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Autore: Cosmopolita    01/01/2012    8 recensioni
3 settembre 1939. L'inizio della Seconda guerra mondiale. Dieci personaggi vivranno delle esperienze destinate a concatenarsi tra loro, sullo sfondo di uno dei periodi più bui della storia...
STORIA IN REVISIONE
[Mi sono resa conto che questa storia è stata un... ingenuo esperimento, diciamo così! Molte cose credevo di saperle ed ero anche convinta che la maggior parte degli espedienti narrativi fossero a dir poco geniali. Ovviamente, non è così. Rileggendola, qualche tempo fa, mi sono accorta della sua acerbità e di alcune, imbarazzanti, inesattezze storiche che, un po' per l'età, un po' per il mio iniziale entusiasmo, non avevo assolutamente considerato. Non cancellerò questa storia: dopotutto, è una tappa della mia evoluzione stilistica, mi dispiacerebbe silurarla in questo modo. Ho deciso, però, di revisionarla, di modo che chiunque abbia voglia di leggerla, non me rimanga orripilato.
Spero che chi si sia addentrato nella lettura di questa storia, abbia almeno letto queste poche righe introduttive.]
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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D’improvviso
è alto
sulle macerie
il limpido
stupore
dell’immensità


G. Ungaretti


Normandia, 19 agosto 1944

-Io non voglio andarmene. La mia casa è qui .-
Francesi sentimentalisti. Li odiava.
-Signora, porteremo lei e la sua famiglia al sicuro…- cercò di convincerla Arthur. Accanto a lui, i due soldati che lo accompagnavano lo ascoltavano senza capire nulla di ciò che stava dicendo: lì lui era uno dei pochi che sapeva padroneggiare la lingua francese.
-Prometta che non arruolerete mio marito .- disse la donna, con aria minacciosa –Lui ha già dato abbastanza .-
L’occhiata di Arthur sfuggì dentro casa, verso un uomo che aveva una gamba sola.
-Le do la mia parola. – rispose solenne. A quel punto la donna mostrò un sorriso radioso e gli chiese di dargli il tempo di preparare le valige. Presero lo stretto necessario, poi seguirono i tre soldati fino all’accampamento. Da lì sarebbero partiti verso un posto più sicuro.


Alfred guardò i civili attraversare l’accampamento. Portavano vestiti casalinghi, erano magri, i famigliari si abbracciavano tra di loro, quasi come a dimostrare che nulla al mondo li avrebbe separati. La cosa che lo affascinava di più era come tutti, nessuno escluso, conservassero la propria dignità: nemmeno uno, perfino i bambini,che si lamentava e aspettavano tutti in silenzio, in attesa di essere trasferiti da un’altra parte.
Arthur lo affiancò –Non li invidio. È meglio partecipare che subire passivamente le azioni degli altri. – dichiarò l’americano incrociando le braccia.
-Forse, chissà .- fu la sua unica risposta.


Era pomeriggio inoltrato e gli uomini si erano fermati per riposare vicino ad un casolare che sembrava abbandonato ormai da anni.
Era stata una giornata particolarmente calda e il viso di Alfred era imperlato di sudore. Si asciugò e sperò che la notte fosse più fredda del giorno.
Si accorse dell’arrivo di un manipolo di soldati americani,che sembravano venire da molto lontano, solo quando loro chiesero di Arthur Kirkland. L’inglese era di poco lontano da loro e quando li sentì dire così al sergente, l’uomo che aveva cantato la canzone francese, si alzò in piedi, si avvicinò a loro e li chiamò.
-Sono io Arthur Kirkland .-
I militari, dovevano essere una decina, si guardarono tra di loro con aria afflitta e Alfred per un attimo temette che l’amico avesse fatto un’azione che non doveva. Non potè non fare a meno di avvicinarsi.
-Signor Kirkland…- esordì il portavoce della squadra con tono grave –Dobbiamo parlarle. Da soli. -
L’inglese annuì senza fare una piega, ma l’americano percepì nel suo volto una piega di curiosità.


-Ebbene?- fece Arthur sbrigativo,un volta raggiunto un luogo isolato.
-è difficile per noi darle una notizia così, signor Kirkland…-
L’inglese intuì che era successo qualcosa di davvero grave per mandare attraverso la Francia un plotone solo per lui –Mi dica!- lo incalzò preoccupato.
-I suoi fratelli…- tacque.Sapeva che Arthur aveva capito.
-Quali?- chiese con voce incrinata.
- James e Andrew Kirkland .- rispose il soldato, che ad ogni parola diventava sempre più cupo –Hanno combattuto con coraggio nel Pacifico, l’Inghilterra li ricorderà come degli eroi .-
L’inglese non riuscì più a trattenersi e alcune lacrime cominciarono a rigargli il volto –Cosa mi importa se l’Inghilterra li riconosce o meno come eroi! È meglio non essere eroi che essere morti. -
-Signore, so che lei è sconvolto. Sappiamo che suo fratello Ian è partito dalla Russia ieri…può farlo anche lei, se vuole! -
Di tutti i suoi fratelli, si era salvato solo quello che odiava di più, ma in quel momento l’inglese fu felice di sapere che almeno lui era vivo. Scosse la testa.
-Il mio posto è qui. – Doveva dimostrare a Ian che lui era più coraggioso e che se ne sarebbe andato da lì solo a guerra conclusa.
- Signore, se vuole accettare il mio modesto parere…- lui lo interruppe
-Se lo può tenere per se, il suo parere!- ribattè seccato. Non voleva farsi vedere mentre piangeva, mentre metteva in luce le sue debolezze. Si congedò e ritornò dal sergente. Quello capì subito su cosa era andato a vertere il discorso e cinse il ragazzo con affetto e franca commozione –Mi dispiace. -
Arthur si lasciò abbracciare senza opporre alcuna resistenza, sebbene quello fosse un suo superiore.
- Vuoi restare solo?- chiese con gentilezza.
-La ringrazio, sergente. – mormorò con voce atona, cercando il più possibile di trattenere le lacrime e si avviò lentamente e con la morte nel cuore verso il casolare abbandonato.
Alfred osservò la scena non capendo cosa fosse successo. Raggiunse il sergente e gli chiese per quale ragione Arthur si era allontanato.
-I suoi fratelli sono morti. -
L’americano guardò il sergente intristito –Io…io sono così dispiaciuto…povero Arthur, non se lo merita nessuno una disgrazia simile! -
- Secondo me, è meglio se vai a vedere come sta. – gli consigliò il sergente –Non vorrei che commetta qualche sproposito e tu sei l’unico che abbia un minimo di rapporto con lui. -
Alfred annuì. Sembrava che il sergente gli avesse letto nella mente, perchè in effetti gli premeva molto andare a consolare il suo amico.


Lo trovò chiuso in una stanza che dava sul retro, vicino ad una finestra ,da cui si riusciva a scorgere la luna. Quella sera sembrava ancora più pallida.
-Arthur…- sussurrò. Lui si girò e Alfred vide che stava piangendo.
-Non sai quanto mi spiace…so cosa si prova…-
- No. – ribattè l’altro con voce rotta dal pianto –Tu non sai un bel niente! -
L’americano fece un gran respiro, prima di cominciare a raccontare–Mio fratello Matthew è disperso chissà dove. Forse c’è la possibilità che sia ancora vivo, forse è morto…non lo saprò mai. Ringrazia che puoi piangere i tuoi fratelli, perché io con il mio non potrò farlo. – la sua voce risultò, per la prima volta, incredibilmente matura.
L’inglese si girò per guardarlo risentito. Alfred sospirò e guardò con attenzione il viso dell’amico, illuminato solamente dalla luce lunare, dando al suo volto una sfumatura ancora più spenta e spiritica. Arthur piangeva in silenzio, solo di tanto in tanto si lasciava scappare un singhiozzo di dolore.
Alfred invece non piangeva mai. Gli eroi non piangono, si ripeteva sempre, seppur delle volte la sua forza di volontà aveva la peggio sulle emozioni e lasciava cadere una lacrima. Ma subito si asciugava gli occhi e assumeva un sorriso di circostanza.
- Ho sempre trascorso il mio tempo libero ad immaginare gnomi ed unicorni. – la sua voce, debole, soffusa e insolitamente dolce fece inspiegabilmente arrossire l’americano –Lo faccio perché è l’unico modo che ho per evadere da questa dolorosa realtà. Quando ero solo un bambino e mio fratello Ian se la prendeva con me, mi rinchiudevo nella mia cameretta e sognavo di essere il re degli elfi che lo puniva tra atroci sofferenze. – si sforzò di ridere, ma gli venne fuori solamente un rantolo indefinito –Mi mancano quei tempi. – gli confessò infine.
Alfred capì che Arthur non era il ragazzo cinico e insensibile che voleva far credere di essere. Si notava dal tono pacato e dolce che stava usando, dal visibile dolore che stava provando in quel momento –So che tutto questo può sembrarti stupido…-
Lo era. Tutto quanto era stupido, quella situazione, quella guerra, ma l’americano pensò che non sarebbe stato carino dirglielo.
-Affatto. -
-Poi. – riprese l’inglese –Un giorno ho provato ad immaginarla! -
-Cosa?- domandò l’altro incuriosito, avvicinandosi sempre di più alla finestra.
-La Pace! Era…bellissima. Alta, con lunghi capelli biondi e gli occhi che sembravano un cielo senza nuvole. -
Alfred provò una specie di tumulto al cuore. Possibile che Arthur avesse voluto intendere qualcosa di più tra le righe?
-Per me…- cominciò lui –La Pace ha gli occhi verdi. Come l’erba a primavera. -
Arthur si voltò nuovamente per fissarlo: aveva capito! Si alzò lentamente dalla sedia, ma rimase lì, senza aggiungere una parola. Continuava solamente a guardarlo, in bilico tra sconcerto e affetto.
Alfred decise di andare oltre –Hai immaginato me…vero?- chiese, forse in maniera fin troppo diretta. Infatti l’inglese mutò espressione con un’altra quasi minacciosa e, dirigendosi verso di lui, lo prese per le spalle con violenza e lo trascinò alla parete del muro.
-Scusa, non avrei dovuto dirlo! – continuava a ripetere Alfred, fin che non sentì il muro gelido dietro la sua schiena.
“Ora mi picchia” pensò, già pronto per difendersi. E invece, con sua sorpresa, Arthur gli accarezzò delicatamente la guancia con il dorso della mano e si avvicinò sempre di più a lui. Alfred cominciò a sentire troppo caldo, anche per essere in agosto; intuiva che tra loro due stesse per succedere qualcosa che andava oltre la semplice amicizia e non sapeva cosa fare.
Ormai riusciva a cogliere ogni sfumatura di verde nei suoi occhi, a toccare ogni suo singolo ciuffo dorato. Sentì le labbra di Arthur poggiarsi sopra le sue, per poi allontanarsi quasi subito e rimanere comunque vicinissime alle sue. Era già troppo per l’inglese, di questo lui ne era cosciente, ma in quel singolo attimo capì come mai ogni volta che lo vedeva non sapeva come comportarsi, perché trovava gradevole la sua compagnia nonostante il cinismo. Stare con lui gli piaceva, sembrava sempre di essere in una competizione dove misurarsi. Gli voleva bene e forse c’era molto di più.
Il respiro di Arthur si stava facendo ansimante e il suo cuore martellava ad un ritmo rapido, come se avesse corso per un buon chilometro. Alfred sapeva che di lì a poco l’altro si sarebbe allontanato disgustato e avrebbe detto “Fai finta che non abbia fatto nulla” ma lui non voleva che andasse a finire in quel modo.
Lo baciò con impeto, in maniera completamente diversa da quella timida e insicura dell’inglese.
Arthur si sentì assalito ma lo lasciò fare perché gli piaceva e ormai non pensava più a niente: né che era in guerra, né che due dei suoi fratelli non c’erano più, né che stava baciando un uomo e né che Alfred in quel momento stava lottando con la zip dei suoi pantaloni che non voleva dar segni di abbassarsi.
Cominciò a spogliarsi lentamente, imbarazzato da quella situazione, che sembrava un disperato tentativo di ricevere affetto che in quegli anni non aveva mai avuto. Si lasciò travolgere dalle maniere più dirette dell’americano, si lasciò andare senza pensare alle prossime conseguenze. In fondo, cosa importava?
Era volato in un altro mondo, dove c’era posto solo per lui, Alfred e il loro amore.







Salve! Prima di tutto, anche se tremendamente in ritardo, voglio cogliere l’occasione per augurare Buon Anno nuovo a tutti voi.
Secondo…si, l’ ho fatto! Ebbene, questa è la mia primissima scena yaoi, diciamo prima scena di sesso in generale! So che non è un gran che, ma ho voluto contenermi ,prima di tutto perché a qualche lettrice non potrebbe piacere la coppia e quindi mi sono data un certo freno.
In secondo luogo, la storia è arancione e volevo evitare di andare sul genere erotico ecc ecc, perché sono totalmente incapace a scrivere cose del genere e va a finire che la scena diventi in se per se stupida e senza senso, e perché volevo evitare che il tutto si trasformasse in un manuale di anatomia.
Ho cercato più che altro di scrivere le emozioni che hanno provato Alfred e Arthur e spero di aver centrato in pieno l’obbiettivo, senza aver esagerato e\o urtato la sensibilità di qualcuno. Anche perché, non so se questo si può chiamare yaoi vero e proprio o shonen-ai, non conosco molto bene la differenza.
Inoltre, due persone già sapevano di questa scena, visto che hanno dovuto patire le mie crisi da quindicenne che non sapeva come risolversi. Ci tengo a ringraziarle, sperando vivamente di non averle deluse dopo tutte le mie fisse mentali e via dicendo.
Infine, ma non per questo meno importante, vorrei ringraziare tutti quelli che hanno messo la storia tra le seguite\ricordate\preferite e chi commenta. Mi farebbe piacere conoscere il vostro parere, sperando di non aver descritto la scena in modo patetico, infantile o OOC!
A presto
Cosmopolita
PS: e scusate il poema alla fine xD
   
 
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