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Autore: _Frame_    02/01/2012    5 recensioni
Mio padre morì il 28 gennaio 2010. Era un poliziotto. Mia madre il 14 febbraio 2011. Lei era un'ex attrice e modella. Entrambi erano seppelliti nel cimitero a due passi da casa. Questo era tutto ciò che sapevo dei miei genitori all'età di cinque anni. Anzi, questo era tutto quello che volevano farmi sapere.
Genere: Dark, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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30. DELIRIO (RYUZAKI)

 
Lo vidi darmi le spalle, e varcare la soglia della mia camera, non dicendo un’altra singola parola.
Se n’era andato.
Mi aveva lasciato lì, da solo, in balia della mia testa vacillante e che sentivo prossima all’implosione.
Tredici anni.
Tutti i segreti che mi erano stati tenuti nascosti per tredici anni, ora cercavano di farsi spazio nella mia mente, prendendosi a scazzottate tra di loro.
Mi presi il capo tra le mani, e strinsi forte i denti, cercando di sopprimere il dolore.
Avevo scoperto fin troppe cose in una volta sola.
Near mi aveva avvicinato con la consapevolezza che io fossi il figlio di Light Yagami.
Almeno, durante il nostro secondo incontro.
La prima volta che ci incontrammo, probabilmente fu davvero casuale.
Ma, perché interessarsi così a me?
E, ancora più importante, perché mi aveva consigliato di investigare sul caso Kira da solo?
Sarebbe bastato che mi avesse spiegato i semplici fatti, eppure mi aveva spinto alla ricerca individuale.
Ora che ci penso, anche lo zio, poco prima, mi aveva chiesto il mio personale parere a riguardo.
 
“Ryuzaki. Dimmi la verità. Che cosa ne pensi, di Kira?”
 
E, dargli un’opinione puramente soggettiva sarebbe stato possibile solo senza l’influenza di qualcuno, come appunto un poliziotto che, ovviamente, si sarebbe ritrovato schierato dalla parte opposta del serial killer dei criminali.
Volevano mettermi alla prova?
Se fosse stato così… allora io avevo già perso a causa della mia spudorata confessione risalente a poco prima.
Ma, c’è anche da dire che, quella volta, al cimitero…
 
“Seguendo il tuo ragionamento e la tua mentalità… anche tu diventeresti un assassino come un altro.”
 
“…lui aveva già dato per scontato che io avessi ragionato…”
Deglutii.
“…come Kira.”
Ma che stava succedendo?
Mi guardai le mani, che avevano ripreso a tremare.
“Sembra quasi che…”
Mi lasciai cadere sul pavimento.
Le gambe avevano ceduto.
“…loro pensino che io sia la sua reincarnazione.”
Piansi.
Un pianto silenzioso, ma lungo.
Ero totalmente distrutto.
All’inizio, pensavo che fosse solo Near ad avermi preso in picca.
Ma, ora che anche lo zio mi aveva abbandonato, ora che sicuramente si era schierato dalla sua parte, mi sentivo solo al mondo.
Che cosa avevo fatto di male?
In fondo… non ero l’unico a pensare quelle cose sul conto di Kira.
Tutti quanti, secondo il loro ragionamento, sarebbero potuti essere visti come possibili casi di reincarnazione della sua personalità.
Non che io avessi mai creduto a queste cose… ma ora mi sentivo in pericolo.
Mi vedevo già rinchiuso dietro le sbarre di un qualche sudicio manicomio o in un una cella di un ospedale di riabilitazione mentale.
E i miei zii, che mi guardavano da dietro gli spessi vetri di sicurezza, mentre mi ripetevano con aria compassionevole:
“È per il tuo bene, Ryuzaki. Cerca di capire.”
E Near, che rideva, soddisfatto di avermi incastrato ed affidato alla sua giustizia marcia.
-Io non sono Kira, io non sono Kira, io non sono Kira…
Ripetevo con voce strozzata quella singola frase, fino a che non mi venne la nausea.
Sentivo lo stomaco in subbuglio, e feci davvero fatica a trattenere la bile all’interno della mia pancia.
Mi asciugai le lacrime con il palmo della mano e mi sollevai dal caldo pavimento in legno, seppur ancora con le gambe deboli e tremolanti.
Era tutto un complotto.
Non potevo farmi fregare così.
-Quei bastardi non mi avranno mai.
Mi precipitai al piano di sotto, scendendo le scale solo con tre veloci falcate.
Non presi neanche il cappotto.
Volevo solo andarmene.
Mia nonna, però mi sentì nel momento in cui io aprii la porta.
-Ryuzaki, aspetta, ma dove vai?
-Esco un attimo.
-Ma fuori diluvia! Portati almeno l’ombrello. Ti bagnerai!
-Non m’importa.
Non m’importava più di niente, ormai.
Mi lasciai la casa alle spalle, non del tutto sicuro che ci avrei fatto ritorno.
 
Pioveva.
Iniziai a correre senza meta sotto il diluvio, con l’acqua fredda che mi colpiva la faccia, diventata gelida ed arrossata.
I vestiti erano appiccicosi a contatto con la pelle, ed aderivano fastidiosamente al mio corpo, rendendo i miei movimenti più pesanti e faticosi, anche a causa della quantità d’acqua che era stata assorbita dal tessuto.
La gola bruciava, il fiato iniziava a venir meno.
Mi appoggiai ad un muro, esausto e smarrito.
-E ora, cosa faccio?
Non avevo un posto dove tornare, o dove andare.
Il mondo mi era nemico.
Poi… il mio sguardo si illuminò.
Io sapevo cosa fare.
Sapevo dove potermi nascondere.
Perché là, avrei sempre trovato qualcuno che mi avrebbe aspettato a braccia aperte.
Chiamai a raduno tutte le mie ultime forze, ed iniziai la mia folle corsa verso il cimitero.
È sempre un po’ inquietante, entrare in quel luogo sacro con il maltempo ma, in quel momento, quello mi era sembrato il posto più caldo ed ospitale che avessi mai potuto desiderare.
 
Mi gettai ai piedi della lapide di mia madre, con la testa appoggiata al suolo.
Con le mani, accarezzavo l’incisione del suo nome.
Volevo risentire la sua voce.
Volevo risentire la morbidezza della sua pelle.
Volevo risentire la sicurezza del suo abbraccio, mentre mi stringeva con quelle sue esili mani, con cui si era tolta la vita.
Avrei voluto ricordare il suo dolce profumo, che era stato cancellato e sostituito con quello nauseabondo del sangue.
Io… rivolevo la mia mamma.
-Ti prego…
Era la prima volta che piangevo davanti ad una tomba.
-…torna da me. Vieni a proteggermi.
Ma lei non arrivava.
“È morta, Ryuzaki. Lei sta marcendo due metri sotto terra. Non ci sarà mai più, per te.”
Mi rialzai, sconsolato, con la pioggia che continuava ad investirmi.
Anche il cielo… piangeva per me.
Mi trascinai lungo il solito vialetto che, ormai, attraversavo da anni.
Ma, questa volta era diverso.
 
-È tutta una balla.
Mi fermai, a pugni serrati, fissando con occhi di fuoco il sepolcro senza nome.
-Vi state divertendo, non è così? Ma chi mi dice che non sia tutta una presa in giro per farmi impazzire, eh? Avete organizzato questo bel giochetto per spassarvela un po’ con un povero idiota come me? Caso Kira… L… la polizia… io che dovrei avere il tuo stesso nome, caro L… Si, davvero una bella commedia! Un’organizzazione impeccabile, complimenti! Ci sono cascato! Hai sentito? Ci sono cascato, ma ora piantatela di prendermi in giro, bastardi!
 I polmoni stavano esplodendo all’interno del mio petto.
Caddi in ginocchio annaspando, tentando di riprendere fiato.
-Io non sono Kira!
Urlai con tutto il fiato che avevo conservato, squarciando il silenzio interrotto solo dallo scroscio dell’acquazzone.
-A questo punto… chi mi dice che qui sotto ci sia realmente qualcuno?
Affondai le mani nel terreno fangoso ad iniziai a scavare.
Temetti di aver perso la testa.
La terra mi entrava nelle unghie, ma io, a denti stretti, continuavo a farmi spazio tra humus, sabbia, pietrisco e vermi viscidi.
Poi, sentii qualcosa di appiccicoso tra le dita.
Sollevai la mano, portandomela vicino al naso.
Insieme alla terra, c’era un’altra sostanza rimasta incollata alla mia epidermide.
Bianca, cristallina, sembrava quasi…
Sfiorai il dito con la punta della lingua.
…zucchero.
Allora, non mi ero sbagliato.
Quella volta, Near aveva proprio sotterrato una zolletta di zucchero.
Sghignazzai tra me e me.
“Allora, qui non sono l’unico ad avere problemi mentali…”
Strinsi i denti e ripresi il mio lavoro.
-Non me ne andrò di qui fino a che non ti avrò trovato.
Poi la terra finì.
E le mie unghie si ritrovarono a stridere sul legno della cassa mortuaria, lasciandoci sopra i solchi della mia furia.
D’un tratto, mi sentii una vera merda.
Avrei voluto essere sotterrato in quel momento, lì, sul posto.
-Io ho… profanato una tomba. Ho profanato la tomba… di un innocente.
 Mi misi le mani tra i capelli.
-Si. Io qui sono proprio l’unico ad avere problemi mentali.
Mi lasciai andare, immerso dal pantano. Persi totalmente la forza e la voglia di continuare a vivere.
Mi strofinai via la terra da una guancia e mi rialzai solo dopo parecchi minuti. La pioggia non smetteva ma neanche quella riusciva a portare via lo sporco dai vestiti e dai capelli.
-Fanno bene a volermi rinchiudere in manicomio.
Presi una manciata di terra.
Dovevo rimettere tutto a posto.
Dovevo farmi perdonare per quel gesto sconsiderato.
Non avrei lasciato neanche un granello fuori posto.
 
Ma poi…
 
-E quello cos’è?
Scorsi, sopra al legno d’ebano, un angolino di plastica trasparente.
Tirai la linguetta, estraendo dalla fossa una busta in nylon sudicia di fango, ma che era riuscita a preservare indenne il suo contenuto.
-Ma… che diavolo…?
 
E lo vidi.
 
Giaceva sotto terra ad aspettarmi da anni, ed ora era lì, tra le mie dita.
Non sapevo ancora perché si fosse trovato in quel luogo.
Non conoscevo il motivo della sua esistenza.
Ma, non posso fare altro che ringraziare il mio cervello, per il delirio a cui era stato soggetto in quel momento.
Perché, altrimenti, non sarei mai arrivato a te.
-Ma… questo è un…
Si, Ryuzaki.
Lo è.
Prendilo, è tuo.
 
-…un quaderno.


NOTE DELL'AUTRICE:    Ehm... suppongo che... a questo punto... siano d'obbligo delle spiegazioni. Non so quale possa essere ora la vostra reazione, ma non vi preoccupate! Verrà tutto spiegato nei prossimi capitoli! Non vi porto via altro tempo prezioso… ora via libera con le imprecazioni!! XD  
  

   
 
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