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Autore: MadJackal    18/08/2006    2 recensioni
Era tutto così silenzioso, in quel momento. Ma tutto è silenzioso, nello spazio.
Nell'oscurità dove tutto si confonde, dove perfino le sagome delle navi che solcano quel nuovo, immenso mare punteggiato da stelle splendenti, sono difficili da vedere.
Era tutto silenzioso anche in quel momento, vicino a quella astronave ormai semidistrutta, fatta quasi completamente a pezzi dai cannoni pesanti degli incrociatori nemici che ancora la circondavano. Era stata una bella nave, una delle più belle ed armate della flotta, ma ora non era più nulla se non un mucchio di rottami circondati da decine, centinaia di cadaveri. Marinai caduti nei modi più disparati, investiti in pieno da un'esplosione o scaraventati nello spazio dalla depressurizzazione forzata.
Genere: Triste, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Holy Cross



Era tutto così silenzioso, in quel momento. Ma tutto è sempre silenzioso, nello spazio, nell'oscurità dove ogni cosa si confonde, dove perfino le sagome delle navi che solcano quel nuovo, immenso mare punteggiato da stelle splendenti, sono difficili da vedere.
Era tutto silenzioso anche in quel momento, vicino a quell'astronave ormai semidistrutta, fatta quasi completamente a pezzi dai cannoni pesanti degli incrociatori nemici che ancora la circondavano, come un branco di iene intorno ad un cadavere. Tempo prima era stata una bella nave, una delle più belle ed armate della flotta, ed era uscita vincitrice di decine di battaglie, senza mai riportare grandi danni. Ma ormai non era più nulla, se non un mucchio di rottami circondati da decine, centinaia di cadaveri. Marinai semplici e loro ufficiali, caduti nei modi più disparati, investiti in pieno da un'esplosione o scaraventati nello spazio dalla depressurizzazione forzata quando si era aperta quella voragine nello scafo che attraversava la nave da una parte all'altra.
Scariche elettriche facevano brillare i cavi danneggiati nei pochi corridoi che esistevano ancora, mentre quell'ammasso di rottami privato perfino di una parvenza di dignità veniva dimenticato dai nemici, ora che era stata distrutto.
Non c'era più nessuno, sulla plancia, pronto a monitorare la situazione od osservare il radar, in attesa del prossimo balzo nell'iperspazio. Nessuno pronto ad ordineare il fuoco contro qualsiasi minaccia.
Non c'era più nessun comandante, vicino a quel tavolo circolare che ancora tentava di dare informazioni sullo stato della nave tramite l'interfaccia olografica. Le linee azzurre e rosse dei grafici si mescolavano l'una con l'altra, rendendo illeggibile ogni cosa, vicino a dove il fumo dei condotti d'areazione esplosi nascondeva la morte alla vista di qualunque osservatore.
Attraversando i corridoi, si sarebbe potuti arrivare al reattore principale che ancora tentava di dare energia e conferire forza alla nave, come il cuore di un essere vivente ormai sul punto di morire.
Attraversando i corridoi, si sarebbe potuti arrivare alla sala di controllo degli armamenti, quasi disintegrata dall'esplosione di una testata nucleare che aveva colpito la parte inferiore di quella nave argentata dalla forma tanto simile alla lama di un coltello.
« Askraja. »
Il sussurro di quel ragazzo che agli occhi di un umano sarebbe parso poco più che ventenne avrebbe sorpreso chiunque.
Qualcuno ancora vivo in quell'inferno di calore, di fumo e di plasma ad alta pressione che perforava le pareti a malapena trattenuto all'interno dei sistemi di contenimento d'emergenza, era davvero un miracolo. Ma quel qualcuno non era un marinaio qualsiasi, affatto.
Vestiva la divisa da ufficiale. Portava i gradi di comandante.
Era l'uomo che aveva trascinato quella nave alla sua distruzione.
Ed ora piangeva, ferito al fianco, il braccio sinistro che pendeva inerte in posizione rilassata, come morto.
Piangeva, trascinandosi sulla parete, imbrattandola di sangue.
Così vicino alla sala centrale dove nessuno a parte lui poteva entrare: la sala che conteneva il nucleo del computer centrale.
Arrivato alla porta, usò la mano ancora utilizzabile per digitare il codice che gli avrebbe garantito l'ingresso.
Qualche secondo dopo, la porta pressurizzata si aprì con uno sbuffare sommesso, e lui si fermò qualche passo dopo essere entrato, tenendo gli occhi fissi davanti a sè.
La luce bianca era quasi accecante in quella stanza cilindrica, alta si e no quattro metri ed avente un raggio di tre. Era vuota, se si escludeva quell'altro cilindro più piccolo, alto quanto la stanza ma del diametro di due metri, pieno di un liquido trasparente come l'acqua. Un liquido che evidentemente serviva a tenere in vita la ragazza completamente nuda che occupava quella prigione trasparente, la cui testa era collegata al soffitto da innumerevoli cavi di dimensioni e colori più disparati.
« Askraja. » disse il ragazzo più forte, fissandola, tentando invano di asciugare le lacrime passandosi il dorso della mano sugli occhi. « Mi dispiace. Io.. »
Il rumore di un'esplosione lontana fece sussultare il ragazzo, obbligandolo ad interrompersi mentre lanciava un'occhiata alle sue spalle, giusto in tempo per accorgersi che la porta da cui era entrato si stava richiudendo, per scomparire nel muro, come se facesse parte di esso.
Poi la ragazza aprì gli occhi, fissandolo. Sorrise, ed il ragazzo potè avvertire la voce di lei nella sua testa, come la prima volta che era arrivato lì: « Non c'è bisogno che tu ti scusi, Revan. Hai fatto tutto al meglio, come sempre. Questa volta non potevamo vincere. »
« Askraja... sai benissimo che... »
« shhh... Vieni qui, vicino a me »
Il cilindro si svuotò con una rapidità sorprendente, e la ragazza scivolò sul fondo. Non aveva più gambe abbastanza resistenti per tenerla in piedi, i suoi muscoli si erano atrofizzati da tempo. E quando i suoi polmoni non più abituati all'aria vennero a contatto con essa fu costretta a piegarsi in due, talmente era forte la tosse con cui il suo corpo cercava di espellere il liquido ora estraneo che in precedenza le aveva permesso di vivere.
Il ragazzo chiamato Revan digitò rapidamente qualcosa su uno schermo olografico lì vicino, aprendo il cilindro e facendosi strada all'interno gattonando come poteva, cercando di sostenerla mentre tossiva. Sedendosi poi vicino a lei, lasciando che posasse il capo pieno di cavi sul suo petto mentre respirava rumorosamente l'ossigeno fornito dal sistema di mantenimento vitale. Abbracciandola, senza metterci poi troppa forza.
Quella ragazza era magra e fragile, dalla pelle bianca. E lui temeva di distruggerla, di spezzarla come uno stelo d'erba.
« Quanto manca, al collasso di questa parte della nave? » domandò alla fine.
Lei esitò per un secondo, poi rispose: « Dieci minuti, in tempo spaziale standard »
Lui si morse le labbra, con rabbia. « Mi dispiace, Askraja, per tutto questo »
La ragazza gli posò un dito sulle labbra, tornando ad aprire gli occhi per guardarlo in faccia. Occhi vuoti, vitrei, gli occhi di coloro che hanno dimenticato quanto bello sia il mondo.
Non muoveva la bocca, per parlare. Non poteva più farlo in quel modo, quei neuroni erano stati connessi a qualche sottosistema informatico di quel mondo in miniatura che era stato quell'ammasso di lamiera, un tempo chiamato "astronave". Comunicava direttamente nella mente del destinatario i messaggi che voleva dargli, adesso, utilizzando quella che qualcuno avrebbe chiamato telepatia.
« Quando ho scelto di fare da nucleo per il computer centrale di questa nave, sapevo a cosa andavo incontro, Revan »
« Non... avresti... dovuto... farlo »
« Era l'unico modo per rimanere con te. Insieme per sempre, ricordi? »
Il ragazzo fu costretto a sorridere, stringendola un poco più forte.
Per un secondo, rivide il sè stesso di quattro anni prima stringere la mano di quella ragazza, allora più abbronzata e più vitale di quanto fosse in quel momento, in cima ad una duna dell'immenso deserto che copriva il loro pianeta natale, promettendole che sarebbe rimasto con lei per sempre. La rivide ridere, tirargli un pugno sulla spalla e replicare che lui mentiva. Che era un maschio, e che prima o poi l'avrebbe mollata per correre dietro a qualche bella ed altolocata ragazza della capitale.
Ma poi c'era stata la guerra. La morte. La distruzione. Gli amici perduti, i pianeti distrutti, le navi fatte a pezzi.
E quando alla fine, a lui così giovane, era stata affidata quella astronave appena costruita, lei si era offerta per fare da nucleo. Per essere la parte principale del computer centrale. Per essere il vero kernel dell'intero sistema, perchè solo il cervello umano aveva abbastanza potenza di calcolo per svolgere quel compito.
Lui aveva provato ad opporsi, ma non era servito.
« Sei sempre stata una grandissima testarda »
Lei rise, per un poco, ma smise subito quando quella risata rischiò di diventare l'ennesimo colpo di tosse, mentre si appoggiava meglio a lui e tornava a chiudere gli occhi.
« Stringimi ancora un pò. Sei così caldo, Revan »
« Sicura che non ti farò male? Le tue ossa... »
« Non mi importa delle mie ossa, non mi importa più di nessuno che non sia qui, in questa stanza » Sentenziò lei, decisa: « Voglio solo che tu mi stia vicino. Voglio sentire... il tuo calore... ancora una volta »
Il ragazzo fece silenzio, tornando a piangere piano, stringendola ancora più forte, stando attento a smettere quando sentì il primo gemito di dolore, un gemito che quella volta uscì dalle labbra di Askraja.
« Tuo padre aveva ragione, sai? Questa guerra era una follia » sussurrò infine, appoggiando la sua fronte contro quella di lei.
« Ho cercato di convincerti a non imbarcarti, Revan. Sei tu che hai voluto diventare come tuo padre, ed entrare nella flotta! »
« Non potevo stare fermo senza far nulla mentre il mio popolo soffriva »
« Il tuo popolo? Parli come se fossi l'imperatore Khassak od uno dei vecchi del Senato! » ridacchiò lei, abbassando subito dopo lo sguardo e tornando a parlare con voce seria, grave: « Però... non era possibile evitarla, questa guerra, anche se nessuno la voleva. Ora lo capisco, ora che ho visto e sentito le informazioni sui nostri nemici, su Arrakis. E... poi... E poi immagina: se noi non fossimo qui ora, qualcun altro lo sarebbe. E' quello che avremmo voluto? »
« No. Speriamo solo che quello che abbiamo fatto sia servito a qualcosa, Askraja »
« Sicuramente è servito, Revan, e lo sai anche tu »
Il silenzio calò tra loro due, per un pò. Un silenzio interrotto dai rumori delle esplosioni che arrivavano alle loro orecchie. Revan si beava della vicinanza di Askraja, e lei si beava del calore di lui. Il resto non ebbe più nessuna importanza, per un pò di tempo.
Alla fine fu di nuovo lei a parlare: « Allora, Capitano, che ha deciso? »
Revan la guardò, esitando. La ragazza aveva fatto quella domanda senza cambiare posizione, senza muoversi.
« Ho perso ogni cosa, in questa guerra. Mia madre, le mie sorelle, mio fratello minore. La mia casa. I miei amici. E sto perdendo anche te. »
La ragazza fece per interromperlo, ma lui non si fermò: « Si, Askraja, so che stai morendo piano piano, giorno dopo giorno. Ho letto quei documenti segreti sul progetto Gehirn. Non mentirmi, non ora »
Lei si strinse con tutta la forza che aveva a lui, senza per questo riuscire ad abbracciarlo in maniera decente, senza riuscire a stringerlo a sè come avrebbe voluto. Non ne aveva la forza. « Da quanto lo sai? » chiese.
Lui scosse il capo: « sono ormai sei mesi. Quando non sei più riuscita a reggerti in piedi, quando non sei più riuscita a vedermi... »
La ragazza abbassò la testa, senza guardarlo, proprio quando lui accennò al fatto che non era più riuscita a vederlo. E lui sorrise, zittendosi e rimanendo ad osservarla per un poco, prima di baciarla in uno dei pochi punti della sua testa liberi dai cavi.
« Non ha più importanza, Askraja. Davvero, non ne ha più. Staremo insieme per sempre, come ti ho promesso »
Askraja sussultò, tornando a rivolgere i suoi occhi sul volto di lui. Questa volta però erano sgranati, spaventati. Pieni di terrore.
« Hai intenzione di... »
« E' quello che ho deciso. E non intendo cambiare idea »
Ci fu un'esplosione, improvvisa, imprevista. D'improvviso, la stanza si inclinò verso destra, e Revan fece fatica a non scivolare verso la parete opposta del cilindro, trattenendo Askraja vicino a sè. La ragazza non sarebbe sopravvissuta all'impatto, se avesse urtato contro quella parete. Era troppo debole.
« Qual'è lo stato della nave? Quali sistemi sono ancora operativi? » domandò.
« Integrità strutturale, 10.82%. Danni gravi ed estesi su tutti i punti esterni ed interni. Armi non più operative. Reattore principale al 19.1%, a rischio di collasso. Sistema di mantenimento vitale al 2.7%, assente ovunque tranne che su questo ponte. Nessun altro sistema operativo. Scudi, reattori secondari, sistemi di contenimento completamente non operativi. » rispose lei, con voce anonima, abbassando lo sguardo.
Poi tornò a guardarlo: « sei davvero sicuro di voler... »
« Si, Askraja. Cominciare procedure di Overloading »
« Procedure di Overloading iniziate. Fase 1, 2, 3 completate »
Revan avvicinò le sue labbra a quelle della ragazza. Rimase così a lungo, guardandola chiudere gli occhi prima di lui.
Ed un secondo prima di baciarla, diede a lei il suo ultimo ordine: « Autodistruzione, ora. Nessun conto alla rovescia »

La USS Gnosis si teneva piuttosto lontana dai combattimenti. Era una nave di comando, non era adatta agli scontri frontali contro dei pesanti incrociatori da battaglia. Sarebbe stata solo un fastidio, là in mezzo.
L'ammiraglio Jen'kai era in piedi al centro della plancia, e fissava il monitor che mostrava lo svolgimento della battaglia, corrucciato. Stavano perdendo, le loro navi stavano cadendo una dopo l'altra. La potenza di fuoco dei Signori di Arrakis era molto più grande della loro. Ci sarebbe voluto un miracolo, per vincere.
Ma nonostante ciò, non vi era caos in plancia. E quando uno degli addetti alle comunicazioni si mise ad urlare, rivolgendosi direttamente all'ammiraglio, tutti si voltarono a guardarlo: « Signore, messaggio urgente dalla Servant! Dicono di sincronizzarsi immediatamente sulle telecamere di osservazione della Genesis! »
L'ammiraglio annuì, alzando gli occhi per osservare lo schermo principale della plancia. « Eseguite, Sottotenente. Sullo schermo principale! »
Passarono alcuni secondi. Poi, la plancia si riempì di mormorii.
Dal nulla, dal buio dello spazio, si formò una croce di luce. Una croce di fiamme splendenti, dalle braccia tutte uguali, che si estendeva per tutto l'orizzonte visibile tramite quella telecamera. Una croce di fuoco e luce, proprio nel centro della flotta nemica.
« I sistemi rivelano una composizione di plasma, idrogeno ed elio. E' artificiale! » disse uno dei timonieri.
« E' impossibile » sbottò qualcun altro, più indietro. Ma per Jen'kai, ormai le parole dei suoi subordinati avevano poca importanza.
Comprese, e quando lo fece, la croce venne spazzata via da una tremenda onda d'urto magnetica, un arcobaleno di mille colori capace di portare con sè nel nulla chiunque fosse stato così folle da avvicinarglisi troppo.

« Ammiraglio... »
« Si? »
« Tutte le navi riportano la vittoria. I Signori di Arrakis sono stati annientati. Secondo i calcoli, i tre quarti della loro flotta sono stati spazzati via dall'esplosione magnetica »
« Avete scoperto cosa l'ha provocata? »
« Con l'ausilio dei sensori della Genesis e del diario di bordo della Tiger e della Warlord, abbiamo scoperto che nel punto esatto da dove la croce ha avuto origine si trovava un trasponder con ID appartenente alla flotta »
« Quale comandante? » replicò Jen'kai, aprendo gli occhi, stringendo i braccioli della poltrona su cui era seduto.
Il marinaio parve esitare. Ma poi, chiudendo gli occhi, rispose: « Revan Jen'kai, Ammiraglio »
L'ammiraglio riuscì solamente annuire, reclinando il capo in avanti, gli occhi umidi. Ed il marinaio uscì senza far rumore, comprendendo, forse, il dolore del suo superiore. Il dolore di chi perde un figlio. E mentre usciva potè udire il sussurro di Jen'kai, dell'ammiraglio che sarebbe stato lodato in patria dal Senato ed acclamato dal popolo, senza però riuscire a cancellare la perdita: « E così era quello, il vero potere della tua nave, figlio mio. Era quello, era il vero potere della USS Holy Cross »






Nota: un'altra pazzia sviluppata alle nove di sera, nel tentativo di fare qualcosa di commovente e lacrimoso xD
Abbiate pietà, se la leggete, ma almeno un commento lasciatemelo :)

Arrakis è il nome che i protagonisti del romanzo Dune danno al loro pianeta. Diciamo che è un "tributo" a quella saga di fantascienza che amo tantissimo.
Kernel, in greco, significa "Nucleo".
Gehirn, in tedesco, significa "Cervello".

  
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