6 .
A te, Giulietta.
Erano passati pochi giorni ed era
arrivata l’ora di tornare a
casa.
Per la scuola ci volevano ancora
due settimane, perché, a causa
della commozione celebrale, non dovevo né studiare,
né impegnarmi troppo.
Al contrario di ci che dicevano i
medici, per me il PC ed il
cellulare non erano degli sforzi, quindi quei giorni vivevo su di essi.
Lo ammetto, un po’ lo
facevo anche per non tornare a scuola
presto.
-Dobbiamo andare!!-
Esclamò mamma. Sorrisi.
-Prima passiamo a prendere le gomme
che ho un sapore di vomito in
bocca…-Le risposi. Sbuffò ridendo.
Alzai un sopracciglio e scesi dal
letto.
Passammo per il bar e poi uscimmo
da quel posto malinconico e
piuttosto lontano dall’istituto scolastico.
Ebbi quasi l’impulso di
correre per rientrarci. Sentii un clacson
e mi girai verso destra.
Venni avvolta da un forte calore
quando vidi gli stessi occhi
verdi della pista di pattinaggio,
un brivido gelato successivamente
mi percorse la colonna
vertebrale quasi facendomi
sussultare quando vidi le sue
labbra carnose. Sorrisi e lui
ricambiò
scese dall’auto di mia
madre cedendole le chiavi.
-Non si trovava parcheggio, mi
dispiace.- Le disse con un sorriso
timido e pieno di imbarazzo, poi mi disse “ciao”
scoccandomi un bacio sulla
guancia.
Arrossii come un pomodoro.
-Fa niente, almeno stavolta non ho
dovuto spendere soldi. Dì un
po’…dove sei stato tutto questo tempo?- Mia madre
aveva un talento
nel mettere n soggezione la
gente…
-A cercare parcheggio.- Rispose.-
Uhm, a proposito, ti devo
dare questo.- Proseguì tirando fuori una scatoletta.
Lo guardai dubbiosa e poi guardai
ciò che mi aveva dato, me lo
rigirai tra le mani per dieci secondi contati.
Non potevo credere a ciò
che stava accadendo.
-Bec…aprilo.- Mi
incitò. Aprii il coperchio, poi alzai il capo.
-Bec?- Domandai. Mi venne un groppo
in gola che non riuscivo a
mandare giù.
-Certo è un soprannome.
Non ti piace?- Rispose. Sorrise.
-Certo che si! È solo
che mio padre mi chiamava così, ma tu lo
rendi migliore, ti giuro.- Spiegai.
Feci un sorriso forzato e poi
guardai nella scatoletta che mamma
aveva già puntato.
Appena lo vidi mi venne incontro di
nuovo il calore di prima.
-Daniel,
è…è…fantastico!- Esclamai.
Trattenni una lacrima
dispettosa.
Era un ciondolo a forma di cuore
con sopra la mia iniziale in quel
corsile regale che usano solo i re nelle lettere importanti.
-Questo è un regalo di
guarigione.- Annunciò. Lo guardai. “Dai,
mandami qualche segnale!” pensai, ma niente
m’arrivò.
-Ma dai, sono solo un cerotto in
testa ed i postumi della
commozione celebrale!
-E a te sembra poco?-
Domandò. Sbuffai.
-Cioè, volevo dire
grazie.- Lo abbracciai. Mi strinse.
Quando io
stavo per
lasciare la presa lo sentii che mi stringeva ancora, poi mia madre
tossì e si
staccò lasciandomi un vuoto dentro che mi lacerava.
Quasi non caddi, ma mentre lui mi
reggeva tenevo stretta la
scatolina col ciondolo.
-Mettimelo.- Lo invitai.
Sorrise e lo presi per un si, poi
gli porsi la scatoletta e mi
girai,
poi alzai i miei capelli e sentivo
le sue mani sulla mia pelle che
prendevano la collana e me la infilavano.
Sentii una di esse toccare la mia
che reggeva i capelli,
facendomeli scivolare dritti sulla schiena.
-Fatto- Mi disse, ma non
lasciò ancora la mia mano.
Sentivo qualcosa dentro tipo un
fuoco accesso. Lo desideravo così
tanto!
Salite in macchina che avete
bloccato il traffico.
Ridemmo, ma era veramente
così e non avevo ancora sentito i
clacson che suonavano ininterrottamente.
Lui entrò. Mia madre mi
porse il cappello. Non volevo che tutti vedessero
il mio cerotto.
-A te, Giulietta.- Disse mentre me
lo dava. Entrai in auto
sorridente.
-Che hai? –
Domandò Daniel col suo incantevole accento.
-Te lo dico se indovini.- Dissi
mettendo la testa sulla sua
spalla.
Non mi importava se non volesse,
tanto avevo capito che almeno un
po’ gli piacevo,
solo che se non me lo diceva, era
così. Mi accarezzò i capelli,
come in ospedale aveva
fatto più di una volta.
Era venuto a trovarmi, senza Ashley, però
c’era sempre mia
mamma e chi poteva parlarci come
amica che voleva essere qualcosa
di più.
-Ti va di tornare alla pista
domani?- Chiesi. Percepii che
sorrideva.
-Può venire alla pista
di pattinaggio domani?- Chiese a mia madre.
Lei sbuffò.
-Ti fai male, Rebecca.-
Commentò.
-Ci penso io.- Intervenne Daniel.-
In America facevo l’assistente
dell’istruttore di Hockey nella cittadina di mia nonna.
-Forte- Feci quel commento che non
irritò nessuno per una volta
nella mia vita.
-Sicuro?
-Certo.- Esclamò lui.
-Ok. Ma non mi venite a chiedere
auto se vi fate male.- Disse lei.
-Mi lasci andare da sola con lui?-
Ma perché non mi stavo zitta un
attimo.
Ci fu il solito silenzio di
tensione, poi disse: - Si –
Gioii in silenzio solo con
movimenti delle mani e poi mi strinsi
addosso a Daniel.
-Se hai sonno ti puoi
addormentare.- Disse dolcemente.
-No.-Dissi in preda ad uno
sbadiglio. Crollai.
***
-Oddio mi sono addormentata!-Urlai
al mio risveglio.
-Si e stavi anche dicendo
“Quanto è bono Daniel”,
“Quanto mi piace
Daniel”- Ripose, appunto, Daniel. Arrossi, come al solito.
-Ti sta prendendo in giro.- Mi
avvertì mamma.
-Ti approfitti di un momento di
debolezza!- Lo accusai.
-Un momento? Ma se sono tre ore che
dormi!
Capii subito dov’ero.
Ancora in auto!
-Tu dovrai andare.
-Devo.
-Ciao.- Lo salutai e gli diedi un
bacio a stampo sulle labbra.- Scusa.
-E di che.- Mi disse sorridendo. Mi
restituì il bacio a stampo e
poi se ne andò.
Mi mancò subito, ma non
dimenticai quel malinteso/per niente
malinteso.
Come
Vedete Ho Aggiornato!
Vorrei
che recensiste in molti
per una volta.
Che
vi cosa? Mica vi dico di schiantarvi
con l’auto dal ponte di Brooklyn.
Già
è difficile arrivarci fin lì
Comunque
spazio ai commenti!