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Autore: rolly too    31/12/2011    3 recensioni
«Ehi!» lo chiamai ad alta voce, cercando di sovrastare il rumore della pioggia. La voce mi uscì più roca e vibrante di quanto avessi immaginato, ma non ci feci caso. Lui non rispose. Non si mosse, e non diede nessun segno di avermi sentito. «Ehi!» ripetei più forte, e solo allora si voltò verso di me. Una macchia di sangue scuro gli copriva la parte sinistra della fronte e il liquido scarlatto, unito alla pioggia, gli era colato sul volto e sulla maglietta inzuppata di acqua. Rabbrividii, mentre il cuore iniziava a rimbalzarmi in bocca e mi coglieva un fortissimo senso di nausea. Mi si offuscò per un attimo la vista, mentre il fischio nelle orecchie si faceva insopportabile. Che cosa avevo fatto?
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A lizzyred, perché mi ha fatto tornare la voglia di continuare questa long.



Giovedì 27 Novembre

Ines mi telefonò nel primo pomeriggio, appena uscite da scuola.
«Dove sei?»
«Quasi alla fermata dell'autobus.»
«Bene, torna indietro e vieni subito vicino al bar, dove andiamo di solito a fare colazione.»
Il suo tono aveva una nota di urgenza e quando mi comunicò il luogo in cui dovevo recarmi capii subito che c'era qualcosa che non andava, e immaginai anche cosa. Il bar era in una via piccola e poco frequentata, e non era raro trovarci qualcuno che litigava. Se poi i due rivali erano Gioele e Gabriele, tutto si spiegava.
Corsi fin lì con l'intenzione di prendere Gabriele per il collo e soffocarlo, intimandogli di lasciare in pace Gioele, ma quello che vidi quando arrivai mi sconvolse a tal punto che non riuscii a spiccicare una parola.
Al centro del gruppo di curiosi che seguivano la scena c'erano Gioele e Gabriele, come mi ero immaginata. Ma era Gabriele quello a terra, con la bocca insanguinata e il cappotto strappato. Gioele, in piedi di fronte a lui, con le mani affondate nelle tasche, guardava il cielo con disinteresse.
Mi avvicinai a Ines e vidi che con lei c'era Sandro.
«Che diamine sta succedendo?»
«Gabriele pensava di fargliela pagare.» rispose Sandro. «Ma Gioele dev'essersi stancato di prenderle. Gabriele non è riuscito nemmeno a toccarlo.»
Guardai Gioele e lui, che si era accorto della mia presenza, ricambiò il mio sguardo. Ma i suoi occhi azzurri rimasero fissi nei miei per più tempo di quanto mi aspettassi. Gioele non mi guardava mai negli occhi, e quando lo faceva era per non più di pochi secondi. Invece fui io a dover distogliere lo sguardo.
«Sei un traditore!» urlò Gabriele. Si rialzò, ma si guardò bene dall'avvicinarsi di nuovo a Gioele, che, dal canto suo, si limitò a lanciargli un'occhiata schifata.
«Quello che era successo tra me e quella ragazza... Tu non glielo dovevi dire! Io e te eravamo amici.»
«Io non ti dovevo niente.» replicò Gioele, e quando parlò mi mancò il fiato. Non aveva sussurrato né balbettato, e la sua voce era stata forte e chiara. Ma era diversa dal roco sussurro a cui ero abituata. Era come una pugnalata, fredda e gelida. Gioele stesso mi sembrava freddo e gelido. Il suo volto mi parve particolarmente minaccioso, e i suoi occhi vacui mi fecero tremare le gambe. Che cos'era successo al mio Gio'? Chi era il mostro che mi trovavo davanti?
Stava dritto con la schiena, parlava ad alta voce, aveva picchiato Gabriele. Senza esitare.
«E' vero che eravamo amici.» proseguì. «Ma è vero anche che tu mi hai sempre e solo usato, e che pensi che tutto ti sia dovuto. Dato che non è così ho deciso di lasciare perdere. Conosci la storia, no? Insomma, ti ho sempre lasciato fare quello che hai voluto. Mi hai picchiato, e io ti ho lasciato fare. Adesso però mi sono stancato, e non intendo più prenderle  da te. Mi dispiace.»
Non gli dispiaceva affatto. Lo vedevo nei suoi occhi chiari, lo sentivo nella sua voce. Gioele stava godendo di quello che faceva. Aveva ferito Gabriele, ne guardava il sangue che gli usciva dalla bocca e quella visione gli piaceva.
Era diverso dalla rabbia cieca di Gabriele. Era una violenza controllata, fredda. Gioele non voleva vendicarsi delle botte subite e non voleva difendersi, quando aveva attaccato. Voleva soltanto fargli male, fargliene più che poteva. Era un sadismo perverso. Gli piaceva, e non gli bastava quello che aveva già fatto.
Alcuni di quelli che stavano guardando se ne andarono. Forse l'incontro aveva perso interesse ai loro occhi, forse avevano soltanto fame. Magari credevano che avrebbero chiacchierato ancora, che ognuno sarebbe andato per la sua strada.
Mi sarebbe piaciuto pensare la stessa cosa. Ma non era così. Lo sentivo dentro di me e lo vedevo in Gioele. Non l'avrebbe lasciato andare finché non si fosse ritenuto soddisfatto.
«Smettetela.» mormorai, ma nessuno dei due mi sentì. Gioele mi lanciò uno sguardo veloce, ma mi sembrò indifferente e mi fece star male.
Poi tornò a concentrarsi su Gabriele, che taceva.
«Sei un folle.» disse alla fine Gabriele. Ero d'accordo con lui. Gioele era folle. «Non ha senso. Io volevo solo parlare con te.»
«So come parli tu di solito.»
Anche Gioele aveva ragione. Lo sapevo benissimo, ma non riuscivo a farmene una ragione. Da lui non mi aspettavo quel comportamento. Mi faceva venire i brividi.
Gabriele fece per andarsene, e a quel punto Gioele scattò. Lo colpì con un pugno nel mezzo della schiena, tra le scapole, e a Gabriele mancò il fiato. L'espressione di Gioele non cambiò. Non era soddisfatto, ancora. Sollevò di nuovo il pugno chiuso e colpì di nuovo. Gabriele urlò.
«Smettetela.» ripetei, ma ancora non mi sentivano.
«Piantala, Gioele!» urlò Ines, ma lui non la ascoltò. Non la guardò nemmeno. Voleva soltanto Gabriele. E sollevò di nuovo il pugno, ancora pronto a colpirlo, ma poi si fermò all'improvviso.
Lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi, sbatté le palpebre un paio di volte e fece un passo in avanti. Guardai anch'io nella sua direzione e vidi suo padre, fermo davanti a lui. Non disse niente, non si mosse nemmeno. Ma guardava il figlio con un'espressione indecifrabile, e Gioele sembrò calmarsi.
Guardò alternativamente me e Gabriele, il sangue nella sua bocca e il cappotto strappato. Non disse nulla, non emise nemmeno un suono. Ma rimise le mani in tasca, chinò lo sguardo e curvò le spalle. E' tornato il Gioele che conosco io, mi dissi, ma per quanto? Non riuscivo più a vedere il suo sguardo e questo mi faceva paura. Che occhi si nascondevano sotto ai ricci scuri?
Si avviò con il suo passo lento verso il padre, che si stava già dirigendo verso la macchina. Gli andai dietro. Lui mi guardò e scosse la testa, ma io non avevo bisogno del suo permesso.
«Signore!» esclamai in direzione di suo padre. «Signor Spampinato!»
Si voltò verso di me e mi sorrise con espressione stanca.
«Sì?» chiese con garbo.
«La prego, mi faccia venire con voi.»
Mi guardò qualche istante, poi spostò lo sguardo su Gioele, che di nuovo scosse la testa. Annuì.
«Certo, ma ricordati di avvertire i tuoi genitori.»
Lo ringraziai. Mi affrettai a mandare un sms a mia madre, per non dar motivo al padre di Gioele di rimproverarmi, poi mi sedetti in macchina nel sedile posteriore. Gioele si sedette davanti, ben deciso a ignorarmi.
«Avevamo già parlato di questo.» disse suo padre con voce tranquilla. «Avevi promesso.»
Gioele scrollò le spalle e non rispose. Sprofondò nel sedile, le mani nelle tasche, lo sguardo fisso davanti a sé. Io, seduta dietro a suo padre, riuscivo a vedere il suo viso pallido e per un istante mi sembrò che nei suoi occhi brillasse la stessa scintilla crudele che vi avevo visto poco prima.
«Non ti vergogni?» insistette Mauro.
«No.» soffiò Gioele.
«Alzare le mani è sempre sbagliato.»
«Non si ottiene niente, a parole.»
Parlava a bassa voce, ma non balbettava. Doveva essere ancora carico dell'eccitazione che l'aveva invaso mentre picchiava Gabriele, e mi chiesi se avessi fatto bene a seguirlo. Improvvisamente sentii crescere una paura folle dentro di me. Avevo paura di Gioele, di quello che poteva diventare. Gabriele era sempre stato onesto nei suoi comportamenti. Era un idiota, e come tale si comportava.
Ma Gioele era diverso. La maschera era quella che aveva tenuto fino a questo momento, o era quella che aveva mostrato pochi minuti prima a Gabriele? O forse nessuna delle due era una maschera, e lui si era mostrato semplicemente per quello che era? Ma era davvero possibile che fosse così altalenante, che potesse essere capace di un cambiamento simile?
«Gioele!» sbottò Mauro. «Non voglio mai più sentirti dire una cosa simile.»
«E' la verità.» replicò Gioele. «Adesso sono certo che non verrà più a disturbarmi.»
Quelle parole mi fecero venire i brividi, ma decisi che non avrei parlato. Volevo chiarire le cose con Gioele da sola, una volta che si fosse calmato per bene. Dovevamo affrontare un'ora di automobile prima di raggiungere la casa di Gioele. Forse in quel lasso di tempo Mauro sarebbe riuscito a far ragionare suo figlio.
Ma sapevo fin troppo bene che era impossibile far tornare Gioele sui propri passi.
«Quel ragazzo forse voleva davvero solo parlare.»
«Non l'ho fatto perché avevo paura che mi picchiasse.» confessò Gioele con tono leggero. Anche se parlava a bassa voce come prima, quella non mi sembrava nemmeno la sua voce. E quell'intonazione compiaciuta non gli apparteneva. Quello che avevo davanti era un estraneo, un folle.
«Allora perché l'hai fatto?»
«Perché mi andava di farlo.»
Mauro scosse vigorosamente la testa a quelle parole.
«Sai quali sono le conseguenze, vero?»
«Non potrebbe fregarmene di meno.»
Non sapevo di cosa stessero parlando e non mi interessava saperlo. Qualunque cosa fosse, quella frase mi sembrò minacciosa. La risposta di Gioele, se possibile, anche di più.
«Ne riparleremo.» promise Mauro, e Gioele annuì.
Poi mi rivolse un'occhiata torva.
«Non volevo che venissi.» mi accusò.
«E io invece volevo parlarti.» replicai, furente. «E capire che cosa ti è passato per la testa! Mi sembra che tu sia impazzito improvvisamente!»
«Sono solo stanco di essere sempre quello che ci rimette.» rispose. Sembrò riflettere qualche istante, poi aggiunse: «In ogni caso, non voglio che giudichi quello che faccio.»
«Non ti sto giudicando!» esplosi. «Sto solo...»
«Giudicando.» mi interruppe lui. «Potrei anche spiegarti i motivi del mio gesto, non li capiresti. Per me ha un significato, per te non vorrebbe dire nulla. Questo non ti autorizza a dirmi che mi sono comportato come un folle.»
Rimasi sconvolta dalla cattiveria di quelle parole e non trovai la forza di replicare.
Mauro sospirò, scosse la testa un paio di volte e guardò ancora Gioele. Aprì la bocca per parlare, ma la richiuse subito.
Io feci lo stesso. Gioele non mi avrebbe ascoltato.
E poi, cosa mai potevo dire a uno così?


   
 
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