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Autore: more_    02/01/2012    18 recensioni
«Come mai qui?» chiesi dopo aver recuperato un po’ di fiato sedendomi accanto a lei. Il sole era tramontato già da un pezzo e il cielo iniziava ad essere più blu tendente al nero.
«E’ un posto speciale» rispose semplicemente gettando un sassolino nell’acqua spaventando le poche anatrelle «e anche un po’ triste»
«Perché?» le chiesi curioso notando che guardava in un punto fisso del fiume senza distogliere lo sguardo da esso, lo stesso punto dove aveva buttato il sassolino.
«Non lo sai veramente Malik?» mi chiese dopo qualche instante voltandosi verso di me. Scossi la testa fissando i suoi occhi blu, riuscivo chiaramente a distinguere la perfezione nei suoi occhi nonostante ci fosse poca luce.
«Allora non vedo il motivo per cui dovrei dirtelo io» rispose con la stessa semplicità che aveva usato prima buttando un altro sassolino nelle acque scure del Tamigi. Corrugai la fronte e poi allacciai le gambe con le braccia.
«Mi sei mancato» sussurrò appoggiando la sua testa sulla mia spalla. Riuscivo a percepire il freddo proveniente dal suo corpo anche con il cappotto addosso.
Attenti, potrebbe sconvolgervi!
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sospirai sporgendomi oltre il muretto del Westminster bridge e iniziai a guardare l’acqua del fiume che scorreva tranquilla senza sosta per raggiungere la propria meta. Da quanto non mi soffermavo a guardare l’acqua del Tamigi? Troppo, troppo tempo.
Sicuramente il sole caldo dell’Africa non mi sarebbe mai mancato come le cupe giornate di Londra, la pioggia costante e la nebbia mattutina.
Tutto, finalmente, mi sembrava così familiare e tremendamente grigio. Dopo aver passato ben cinque lunghi anni in Afghanistan per aiutare le povere famiglie distrutte dalla guerra, un po’ di riposo lo meritavo.
Mancava poco prima che le ultime luci del giorno sparissero e Londra era già quasi tutta illuminata, mi ritrassi dal muretto e cominciai a camminare spedito verso casa ma una voce mi trattenne.
«Zayn!» una voce bella e pura chiamò un’altra volta il mio nome, questa volta era più vicina. Strabuzzai gli occhi nel riconoscere quella voce, non poteva essere lei, dopo cinque anni non poteva avermi riconosciuto.
Mi voltai lentamente incuriosito e mi ritrovai ad un palmo dal naso due grandi occhi azzurri e una cascata di capelli biondi leggermente umidi davanti.
«Dakota» sussurrai a bassissima voce, forse neanche lei mi aveva sentito, eppure un grosso sorriso si stampò sul suo volto mostrando tutti i suoi denti. Negli ultimi anni non era cambiata per niente, aveva lo stesso volto pallido da ragazzina ribelle, gli stessi capelli con qualche ciocca azzurra, lo stesso trucco nero un po’ sbavato che contornava i suoi occhi. Era la stessa Dakota, la stessa ragazza che amavo alla follia: la mia ragazza del liceo.
«Ciao» disse timidamente chiudendosi nelle spalle e giocherellando con i mignoli delle sue mani «da quanto tempo» aggiunse dopo con una piccola risata facendo scappare anche a me un sorriso.
«Parecchio» commentai portandomi una mano sulla nuca per poi grattarla imbarazzato. I suoi occhi mi mettevano così in soggezione, avevano sempre fatto quell’effetto su di me.
«Ti va di fare due passi?» mi chiese indicando la fine del ponte con lo sguardo.
«Avevo in programma di tornare a casa ma credo che accetterò » le risposi mentre un sorriso spontaneo nasceva sulle mie labbra e anche sulle sue. Aspettai che si affiancasse a me e poi incominciammo a camminare lentamente per il Westminster Bridge.
«Come va?» domandai per non rimanere in silenzio voltandomi leggermente verso di lei, che guardava fissa il suolo.
«Sempre la solita noia: esco la mattina presto, sto via tutto il giorno e la notte rientro. Ora ho paura della notte, non si è mai al sicuro» commentò con tono di voce freddo «e a te? Ricordo che volevi fare grandi cose»
«Già, infatti le ho fatte. Sono stato cinque anni in Africa per aiutare i più bisognosi e ora mi sto prendendo un periodo di pausa, non potrei essere più felice in questo momento» risposi orgoglioso di me infilando le mani nel cappotto scuro.
«Che figata!» esclamò entusiasta voltandomi verso di me.
«Io non la chiamerei proprio “figata”» ammisi ridendo. Stare in Africa per me non era certo una vacanza, dovevo sopportare ogni giorno nuove fatiche, nuove persone ferite, e soprattutto dovevo stare attento a non morire.
«Sei sempre stato così altruista, Zayn» disse sorridendomi appena «anche con me»
Anche con lei. Già, solo io a scuola le parlavo, tutti la credevano una squilibrata con seri problemi, mentre lei era solo una ragazzina un po’ strana, sensibile, dolce e non le piaceva fare amicizia con le persone. Non so cosa mi avesse spinto verso Dakota ma volevo scoprire qualcosa di più su di lei.
«Mi mancano tanto i giorni al liceo» ammisi pensando a tutte quelle cose che avevamo fatto io e lei, a tutte le punizioni che ci eravamo subiti insieme, a tutte le risate e anche ai nostri baci. La guardai un’altra volta e mi soffermai sulle sue labbra, non era rosee come me le ricordavo ma andavano molto vagamente sul viola. Prima che potessi chiederle il perché mi prese la mano e iniziò a correre.
«Ti porto in un posto» disse continuando a stringere la mia mano. Percorremmo tutto il ponte in quel modo e anche tutti gli altri metri che distanziavano noi dalla nostra meta. Sembravamo proprio come l’acqua del Tamigi.
Arrivammo vicino ad un altro ponte, molto più piccolo del precedente. Misi una mano sulla pancia e respirai profondamente, la corsa mi aveva sfinito. Dakota, invece, non avevo neanche un cenno di stanchezza, come se non avesse fatto una corsa frenetica per più di cinque minuti.
Senza dire una parola, Dakota, scese fino alle sponde del fiume e tranquillamente si sedette sul terreno fangoso e umido.
«Come mai qui?» chiesi dopo aver recuperato un po’ di fiato sedendomi accanto a lei. Il sole era tramontato già da un pezzo e il cielo iniziava ad essere più blu tendente al nero.
«E’ un posto speciale» rispose semplicemente gettando un sassolino nell’acqua spaventando le poche anatrelle «e anche un po’ triste»
«Perché?» le chiesi curioso notando che guardava in un punto fisso del fiume senza distogliere lo sguardo da esso, lo stesso punto dove aveva buttato il sassolino.
«Non lo sai veramente Malik?» mi chiese dopo qualche instante voltandosi verso di me. Scossi la testa fissando i suoi occhi blu, riuscivo chiaramente a distinguere la perfezione nei suoi occhi nonostante ci fosse poca luce.
«Allora non vedo il motivo per cui dovrei dirtelo io» rispose con la stessa semplicità che aveva usato prima buttando un altro sassolino nelle acque scure del Tamigi. Corrugai la fronte e poi allacciai le gambe con le braccia.
«Mi sei mancato» sussurrò appoggiando la sua testa sulla mia spalla. Riuscivo a percepire il freddo proveniente dal suo corpo anche con il cappotto addosso. Anche prima, quando aveva preso la mia mano, avevo notato che la sua era gelata. Abbassai lo sguardo sul suo dolce viso pallido, e poi le misi una mano sulla guancia, costringendo ad alzare i suoi occhi su di me.
«Sei fredda» ansimai preoccupandomi «e hai i capelli bagnati» continuai dopo accarezzandole i capelli biondi.
«Ho sempre freddo e i miei capelli sono sempre così» disse chiudendosi nelle spalle e accucciandosi di più a me, come una bambina piccola e impaurita.
«Metti questo» le dissi togliendomi il cappotto per poi metterglielo a lei, che non aveva esitato a dire no.
«Ti stavo aspettando, Zayn» mi disse alzando lo sguardo dalle mie mani che chiudevano la zip del cappotto fino al suo mento per puntarlo nei miei occhi scuri. La guardai confuso per qualche secondo rimanendo con le mani a mezz’aria ferme sotto il suo mento. Eravamo così tremendamente vicini, eppure non sentivo il caldo respiro che aveva sempre avuto, ben sì solo qualcosa di freddo, e non sembravano neanche respiri. Dakota socchiuse gli occhi e si avvicinò di più a me. Mi morsi il labbro inferiore e piano feci scivolare le mie mani sul suo collo, attirandola a me.
Forse erano passati tanti anni e non ricordavo più come fosse baciare Dakota, perché mi sembrò totalmente diverso, ugualmente bello, ma più freddo e calmo. Come se stessi baciando l’aria.
Dakota mi afferrò il viso e prolungò il bacio, fin quando non caddi a peso morto su di lei. Finimmo tutti e due stesi a terra e partì da parte nostra una rigorosa risata.
«Non sei mai stato bravo a mantenere l’equilibrio, Malik» disse mentre continuava a ridere gioiosamente. Feci un ghigno e scossi la testa, fiondandomi di nuovo sulle sue labbra, ma Dakota mi allontanò.
«Devo andare, sta arrivando la notte e come ti ho detto, io ho paura della notte» sussurrò guardando ancora i miei occhi scuri. Il mio volto assunse un espressione triste, non volevo lasciarla andare, non in quel momento.
«Devi proprio?» le chiesi mentre contornavo con un dito il suo volto. Dakota annuì e si tirò su, pulendosi le mani «Ti accompagno» continuai poi prendendola per i fianchi, quando mi fui alzato anche io dal terreno.
«No, non voglio, ma potresti prestarmi il cappotto?» mi chiese stringendo le braccia intorno al suo corpo «puoi venirlo a prendere domani a casa mia»
Annuii dubbioso e le posai un altro bacio sulle labbra, ma mi rassicurava il fatto che il giorno dopo l’avrei rivista.
«Grazie per tutto Zayn Malik» concluse sorridendo avanzando verso la strada. La seguii con lo sguardo fin quando non si dileguò dietro un angolo. Tutto mi sembrava così strano, perché mi sentivo così vuoto adesso?
Misi le mani in tasca ai pantaloni e sospirai, dovevo tornare anche io a casa mia.
 
**
 
«Salve» dissi sorridente quando una signora sulla cinquantina con i corti capelli biondi aprii la porta. La mamma di Dakota mi era sempre stata simpatica: quando passavo i pomeriggi a studiare con Dakota, ci portava sempre cose buone da mangiare e mi riempiva di complimenti ogni volta che facevo aumentare la media in una materia a sua figlia. Quella donna era la dolcezza in persona.
«Zayn, mio Dio, sei veramente tu? Ma quanto sei cresciuto?» mi disse velocemente abbracciandomi appena e posandomi un leggero bacio sulla guancia  «che bello che sei diventato! Quanti anni hai ora?» continuò appoggiando le mani sulle mie spalle e guardandomi.
«Ne ho venticinque, proprio come sua figlia» le dissi sorridendo chiudendomi nelle spalle.
«Già proprio come Dakota» rispose abbassando lo sguardo.
«E’ in casa ora?» chiesi guardando oltre la porta. La signora mi guardò stranita e fece un passo indietro.
«Zayn, cosa dici? Dakota è morta cinque anni fa» disse con lo stupore negli occhi.
Ingrandii gli occhi e sentii il suolo sotto di mancare. Dakota, morta.
No, impossibile, io avevo visto Dakota la sera prima, io avevo trascorso con lei tutto quel tempo, lei era viva. Il mio viso sbiancò di colpo e dovetti mantenermi al muro per non cadere.
«Vieni dentro Zayn, sei diventato pallidissimo» fece la donna prendendomi per un braccio trascinandomi verso il salotto della casa. Mi fece sedere sul quel divano blu notte, lo stesso divano su cui mi ero seduto tantissime volte, e si affrettò per portarmi una tazza di thè. La presi con le mani che mi tremavano e piano ne bevvi un sorso.
«Non ci credo» sussurrai guardando un punto fisso.
«Si, Dakota si è suicidata cinque anni fa» continuò la donna preoccupata della mia reazione.
«No, io sono stato con lei ieri seria!» urlai sbattendo la tazza sul tavolino di fronte a me. Gli occhi mi pizzicavano e la voce mi tremava «L’ho incontrata sul Westminster bridge» continuai piangendo. La madre di Dakota si portò una mano sulla bocca, anche lei aveva gli occhi lucidi.
«Dakota si è buttata da quel ponte» singhiozzò respirando pesantemente «il suo corpo è stato ritrovato due giorni dopo sotto un ponte lì vicino» continuò.
“E’ un posto speciale e anche un po’ triste”
«Lei mi ha portato sotto un ponte lì vicino» deglutii rumorosamente continuando a non crederci «e le ho prestato il mio cappotto, mi ha detto che potevo venirlo a prendere oggi»
«Tu stai mentendo Zayn» mi accusò la donna alzandosi dal divano continuando a piangere più forte.
«No, lo giuro. Per favore, portami al cimitero da lei, perché non posso crederci»
Mezz’ora dopo avevamo varcato le porte del cimitero che quel giorno era estremamente vuoto, solo qualche anziana signora con dei fiori in mano si vedeva in giro. Avevo il cuore in gola e le lacrime proprio sotto gli occhi. Non ci credevo ancora.
Dakota mi aveva baciato, non poteva essere morta. Lo avrei saputo altrimenti.
La donna bionda camminava davanti a me con passo frettoloso e ogni tanto riuscivo a sentire i suoi singhiozzi, anche lei era spiazzata almeno quanto me.
Soffocai un urlo quando mi trovai davanti la lapide di Dakota, il suo nome era inciso sopra e proprio ai suoi piedi c’era il mio cappotto scuro.
«Impossibile» sussurrai cadendo sulle ginocchia prendendo il mio cappotto per poi stringerlo al mio petto.
 

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Buon salve bella gente :D
Come va? Spero bene.
Scusatemi, ma questa One-shot dovevo postarla. Ho tratto spunto da una storia che mi ha raccontato ieri un mio amico mentre, in macchina, facevamo il perimetro del cimitero. Gente strana, lo so D:
La storia non è andata esattamente così, diciamo che molti particolari li ho aggiunti io, come il fatto del ponte (quello del cappotto è vero  :o)
Dicono che questa storia sia vera, ora non vorrei spaventarvi ma quando me l’ha raccontata io ci sono rimasta di sasso dato che altre storie simili girano per il mio paese.
Per il personaggio di Zayn, ho scelto lui perché la stessa sera, ho visto un cameriere in un locale uguale spaccato a lui. Stavo tipo morendo.
Ho lasciato il nome di Dakota perché l’attrice mi piace molto e rispecchia molto la ragazza che ho voluto rappresentare.
Spero vi sia piaciuta :)
Non scordatevi di passare da questa mia long: (potete recensirla? Grazie :D)

 
Un bacio :D
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