And
maybe someday we will meet
and maybe
talk and not just speak
Dave era a
pezzi quel pomeriggio.
L’allenamento
con la sua nuova squadra di football era stato massacrante e si sentiva
ancora
indolenzito un po’ ovunque, nonostante la doccia calda di
mezz’ora prima gli
avesse sciolto i nervi e la tensione accumulata.
Si vedeva
ancora come un corpo estraneo alla Carmel, dopo mesi che si era
trasferito lì.
Forse
perché al McKinley aveva abbandonato qualsiasi cosa per lui
avesse mai contato:
il suo amato corso di algebra avanzata col professor Stark, un team
vincitore
uscente del campionato studentesco, l’amicizia fraterna con
Azimio, Kurt.
E ogni
volta che faceva quei pensieri, la sua mente ripeteva sempre le stesse
cose: inutile piangere sul latte versato,
andarsene è stata la scelta migliore per evitare i
pettegolezzi, dedicati al
tuo futuro e al college.
E mentre
si concentrava su quel vago ritornello dalla cadenza mesta,
alzò gli occhi.
Vide un
cielo terso, senza una sola nuvola a macchiarlo.
Sereno,
limpido: come una tavola azzurra perfettamente liscia.
Dave si
sentì
contagiato da quella tranquillità così oltre i
suoi problemi di tutti i giorni,
così oltre i suoi rimpianti e inspirò a pieni
polmoni l’aria che lo circondava.
Provò
uno
strano calore al petto e udì lo stomaco rilassarsi dalla
morsa in cui si era
stretto.
Poi, lo
sguardo si diresse verso la sua macchina parcheggiata fuori, nel
cortile; un
ammasso nero di vecchia ferraglia chiamato Ford che amava con tutto se
stesso.
E
intravide qualcosa di strano nelle sue vicinanze.
Una
persona, che stava appoggiata alla sua portiera di schiena, come in
attesa.
Dave
strabuzzò le pupille, come a voler migliorare la propria
vista e intendere chi
fosse il soggetto in questione.
Quando
vide dei capelli castani sistemati in un’alta acconciatura
impomatata e capì a
chi appartenevano, sentì il ventre ridursi a un pugno che
gli torturava la
carne e il sangue bruciargli nelle vene come se fosse stato ghiaccio
liquefatto.
Il respiro
gli si spezzò e Dave sentì una lastra di marmo
pesante tonnellate precipitargli
su tutto il corpo, schiacciandogli il cervello, i neuroni o qualsiasi
altra
cosa avesse mai avuto dentro la testa.
Decise di
calmarsi mentre, a lunghi passi, si accostava alla figura misteriosa, e
di
impedire alla propria voce di tremare pericolosamente non appena avesse
aperto
bocca.
“Come
facevi a sapere che era questa la mia auto?”- chiese con
gentilezza a Kurt, il
tono di voce fermo e sicuro.
Dave
esultò interiormente a quella piccola prova della sua forza,
ma intanto si
stava già formando un groviglio di sensazioni e di domande
dentro di lui complicato
da districare.
Due occhi
color
acquamarina lo squadrarono da capo a piedi e, rispondendo allo sguardo
con un risolino
fiacco, notò che erano gonfi e arrossati.
Uno spesso
gomitolo di questioni si posizionò immediatamente sul suo
petto, come se fosse
stato composto da quintali.
“Ho
chiesto ai tuoi nuovi compagni di squadra di indicarmela”-
gli replicò
flebilmente Kurt. Sembrava fosse sul punto di rompersi in mille pezzi,
da un
momento all’altro.
Dave
sentì
il terreno mancargli sotto i piedi quando afferrò che
qualcosa di grave doveva essere
successa per forza a
quello scricciolo che aveva così tanto vicino da riuscire a
percepire la sua
stessa disperazione entrargli in circolo.
Allarmato
come mai prima di quel momento, aprì la macchina, si
sistemò dentro e fece
cenno a Kurt di spalancare la portella ed entrare.
Non appena
si sedette sul sedile del passeggero, Dave percepì il
silenzio calare come una
fitta coltre su entrambi.
Un
silenzio strano, fatto di paura ed imbarazzo.
Ma che era
decisamente inutile mantenere.
“Come mai sei qui?
Cosa è successo?”- gli
domandò, il cuore tremante e incandescente ficcato su per la
gola. Quelle
fiamme gli rendevano difficile persino ragionare lucidamente, o anche
solo
inspirare ed espirare come un normale essere umano.
Kurt lo
guardò, intensamente, per una manciata di secondi e
l’atleta vide dipingersi
sul suo viso un’espressione incredula e malinconica.
“Blaine
mi
ha lasciato per un altro”- gli disse semplicemente, prima di
scoppiare in un
pianto affranto che lo fece accartocciare su se stesso come una palla
di carta
e che gli rimbombò negli occhi e nelle orecchie.
Assistere
a tutte quelle lacrime copiose fu la cosa più straziante da
vedere per Dave,
che pure si considerava da sempre un duro assolutamente insensibile ai
piagnistei di ogni tipo.
Ma con
Kurt era tutto diverso, lo era stato dal primo istante in cui
l’aveva visto
camminare per i corridoi del McKinley anni prima. Tutto troppo
amplificato
dentro di lui per non scatenargli delle emozioni che non faticava a
cogliere la
maggior parte delle volte.
Dave rimase
incredulo, bloccato sul posto per parecchi secondi prima di riuscire ad
agire
con naturalezza.
Tirò
fuori
un pacchetto di kleenex dal cassetto accanto al cruscotto e ne porse
rapido uno
a Kurt, improvvisamente intimidito e intontito da tutto quel dolore che
gli
stava entrando nella pelle e nelle ossa.
“Mi-mi
dispiace”- bofonchiò imbarazzato e mortificato.
Era nel
panico: non sapeva cosa dire, cosa fare, come muoversi in quel pantano.
Era
come se avesse davanti una rosa dai petali di cristallo: una mossa
sbagliata e tutto
sarebbe andato distrutto in modo irreparabile.
Poi,
iniziò a ragionare sulla frase di Kurt con
razionalità.
Era stato
appena mollato.
Una parte
di sé esultò per il fatto che Blaine si fosse
finalmente tolto di mezzo -non
era mai stato all’altezza di uno come Kurt, lo sapeva
dall’inizio-, un’altra,
ben più grande, soffriva per quelle per quelle ferite che
gli erano state
inferte e che non meritava affatto.
“Non
so
nemmeno perché sono qui. Me l’ha detto, sono
scappato via, sono salito in
macchina tra le lacrime e sono venuto qui senza neanche rendermene
conto”-
sussurrò tra i singhiozzi mentre fissava Dave, ancora
incredulo e sconvolto.
“Forse
ho
solo bisogno di potermi sfogare con qualcuno come me, che possa capirmi
fino in
fondo e che mi ascolti senza giudicare”- aggiunse amaro,
increspando le labbra
all’insù con un movimento leggero ed elegante.
Dave rimase
congelato nella sua posizione.
Non era
andato dalla Jones, non si era precipitato dalla Berry a raccontare
tutto.
Kurt era
andato dritto dritto da lui, attraversando mezza Lima in condizioni non
lucide,
per sfogarsi sulla cosa peggiore mai capitatagli nell’intera
esistenza.
Qualcosa
di indecifrabile gli si schiantò nel torace quando
elaborò il tutto.
“Ti va di
raccontarmi cosa è successo?”- gli
chiese gentilmente. Non per curiosità o per avere
un’ulteriore spinta a
uccidere nel modo più doloroso possibile quel nano da
giardino ingellato e
pieno di sé che aveva appena spezzato il cuore alla persona
che più di tutte
valeva per lui.
Solo per
ascoltarlo e per calmarlo.
Kurt gli
narrò tutto per filo e per segno: l’allontanamento
graduale di Blaine dopo aver
conosciuto Sebastian- che poi collegò al ragazzo alto e
biondo che ballava con
il piccoletto allo Scandals e che conosceva vagamente di vista-, le
bugie che intuiva
gli venissero raccontate ma su cui chiudeva sistematicamente gli occhi
per
paura di perderlo, i timori divenuti realtà quando gli era
stata confessata la
verità.
E Dave lo
seguì, con pazienza ed attenzione.
Gli
avrebbe dato ascolto anche per giorni interi di fila, se gli fosse
servito a qualcosa.
Avrebbe
fatto qualsiasi cosa affinché Kurt potesse stare un
po’ meglio.
Mentre
parlavano, gli passò ogni singolo fazzoletto, gli tolse
addirittura dalle dita
prive di presa quelli che ormai aveva ridotto a brandelli e
analizzò ogni sua frase
nel tentativo di mettere assieme i pezzi e avere il quadro completo
della
situazione, cercando di porgli le domande nel modo più
delicato possibile, per
evitare di portargli inavvertitamente a galla ricordi troppo freschi e
penosi o
troppo lontani e felici.
Mentre gli
raccontava come era stato lasciato -Blaine lo aveva invitato a casa e
glielo
aveva confessato senza tanti giri di parole, implorando il suo perdono
e
sperando che un giorno avrebbero potuto tornare a essere amici e a
volersi
bene-, Kurt riprese a piangere senza nemmeno rendersi conto che il
fiume di
lacrime era tornato a versarsi sulle sue guance, addirittura
gocciolando sul
mento e arrivando a bagnargli il collo scoperto.
A quel
punto, Dave non ce la fece più: lo avvicinò a
sé e lo strinse con delicatezza per
consolarlo.
Senza
insistere, senza premere i loro corpi in alcun modo.
Chiuse le
palpebre, lasciò che Kurt gli aderisse addosso e che gli
inzuppasse la polo
aperta sotto la zip vecchia e scolorita delle esercitazioni.
Dave vide
solo la schiena curva scossa dai singulti e sentì la lacca
proveniente dai
capelli splendidamente acconciati invadergli le narici.
Era
completo, in quell’esatto momento.
Kurt era
all’inferno, mentre lui era proiettato in paradiso.
E si
sentì
in colpa, quasi come se si stesse approfittando della debolezza di Kurt
per
ottenere quel contatto. Eppure, era sicuro che tutto ciò di
cui necessitava era
un semplice abbraccio; forse quello l’avrebbe finalmente
fatto stare meglio.
Alzò
una
mano in aria, indeciso se poggiarla o meno sulle spalle
dell’altro, e rimase a
quel modo assurdo e malagevole per quasi un minuto.
Poi,
l’appoggiò sul cappottino super chic e super
costoso di velluto di Kurt e
permise alle sue dita così grandi di strisciare lungo tutta
quella superficie,
incamerandone ogni curva e ogni movimento.
Si
impressionò quasi nel confrontare
l’enormità delle sue mani rispetto quella
schiena così piccola e magra, così apparentemente
fragile, che in quel momento
stava reggendo un fardello non facile da trasportare, ma che col tempo
si
sarebbe alleggerito.
Percepì,
a
poco a poco, Kurt calmarsi grazie a quel contatto e i singhiozzi
diventare
sempre più rari.
Anche i
respiri iniziarono a regolarizzarsi, e assieme a quelli anche il suo
battito
cardiaco, impazzito da quando aveva realizzato che Kurt gli era stretto
come
mai prima d’allora e che poteva avvertire la sua pelle sotto
il suo tocco.
“Ti
senti
un po’ meglio?”- gli sussurrò Dave
nell’orecchio, fasciandolo ancora di più e
sentendo con precisione che la stretta veniva ricambiata, quasi come se
Kurt si
stesse aggrappando a lui per non cadere, per non cedere.
Ad ogni
modo, si riteneva stupido, impacciato in quell’istante e si
augurava solo di
non fare più danni che il resto.
Dopo
qualche tempo, bloccati in quell’abbraccio scomodo eppure
naturale, Kurt si
staccò con lentezza da lui, si mise più
confortevolmente sul suo sedile e lo
guardò negli occhi, continuando a stringergli la mano che lo
aveva accarezzato.
Annuì
con
semplicità alla domanda di Dave, mentre si tirava su il naso
otturato dai
pianti.
“Sì,
mi
sento un pochino meglio. Non sono più agitato come
prima”- enunciò debolmente, ma
con gli occhi un po’ meno spenti di prima e la voce
più stabile.
Dave gli
sorrise e scosse anche lui la testa, con grande sincerità e
con una microscopica
punta di felicità malcelata.
Si sentì fiero di
aver fatto finalmente qualcosa
di buono per lui, specie in quel frangente così triste.
Avrebbe
fatto qualsiasi cosa per Kurt Hummel, ne era dannatamente certo.
Kurt
fissò
l’orologio sistemato sul polso sottile e quasi
sobbalzò, spalancando le
palpebre. Evidentemente si era fatto tardi per lui, anche
perché il sole era
ormai tramontato e tutto attorno a loro si era trasformato in nero,
grigio e
violetto.
“Dave,
posso tornare a trovarti?”- gli domandò
dolcemente, asciugandosi una lacrima
che si era formata e che non aveva intenzione scendesse nuovamente sul
suo
volto esausto. Pronunciò quella richiesta come se la
presenza di Dave, il suo
ascoltarlo silenzioso e rispettoso gli avessero trasmesso la sicurezza
che gli
scarseggiava in quel momento.
Come se
fossero diventati un appoggio per lui imprescindibile.
L’unica
cosa che Dave riuscì a fare quando riuscì a
connettere la frase al suo soggetto
-cioè, incredibilmente, lui-
fu solo
scuotere il capo.
“Certo,
Kurt, quando vuoi”- gli replicò poi finalmente.
Avrebbe voluto darsi un pizzicotto
per capire che era vivo, o che almeno non stava sognando bellamente il
tutto.
Kurt
sorrise così largamente che apparvero delle fossette ai lati
delle sue labbra,
mentre sciolse la mano dalla presa con Dave, iniziando a ricomporsi e a
darsi
una sistemata allo specchietto che aveva abbassato davanti a
sé.
Afferrò
poi la cartella coi libri che aveva gettato ai suoi piedi entrato in
macchina e
si voltò a osservare Dave con lo sguardo più
carico di gratitudine che l’altro
avesse mai visto in tutta la sua esistenza.
“Allora
ci
vediamo presto. Non so veramente come poterti ringraziare”-
gli mormorò prima
di soffiargli un minuscolo bacio sulla guancia e aprire la portella
della
macchina, pronto a sgusciare via, lontano.
Dave
sentì
il fresco della sera in avvicinamento entrare nell’abitacolo
della macchina e incollarglisi
addosso come una pellicola trasparente; il vuoto che gli si
formò a velocità
inconsulta dentro lo informò che avrebbe incominciato a
sentire la mancanza di
Kurt prima ancora che se ne andasse.
“Mi
raccomando, per qualsiasi cosa, ci sono per te, ok?”- gli
ricordò prima che gli
si dileguasse tra le dita come polvere portata via dal vento.
Come se ci
fosse ancora stato bisogno di sottolineare che si sarebbe scapicollato
ovunque
per lui, pronto a raccogliere ogni sua scheggia se avesse minacciato di
crollare ancora.
Il cuore
gli diventò un nodo gigantesco al pensiero di quanto tempo
avrebbe impiegato
Kurt a superare tutto, al tempo che avrebbe impiegato nel lasciarsi
ogni brutta
cosa accaduta scivolare via addosso, al tempo che avrebbe impiegato nel
rimettersi finalmente in piedi, pronto a vivere di nuovo.
“Lo so, lo so”- gli rispose disteso -esattamente come aveva fatto a lezione di francese un’eternità addietro- prima di scomparire dietro il vetro della portiera e avviarsi verso la sua automobile, avviluppato nella penombra.
***
Dio, quanto vorrei vedere una scena del genere in Glee... ma siccome gli autori sono dei fessi, mi rassegno e ci scrivo su una os senza alcuna pretesa.
Metà, it's all for
you <3