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Autore: Mauro Raul    04/01/2012    3 recensioni
Questa storia l'ho scritta per lo più in treno, il posto dal qualche traggo la maggior parte dell'ispirazione e osservando la gente qualche dettaglio sui miei personaggi ^^
Spero vi piaccia buona lettura!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La chiave senza lama
Era una fresca e banale sera primaverile quella che riempì di coscienza la vita dei nostri protagonisti.
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Quattro amici uniti dalla loro diversità. Quella sera Eon aveva proposto il circo che per una settimana si fermava in città. Eon era un ragazzo semplice, alto e snello senza particolari caratteristiche ad eccezione della sua marcata inventiva. Eon era un fabbro.

Non a tutti andava a genio l’idea del circo, essendo ragazzi sui venti anni qualcuno lo trovava infantile, in particolare Nakiri. Nakiri era nativo del Giappone, e, sarà la cultura, ma era l’esatto contrario di Eon: portava vestiti esuberanti sfiorando il cosplay e aveva un carattere alquanto instabile. Nakiri era disoccupato.
Anche a Elsa l’idea piaceva poco, ma forse l’aveva contestata semplicemente per il carattere forte e la propensione a discutere ogni cosa. Elsa era molto intelligente e intraprendente, frequentava l’università (economia e commercio) e il weekend lavorava per pagarsela da sola.
Quella sera toccava a Luca prendere su l’auto, così, con poco entusiasmo, partì preciso da casa con i tempi perfettamente calcolati per passare a prendere gli altri senza rischiare di fare un secondo di ritardo all’inizio dello spettacolo. Anche Luca era disoccupato.

Il luna park avvolse i loro sensi con le classiche risate dei bambini e le urla provenienti dalle giostre;  l’odore di pop corn e le vecchie luci colorate.
Imponente il telone del circo troneggiava in fondo al luna park.
Fu una serata molto piacevole nonostante i numeri non particolarmente originali. Nakiri dormì sin dal primo numero e fu svegliato prima dell’ultimo da un pugno di Elsa: si stava sbavando addosso.
L’ultimo numero era quello del mago, il più atteso da Eon.
I tecnici posarono al centro dell’arena un tavolino di legno, con sopra un vassoio molto elegante contenente quattro chiavi. Poi si spensero le luci.
Passarono circa tre minuti, l’eccitazione del pubblico iniziava a scemare così come la sua rumorosità, il silenzio aumentava, si faceva sempre più forte. E quando nessun suono giunse più all’orecchio, una luce accecante abbagliò il quartetto. Una luce talmente potente da non lasciare spazio agli altri colori: un’immersione nella luce assoluta. Dopo qualche secondo la luce sembrò attenuarsi ed Elsa aprì con cautela un occhio. Vide solo il tavolino del mago, poi notò che anche gli altri iniziavano ad aprire gli occhi, qualche secondo dopo i quattro amici si guardavano attorno sbalorditi.
Si trovavano seduti su quattro sedie di legno, il tendone era scomparso così come tutta la gente e l’intero circo. Il tavolino del mago però era rimasto sempre lì, a circa cinquanta metri da loro. Erano dentro a una stanza di un bianco totale. Non si capiva da dove provenisse la luce e di conseguenza quanto fosse grande la stanza. L’unica cosa che segnalava un limite erano quattro porte: la prima, sulla sinistra, era nera e più alta delle altre, sembrava fatta in legno. La seconda era di metallo e assomigliava al portellone di un aereo. La terza porta era a due battenti e in legno anche questa. L’ultima porta, o meglio, l’ultima portafinestra perché era tutta in vetro, dava su un’altra stanza apparentemente identica. Di fianco ad ogni porta c’era una finestra.
Eon fece per alzarsi, gli fu impossibile: il suo corpo era incollato alla sedia e la sedia al suolo. La situazione iniziava a farsi inquietante. L’unico che trovava la cosa eccitante era Nakiri.
Non dovettero aspettare molto che il mago uscì dalla portafinestra. Dava l’impressione di essere un fragile vecchietto con gli occhiali a fondo di bottiglia. Indossava una logora tunica nera con sotto una camicia bianca e una rosa blu nel taschino della giacca. Fece un profondo inchino e, con una voce ben più giovanile del suo aspetto, disse:
“Benvenuti all’ultimo numero di questa sera, ringrazio tutto il pubblico per essere venuto, oggi farò un solo numero ma il migliore che abbiate mai visto: il gioco del finto destino” tacque e si guardò attorno come in attesa di un applauso. Il mago si muoveva e gesticolava in modo scoordinato, ogni tanto perdeva l’equilibrio. Riprese:
“attenzione necessito di grande concentrazione e silenzio…” si girò dando le spalle ai quattro spettatori. Prese in mano il vassoio delle chiavi ma si pentì subito e lo riappoggiò, si passò una mano sui pochi capelli rimasti e urlò
“Abracadabra!” alzando le braccia e tirando indietro la testa ma perse l’equilibrio di nuovo e cadde a terra. Luca fece per andarlo ad aiutare ma fu inutile, la sedia lo teneva inchiodato. I quattro amici guardarono imbarazzati il vecchio mago rialzarsi. Quando finalmente riuscì a mantenere una posizione quasi stabile, disse:
“Au revoir!” e se ne andò sbattendo la porta da cui era entrato.
Il quartetto, attonito, aspettò che succedesse qualcos’altro ma era evidente: il numero era finito. Anche Eon cercò di alzarsi e ci riuscì; gli altri, sollevati, lo imitarono.
Elsa non perse tempo e si avvicinò al vassoio delle chiavi per guardarle meglio. Le fu facile capire che fossero sistemate nello stesso ordine delle porte: la prima chiave era nera, molto sottile e lunga. La seconda tutta in ferro. La terza stranamente in legno; mentre la quarta era la più strana, non tanto per il colore o la forma, molto banali, ma per il fatto che non apriva nulla: era una chiave senza lama.
“Non so che gioco strano sia questo” disse Eon “ ma una cosa è certa per finirlo dobbiamo uscire da una di queste porte”.
“Non credo” lo contraddisse Luca “guardate meglio” continuò “ le porte sono quattro e noi siamo quattro mi verrebbe da pensare che ogni porta, in qualche modo, abbia un’uscita per ognuno di noi”
Elsa scosse la testa “è illogico ci sarebbero quattro uscite tutte diverse, che poi ci porterebbero a posti diversi al di fuori del tendone, non credo che il gioco sia così banale, si concluderebbe troppo facilmente, e poi” continuò  “che senso avrebbe?”
Nakiri evidentemente molto divertito disse “tu pensi ancora a trovare un senso logico ma guarda dove siamo “ Allargo le braccia “ questo ti sembra logico?" Ha senso?”
Elsa non seppe rispondere.
Eon li lasciò discutere, prese la chiave che apriva la porta alta e nera sulla sinistra e la introdusse: la serratura si lamentò per l’ingresso della chiave.
Gli altri rimasti attoniti per la noncuranza con cui Eon prese la decisione, si zittirono osservando curiosi.
Scricchiolante, la porta, si aprì.
Dentro c’era il buio assoluto, un buio incorruttibile, persino dal chiarore che la stanza bianca rifletteva. Eon dopo pochi passi smise di addentrarsi, ancora convinto che quella non era la porta giusta da cui uscire; anche perché era già andato a sbattere con qualche scatola o almeno dal rumore così sembrava. Uscendo, Nakiri lo scansò con la chiave in mano, varcò la porta e prima che gli altri potessero reagire si chiuse dentro. La porta, sebbene vecchia e scricchiolante, non sembrava certo fragile. Sarebbe stato inutile provare a forzarla.
Luca abbassò la maniglia tanto per trovare conferma della resistenza della porta.
“Ok, ammettiamo che ogni porta abbia il suo proprietario, dobbiamo almeno scoprire cosa nascondono per sapere a chi appartengono” cercò di ragionare Elsa.
“Si, sono d’accordo, tu Eon cosa hai visto dentro quella porta?” chiese Luca.
“Nulla, era tutto buio, c’era odore di chiuso e un sacco di roba in giro”.
Rimasero zitti qualche istante riflettendo e alla fine Eon, sorridendo, disse “beh, se non altro, quella stanza rispecchia molto Nakiri, buia, con un gran casino e strana!” Elsa, in silenzio, rifletté su quest’affermazione e disse “Luca secondo te quale potrebbe essere la tua?”
Luca ci rifletté “come faccio a saperlo?” ma mentre lo diceva, guardava la porta di ferro, sentendosi in qualche modo rassicurato dalla solidità che trasmetteva. “Guardiamo cosa nascondono e poi decideremo” concluse.
Elsa aveva notato lo sguardo di Luca.
Presero quindi le tre chiavi e aprirono le porte: il portellone di ferro dava su un corridoio lunghissimo e molto angusto; costellato da finestre e con una luce in fondo che molto probabilmente ne indicava la fine. Il corridoio, così come la porta, era tutto in metallo. Elsa, al solo pensiero di attraversare quel ammasso di metallo, soffocò.
La terza porta, quella a due battenti in legno, li fece trasalire più delle altre due: c’era un precipizio e una piccola scaletta in legno che scendeva giù, fino... alla giungla! La porta, se guardata dall’altra parta, si sarebbe vista come sospesa in aria con appunto, la scala che scendeva giù. Il panorama era mozzafiato, ma quell’ammasso di alberi laggiù non prometteva un ambiente tanto adatto all’uomo. Ironicamente Luca riflette sul fatto che c’era una certa somiglianza con la società moderna: piena di luci, ombre, cacciatori, prede, e un inquietante caos quasi ordinato.
L’ultima porta, quella in vetro, come avevano intuito, dava su una stanza identica a quella in cui si trovavano. Eon in un certo senso ne rimase colpito.
“Beh, io ho già capito qual è la mia” dichiarò Luca “un po’ per esclusione, nel senso che non andrei mai in mezzo alla giungla, e la stanza bianca non porta da nessuna parte." D’altra parte, la stanza del tunnel è sicura, offre un buon panorama e se ne vede la fine” Elsa non poté negare che avesse ragione."
“Beh io vado” disse Luca Incerto, Elsa gli diede la chiave fissandolo dritto negli occhi.
Qualche istante dopo Luca spariva dietro al portellone.
“Questa situazione è irreale, quasi troppo semplice” cominciò Elsa.
“Assolutamente, sia Nakiri che Luca hanno preso le loro strade senza troppo esitare” continuò Eon “E non negarmi che anche te non sei attratta da una delle due, scommetto che è quella della giungla..”
Elsa annuì, c’era poco da ribadire.
“Che razza di gioco è mai questo, non si sentono rumori dall’esterno… ci hanno infilato in una realtà onirica” Eon si fermò ed Elsa ne capì il perché.
“Credi che tutto questo sia un sogno?” gli chiese.
“C’è modo di scoprirlo?”
“No” Elsa sapeva che il classico pizzicotto era solo una trovata cinematografica, il cervello durante il sonno riproduceva anche il dolore entro certi limiti, ma non aveva voglia di sperimentare quali fossero.
“Però siamo bloccati qui, se è un sogno è estremamente reale e quel mago ci ha drogati in qualche modo; se non lo è la situazione non cambia di molto: restiamo bloccati qui” Concluse Elsa
“Già. tanto vale andare avanti, questo limbo inizia a darmi sui nervi”
Si divisero le chiavi, e rimasero un attimo incerti di fronte alle rispettive porte.
“Allora… che la forza sia con te” scherzò Eon.
“Ciao scemo a dopo…” la voce di Elsa non aveva la solita sicurezza.
Elsa si calò giù per la scala ed Eon introdusse la sua inutile chiave dentro la serratura, che ovviamente scattò. Entrò nella stanza.
L’incertezza di essere ancora nella stanza di prima durò poco, così come la paura di non sapere cosa fare.
Capì anche il significato delle altre porte e dei loro rispettivi “proprietari” guardando la sua chiave.
Non stette troppo a riflettere su di loro, bensì sulla sua di situazione visto che spiegava tutte le altre.
Eon, ragazzo creativo, aveva la chiave senza lama perché spettava a lui dargli la forma per uscire da quella strana realtà. Gli altri avevano, chi più chi meno, la strada già tracciata.
Nel momento in cui arrivò a questa conclusione, apparve una porta di fronte a lui. Ora aveva un obiettivo, sicuro di sé, tiro la maniglia ma la porta non si mosse di un centimetro.
Ricordò che doveva ancora dare una forma alla sua chiave, realizzando questo apparvero agli angoli della stanza quattro fari. Ma più importante dei fari furono gli angoli! Capì finalmente la dimensione della stanza.
Si fermò un attimo a riflettere. Da quando era entrato, aveva tratto due conclusioni che l’avevano portato a un’evoluzione della sua situazione: Il perché della sua chiave, e il fatto che le deve dare una forma. Il dare una forma alla chiave doveva per forza restringere il campo delle cose da fare per uscire, infatti la forma della chiave dava un perché all’esistenza della serratura, la quale spiegava l’esistenza della porta che spiegava a sua volta l’esistenza di una stanza. In effetti, prima di capire i limiti della stanza, era stato in una dimensione infinita con una porta di uscita: dall’infinito non si sfugge, da una stanza si. Ecco il perché della forma della sua chiave.
Ora rimaneva solo un quesito: che forma dargli?
Dopo essersi posto questa domanda, la stanza divenne un turbine di colori e forme che mutavano costantemente, senza assumere un aspetto preciso.
Il caos improvviso lo confuse, e, più la sua mente si agitava più il turbine aumentava. Decise di calmarsi. Rallentare il flusso dei pensieri, o meglio, crearne uno.
Il caos diminuì ma i colori restarono milioni e senza senso.
La forma… il senso… il perché…
Dove voleva andare? Fuori… restare… altrove…
Voleva uscire, voleva riprendere in mano il suo destino fino a quel momento controllato solo dal caso e l’intuizione.
La chiave vibrò leggermente e la lama assunse una forma precisa.
Capì che la chiave mutava in base alla sua volontà che di conseguenza vacillò. Vide un turbine di possibilità. La porta era una sola ma apriva in miliardi di realtà diverse.
Eon notò che la lama della chiave era sparita di nuovo e l’oceano di colori riprese a volteggiare.
Ricordò i suoi amici e le loro mete, o meglio le loro scelte. Tutte con una meta già visibile, e i colori già ordinati. Loro, infatti, avevano una personalità più definita. Lui si era sempre lasciato libero di essere come si sentiva di essere.
Il colore delle personalità degli altri rispecchiava e influenzava le loro scelte.
Lui era libero di scegliere, e quindi libero di perdersi nella follia.
Scosse la testa stava iniziando a perdersi definitivamente o probabilmente a capire chi aveva scelto di essere.
Ecco.
Aveva scelto di essere. Aveva già adottato un filtro per la sua essenza, lui era libero di essere!
I colori si fermarono, assumendo un tono grigio chiaro, dando l’impressione di essere in mezzo a quattro muri di plexiglass.
La chiave aveva assunto una forma circolare.
Non c’era più niente da scoprire né da chiarire, il gioco era finito.
Si avvicinò alla porta, la aprì senza sorprendersi della sua nuova libertà.
Fuori era fresco, l’odore d’estate e di pop corn lo avvolsero. I suoi amici lo aspettavano già. Erano usciti dall’altra parte del tendone del circo, ma ancora dentro al parco giochi.
Lo guardavano con gli occhi carichi d’esperienza.
“Forte questo mago” ironizzò Eon.
“Forte questo trucco” lo corresse Elsa.
“Audace chiamarlo trucco” finì Nakiri.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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