Okay, sono decisamente
imperdonabile e me ne rendo conto. Lo scorso capitolo l'ho pubblicato
il 30/04/2011 e sono passati nove mesi, il tempo di sfornare
un bambino ._. Però non sono diventata mamma, quindi non ho
scusanti. Mi dispiace davvero molto per questo mio ritardo, soprattutto
mi dispiace per le persone che seguivano questa storia e che appena
vedranno l'aggiornamento - se lo vedranno - saranno piuttosto
sconcertate e magari non si ricorderanno più di che cosa
parla questa storia. Li capirei, visto che la mia memoria è
come quella di un criceto! XD
Che cosa dire di
più... spero che sia ancora qualcuno a seguire questa FF e,
caschi il mondo, mi sono convinta a finirla definitivamente,
perchè è andata fin troppo per le lunghe con le
mie deplorevoli pause e ora posso dirlo che non ho altre storie al
momento a cui pensare (che siano mie priorità). Siete
contenti? :)
Ora basta con le chiacchiere, vi lascio al capitolo :) Spero vi
piaccia!
Buona lettura!!
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Capitolo
16
Quei
muri di mattoni scuri
dovevano essere spessi almeno qualche metro, ma c’erano
spifferi ovunque e da
lontano riuscivo persino a sentire gli strepitii dei gabbiani.
Furono quelli a svegliarmi quella
mattina e appena voltai il viso incontrai a pochi millimetri di
distanza quello
di Nick, sereno.
Rimasi lì ad accarezzarlo con lo
sguardo, poi il mio stomaco brontolò rumorosamente e spinta
dalla fame mi
costrinsi ad alzarmi, spostando il suo braccio appoggiato al mio ventre.
Mi
avvicinai alla porta della
nostra cella e controllai se ci avessero già portato la
colazione. Me lo
aspettavo pure? Dopotutto non era un albergo a cinque stelle.
Sbuffai sonoramente, portandomi
le mani sulla pancia, e stavo per scivolare seduta per terra, quando lo
spioncino si aprì, permettendomi di vedere
l’esterno attraverso le sbarre.
Avvicinai il viso e trasalii quando vidi quello deformato dello
scagnozzo della
megera di fronte al mio.
Caddi
a terra come se mi avessero
spinta, ma non riuscii a smettere di guardare quegli occhi neri come la
pece,
infossati tra le sopracciglia folte e chiare e gli zigomi pronunciati.
C’era qualcosa di infinitamente
triste in quello sguardo e presto la paura svanì, facendomi
capire che io e lui
eravamo nella stessa identica situazione: due prigionieri della vecchia
megera.
Mi
alzai di nuovo e come mi
avvicinai alle sbarre il gigante si allontanò, mentre un
lampo di terrore gli
illuminava lo sguardo.
«Non avere paura, non voglio
farti del male», sussurrai. «Da quanto tempo quella
vecchia ti comanda a
bacchetta?».
Lui
non rispose ed io sospirai,
accennando un sorriso. «Ho capito, sei un tipo
silenzioso…».
Attraverso
le sbarre notai la
spessa catena che gli intrappolava i piedi e gli impediva di muoversi
velocemente. Avrei voluto aiutarlo, ma come? Erano troppo grandi e
resistenti e
io non avevo nulla con cui provare a spezzarle.
Ciononostante mi sedetti per
terra, sollevai dall’interno lo sportellino che veniva
utilizzato per passarci
da mangiare ed allungai una mano verso la caviglia del gigante
silenzioso.
«Avvicinati
un pochino, non ci
arrivo», dissi con la voce smorzata dallo sforzo.
Il
gigante mi capì e si sedette
anche lui, provocando un tonfo e facendo tremare il pavimento per
qualche
secondo. Gettai uno sguardo alle mie spalle, per controllare se Nick e
gli
altri si fossero svegliati, e quando mi accertai che stessero ancora
dormendo
tornai a concentrarmi sulle catene.
Mi accorsi che esse, proprio come
le mie, erano collegate a dei microchip che al segnale di chi li
controllava
inviavano delle scosse elettriche a tutto il corpo, tramortendolo.
Provai a forzare l’ultimo anello,
quello legato alla tenaglia che aveva intorno alla caviglia, ma non ero
abbastanza
forte. Allora provai a sfregare la catenella che univa le mie manette
sul ferro
delle catene, ma non servì a nulla, oltre che a farmi
sanguinare un polso per
l’attrito delle manette sulla pelle.
Il
gigante mi aveva fissata
continuamente durante tutti i miei inutili tentativi, sorpreso dalla
mia
tenacia e dal mio desiderio di voler aiutare colui che mi aveva
catturata,
perciò quando si accorse della mia sofferenza mi
fermò, posando una delle sue
grandi mani sulle mie, e mi rivolse un sorriso deformato. Poi
provò a
sbriciolare fra le dita una mia manetta, ma erano troppo grandi e goffe
e le
ritrasse, per paura di farmi male.
«Ary…
Ary, ma che stai facendo?!»,
gridò Nick alle mie spalle, caracollando giù dal
letto e prendendomi per le braccia, spaventato come non
l’avevo mai visto. «Sei impazzita? Quel mostro
potrebbe…»
«Non
è un mostro!», ribattei
subito, guardandolo truce. «Lui è buono,
è solo costretto ad eseguire gli
ordini della vecchia per non prendere la scossa! È
imprigionato anche lui qui
da chissà quanto tempo… Se mai dovessimo farcela
ad uscire da qui, aiuteremo anche
lui a fuggire».
Nick
mi guardò sconcertato, come
se fossi diventata pazza tutto d’un tratto, e aprì
la bocca per dire qualcosa,
ma un rumore attirò la nostra attenzione.
«Ho
come la sensazione che
uscirete da qui prima di quanto possiate immaginare»,
sussurrò una voce oltre
la porta della cella.
Nick
strinse gli occhi per
distinguere il volto in controluce che si intravedeva dietro le sbarre
nello
spioncino della porta ed esclamò:
«Charlotte!».
La
cheerleader dai capelli rossi
accennò un sorriso e gli rivolse uno sguardo colmo di
malinconia, poi armeggiò
con il mazzo di chiavi che aveva tra le mani e quando trovò
quella giusta la
infilò nella serratura e riuscì ad aprire la
pesante porta blindata, facendo
entrare un fascio di luce nella cella immersa
nell’oscurità.
«Ci
siamo anche noi!», salutarono
con segno di vittoria le altre due cheerleader, quella mora e quella
bionda,
sorridendo.
Quella sì che era una sorpresa. Scambiando uno sguardo con
Charlotte, però, capii che il merito era soltanto suo. La
ringraziai col
pensiero e lei parve intuire, perché scrollò le
spalle e fece cenno di
muoversi.
«Prima
o poi si accorgeranno
dell’assenza delle chiavi e… e allora
sarà un bel guaio», disse con una
smorfia.
Nick
svegliò in fretta e furia i
suoi fratelli, che ancora insonnoliti non riuscirono a capire bene
ciò che
stava succedendo. Nel frattempo la cheerleader dai capelli rossi mi
attirò a sé
ed infilò una chiave nelle mie manette, che scattarono e
caddero a terra.
Finalmente libera.
Mi
massaggiai i polsi indolenziti
e sollevai il capo per ringraziarla, quando sentii le sue
braccia stringermi in
un abbraccio più che inaspettato.
Con le labbra premute sul mio
orecchio, sussurrò: «Porta in salvo Nick, costi
quel che costi. Fai questo e ti
sarò riconoscente per il resto della vita. Noi staremo qui e
distrarremo la
vecchia e i suoi scagnozzi, gli indicheremo la direzione sbagliata. E
se non
dovesse bastare… ci inventeremo qualcosa».
Tirò fuori dal taschino della divisa
da cheerleader un foglietto piegato in quattro e piuttosto consumato e
me lo
porse. «Questa è la piantina con la via
più veloce per uscire da questo
labirinto».
Fece
per girarsi ed uscire dalla
cella per far finta di dare l’allarme, ma io le presi un
polso e la fermai. «Non
posso permettere che vi accada qualcosa di male, venite con noi, vi
teletrasporterò tutte fuori di qui in un attimo».
La
cheerleader dai capelli biondi
(la mora era impegnata a trovare la chiave giusta tra le dozzine
presenti in
quel mazzo per liberare il gigante dalle catene) mi guardò
con un sorrisetto
malinconico.
«Se potesse essere così semplice!
Non chiedermi come abbia fatto quella vecchiaccia, ma tutto il
labirinto è
anti-dono. Non te n’eri accorta prima?».
Sgranai
gli occhi, incredula, e
provai a teletrasportarmi, ma sentii una specie di resistenza, come se
fossi
intrappolata in una bolla. Non era molto forte, probabilmente la
vecchia megera
aveva una carenza di potere, proprio come ce l’avevo io a
causa della
stanchezza e della fame. Se solo fossi stata nel pieno delle mie
forze… ero
certa che sarei riuscita a distruggerla, quell’insulsa
barriera magica!
«Ma
allora le manette…?», provai
a formulare una domanda, ma Charlotte mi anticipò nella
risposta:
«Erano solo per impedirti di
usare il dono nel caso fossi riuscita a scappare dal
labirinto».
«Ehm…
ragazze, credo che ci
abbiano scoperte», balbettò la cheerleader mora,
che finalmente era riuscita a
liberare il gigante ma in compenso aveva visto in fondo al corridoio un
paio di
scagnozzi della vecchia correre verso di loro.
«Presto,
scappate!», urlò
Charlotte, spingendoci verso la direzione da prendere.
Vidi
Nick intrattenersi un
momento in più con lei, per abbracciarla stretta e
sussurrarle qualcosa
all’orecchio, poi mi raggiunse e mi prese la mano, mentre ci
lasciavamo alle
spalle le tre cheerleader e il mio amico gigante.
Non avrei mai voluto
abbandonarli, lasciarli a combattere da soli per la nostra salvezza, ma
le parole
di Charlotte mi rimbombavano nella testa e sapevo che mi avrebbe odiata
per il
resto dell’eternità, se non fossi riuscita ad
esaudire nemmeno quel suo
desiderio: salvare Nick.
***
«Dove
siamo?», domandò la madre
di Arianna, sollevandosi da terra e pulendosi i jeans dalla sabbia.
Il
mare
luccicava e sul promontorio poco distante da loro, in mezzo ad una
fitta
vegetazione, la banda al completo vide la villa dei Jonas.
«Non
troveremmo nessuno»,
decretò Fiore, iniziando ad incamminarsi verso un sentiero
che portava alla
strada. «Andiamo in paese, ne capiremo di più
quando saremo là!».
Camminarono
per un bel po’ e
quando arrivarono nella piazza principale era ormai mattino inoltrato.
Le
persone, proprio come se fosse
una giornata normale, camminavano tranquillamente per strada, facevano
colazione sedute nei bar, entravano nei negozi, andavano a lavorare,
dimentichi
che quella non era la dimensione a cui appartenevano veramente. Fu
quella
considerazione a spiazzare la madre di Ary, che si sbalordì
non poco pensando al
facile adattamento dell’essere umano, alla sua
capacità di riprendere in mano
la propria vita e di incominciare tutto da capo, senza lasciarsi
andare,
costruendo e circondandosi con ciò che lo faceva sentire a
casa, in modo da
riprodurre al meglio le proprie abitudini.
Davide
e Alessandra, rimasti
indietro, si fermarono a fissare il palco che doveva essere stato
allestito
qualche giorno prima ma non ancora smontato, e lessero lo striscione
appeso
storto sopra di esso: “JONAS BROTHERS TRADITORI!”.
Ale rabbrividì. Davide invece, si
chinò e raccolse da terra uno dei tantissimi volantini che
tappezzavano le
mattonelle di pietra e le facciate degli edifici di tutta la piazza.
«Leggi
qui», disse all’amica
della sorella, passandoglielo.
Ale
lesse a voce alta: «I Jonas
Brothers hanno sempre fatto il doppio gioco, vi hanno ingannati
facendovi
credere di lottare per la vostra stessa causa, quando invece pensavano
soltanto
ai loro interessi!». Guardò la foto che era stata
stampata accanto a quelle
parole: Nick, Joe e Kevin sulla spiaggia, mentre giocavano con lei ed
Ary a
pallavolo. Rabbrividì di nuovo, poi continuò:
«È giusto lasciarli impuniti per
questo tradimento? Se pensate che non lo sia, cercate e catturate la
fuggiasca
col dono! Coloro che la consegneranno viva riceveranno in cambio il
viaggio di
ritorno per l’altra dimensione!». Quell'ultima
frase era scritta in caratteri
cubitali ed affianco ad essa c’era un primo piano di Ary,
sorridente e con i
capelli scompigliati dal vento.
«Che
strega senza cuore…», sputò
tra i denti Davide, per poi fermare un passante, un signore anziano e
dall’aspetto burbero. «Mi scusi, signore, lei sa
qualcosa di più su questa…
“caccia alla fuggiasca col dono”?».
L’uomo
lo guardò di traverso e
borbottò: «Non perdete il vostro tempo
inutilmente: la ragazza è stata già
catturata, anzi sembra che lei stessa si sia consegnata per liberare i
fratelli
Jonas. Che sciocca! Se voleva tanto consegnarsi, poteva almeno fare un
gesto
caritatevole e dare la possibilità a qualcuno di ricevere la
ricompensa! In
questo modo nessuno potrà tornare nell’altra
dimensione!».
Davide
fece una smorfia,
stringendo il volantino nel pugno chiuso. «Nessuno sarebbe
potuto tornare
nell’altra dimensione, in ogni caso. Era tutta una bufala per
farsi consegnare
la ragazza!».
Fiore
intervenne per sedare la
rabbia del ragazzino, mentre l’anziano lo guardava sbalordito
e una piccola
folla si era riunita intorno a loro, iniziando a mormorare.
«È
davvero così?», domandò un
uomo che teneva in braccio il suo bambino. «Quella vecchia ci
ha presi tutti in
giro?».
«Certo!
Lei non ha il dono, non
avrebbe potuto trasportare nessuno dall’altra parte! E
nemmeno ora che se ne
impossesserà facendo del male a mia sorella, che ha cercato
di salvare quegli
innocenti che voi considerate traditori… Nemmeno ora lei vi
aiuterà! Lo
utilizzerà solo per trasportare se stessa!».
«Davide,
ora basta», gli sussurrò
Fiore all’orecchio, abbracciandolo.
«No,
no!», urlò il ragazzino,
divincolandosi. Riuscì a liberarsi dalla sua stretta e corse
sopra il palchetto
di travi, urlando ancora più forte per farsi sentire da
tutta la folla
presente. «È arrivato il momento di dire le cose
come stanno! È vero, i Jonas
volevano trovare un modo scientifico per tornare nell’altra
dimensione, ma non
l’hanno trovato nemmeno grazie all’aiuto di mia
sorella, la quale stando con
loro, come una normalissima ragazza della sua età, si
è affezionata a loro e,
beh, sì… si è anche innamorata di uno
di loro. Quando ha scoperto questo suo
dono avrebbe potuto benissimo fare quello che le diceva il cuore, ossia
di
portare a casa il ragazzo di cui si era innamorata e i suoi fratelli, e
fregarsene di tutti voi! Ma non l’ha fatto! Non
l’ha fatto, perché lei voleva
trovare un modo per esaudire il desiderio di più persone
possibili, quello di
tornare a casa nell’altra dimensione; perché lei
è buona… Ma sapete cosa vi
dico?! Forse avrebbe fatto meglio a fregarsene, visto ciò
che siete stati in
grado di fare!». Era rosso di rabbia e le lacrime gli
pungevano gli occhi, ma
non aveva nessuna intenzione di smettere.
«Oh,
tesoro…», mormorò sua madre
sotto al palco, posandosi una mano sul cuore. Suo marito le sorrise e
le
avvolse un braccio intorno alle spalle. Dovevano solo essere orgogliosi
dei
loro ragazzi.
«Quella
vecchiaccia vi ha
sfruttati per la sua sete di potere e di chissà
cos’altro, per andare e tornare
da questa all’altra dimensione a suo piacimento, e voi avete
abboccato come dei
pesci all’amo, mandando mia sorella fra le sue grinfie! Ma
potete rimediare!
Insieme,
possiamo rimediare! Andando a combattere contro quella vecchia e i
suoi scagnozzi che, proprio come voi poco fa, credono che verranno
ricompensati
eseguendo tutti i suoi folli ordini! Possiamo farcela, dobbiamo
farcela!»
Ale
guardò il fratellino della
sua Ary e si disse che lei sarebbe stata così orgogliosa di
lui… Era stato
sorprendente e da solo era riuscito a farsi ascoltare da un centinaio
di
persone e a portarsele dalla sua parte. Non aveva mai visto qualcuno di
più
straordinario.
Davide,
quando l’ira scemò, si
curvò sulle spalle, stremato, ma sorrise cercando lo sguardo
di Fiore: ora
toccava a lei condurli dalla vecchia per chiudere i conti.
***
Gettai
un altro rapido sguardo
alla mappa, correndo all’impazzata tenendo per mano Nick e
facendo da guida a
Joe e Kevin dietro di noi, pregando ad ogni curva di non imbatterci
negli
scagnozzi della vecchia, o sarebbero stati guai seri.
«Di
qua!», gridai e svoltai
rapidamente a sinistra.
Le
mie preghiere non furono
ascoltate, perché infondo al corridoio vidi degli uomini che
ci correvano
incontro e non potevamo di certo tornare indietro, rischiando di
trovarci
intrappolati o ancora più disorientati nel labirinto.
«Che
si fa?», mi domandò Nick
mentre gli scagnozzi si avvicinavano sempre più in fretta e
non c’era tempo per
pensare.
«Non
ne ho idea!», strillai e
presa dal panico schiacciai il pulsante che vidi a terra,
d’istinto.
Nick
mi guardò negli occhi e
strinse ancora più forte la mia mano nella sua, prima che
entrambi iniziassimo a
scivolare lungo un tunnel che ci portò in un’altra
sala illuminata da piccole
torce appese alla parete che, per nostra sfortuna, era un vicolo cieco.
«Merda»,
biascicai.
Provai
a calmarmi per riflettere
lucidamente, mentre sentivo gli uomini sopra le nostre teste
bisticciare su chi
per primo avrebbe dovuto scendere nel tunnel. Non ci riuscii e
l’unica cosa che
potei fare fu aggrapparmi con le braccia al collo di Nick, che
ricambiò la
stretta affondando il viso fra i miei capelli.
«Stanotte…»,
mi sussurrò ed io
ebbi una stretta al cuore, ripensando alla magnifica notte che avevamo
passato
insieme, sesso o meno.
«Lo
so», mormorai. «Qualsiasi
cosa accada, ricordati che ti amo».
«Anche
tu».
I
primi due uomini uscirono dal
tunnel e ci guardarono sogghignando.
«Ehm…
mi dispiace interrompere i
vostri addii, piccioncini, ma è scaduto il tempo»,
balbettò Joe, arretrando fino
al muro alle nostre spalle. Per puro caso spostò un mattone
e si aprì un’altra
botola, che lo fece scivolare in tondo per un po’, fino a
quando non sentimmo
più le sue grida.
In
compenso, sentii nell’aria che
saliva dal nuovo tunnel un odore inconfondibile: profumo di mare.
C’eravamo,
quella era l’uscita, la via per la salvezza, ma non potevo
lasciare che quegli
uomini ci seguissero anche fuori. Alla fine decisi che li avrei
intrattenuti
per un po’, dando il tempo a Nick, Joe e Kevin di
allontanarsi, poi li avrei
raggiunti e una volta fuori avrei potuto utilizzare il mio potere per
fuggire
definitivamente.
«Nick,
Kevin, andate!», gridai
prima di avventarmi su uno dei due uomini, che cadde
sull’altro. Quello che non
riuscii a prevedere fu un terzo scagnozzo che uscì dal
tunnel mentre ero ancora
a terra e tentavo di alzarmi ed afferrò Nick per il braccio
proprio un momento
prima che si lanciasse nel tunnel.
«Dove
credi di andare tu?!
Potresti sempre tornarci utile per qualche ricatto!»,
gridò l’uomo stringendo
Nick fra le braccia muscolose e puntandogli qualcosa sul fianco.
Cos’era?
Ebbi
l’onore di scoprirlo poco
dopo, quando lo stesso affare mi pizzicò una gamba e una
scossa elettrica mi
percosse da capo a piedi. Iniziavo ad odiare
l’elettricità e chiunque l’avesse
inventata.
«Lascialo
andare», biascicai
mentre uno degli scagnozzi mi tirava su da terra con
facilità, mi stringeva un
braccio intorno al collo per non farmi muovere e mi portava di fronte a
Nick,
intrappolato come me. «È me che volete, no? Lui
che cosa c’entra…».
«Oh,
come sei altruista
signorinella…».
«Non
ti preoccupare per me, amore»,
sussurrò Nick con un lieve sorriso sulle labbra.
«Stai
zitto, tu!», gridò lo
scagnozzo che lo aveva in pugno e lasciandolo andare gli
riserbò una scarica
elettrica che lo fece accasciare a terra svenuto.
«Come
hai osato, brutto…».
La
mia
rabbia era incontenibile e me ne accorsi grazie alla forza che mi
circolò nelle
vene ancora più velocemente
dell’elettricità e al fatto che il mio
corpo sussultò con dei
tremiti, come se non riuscisse più a contenerla.
L’uomo che mi teneva stretta capì che qualcosa di
grosso stava per
accadere e mi lasciò andare per rifugiarsi da qualche parte,
ma io sollevai una
mano in aria e sul soffitto si aprì un varco scuro che come
un grande
aspirapolvere risucchiò i due uomini. Si sarebbe portato via
anche Nick, se io
non mi fossi gettata su di lui e non avessi chiuso la mano in tempo.
Quando
tutto fu passato, guardai
il soffitto per qualche secondo, respirando affannosamente. Non potevo
crederci. Avevo aperto davvero un buco nero, spedendo quei due uomini
in chissà
quale dimensione? Un brivido di paura mi scosse e mi guardai i palmi
delle
mani, poi un rumore fece guizzare il mio sguardo verso
l’altra parte della
stanza: il terzo uomo, dalla cui espressione terrorizzata potevo
dedurre che
aveva visto tutto, mi guardò ed implorò
pietà, unendo le mani di fronte al viso
a mo’ di preghiera e piagnucolando.
«Stai
zitto e vattene», sbuffai
senza forze. Lui non se lo fece ripetere due volte.
Mi
voltai verso Nick e gli
accarezzai il viso, implorandolo di svegliarsi. Posai la fronte sulla
sua e una
lacrima mi scivolò sulla guancia, per poi cadere sulla sua.
«Ary?».
Aprii
gli occhi di scatto ed
incontrai i suoi, che mi sorrisero dolcemente. «Oh, Nick,
stai bene! Menomale,
ho avuto tanta paura…».
Lui
si lasciò stringere senza
lamentarsi della posizione scomoda a cui lo costringevo e mi
accarezzò la
guancia per calmarmi.
«Sto bene, tranquilla. Ma…
cos’è
successo? Dove sono finiti gli scagnozzi?».
Ripensai
al buco nero che avevo
creato. Forse non era il caso che glielo raccontassi, faceva paura
persino a me
aver scoperto di avere anche quella capacità! E sinceramente
speravo di non
doverla sfruttare mai più.
Sorrisi nervosamente. «Gli ho
fatto così tanta paura che sono scappati con la coda fra le
gambe».
Lui
accennò una risata, ma glielo
lessi negli occhi che sentire quella bugia lo aveva ferito.
Gli posai un bacio sulle labbra e
mormorai: «Ne parliamo un’altra volta con
più calma, okay? Adesso raggiungiamo
Joe e Kevin».
Nick
annuì e si lasciò aiutare a
rialzarsi, poi scivolammo lungo il tunnel che portava alla spiaggia.
***
Fiore
aveva condotto alla
spiaggia tutti quanti, compresa la folla che si era convinta
dell’innocenza dei
Jonas Brothers e dell’inganno della vecchia megera. Secondo
lei da lì era molto
più semplice entrare di nascosto nella sua casa-labirinto,
attraverso uno dei
diversi passaggi segreti di cui solo lei sapeva l’esistenza.
Ad
un certo punto Ale rimase
indietro, attirata dalla bellezza del mare che luccicava sotto i raggi
del sole
come se fosse tempestato di diamanti.
Pensò alle giornate trascorse su quella
stessa spiaggia con i fratelli Jonas e la sua migliore amica,
pensò a quante ne
aveva combinate con Joe per rendere la vita impossibile a quei due
“piccioncini” e pensò semplicemente a
Joe, al suo sguardo, al suo sorrisetto
provocatorio e malizioso, a tutte le sue menate per i suoi capelli
perfetti… Ne
sentiva una tremenda mancanza ed era così in pena per lui
che… sì, le parve di
sentire la sua voce che la chiamava.
Sorrise amareggiata, dicendosi
che era impossibile che fosse lì, ma quando la
sentì di nuovo si costrinse a
girarsi, col cuore in gola, e vide Joe correre a perdifiato verso di
lei, con
Kevin alle spalle che non riusciva a tenere il suo ritmo.
«Joe…»,
mormorò non credendo ai
suoi occhi. Quando si convinse che lui non era soltanto frutto della
sua
immaginazione sorrise raggiante e urlò ancora più
forte il suo nome,
correndogli incontro.
La
folla si voltò a guardare e lo
stesso fecero Fiore, il suo compagno Alessandro, Davide e i suoi
genitori. Il
ragazzino in particolare fece per correre verso di loro per avere
notizie di
sua sorella, ma Alessandro lo fermò posandogli una mano
sulla spalla e
sorridendo.
«Lasciagli
un attimo di privacy,
ne hanno bisogno».
Ale
si gettò fra le sue braccia e
lo strinse fortissimo, tanto che Joe dovette pregarla di lasciarlo
andare
perché era stremato.
«Sono così felice di vedere che
stai bene…», soffiò Ale prendendogli il
viso fra le mani e guardandolo
intensamente negli occhi.
Joe
sorrise malizioso. «Allora ce
l’ho fatta a conquistarti… Peccato che per
l’occasione abbia i capelli ridotti
in questo stato…».
«Chissene
frega dei tuoi capelli».
Ale lo baciò impetuosamente sulle labbra, non dandogli
nemmeno il tempo di
realizzare ciò che stava succedendo, e sentì
mille farfalline invaderle lo
stomaco.
Nel
frattempo Kevin, che aveva
deciso di lasciarli un po’ da soli, si era avvicinato al
nutrito gruppo poco
lontano da loro e alle mille domande di Davide rispose raccontando in
breve tutto
ciò che era capitato loro nelle ultime quarantotto ore.
«Ma
adesso dove sono Ary e Nick?»,
chiese ancora il ragazzino, preoccupato.
Kevin
abbassò lo sguardo. «Ary ha
provato a distrarre gli scagnozzi della vecchia per farci fuggire, ma
penso che
non ci sia riuscita molto bene e Nick… credo sia rimasto con
lei».
«Che
cosa ci facciamo ancora qui?
Dobbiamo andare a dargli una mano!», urlò
Alessandro.
Nonostante quei tre Jonas da
strapazzo non gli fossero mai andati a genio non poteva permettere che
gli scagnozzi
della vecchia facessero del male ad Arianna!
«Mostraci
il tunnel con cui siete
riusciti ad arrivare qui», disse Fiore al maggiore dei
fratelli, che annuì e li
guidò lungo la spiaggia.
Quando
furono nei pressi del
punto esatto, quasi dal nulla videro qualcuno cadere nel vuoto per
qualche
metro, per poi atterrare sulla sabbia. La stessa sorte toccò
ad una ragazza,
che appena toccò il suolo con il fondoschiena
lanciò un urlo, mettendosi a
piagnucolare: «Non ne posso più di questi tunnel
che ti fanno finire sempre col
culo a terra!».
Appena
sentì quella voce, Davide
si fece spazio fra la folla e corse come un pazzo fino a lei,
scomparendo e
ricomparendo ad ogni dieci metri. Stava usando il teletrasporto per
avvantaggiarsi nella corsa e fare più in fretta!
Alla fine comparve a pochi
centimetri dal viso della ragazza e con le lacrime agli occhi,
nonostante
avesse le labbra arricciate a causa di una risata di gioia che stava
tentando
di trattenere, le gettò le braccia al collo pronunciando il
suo nome: «Ary».