Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: koigumi    03/01/2012    2 recensioni
Da dieci anni ormai aveva smesso di farsi chiamare Lizzy.
Così come accadde al piccolo conte Phantomhive, anche lei smise di sorridere.
Non indossò più abiti rosa. Dimenticò di amare le “cose carine”.
Genere: Dark, Drammatico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ciel Phantomhive, Elizabeth Middleford, Nuovo personaggio, Sebastian Michaelis
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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6. THE ONLY THING TO DI IS Trust me




Quella sera il piccolo conte ed il suo maggiordomo rimasero alla Town House.
Sebastian aveva ricevuto un preciso ordine dal suo signorino e perciò non poteva permettersi di agire senza prima aver pensato ad un piano d’azione: l’impresa che lo aspettava non era delle più semplici e tantomeno delle più leali, visto che avrebbe dovuto impossessarsi di un’anima già conquistata da un altro demone.
Non vi era un suo reale interesse personale in tutta questa faccenda, e questo complicava le cose: fino a dieci anni prima, quando il suo unico obiettivo era quello di poter finalmente assaporare l’anima del suo signorino, ogni ordine di Ciel veniva prontamente eseguito in modo impeccabile proprio perché Sebastian finalizzava il tutto a quel preciso istante in cui avrebbe riscosso una delle sue migliori perfect souls.
Ma ora, il solo fatto di dover lavorare duramente per l’interesse di un marmocchio era diventato tutt’altro che stimolante, fino al punto che Sebastian malediva ogni sera quel fatidico giorno in cui fu invocato dal suo signorino.

-“Mi scusi, signorino, ma la faccenda è complicata: se desidera un lavoro fatto per bene avrò bisogno almeno di una notte per riflettere sul da farsi.”

Con queste parole il maggiordomo si congedò dal piccolo conte e si diresse verso il giardino della villetta.
Era oramai sera, il sole era calato da poco e lungo l’orizzonte della città si intravedeva ancora una sottile linea color porpora, inframmezzata dai fumi della metropoli londinese, che sfumava in un candido color violetto fino ad arrivare all’intenso blu del cielo notturno, illuminato da poche stelle e una grande luna rossa, quasi insanguinata.
Sebastian si sedette sui gradini del portico, fissando con aria di sconforto intorno a se.

-“Ah, è passato solo un decennio eppur mi è parso un secolo!”

D’un tratto, dai piccoli roseti al fianco della scalinata comparve un micino, completamente nero e con occhi di un giallo splendente che si illuminavano anche al buio della sera. Alla vista del felino il viso del maggiordomo parve rasserenato, come se avesse riconosciuto un volto a lui familiare.

-“Finalmente! Era da tanto che ti aspettavo, che fine avevi fatto?”
Il gattino si avvicinava con passo sicuro a Sebastian.
-“Meow!”
-“Scommetto che anche tu hai perso la tua mamma e il tuo papà, vero?”
-“Meeooow …”
-“Ah, sai, dovresti ritenerti fortunato: prima o poi tu morirai e tutti i tuoi guai spariranno. Purtroppo per me, invece, questa fortuna mi è stata negata molto tempo fa …”

A quel punto Sebastian prese una delle sei bottiglie di vetro lasciate davanti alla porta dal lattaio e versò del latte sul marmo delle gradinate, così che il gattino potesse berne un po’.

-“Ma dico io: non potevo fare un patto con uno di voi felini? Scommetto che i vostri ordini sarebbero stati molto meno stressanti : un po’ di cibo e coccole, tutto qui. E invece mi tocca stare alle dipendenze di un bamboccio coi complessi di superiorità, per giunta senz’anima!”

Non appena Sebastian ebbe finito di parlare, il gatto smise di bere quel poco di latte versato sul gradino e scappò via, proprio dietro l’angolo dell’abitazione.

-“A-Aspetta! Dove scappi!?!”

Dallo stesso angolo da cui era scomparso il gatto apparve Katie, la cameriera di Lizzy.
L’espressione di Sebastian si riempì di stupore, ma anche di rassegnazione: in effetti era da tanto che ambiva quel meritato pomeriggio di riposo ed ora, se il signorino avesse saputo della presenza di quella donna, sarebbe stato costretto a mettersi all’opera pur senza un piano.
Così fu Sebastian ad avvicinarsi all’inaspettata ospite, cercando di nascondere la presenza di quest’ultima dallo sguardo del suo signorino.

-“Lei qui? Che strana sorpresa …”
-“… suppongo che la mia presenza le sia sgradita, signor Sebastian.”
-“Beh, in effetti … cosa l’ha portata fin qui?”
-“Conosco i loschi fini del suo signorino e ciò mi rende abbastanza contrariata al riguardo.”
-“Condivido a pieno il suo stato d’animo, miss Leiden: come demone non mi permetterei mai di intromettermi tra un mio simile e la sua preda. Ne andrebbe del mio orgoglio; ma purtroppo sono costretto ad infrangere questa regola per via di un ordine del mio signore.”
-“Ti compatisco, Sebastian: un predatore che diventa schiavo di una sua preda per l’eternità.”
-“Pardon, ma nella mia umiliante condizione la sua compassione è proprio l’ultima cosa a cui ambisco!”
-“Hai ragione: ed è per questo che mi trovo qui.”
-“In che senso?”
-“Ti piacerebbe far passare al tuo signore tutto quello che lui ha fatto passare a te durante il tuo fin troppo prolungato periodo di servigio?”
-“Assolutamente!”
-“Allora stammi a sentire: io sono un demone di buona parola e ti posso assicurare la mia più completa fedeltà. Ti propongo una sfida: il vincitore si aggiudicherà l’anima di Lady Elizabeth.”
-“E io cosa ne ricaverei?”
-“Stai tranquillo, ho già programmato tutto: entrambi otterremo ciò per cui stiamo lottando. L’unica cosa che devi fare è … fidarti di me.”


*************


-“Mi scusi, signorino, ma la faccenda è complicata: se desidera un lavoro fatto per bene avrò bisogno almeno di una notte per riflettere sul da farsi.”
-“Benissimo: se mi cerchi sono in camera mia …”

Il piccolo conte Phantomhive si allontanò dal salone e si diresse verso la sua camera da letto.
Chiuse la porta e si appoggiò con le spalle su di essa, chinando la testa con aria sofferta. La sua era la tipica espressione angosciosa di chi non riesce a trattenere più a lungo le lacrime, ma i suoi occhi non erano lucidi: non lo erano ormai da dieci anni.

-“Io n-non … non ce la faccio …”
Si levò così di scatto dalla porta e si strinse con le mani quelle poche ciocche di capelli che gli coprivano la fronte, proseguendo con voce più alta.
-“Non riesco a piangere per una stupida come te, Lizzy! Buttare via il proprio futuro per un dannato come me: sei solo una stupida! STUPIDA! STUPIDAAA!!!”

Ciel si gettò violentemente sul suo letto, stringendo tra le mani un piccolo cuscino foderato di pizzi e merletti, con il quale finì per coprirsi la faccia.
L’unica cosa che desiderava in quel momento era poter piangere, ma non ci riusciva. Sentire le lacrime salate scorrere sulle guancie, non riuscire a trattenere il singhiozzio del suo pianto: erano questi i piccoli gesti naturali, umani, che riuscivano a far ricordare al piccolo Ciel di essere vivo.
Vivo.
Ma oramai Ciel era morto, un semplice corpo che vagava per le vie di Londra, un animale col solo intento di soddisfare la sua fame. E questo lo rendeva furioso: abbassarsi allo stesso livello Sebastian, di colui che lo aveva servito in cambio della sua anima, servita su un piatto d’argento come portata principale.

-“DANNATO! SONO SOLO UN DANNATO!!!”

Ma in realtà quello che desiderava di più Ciel non era poter tornare a piangere, né a ridere o ad amare. Ciò che gli procurava quella profonda angoscia nel suo cuore di pietra era la consapevolezza che quell’incubo non sarebbe mai finito.
Morte.
Ciel desiderava la sua morte.
Aveva da tempo abbandonato la speranza di poter tornare a vivere come essere umano; da tempo aveva dimenticato cosa sono i sentimenti, le gioie e i dolori. Ma di una cosa sola non si era dimenticato: la morte, la fine del tutto, l’ultimo viaggio verso l’ignoto.
Cosa ci sarebbe stato ad attenderlo nell’aldilà poco gli importava: grazia divina o eterna dannazione era indifferente per lui. L’importante era sbarazzarsi del suo corpo, di quella maschera da bambino che era costretto a portare e che, oramai, calzava troppo stretta.
Ma il piccolo conte era troppo orgoglioso (ed ancora troppo poco esperto) per potersi togliere “la vita” e regalare così una profonda soddisfazione al suo maggiordomo.

-“Intendo farlo soffrire nello stesso modo in cui lui ha fatto soffrire me quando ero in vita.”

E quale miglior punizione se non quella di dover servire per l’eternità e senza alcun interesse personale un essere inferiore al suo stesso livello?
Non appena Ciel smise di dare sfogo a quei rancori che lo affliggevano, si alzò dal letto, sistemò nuovamente il cuscino sulle coperte e si diresse verso la finestra per ammirare gli ultimi bagliori di un sole morente al tardo pomeriggio.
Si strofinò la mano sulla guancia e poi sugli occhi, come per asciugare quelle lacrime che non era riuscito a piangere e indirizzò il suo sguardo al giardino della villetta, in cerca della figura del suo maggiordomo.

-“Quel gattofilo starà di sicuro sprecando il mio latte per quelle pulciose palle di pelo …”
Ma, più voltava lo sguardo e più si accorgeva che il suo maggiordomo non era in giardino: così si affrettò a sistemarsi la camicia, ormai tutta sgualcita, e si precipitò fuori dalla sua stanza.
-“SEBASTIAN! Sebastian, dove sei?!”
-“Da questa parte, signorino.”
La voce di Sebastian proveniva dal salone e così Ciel aumentò il passo, finendo per arrestarsi di colpo alla vista di Sebastian e una donna: la cameriera di Lizzy.
-“Ho interrotto qualcosa?”
-“Ma no, signorino, anzi: credo che il nostro discorso possa interessarle molto.”
-“Di che si tratta?”
-“Una sfida.” Interruppe Katie.
-“Una sfida?”
-“Esatto: il vincitore si aggiudicherà l’anima della mia signora.”
-“Parli sul serio?! E tu saresti disposta a mettere in gioco un’anima così preziosa?”
-“Per me equivale ad un’anima come tante altre, ma per te questa è la prima perfect soul, quindi intendo offrirti una possibilità, anche se minima.”
-“Beh, se la metti in questi termini, allora non mi resta che accettare!”
-“Calma, calma: quanta fretta! Lascia almeno che te ne descriva le regole …”


*************


Le parole di quella donna suonavano come quelle pronunciate da Sebastian al momento del patto con Ciel: dure, fredde, con un pizzico di amarezza e di superiorità, scandite da un ritmo solenne tra una frase e l’altra.

-“Regole …” pensò Ciel “… davvero una strana parola se pronunciata da un essere così infimo e meschino!”
Ma nel mentre il piccolo conte rifletteva, la donna continuava a parlare.

“Ciò che le sto offrendo, conte Phantomhive, è la possibilità di ottenere il contratto
che determina il possesso dell’anima della mia signora, Lady Elizabeth Midford.
Nel caso di vittoria da parte sua, la mia signora non ricorderà nulla dell’accordo stipulato con me
bensì avrà piena convinzione di essere ormai sua umile preda.
In ogni caso, il mio dovere terminerà lì, di conseguenza non sarò tenuta a fornirle
alcun particolare sul desiderio espresso dalla mia signora: questa è la prima regola.”


Ciel rimase per un attimo immobile: in effetti quella regola lo aveva lasciato un tantino confuso. Nessun demone può operare senza sapere ciò che sta facendo, tantomeno senza conoscere il perché di tanta fatica sprecata. Ma un attimo dopo si rese conto che tutte le sue preoccupazioni erano infondate: Elizabeth avrebbe di sicuro desiderato qualcosa riguardante lui stesso, perciò al momento della scambio, l’unica cosa che gli sarebbe rimasta da fare era divorarle l’anima.

-“Tutto chiaro?” disse Katie.
-“Certo, prosegui pure.”
Così Katie continuò.

“Nel caso di vittoria da parte mia, l’anima della mia signora rimarrà di mia proprietà
e quindi sarò tenuta a portare a termine la missione da lei stessa affidatami
senza ulteriori intromissioni da parte sua e del suo maggiordomo.
Con questo non le impongo alcuna punizione dovuta alla sua sconfitta,
bensì le ordino di lasciarmi svolgere il mio dovere al meglio: questa è la seconda regola.”


-“Mi sembra giusto” ribatté il piccolo conte.
La cameriera questa volta non fu interrotta, così poté pronunciare l’ultima regola.

“Considero quest’ultima non una regola, bensì una precisazione:
Questa sfida si svolgerà nell’arco di ventiquattro ore,
dal primo bagliore dell’aurora fino al rintocco della mezzanotte.
Ma soprattutto, questa sfida verrà portata a termine lealmente
TRA TE E ME.”


Il tono della voce di Katie si soffermò parecchio sulle sue ultime quattro parole, scandendole quasi per volerle imprimere nella memoria dei suoi interlocutori.
Ma Ciel Phantomhive, in quel momento, sembrava tutt’altro che interessato ai discorsi della cameriera: nella sua mente già assaporava il momento della vittoria. Eppure lei aveva richiamato più volte la sua attenzione durante il suo discorso.
Non appena Katie si accorse che lo sguardo del conte indugiava altrove, si alzò di scatto dalla poltrona, stringendo i pugni come per trattenere la rabbia e urlò con tono abbastanza infastidito.

-“E io che perdo tempo con un marmocchio presuntuoso come te!!!”
-“Eh?!”
-“Oh, non mi ascoltavate nemmeno adesso, vero conte?!”
-“Ho ben compreso quello che mi avete detto: se vinco l’anima va a me … bla, bla, bla … non posso sapere il desiderio … bla, bla bla … se vinci tu ti staremo alla larga … bla, bla, bla … questa sfida è tra me e te, tutto chiaro!”
-“Vi converrà ricordare bene queste tre semplici regole domani.”
-“Quindi la sfida è domani?!”
-“Non eravate voi quello che desiderava impossessarsi dell’anima della mia signora il prima possibile?”
-“Giusto, e sia: domani all’alba!”
-“Vi aspetterò davanti ai cancelli di Buckingham Palace, una volta arrivati vi spiegherò in cosa consiste la sfida.”
-“A domani, allora!”
-“A domani, conte.”

Con queste parole la cameriera si congedò dall’abitazione, lasciando nuovamente Ciel e Sebastian nella solitudine della Town House. Il sole era ormai tramontato da qualche ora e l’orizzonte era illuminato dai mille bagliori di Londra. La carrozza si allontano, diretta verso la residenza Midford.

   
 
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