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Autore: Hikari93    01/01/2012    3 recensioni
-SetoXJono-
[ATTENZIONE] One-shot abbastanza lunga, sulle quattromila parole.
«No, no, Jonouchi-kun, ma permettimi una domanda.» Mi feci attento. «Cosa ti fa pensare che Seto si atterrà alla tua lista? Voglio dire, non mi sembra il tipo da accettare pareri altrui…»
Eh no, in effetti no.
Riflettei alcuni attimi, rimuginando su una risposta che potesse essere intelligente e convincente insieme, ma me ne uscii – tanto per cambiare – con una sonora risata a pieni polmoni. «Nessuno, a dirla tutta» ammisi. «Ma nessuno mi ha detto che Seto non sia disposto a fare un’eccezione!» Mostrai il pollice, allegro. «Non si può mai sapere» continuai. «La pazzia del primo giorno dell’anno potrebbe contagiare anche Seto.» E nello stesso momento in cui terminai la frase, l’immagine austera del Signor Kaiba venne a visitarmi, schernendomi, perché no, non avrebbe funzionato.
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Joey Wheeler/Jounouchi Kazuya, Seto Kaiba, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Buoni propositi per l’anno nuovo. Perché quando Jonouchi inizia a fare liste, sono guai
 

 




 
 

«Dunque, dunque… ci sarebbero tanti punti da poter analizzare e invece… mmm»
Pensavo. Sì, diversamente da come avrebbe potuto credere chi sottovalutava le mie evidentissime capacità intellettive, stavo pensando. E ad alta voce anche. Valeva la pena di applicarsi, vista l’occasione; si ripeteva una sola volta all’anno e, se me la fossi fatta sfuggire da sotto al naso, avrei dovuto attendere altri trecentosessantacinque giorni, senza dimenticare le sei ore, ovviamente. Sarebbe stato il caso di fustigarsi, e per bene.
«Jonouchi-kun, che stai facendo?» L’ombra minuta di Yugi comparve sul semplice foglio bianco di quaderno che avevo in mano, e di conseguenza mi sovrastò. Il faccione sorridente del mio migliore amico mi mise allegria, e per un attimo mi distolse dai miei propositi di vendetta. Anzi, no propositi, veri e proprio giuramenti di sangue tra me e me.
«Ciao, Yugi, come mai qui?» chiesi sorridente.
Lui mi osservò, un misto tra il preoccupato e lo scettico, dopodichè mi mostrò due buste piene zeppe di roba varia. «Stavo per farti la stessa domanda» disse, e si soffermò sulla penna e sul foglio. «Che ci fai seduto sulla panchina del parco da solo? E a che cosa ti servono quelli?»
La mia testa seguì il suo indice, si immobilizzò per un istante – giusto il tempo necessario per riconnettermi col presente e ricordare cosa, effettivamente, stessi combinando lì –, poi scattò in su. Risi di una risata convinta, di quelle che, quando si sentono, indicano al cattivo di turno di togliersi dai piedi. E no, non la risata da sbruffone! Sbruffone io, poi? Assolutamente no! «Stilerò una lista!»
«Una lista?» mi fece eco lui.
Annuii. «Esattamente! Mi servirà per raddrizzare Seto una volta per tutte, per fargli capire che non può averla sempre vinta lui e che non è l’uomo perfetto che crede di essere!» Mi alzai in piedi, e fui io a sovrastare Yugi. Gli misi il foglio sotto al naso e la penna, agitata, quasi gli finì in un occhio. «Deve sapere tutti i suoi difetti, e dovrà correggerli! Hai mai sentito parlare di buoni propositi per l’anno nuovo? Ebbene, gli stilerò un elenco di tutto ciò che dovrà cambiare tra noi con l’arrivo del nuovo anno!» Ma Yugi sembrava non esserne convinto. «Qualcosa non va?» chiesi.
«No, no, Jonouchi-kun, ma permettimi una domanda.» Mi feci attento. «Cosa ti fa pensare che Seto si atterrà alla tua lista? Voglio dire, non mi sembra il tipo da accettare pareri altrui…»
Eh no, in effetti no.
Riflettei alcuni attimi, rimuginando su una risposta che potesse essere intelligente e convincente insieme, ma me ne uscii – tanto per cambiare – con una sonora risata a pieni polmoni. «Niente, a dirla tutta» ammisi. «Ma nessuno mi ha detto che Seto non sia disposto a fare un’eccezione!» Mostrai il pollice, allegro. «Non si può mai sapere» continuai. «La pazzia del primo giorno dell’anno potrebbe contagiare anche Seto.» E nello stesso momento in cui terminai la frase, l’immagine austera del Signor Kaiba venne a visitarmi, schernendomi, perché no, non avrebbe funzionato.
 
Era il momento di cominciare, di buttar giù qualche punto, altrimenti non l’avrei conclusa per il giorno seguente. Ripensai al nostro rapporto, soffermandomi soprattutto sugli ultimi mesi, perché costituivano il fulcro della relazione, gli attimi più intensi, periodi nei quali ci eravamo frequentati maggiormente.
Chiusi gli occhi e mi massaggiai le tempie, figurandomi al meglio il viso di Seto Kaiba fino a farlo diventare una presenza reale – nella mia testa almeno, ci mancava solo che fosse presente in carne, ossa e soldi! Beh, questa versione immaginaria di Seto era migliore della reale, almeno così non parlava. Un momento… parlava… Seto non lo faceva spesso – sembrava un distributore di parole, bisognava sempre inserire la monetina per fargliene sputare fuori una o più –, però c’era qualcosa che ripeteva fino allo sfinimento – mio –, che non aveva bisogno di spinte per uscire.
«Bon…» mormorai. Bonkotsu.
Digrignai i denti, strinsi la penna nel pugno tanto forte che avrei potuto distruggerla. Dal continuare la patetica sfuriata che avevo iniziato, mi salvò la presenza di una vecchietta ricurva che mi stava osservando scuotendo la testa, avvilita. Mi ricordava tanto Yugi, senza gobba, però.
Lanciai un’occhiata al titolo a caratteri cubitali che occupava quasi un quarto della pagina, e misurai la distanza che il primo punto avrebbe dovuto avere dalla prima frase.
Feci un respiro profondo e cominciai a scrivere velocemente.
 
 

  1. Niente bonkotsu.

Non osare, non pensarci più nemmeno per scherzo a quella parola o ti strappo tutti i capelli da testa. Ho sopportato anche troppo questo nomignolo da quattro soldi che mi hai affibbiato, e non ne posso più! Lasciati dire una cosa, Kaiba: BONKOTSU TUA SORELLA! (E, bada, se avessi voluto stecchirti come una zanzara contro il vetro, o semplicemente offenderti, avrei detto “tuo fratello”.)
 
 
E il primo punto era fatto. Lo rilessi un paio di volte e me ne sentii soddisfatto. L’aria gelida dell’ultimo giorno di Dicembre mi era entrata fin dentro le mutande, e il che significava che il momento di andarsene dal parco era giunto. Destinazione casa di Yugi, allora!
 
*
 
«Come procedono i lavori?» domandò allegra Mana mordendo qualcosa – di nutriente, si sperava – con poca grazia. «Yugi ci ha detto che ti stai cimentando in qualcosa di impossibile!» continuò, masticando.
«Non ho detto qualcosa di impossibile, ma di difficile!» puntualizzò il diretto interessato, la voce che arrivava in un sussurro, dato che si trovava dall’altra parte della casa.
Mana scrollò le spalle; per lei, in quel frangente, impossibile e difficile dovevano significare lo stesso.
«Senti, Yugi» esclamai a voce alta per farmi sentire, fingendomi infastidito «chi ti aveva dato il permesso di comunicare le mie intenzioni a terzi?» Abbassai gradualmente la voce, mano a mano che la figura di Yugi compariva, coperta da scatoloni molto più grandi di lui. A casa Muto erano soliti fare pulizie in grande stile, l’ultimo giorno dell’anno. Non avevo ancora capito per quale motivo lo facessero, e nemmeno mi interessava più di tanto: era una tradizione, per loro, e come tale andava rispettata, come l’esprimere i desideri al passaggio di una stella cadente, per esempio. Istintivamente, mi mossi per aiutare il mio amico. «Allora?» ribadii.
«Ma Jonouchi-kun, nessuno mi aveva detto di non doverlo dire» rise.
Rimasi a bocca aperta! Quel furbacchione mi aveva giocato utilizzando la mia stessa tattica, la mia medesima frase. Ahw, che commozione, il piccolo Yugi stava crescendo, aveva imparato da chi dover prendere esempio…
«Ti ha giocato stavolta, Jonouchi.» Dal nulla – leggasi dallo sgabuzzino in fondo al corridoio – emerse Atem, con addosso un grembiulino – probabilmente appartenente alla mamma di Yugi – di stoffa, in tinta alquanto femminile. In una mano reggeva una scopa e nell’altra una paletta piena di polvere, capelli e cartacce varie. Anche i pantaloni erano tinti di grigio in alcuni piccoli punti; probabilmente si erano sporcati quando si era chinato per raccogliere la polvere dal pavimento, pensai. O per pulire sotto al letto. «Però non è detto che con Seto tu non riesca…» aggiunse, e sarebbe stato sempre un mistero, per me, capire se mi stesse prendendo in giro o ci credesse veramente.
Mentre trasportavo i pesanti scatoloni pieni di vestiti piegati ordinatamente al piano superiore, in una camera vuota ma arredata, dove in genere dormivamo io o Honda quando trascorrevamo la notte da Yugi, Mana mi sfrecciò di fianco, maldestra, – quasi caddi, ma era irrilevante –, portando ad Atem il secchio. Li spiai con la coda dell’occhio fin quando mi fu possibile: Mana inclinò il secchio, frattanto che Atem, a testa in giù e col grembiule che seguiva i suoi movimenti, ondeggiando, poggiava la scopa al muro e, attento a non far ricadere a terra la spazzatura raccolta, si apprestava a buttarla nella busta. Quando rialzò lo sguardo – mi fermai per non perdermi la tenera scenetta –, si soffermò più del dovuto sugli occhi vivacissimi di Mana e le sorrise. Atem non amava mostrare i propri sentimenti a tutti, preferiva tenerseli dentro e comunicarli soltanto alla persona cui erano diretti, discretamente. E questo non perché fosse timido o si vergognasse, piuttosto, a quanto avevo potuto capire, non vedeva la necessità di essere esibizionista. Nel momento in cui Mana, decisamente più esuberante di lui, gli afferrò le guance pizzicandogliele e lo condusse verso di sé, mi domandai se fosse giusto o meno interromperli con un fischio di approvazione – guadagnandomi l’odio di Atem, o, se non odio, almeno un paio di occhiatacce ben assestate – oppure andarmene via, riprendendo la mia marcia.
«E dai, andiamo, Jonouchi-kun!» urlò timidamente Yugi assestandomi una leggera gomitata al braccio – anche lui portava degli scatoloni, e i suoi movimenti erano limitati.
Mi sarei tolto un piccolo sfizio. «Andateci piano, mi raccomando!»
Non capii cosa avesse borbottato Atem in risposta, né cosa Mana avesse gridato allegramente alle quattro pareti della cucina, perché accelerai il passo, sorridendo.
Era brutto parlare in certi termini di una coppia, definirne, cioè, il “punto cardine”, il portatore dei pantaloni in famiglia, per intenderci, però, più li vedevo, e più mi sembrava che fosse Mana a trainare il tutto. Erano una bella coppia, tutto sommato.
Che poi, proprio io mi permettevo di giudicare! Io, bonkotsu, che apparivo, quasi a tutti, come l’uke del rapporto.
Considerare che lo ero veramente e sempre mi faceva sentire sottovaluto, stupido e intriso fino alle dita dei piedi di vergogna. Che aveva Seto che a me mancava?
Capii all’istante quale fosse il secondo punto da mettere per iscritto.
 
Lo scrissi solo dopo aver aiutato i miei amici con le pulizie, rintanato in bagno – era pur sempre una questione privata.
 
 
2. Dimenticati di fare il seme tutte le volte!
Semplicemente non esiste, Kaiba, non è concepibile. Pretendo (e firmo, rifirmo e sottoscrivo) che sia tu a stare sotto! E, da notare, NON VOGLIO, PRETENDO! Devi stare sotto, sotto, sotto, sotto, sotto! E no, so già cosa stai per dire, e cioè che un “cane” come me è nato per stare a quattro zampe, beh, ti dimostrerò che è vero il contrario!
So che, mentre stai leggendo questo pezzo di carta, con me davanti al tuo trono che attendo in silenzio la tua sentenza, nella tua testa bacata stai già ridendo. E mi fermo, perché potrei prevedere le tue semplici reazioni in un batter d’occhio!
 
 
Anche stavolta rilessi. Marcai di più quel “pretendo”, così che fosse visibile, poi mi preparai al terzo punto.
 
 
3. Se è un cane quello di cui hai bisogno, beh, io sono in sciopero.
Razza di spilorcio, potresti pure comprarti un vero cane – no, io non lo sono. Ti sembra che abbia la coda e che scodinzoli? Che abbai e che corra a prendere gli ossi lanciati lontani? Giro in tondo cercando di acchiapparmi una coda della quale abbiamo già confutato l’esistenza?
 
 
Riflettei un istante, indeciso se essere ironico o meno. Considerato, però, che le mie parole erano il nulla per Seto, potevo “azzardarmi”. Schiacciai il cappuccio della penna per due volte, poi completai.
 
 
E, poi, sicuro che ti sia fedele come un “cane”, Kaiba?
 
 
Infine, uscii di fretta dal mio nascondiglio e, salutati Yugi e il resto – evitai accuratamente di fissare gli occhi di Atem –, me ne andai a casa.
Ero solo con la mia lista. Mia sorella Shizuka era fuori, convinta da Anzu e Mai a rimodernare il suo scarno guardaroba e a comprarsi qualcosa di più femminile almeno per la serata che, come aveva detto la voce fin troppo alta di Mai alla cornetta, avrebbe dovuto trascorrere con un certo Malik Ishtar, diventato, chissà quando, da quando e perché, il suo ragazzo. Alla fine Shizuka, accortasi che avevo udito per errore la loro conversazione – non stavo origliando! –, decise di raccontarmi tutto. Si scusò per non avermelo detto prima – che tesoro, la mia sorellina –, mi disse che era successo per caso, che avevano capito di essere attratti, che si erano conosciuti meglio, e tante altre belle cose che non avevo nemmeno ascoltato. Ma non perché non prestassi attenzione a mia sorella, anzi sentivo un senso di protezione forte nei suoi confronti, ma così forte che la voglia di spaccare la faccia a Malik, se mai l’avesse fatta soffrire, si faceva sentire fin dentro ai polpastrelli, che bruciavano.  Tuttavia, non mi ero opposto al loro appuntamento – a sentire quella parola mi ero morso la lingua per non replicare e per non fare il fratello geloso fino alla morte –, né l’avevo messa in guardia o raccomandata di non pensare che Malik potesse essere il suo amore eterno. Era giusto che vivesse e godesse la sua storia – argh! – allo stesso modo in cui me la stavo vivendo e godendo io. Inoltre, Shizuka non si era mai intromessa tra me e Seto, e non mi aveva persuaso a lasciarlo, solo perché “eravamo due maschi”, nemmeno una volta. Avrei avuto fiducia in lei, glielo dovevo.
Meglio ritornare alla lista, invece che pensare ai piccioncini, perché doveva assolutamente essere pronta entro quella sera.
Mentre tornavo a casa mi erano venute in mente altre due o tre ideuzze; l’importante, ora, era metterle per iscritto in modo chiaro e diretto, alla portata di Seto.
 
 
4. Più regali.
Anzi, NON più regali, ma almeno uno nelle occasioni più importanti! Guarda, testa bacata, per aiutarti te le elenco, queste occasioni importanti…
1) 1 Gennaio (e no, non l’ho messo solo per ricevere un regalo oggi <3); ti chiederai il perché… non che ne esista uno specifico, ma non potrebbe diventare una tradizione nostra? Forse, così, riuscirei a chiudere un occhio nel caso tu venissi meno a uno dei punti precedenti.
2) 25 Gennaio; non devo assolutamente aggiungere nulla, lo sai il perché.
3) 25 Dicembre; e sai il perché;
 
 
Rialzai la penna dal foglio, titubante. No, non mi sembrava il caso di scrivere del giorno del nostro fidanzamento; mi sembrava un po’ troppo dolce, e inoltre Seto doveva ricordarselo da sé, forse… mah, non sapevo che pensarne!
 
 
4) Date varie ed eventuali, un regalo è sempre gradito, tirchiaccio!
 
 
E poi, il punto successivo.
 
 
5. Potresti degnarti di accompagnarmi a casa, ogni tanto.
Hai la macchina – e che macchina! –, quindi perché no? Che ti costa premere i piedi sui pedali e muovere qua e là lo sterzo? Sai quanto dista casa mia dalla tua? E sai quanto ci metto a piedi per arrivarci? Che poi, pretendi che sia sempre io a venire di te… in alternativa, potresti anche venire a trovarmi tu, non so, una volta all’anno, magari! Aaaah, che pazienza ci vuole!
 
 
Che pazienza, davvero, e che stanchezza, anche! Cominciavo ad avere sonno. Steso sul letto, con la testa sprofondata nel cuscino e la lista tenuta in alto, in mano, sentivo le palpebre che si toccavano. Non potevo permettermi di coricarmi per più di dieci minuti che il sonno arrivava veloce, pregandomi di seguirlo. E come dirgli di no? Oltretutto avevo lavorato da Yugi, non avevo pranzato e avevo pensato a lungo, sebbene avessi la sensazione viva di star dimenticando molte cose, molto del caratteraccio di Seto.
Sbadigliai rumorosamente, degnandomi a malapena di mettere la mano davanti alla bocca spalancata. I caratteri delle parole scritte cominciavano a diventare sempre più sfocati e ombreggiati, quasi sdoppiati, come se invece di cinque punti ne avessi trovati dieci.
Mi abbandonai completamente, mandando al diavolo persino lo stomaco che reclamava cibo.
 
*
 
A svegliarmi da un sonno alquanto piacevole – sognare di poter mangiare tutto ciò che potevi comprare col denaro di Seto, era una gioia per il cuore, e soprattutto per lo stomaco – fu il suono continuo del campanello trillante. Mi sentii disorientato sulle prime; mi sembrava addirittura che la lampada al mio fianco fosse un enorme cosciotto di pollo. Se non lo addentai, fu perché alla porta c’era Shizuka, ne sentii la voce.
Cercai di sistemarmi almeno un po’ i capelli ravvivandomeli – mentre dormivo assumevo posizioni innaturali, dicevano –, e scalzo andai ad aprire.
Alla porta, Shizuka e Malik sembravano la perfetta coppietta felice; lei mi guardava sorridendo, la spalla troppo vicina a quella di Malik – beh, bisognava pur mantenere una certa distanza, all’inizio –, mentre lui, espressione neutra se non per un mezzo sorriso accennato – sicuramente e giustamente rivolto a Shizuka e non a me –, portava diversi pacchetti non troppo pesanti in mano.
«Sei già tornata?» Dovevo pur dire qualcosa.
«Sì, onii-chan. Del resto sono quasi le cinque» disse pacatamente, timida e allegra insieme come una bambina piccola. Fu dura reprimere l’istinto di abbracciarla. «Hai pranzato?» continuò premurosa, mentre entrava. Aspettò che anche Malik fosse dentro – non che la cosa mi facesse chissà quanto piacere, ma non mi esposi –, poi chiuse la porta.
Fui indeciso su cosa risponderle; già la situazione mi imbarazzava un po’, visto che Shizuka si stava preoccupando per me in presenza del suo ragazzo. E se poi le avessi risposto di no, mi sarebbe sembrato come dire di non saper badare a me stesso, e la cosa sarebbe stata ancora più imbarazzante. «No, ho proferito sonnecchiare. Ho aiutato Yugi con le faccende di fine anno, ero piuttosto stanco» dissi. Alla fine la semplice verità era stata la scelta migliore. «Hai comprato qualcosa di interessante?» aggiunsi. Frattanto, con lo sguardo osservavo Malik, che poggiava gli acquisti a terra. Lo salutai cercando di trattenere la gelosia verso Shizuka, e lui mi rispose in maniera educata.
«Niente di troppo particolare, onii-chan. Sono riuscita a convincere Anzu-chan e Mai-san» soprattutto Mai, commentai mentalmente «che quegli abiti non facevano per me. Vuoi che ti prepari qualcosa, onii-chan?»
«No, no, tranquilla. Ancora qualche minuto e poi esco» risposi affrettatamente. Deglutii nervosamente. «Uscite stasera?» Sperai che il tic al sopracciglio non venisse visto.
Shizuka mormorò un timido “sì”, mentre il di Malik fu più convinto.
«Divertitevi.» Una sola parola, una, ma erano sembrate mille. C’era voluto uno sforzo enorme per non far sembrare il mio tono sgarbato. Sarebbe stato molto meglio uscire subitissimo. Velocemente corsi in camera, afferrai la lista, e mentre aprivo la porta, salutavo Shizuka e maledivo mentalmente Malik in tutte le lingue del mondo, andai.
 
*
 
Dove passare le prossime ore per poter finire la lista in tempo? Urgeva un’altra lista, quella dei “luoghi disponibili per Jonouchi”.
Punto numero uno: la panchina del parco, da escludere a priori. Era pur sempre Dicembre, e faceva molto freddo. Mi si sarebbero gelate le gambe e non sarei più riuscito a muovermi. Sarei diventato un surgelato e, soprattutto, avrei dovuto aspettare l’anno successivo per dare la lista a Seto.
Punto numero due: casa di Yugi. Da escludere anche quella. Non volevo incorrere nell’ira di un Atem, chissà, ancora incavolato.
Punto numero tre: casa mia. No. Beh, il perché era evidente: me ne ero appena andato!
Punto numero quattro: casa di Seto. Diventava quasi l’alternativa migliore… cinque punti non potevano bastare? Per le minuzie avrei potuto usare la voce, anche se Seto non era abituato ad ascoltarmi – purtroppo non ero un plurimiliardario deciso a concludere un qualche ricchissimo affare con la già ricchissima KaibaCorp; anche per questo avevo pensato che una lista scritta – anche se, visto che non ero un plurimiliardario deciso a concludere un qualche ricchissimo affare con la già ricchissima KaibaCorp, non si trattava di un allettante contratto – potesse essere un mezzo di comunicazione più accessibile per Seto.
 
Allora Palazzo Kaiba era la mia scelta: se Seto, infatti, avesse apportato cinque migliorie all’anno al suo caratteraccio, entro settecento anni sarebbe stato perfetto.
 
*
 
«Sei in anticipo.»
Come sempre, Kaiba, anche a me fa tanto piacere vederti. I saluti sono un optional in questa casa? Avrei potuto inserirlo nella lista, accidenti.
«Posso usare il bagno?» dissi d’un fiato senza nemmeno pensarci.
Seto alzò gli occhi da un foglio di carta che stava leggendo – un contratto, sicuro! Ero pronto a metterci la mano sul fuoco! – e mi guardò senza espressione. «Sei arrivato in anticipo perché non vedevi l’ora di usare il mio bagno?»
Diventai rosso dalla rabbia, le guance pizzicavano. «Sono bisogni fisiologici, automa che non sei altro!» Strinsi i denti e i pugni. «Beh, vado» mormorai stizzito. «Tanto non è colpa sua» continuai a voce bassa, impegnato in un discorso tra me e me. «Lui è un robot, non può saperle certe cose, si limita a tenere a braccetto la tecnologia e a nutrirsi di programmi, antivirus e sistemi informatici. Probabilmente il suo cervello funziona secondo il codice numerico binario e utilizza solo due simboli, lo zero e l’uno…» mi fermai all’istante non appena la porta si fu chiusa alle mie spalle.
Visto che per arrivare al bagno, dall’ufficio di Seto, era necessaria una metropolitana, avanzai di un po’ per i diversi corridoi – che labirinto! – e mi appoggiai al primo muro che mi sembrava situato oltre la visuale di Seto. Misi la mano in tasca per prendere quel foglio di carta che da quella mattina mi stava facendo compagnia, ma non lo trovai. Cercai anche nell’altra, però non c’era. Niente, era scomparso. A parte che avevo dimenticato anche la penna a casa mia e che quindi non avrei potuto scrivere nulla in quel momento, ma la mia dannatissima e personalissima lista dov’era? L’avevo forse persa per strada? O – e non sapevo se fosse stato peggio o meglio – l’aveva presa Seto? O no, assolutamente no.
Nel fare il percorso inverso corsi.
Quando l’ufficio di Seto ritornò a essere parte della mia visuale, la prima che cosa che feci fu guardare il pavimento. Niente, nemmeno negli angoli c’era traccia della mia povera lista e nemmeno traccia di polvere o sporcizia, non ce l’avevo mai trovata. Una stanza perfetta tenuta perfettamente in ordine – come tutta la casa, del resto.
Ma ciò non risolveva il mio problema: il foglio era sparito; come già detto nell’angolo non c’era, sotto la sedia di Seto nemmeno, neanche sotto la scrivania, né di fianco, né sul lampadario! Da nessuna parte.
«Cerchi qualcosa, bonkotsu
«No, no» risposi rapido. Intanto, a furia di cercare e cercare, avevo cominciato a girare in tondo, ridicolmente.
«Protresti sempre fiutare» aggiunse con scherno.
Lo zittii con un gesto scocciato della mano. «Ti ho detto che non ho perso niente» conclusi seccato, ricominciando per l’ennesima volta un nuovo giro intorno alla scrivania di Seto: dovevo guardare bene da tutte le angolazioni. Oppure potevo sempre sperare che le mattonelle di quella casa avessero il potere di succhiarsi le cose che vi cadevano sopra: avrei spiegato anche il mistero di una casa costantemente splendida splendente.
D’un tratto avvertii la presa forte di Seto sul braccio e mi trattenni dal mugolare dal dolore. Ero abituato a dare e a ricevere cazzotti, a essere tutt’uno con le risse, ma la forza di Seto mi stupiva sempre e mi amareggiava al tempo stesso. Mi faceva sentire debole.
Non seppi nemmeno come, ma mi ritrovai seduto tra le sue braccia, la sua bocca a un paio di respiri dalla mia.
Scosse la testa. «E tu vorresti dominarmi, bonkotsu?»
Rimasi a bocca aperta. «L’hai presa tu!»
«Sì, l’ho presa io.»
Ritornò il tic all’occhio, quello che pensavo di aver lasciato casa con Shizuka – e Malik, purtroppo. «Ridammela» borbottai.
«Non so che cosa volessi ottenere, Jonouchi, ma sappi che hai soltanto sprecato il tuo tempo.» Mi appoggiò alla scrivania, ne sentivo il bordo dietro la schiena. Le mani mi sarebbero diventate bianche a momenti, vista la forza con cui si era avvinghiato ai miei polsi. «Piuttosto che intimarmi a smetterla di chiamarti bonkotsu, dimostrami che non lo sei.»
«Ma tanto non servirebbe a niente, vero?» domandai, lo conoscevo troppo bene.
«Esattamente.» Mentre parlava, mi spinse fin quando la schiena non aderì perfettamente al tavolo e mi sovrastò con la sua altezza. Un foglio, probabilmente quello che stava leggendo fino a poco prima, cadde a terra oscillando.
«Il tuo contratto, Kaiba» sbottai.
«Non mi interessa.» Appoggiò la fronte alla mia e per un momento mi persi nei suoi occhi, che sapevano essere sempre freddi e inespressivi, ma chissà in profondità potevano nascondere altro. Stava a me riuscire a trovarlo. «Piuttosto, fammi vedere come sei in grado di mettermi sotto. Anche se non mi sembri nella posizione giusta per farlo.»
Non pensavo che a Seto stesse a cuore quel misero secondo punto, dannazione. Tuttavia, per quanto la situazione fosse difficile e io stessi per perdere – era pur sempre una sfida, la sua –, non mi arresi subito. Provai dapprima a rialzarmi con un colpo di spalle, ma Seto, pressato su di me, e le sue mani costantemente intorno ai polsi mi fermarono. Provai a farlo cadere, allungando la gamba e colpendo la sua, ma quella restava lì, immobile come un pilastro. Dovevo soltanto ammettere la sconfitta a questa battaglia ma, come si soleva dire, non alla guerra.
«Tsk» soffiai. «Solo perché mi hai preso alla sprovvista» ghignai orgoglioso.
«Come vuoi tu, bonkotsu, sei libero di crederci.» Mi baciò il collo e tremai a quel contatto che creava in me diverse sensazioni. La prima era di spaccargli la faccia con tanto ma tanto amore. La seconda, invece, era di fargliela pagare mordendogli le labbra fino a fargli male. «Ma io mi attengo solo alla realtà dei fatti» aggiunse. «E la realtà vuole che vada così anche stavolta e le volte a venire.»
Dischiusi le labbra quando le sue si avvicinarono alle mie fino a combaciare. Con l’ultimo briciolo di lucidità che mi rimaneva, aggiunsi un terzo punto a questa ennesima lista: riconoscere un pregio a Seto tra tanti difetti; baciava d’incanto, il bastardo.

 
 


 




 
Si potrebbe considerare come il seguito di: "Seto Kaiba non troverebbe il suo nome sulla lista di Babbo Natale nemmeno se pagasse – e pensare che Mr Riccastro ne ha di moneta, in tasca."
L’ho pubblicata giusto giusto in tempo per Capodanno (nonostante i diversi problemi che ho avuto, ma lasciamo stare). Anche se, riflettendoci, è basata sulla Vigilia di Capodanno, non su Capodanno! Ò___ò
E vabbé, mi perdonate, vero? Cx
Inizialmente volevo dividerla in due parti, ma poi mi sono detta che era meglio pubblicarla tutta, anche se è un po’ lughetta. “^^
Faccio un paio di precisazioni, tanto per allungare la cosa ancora di più! (xD):
-Bonkotsu (mediocre) è il termine con cui Seto si riferisce a Jonouchi (okay, non ho seguito (spero d farlo presto *^*) l’anime in giapponese, ama fonti sicure (Tayr U.U) mi confermano che è così;
-25 Gennaio: dovrebbe essere il giorno del compleanno di Jonouchi;
-L’Atem col grembiulino e il momento di Atem e Mana è dedicato alla mia adoratissima Tayr! <3
 
Credo di aver (quasi) concluso. Spero di non aver scritto qualcosa di maledettamente OOC! >.<
(per Malik, immaginatevi il Malik post Battle City).
 
Boh, non so più che dire, concludo che è meglio!
Buon anno a tutti! <3
 
P.S. Buoni propositi per il 2012 di Hikari: popolare il fandom di puppyshipping;  mi sento potente! *^* (?)
Ignoratemi, è meglio! xD
 
Ah, grazie per aver letto! <3

 
 
 
 
  

   
 
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