, dov’è che andasse la sera , chi era che la stringeva la notte, quando lei non gliel’aveva mai permesso. Si chiedeva perché, mentre lui le aveva raccontato tutto, di lui, della sua vita, della sua famiglia, lei tenesse lontano il discorso dalla sua, di famiglia, dalla sua vita.

Una volta Jared le aveva chiesto se potevano incontrarsi a casa di lei, perché la sua era ancora incasinata per via del trasloco, l’ennesimo, e lei gli aveva urlato contro che avevano già deciso dall’inizio di non incontrarsi a casa dell’uno o dell’altra, e aveva buttato i libri di Astronomia sul pavimento, urlando quasi in lacrime che non avrebbe dovuto chiederglielo mai più. Il giorno dopo lo aveva abbracciato – non l’aveva mai fatto – e Jared aveva pensato che se avesse avuto quella ragazza occhialuta davanti le avrebbe risposto: «Ho assaggiato il suo odore, ed è meraviglioso». Poi lei gli aveva detto, un po’ rossa, che non le importava degli scatoloni, casa sua sarebbe andata benissimo. Lei adorava il disordine.

È inutile, pensò Jared socchiudendo gli occhi per un attimo, dovrò abituarmi a questi cambi di umore.

«Anche il mio.»

«Posso chiederti perché?» chiese Jared.

Lei non rispose subito. Stette qualche secondo in silenzio, come soppesando le parole, e Jared pensò che qualcosa nella stanza era cambiato, l’atmosfera era improvvisamente diventata più pesante, lo sguardo della ragazza più cupo.

«Marte è il quarto pianeta in ordine di distanza dal sole, l’ultimo dei pianeti terrestri» cominciò. «Per le sue caratteristiche fisiche è abbastanza simile alla terra, da cui è distante, in media, circa 48 milioni di miglia, tanto da esserne considerato il pianeta “gemello” – simile, ma non abbastanza da avere presenza di acqua, e senza acqua non c’è vita. In più, la mancanza di ozono permette alle radiazioni ultraviolette del sole, letali per ogni forma di vita, di raggiungere la superficie. Non c’è vita su Marte, non può esserci. È il gemello inospitale della Terra» I suoi occhi sembrarono velarsi di lacrime. «Gli orbitano attorno due satelliti, Phobos e Deimos, “paura” e “terrore”. A causa della sua gravità ancora non si capisce come abbia fatto ad attrarli a sé... » Fece una pausa, si portò le mani agli occhi. «Capisci, Jared? Marte respinge ogni cosa che non siano paura e terrore, paura e terrore, ogni cosa, eppure ancora non riescono a capire come abbia fatto ad attrarli a sé. Questa è la vita su Marte.»

Aveva già smesso da un pezzo di parlare solo di Marte.

Le scostò le mani dagli occhi. Guardava il soffitto, gli occhi rossi.

Erano sdraiati uno accanto all’altra, così vicini da sfiorarsi, ma lui la sentì lontana molto più di 48 milioni di miglia. Non c’è distanza fisica che possa descrivere quanto lontano e sfuggente può essere uno sguardo.

«Ehi... » sussurrò.

«Respingo tutti, Jared» rispose piano. «Anche te, respingo anche te, quando so che lei l’unico che dovrei stringere. Mi sento morta dentro, non c’è vita in me, non nutro amore, e non capisco quando sia diventata così. Respingo ogni cosa, respingo tutti, traggo a me solo paura e terrore, respingo il buono. Ecco perché respingo te. Tu sei buono.»

Si girò di lato, e si ritrovò a guardarlo negli occhi.

«Forse dovrei smetterla di guardarti negli occhi» mormorò.

«Perché? Cosa c’è di male?» chiese Jared.

«I tuoi occhi.»

Jared la guardò stupito. Poi qualcosa in lei cambiò – di nuovo, dannazione. Sorrise leggermente, in modo malizioso, si mise seduta e inclinò la testa. Poi, velocemente, si mise a cavalcioni su di lui, si tolse di dosso la maglietta, rimanendo in reggiseno, e gli bloccò i polsi sopra la testa.

In tutto quel lasso di tempo Jared aveva continuato a guardarla, stupito, senza sapere cosa fare. Perché?, si domandò.

«Guardami, Jared. Ti piaccio? Tanto lo so che ti piaccio. Piaccio a tutti.»

E Jared la guardò, rimanendo in silenzio. Era magrissima, aveva quasi le costole di fuori. Il suo sguardo passò dal volto, dagli occhi arrossati, al collo, alle scapole sporgenti, i seni piccoli fasciati dal reggiseno bianco, la pancia piatta – poi, e rabbrividì e desiderò guardare da un’altra parte, notò dei segni violacei e delle cicatrici, sull’addome, sui fianchi, sulle braccia.

«Quindi ti piace Marte. Sai, Jared» sussurrò lei, inclinandosi verso di lui. Era a pochi centimetri dalle sue labbra. «Mi sono sempre piaciuti gli astronauti

«Cosa ti è successo?» chiese Jared, sentendosi improvvisamente con la gola secca.

Lei sbarrò gli occhi, gli lanciò un’occhiata tagliente. «Perché dovrebbe importarti? Non importa a nessuno di loro.»

Jared sentì la rabbia montare dentro di lui. Si tirò seduto e la prese per i polsi, impedendole di muoversi.

«Loro chi?» chiese, quasi urlando. «Rispondimi!»

Lei fece per baciarlo, ma Jared si tirò indietro.

«Cosa c’è, Jared, non vuoi giocare?» chiese lei, con una risata amara. «A me giocare piace un sacco.»

Lo vedeva dal suo sguardo, che lei non c’era davvero, che non lo ascoltava – che non voleva ascoltarlo.

«Non ti ho chiesto questo.»

«Perché ti importa?» ripeté lei, con voce quasi inudibile.

Me lo chiedo anche io, pensò Jared. Fino a qualche mese prima avrebbe colto l’occasione al volo, non gli sarebbe niente dei lividi e delle cicatrici, non gli sarebbe importato niente di lei, ma ora...

«Rispondimi e basta» disse.

Lei chinò la testa, ma non disse niente, e allora Jared poggiò la fronte sul suo sterno, socchiudendo gli occhi. Doveva farla parlare.

«Marte fu chiamato così per l’omonimo dio della guerra romano. Dio della guerra...» fece una pausa di qualche istante, fece un respiro profondo. «Io, mia madre, mio fratello abbiamo dovuto sempre combattere per andare avanti. Siamo sopravvissuti lottando da quando mio padre ci ha lasciati. Nessuno ci ha regalato niente, niente, anzi, la vita è stata dura da sempre, per noi. Per questo mi ci rivedo, per questo Marte è il mio pianeta preferito. Combattere per ciò che desidero è l’unica maniera che ho per andare avanti.»

Lasciò i polsi della ragazza e la strinse.

Era così fragile. Aveva paura di spezzarla tra le sue braccia. «Combatti, non lasciarti andare in pezzi» mormorò. «Se vuoi, combatteremo insieme. Ma non puoi combattere se prima non ti arrendi all’idea di doverlo fare.»

Fu allora che lei ricambiò la stretta, seppur debolmente. «È colpa sua, è tutta colpa sua, di quell’uomo.»

Jared la fece scostare e guardandola negli occhi le prese il viso tra le mani. «Quell’uomo chi?»

«Ero una santa ragazza, qualche anno fa, andavo tutte le domeniche in chiesa a pregare. Mi inginocchiavo e pregavo» disse lei, poggiando le mani su quelle di Jared.

«Chi è quell’uomo?» ripeté Jared con veemenza, scandendo le sillabe.

«Mio padre» rispose lei con un filo di voce, tormentandosi le labbra. «Mio padre. È orribile. Mi fa passare l’appetito. Non abbiamo soldi. Mi costringe a...» non riuscì a finire la frase. «Anche lui, Jared. Mi ha avuta anche lui. Mio padre

Dio, no. Quanto avrebbe desiderato non sentire. Era troppo orribile anche solo da pensare, una prospettiva del genere, ma Jared si sforzò di non lasciar trapelare alcuna emozione, soprattutto la rabbia e l’odio cieco che sentiva crescere dentro di sé.

«Non puoi continuare così. Lascia che ti aiuti.»

«Non puoi aiutarmi, nessuno può» disse lei, sorridendo amaramente. «È così che va. Io do il mio corpo in affitto per pagare l’affitto.»

«No!» esclamò Jared. «Ragiona, diamine, è inumano, prima o poi crollerai, e allora non ci sarà più nulla da fare. Cos’è, ti piace l’idea di cadere a pezzi o cosa?»

«Forse mi piace» rispose lei. Tremava. «Forse mi piace sentirmi cadere in pezzi. Forse sentire dolore è meglio che non sentire niente, forse è l’unico modo per non sentirmi completamente morta.»

Jared scosse forte la testa, stringendola più forte il viso, quasi a farle male, poi lei sussurrò: «Se vuoi aiutarmi, baciami. Fammi sentire che anche Marte può essere vivo».

E Jared ubbidì. La baciò di slancio e lei ricambiò, passandogli le mani tra i capelli corti, e per i minuti e le ore che seguirono le 48 milioni di miglia sembrarono sparire, annullarsi, e – anche se Jared non lo sapeva – assieme a loro, per la ragazza, sparirono anche paura e terrore.


Nota dell’autrice: come avete visto, c’è stato un salto temporale: sarà così anche per i due capitoli successivi. Non essendo una long, ho dovuto stringere – e di molto. Inoltre, l’intento era proprio quelli di offrire solo dei momenti della storia tra i due.
Come avrete già capito, i versi iniziali saranno quelli di cui poi avrò dato una spiegazione all’interno del capitolo.
P.S. Grazie vivamente a coloro che hanno commentato. E ora mi tolgo dalle scatole, davvero.

 

 

   
 
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