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Autore: _Pulse_    05/01/2012    1 recensioni
Una volta usciti dall’acqua, ancora placcata da i due Jonas, il terzo si avvicinò e passò due asciugamani ai fratelli.
«Tante grazie!», gridai, fuori di me.
«Non iniziare a lagnarti! Vieni qui con me!», gridò il più piccolo, attirandomi a sé e avvolgendomi nel suo asciugamano con lui. Rimasi piacevolmente sorpresa da quel gesto e mi arresi al fatto che ormai non mi restava altro da fare che seguirli e scoprire che cosa volevano da me.
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Joe Jonas, Kevin Jonas, Nick Jonas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Okay, sono decisamente imperdonabile e me ne rendo conto. Lo scorso capitolo l'ho pubblicato il 30/04/2011 e sono passati nove mesi, il tempo di sfornare un bambino ._. Però non sono diventata mamma, quindi non ho scusanti. Mi dispiace davvero molto per questo mio ritardo, soprattutto mi dispiace per le persone che seguivano questa storia e che appena vedranno l'aggiornamento - se lo vedranno - saranno piuttosto sconcertate e magari non si ricorderanno più di che cosa parla questa storia. Li capirei, visto che la mia memoria è come quella di un criceto! XD

Che cosa dire di più... spero che sia ancora qualcuno a seguire questa FF e, caschi il mondo, mi sono convinta a finirla definitivamente, perchè è andata fin troppo per le lunghe con le mie deplorevoli pause e ora posso dirlo che non ho altre storie al momento a cui pensare (che siano mie priorità). Siete contenti? :) 
Ora basta con le chiacchiere, vi lascio al capitolo :) Spero vi piaccia! 
Buona lettura!!

 

____________________________

 

Capitolo 16

 

Quei muri di mattoni scuri dovevano essere spessi almeno qualche metro, ma c’erano spifferi ovunque e da lontano riuscivo persino a sentire gli strepitii dei gabbiani.
Furono quelli a svegliarmi quella mattina e appena voltai il viso incontrai a pochi millimetri di distanza quello di Nick, sereno.
Rimasi lì ad accarezzarlo con lo sguardo, poi il mio stomaco brontolò rumorosamente e spinta dalla fame mi costrinsi ad alzarmi, spostando il suo braccio appoggiato al mio ventre.

Mi avvicinai alla porta della nostra cella e controllai se ci avessero già portato la colazione. Me lo aspettavo pure? Dopotutto non era un albergo a cinque stelle.
Sbuffai sonoramente, portandomi le mani sulla pancia, e stavo per scivolare seduta per terra, quando lo spioncino si aprì, permettendomi di vedere l’esterno attraverso le sbarre. Avvicinai il viso e trasalii quando vidi quello deformato dello scagnozzo della megera di fronte al mio.

Caddi a terra come se mi avessero spinta, ma non riuscii a smettere di guardare quegli occhi neri come la pece, infossati tra le sopracciglia folte e chiare e gli zigomi pronunciati.
C’era qualcosa di infinitamente triste in quello sguardo e presto la paura svanì, facendomi capire che io e lui eravamo nella stessa identica situazione: due prigionieri della vecchia megera.

Mi alzai di nuovo e come mi avvicinai alle sbarre il gigante si allontanò, mentre un lampo di terrore gli illuminava lo sguardo.
«Non avere paura, non voglio farti del male», sussurrai. «Da quanto tempo quella vecchia ti comanda a bacchetta?».

Lui non rispose ed io sospirai, accennando un sorriso. «Ho capito, sei un tipo silenzioso…».

Attraverso le sbarre notai la spessa catena che gli intrappolava i piedi e gli impediva di muoversi velocemente. Avrei voluto aiutarlo, ma come? Erano troppo grandi e resistenti e io non avevo nulla con cui provare a spezzarle.
Ciononostante mi sedetti per terra, sollevai dall’interno lo sportellino che veniva utilizzato per passarci da mangiare ed allungai una mano verso la caviglia del gigante silenzioso.

«Avvicinati un pochino, non ci arrivo», dissi con la voce smorzata dallo sforzo.

Il gigante mi capì e si sedette anche lui, provocando un tonfo e facendo tremare il pavimento per qualche secondo. Gettai uno sguardo alle mie spalle, per controllare se Nick e gli altri si fossero svegliati, e quando mi accertai che stessero ancora dormendo tornai a concentrarmi sulle catene.
Mi accorsi che esse, proprio come le mie, erano collegate a dei microchip che al segnale di chi li controllava inviavano delle scosse elettriche a tutto il corpo, tramortendolo.
Provai a forzare l’ultimo anello, quello legato alla tenaglia che aveva intorno alla caviglia, ma non ero abbastanza forte. Allora provai a sfregare la catenella che univa le mie manette sul ferro delle catene, ma non servì a nulla, oltre che a farmi sanguinare un polso per l’attrito delle manette sulla pelle.

Il gigante mi aveva fissata continuamente durante tutti i miei inutili tentativi, sorpreso dalla mia tenacia e dal mio desiderio di voler aiutare colui che mi aveva catturata, perciò quando si accorse della mia sofferenza mi fermò, posando una delle sue grandi mani sulle mie, e mi rivolse un sorriso deformato. Poi provò a sbriciolare fra le dita una mia manetta, ma erano troppo grandi e goffe e le ritrasse, per paura di farmi male.

«Ary… Ary, ma che stai facendo?!», gridò Nick alle mie spalle, caracollando giù dal letto e prendendomi per le braccia, spaventato come non l’avevo mai visto. «Sei impazzita? Quel mostro potrebbe…»

«Non è un mostro!», ribattei subito, guardandolo truce. «Lui è buono, è solo costretto ad eseguire gli ordini della vecchia per non prendere la scossa! È imprigionato anche lui qui da chissà quanto tempo… Se mai dovessimo farcela ad uscire da qui, aiuteremo anche lui a fuggire».

Nick mi guardò sconcertato, come se fossi diventata pazza tutto d’un tratto, e aprì la bocca per dire qualcosa, ma un rumore attirò la nostra attenzione.

«Ho come la sensazione che uscirete da qui prima di quanto possiate immaginare», sussurrò una voce oltre la porta della cella.

Nick strinse gli occhi per distinguere il volto in controluce che si intravedeva dietro le sbarre nello spioncino della porta ed esclamò: «Charlotte!».

La cheerleader dai capelli rossi accennò un sorriso e gli rivolse uno sguardo colmo di malinconia, poi armeggiò con il mazzo di chiavi che aveva tra le mani e quando trovò quella giusta la infilò nella serratura e riuscì ad aprire la pesante porta blindata, facendo entrare un fascio di luce nella cella immersa nell’oscurità.

«Ci siamo anche noi!», salutarono con segno di vittoria le altre due cheerleader, quella mora e quella bionda, sorridendo.
Quella sì che era una sorpresa. Scambiando uno sguardo con Charlotte, però, capii che il merito era soltanto suo. La ringraziai col pensiero e lei parve intuire, perché scrollò le spalle e fece cenno di muoversi.

«Prima o poi si accorgeranno dell’assenza delle chiavi e… e allora sarà un bel guaio», disse con una smorfia.

Nick svegliò in fretta e furia i suoi fratelli, che ancora insonnoliti non riuscirono a capire bene ciò che stava succedendo. Nel frattempo la cheerleader dai capelli rossi mi attirò a sé ed infilò una chiave nelle mie manette, che scattarono e caddero a terra. Finalmente libera.

Mi massaggiai i polsi indolenziti e sollevai il capo per ringraziarla, quando sentii le sue braccia stringermi in un abbraccio più che inaspettato.
Con le labbra premute sul mio orecchio, sussurrò: «Porta in salvo Nick, costi quel che costi. Fai questo e ti sarò riconoscente per il resto della vita. Noi staremo qui e distrarremo la vecchia e i suoi scagnozzi, gli indicheremo la direzione sbagliata. E se non dovesse bastare… ci inventeremo qualcosa». Tirò fuori dal taschino della divisa da cheerleader un foglietto piegato in quattro e piuttosto consumato e me lo porse. «Questa è la piantina con la via più veloce per uscire da questo labirinto».

Fece per girarsi ed uscire dalla cella per far finta di dare l’allarme, ma io le presi un polso e la fermai. «Non posso permettere che vi accada qualcosa di male, venite con noi, vi teletrasporterò tutte fuori di qui in un attimo».

La cheerleader dai capelli biondi (la mora era impegnata a trovare la chiave giusta tra le dozzine presenti in quel mazzo per liberare il gigante dalle catene) mi guardò con un sorrisetto malinconico.
«Se potesse essere così semplice! Non chiedermi come abbia fatto quella vecchiaccia, ma tutto il labirinto è anti-dono. Non te n’eri accorta prima?».

Sgranai gli occhi, incredula, e provai a teletrasportarmi, ma sentii una specie di resistenza, come se fossi intrappolata in una bolla. Non era molto forte, probabilmente la vecchia megera aveva una carenza di potere, proprio come ce l’avevo io a causa della stanchezza e della fame. Se solo fossi stata nel pieno delle mie forze… ero certa che sarei riuscita a distruggerla, quell’insulsa barriera magica!

«Ma allora le manette…?», provai a formulare una domanda, ma Charlotte mi anticipò nella risposta:
«Erano solo per impedirti di usare il dono nel caso fossi riuscita a scappare dal labirinto».

«Ehm… ragazze, credo che ci abbiano scoperte», balbettò la cheerleader mora, che finalmente era riuscita a liberare il gigante ma in compenso aveva visto in fondo al corridoio un paio di scagnozzi della vecchia correre verso di loro.

«Presto, scappate!», urlò Charlotte, spingendoci verso la direzione da prendere.

Vidi Nick intrattenersi un momento in più con lei, per abbracciarla stretta e sussurrarle qualcosa all’orecchio, poi mi raggiunse e mi prese la mano, mentre ci lasciavamo alle spalle le tre cheerleader e il mio amico gigante.
Non avrei mai voluto abbandonarli, lasciarli a combattere da soli per la nostra salvezza, ma le parole di Charlotte mi rimbombavano nella testa e sapevo che mi avrebbe odiata per il resto dell’eternità, se non fossi riuscita ad esaudire nemmeno quel suo desiderio: salvare Nick.

 

***

 

«Dove siamo?», domandò la madre di Arianna, sollevandosi da terra e pulendosi i jeans dalla sabbia.

Il mare luccicava e sul promontorio poco distante da loro, in mezzo ad una fitta vegetazione, la banda al completo vide la villa dei Jonas.

«Non troveremmo nessuno», decretò Fiore, iniziando ad incamminarsi verso un sentiero che portava alla strada. «Andiamo in paese, ne capiremo di più quando saremo là!».

Camminarono per un bel po’ e quando arrivarono nella piazza principale era ormai mattino inoltrato.

Le persone, proprio come se fosse una giornata normale, camminavano tranquillamente per strada, facevano colazione sedute nei bar, entravano nei negozi, andavano a lavorare, dimentichi che quella non era la dimensione a cui appartenevano veramente. Fu quella considerazione a spiazzare la madre di Ary, che si sbalordì non poco pensando al facile adattamento dell’essere umano, alla sua capacità di riprendere in mano la propria vita e di incominciare tutto da capo, senza lasciarsi andare, costruendo e circondandosi con ciò che lo faceva sentire a casa, in modo da riprodurre al meglio le proprie abitudini.

Davide e Alessandra, rimasti indietro, si fermarono a fissare il palco che doveva essere stato allestito qualche giorno prima ma non ancora smontato, e lessero lo striscione appeso storto sopra di esso: “JONAS BROTHERS TRADITORI!”.
Ale rabbrividì. Davide invece, si chinò e raccolse da terra uno dei tantissimi volantini che tappezzavano le mattonelle di pietra e le facciate degli edifici di tutta la piazza.

«Leggi qui», disse all’amica della sorella, passandoglielo.

Ale lesse a voce alta: «I Jonas Brothers hanno sempre fatto il doppio gioco, vi hanno ingannati facendovi credere di lottare per la vostra stessa causa, quando invece pensavano soltanto ai loro interessi!». Guardò la foto che era stata stampata accanto a quelle parole: Nick, Joe e Kevin sulla spiaggia, mentre giocavano con lei ed Ary a pallavolo. Rabbrividì di nuovo, poi continuò: «È giusto lasciarli impuniti per questo tradimento? Se pensate che non lo sia, cercate e catturate la fuggiasca col dono! Coloro che la consegneranno viva riceveranno in cambio il viaggio di ritorno per l’altra dimensione!». Quell'ultima frase era scritta in caratteri cubitali ed affianco ad essa c’era un primo piano di Ary, sorridente e con i capelli scompigliati dal vento.

«Che strega senza cuore…», sputò tra i denti Davide, per poi fermare un passante, un signore anziano e dall’aspetto burbero. «Mi scusi, signore, lei sa qualcosa di più su questa… “caccia alla fuggiasca col dono”?».

L’uomo lo guardò di traverso e borbottò: «Non perdete il vostro tempo inutilmente: la ragazza è stata già catturata, anzi sembra che lei stessa si sia consegnata per liberare i fratelli Jonas. Che sciocca! Se voleva tanto consegnarsi, poteva almeno fare un gesto caritatevole e dare la possibilità a qualcuno di ricevere la ricompensa! In questo modo nessuno potrà tornare nell’altra dimensione!».

Davide fece una smorfia, stringendo il volantino nel pugno chiuso. «Nessuno sarebbe potuto tornare nell’altra dimensione, in ogni caso. Era tutta una bufala per farsi consegnare la ragazza!».

Fiore intervenne per sedare la rabbia del ragazzino, mentre l’anziano lo guardava sbalordito e una piccola folla si era riunita intorno a loro, iniziando a mormorare.

«È davvero così?», domandò un uomo che teneva in braccio il suo bambino. «Quella vecchia ci ha presi tutti in giro?».

«Certo! Lei non ha il dono, non avrebbe potuto trasportare nessuno dall’altra parte! E nemmeno ora che se ne impossesserà facendo del male a mia sorella, che ha cercato di salvare quegli innocenti che voi considerate traditori… Nemmeno ora lei vi aiuterà! Lo utilizzerà solo per trasportare se stessa!».

«Davide, ora basta», gli sussurrò Fiore all’orecchio, abbracciandolo.

«No, no!», urlò il ragazzino, divincolandosi. Riuscì a liberarsi dalla sua stretta e corse sopra il palchetto di travi, urlando ancora più forte per farsi sentire da tutta la folla presente. «È arrivato il momento di dire le cose come stanno! È vero, i Jonas volevano trovare un modo scientifico per tornare nell’altra dimensione, ma non l’hanno trovato nemmeno grazie all’aiuto di mia sorella, la quale stando con loro, come una normalissima ragazza della sua età, si è affezionata a loro e, beh, sì… si è anche innamorata di uno di loro. Quando ha scoperto questo suo dono avrebbe potuto benissimo fare quello che le diceva il cuore, ossia di portare a casa il ragazzo di cui si era innamorata e i suoi fratelli, e fregarsene di tutti voi! Ma non l’ha fatto! Non l’ha fatto, perché lei voleva trovare un modo per esaudire il desiderio di più persone possibili, quello di tornare a casa nell’altra dimensione; perché lei è buona… Ma sapete cosa vi dico?! Forse avrebbe fatto meglio a fregarsene, visto ciò che siete stati in grado di fare!». Era rosso di rabbia e le lacrime gli pungevano gli occhi, ma non aveva nessuna intenzione di smettere.

«Oh, tesoro…», mormorò sua madre sotto al palco, posandosi una mano sul cuore. Suo marito le sorrise e le avvolse un braccio intorno alle spalle. Dovevano solo essere orgogliosi dei loro ragazzi.

«Quella vecchiaccia vi ha sfruttati per la sua sete di potere e di chissà cos’altro, per andare e tornare da questa all’altra dimensione a suo piacimento, e voi avete abboccato come dei pesci all’amo, mandando mia sorella fra le sue grinfie! Ma potete rimediare! Insieme, possiamo rimediare! Andando a combattere contro quella vecchia e i suoi scagnozzi che, proprio come voi poco fa, credono che verranno ricompensati eseguendo tutti i suoi folli ordini! Possiamo farcela, dobbiamo farcela!»

Ale guardò il fratellino della sua Ary e si disse che lei sarebbe stata così orgogliosa di lui… Era stato sorprendente e da solo era riuscito a farsi ascoltare da un centinaio di persone e a portarsele dalla sua parte. Non aveva mai visto qualcuno di più straordinario.

Davide, quando l’ira scemò, si curvò sulle spalle, stremato, ma sorrise cercando lo sguardo di Fiore: ora toccava a lei condurli dalla vecchia per chiudere i conti.

 

***

 

Gettai un altro rapido sguardo alla mappa, correndo all’impazzata tenendo per mano Nick e facendo da guida a Joe e Kevin dietro di noi, pregando ad ogni curva di non imbatterci negli scagnozzi della vecchia, o sarebbero stati guai seri.

«Di qua!», gridai e svoltai rapidamente a sinistra.

Le mie preghiere non furono ascoltate, perché infondo al corridoio vidi degli uomini che ci correvano incontro e non potevamo di certo tornare indietro, rischiando di trovarci intrappolati o ancora più disorientati nel labirinto.

«Che si fa?», mi domandò Nick mentre gli scagnozzi si avvicinavano sempre più in fretta e non c’era tempo per pensare.

«Non ne ho idea!», strillai e presa dal panico schiacciai il pulsante che vidi a terra, d’istinto.

Nick mi guardò negli occhi e strinse ancora più forte la mia mano nella sua, prima che entrambi iniziassimo a scivolare lungo un tunnel che ci portò in un’altra sala illuminata da piccole torce appese alla parete che, per nostra sfortuna, era un vicolo cieco.

«Merda», biascicai.

Provai a calmarmi per riflettere lucidamente, mentre sentivo gli uomini sopra le nostre teste bisticciare su chi per primo avrebbe dovuto scendere nel tunnel. Non ci riuscii e l’unica cosa che potei fare fu aggrapparmi con le braccia al collo di Nick, che ricambiò la stretta affondando il viso fra i miei capelli.

«Stanotte…», mi sussurrò ed io ebbi una stretta al cuore, ripensando alla magnifica notte che avevamo passato insieme, sesso o meno.

«Lo so», mormorai. «Qualsiasi cosa accada, ricordati che ti amo».

«Anche tu».

I primi due uomini uscirono dal tunnel e ci guardarono sogghignando.

«Ehm… mi dispiace interrompere i vostri addii, piccioncini, ma è scaduto il tempo», balbettò Joe, arretrando fino al muro alle nostre spalle. Per puro caso spostò un mattone e si aprì un’altra botola, che lo fece scivolare in tondo per un po’, fino a quando non sentimmo più le sue grida.

In compenso, sentii nell’aria che saliva dal nuovo tunnel un odore inconfondibile: profumo di mare. C’eravamo, quella era l’uscita, la via per la salvezza, ma non potevo lasciare che quegli uomini ci seguissero anche fuori. Alla fine decisi che li avrei intrattenuti per un po’, dando il tempo a Nick, Joe e Kevin di allontanarsi, poi li avrei raggiunti e una volta fuori avrei potuto utilizzare il mio potere per fuggire definitivamente.

«Nick, Kevin, andate!», gridai prima di avventarmi su uno dei due uomini, che cadde sull’altro. Quello che non riuscii a prevedere fu un terzo scagnozzo che uscì dal tunnel mentre ero ancora a terra e tentavo di alzarmi ed afferrò Nick per il braccio proprio un momento prima che si lanciasse nel tunnel.

«Dove credi di andare tu?! Potresti sempre tornarci utile per qualche ricatto!», gridò l’uomo stringendo Nick fra le braccia muscolose e puntandogli qualcosa sul fianco. Cos’era?

Ebbi l’onore di scoprirlo poco dopo, quando lo stesso affare mi pizzicò una gamba e una scossa elettrica mi percosse da capo a piedi. Iniziavo ad odiare l’elettricità e chiunque l’avesse inventata.

«Lascialo andare», biascicai mentre uno degli scagnozzi mi tirava su da terra con facilità, mi stringeva un braccio intorno al collo per non farmi muovere e mi portava di fronte a Nick, intrappolato come me. «È me che volete, no? Lui che cosa c’entra…».

«Oh, come sei altruista signorinella…».

«Non ti preoccupare per me, amore», sussurrò Nick con un lieve sorriso sulle labbra.

«Stai zitto, tu!», gridò lo scagnozzo che lo aveva in pugno e lasciandolo andare gli riserbò una scarica elettrica che lo fece accasciare a terra svenuto.

«Come hai osato, brutto…». 

La mia rabbia era incontenibile e me ne accorsi grazie alla forza che mi circolò nelle vene ancora più velocemente dell’elettricità e al fatto che il mio corpo sussultò con dei tremiti, come se non riuscisse più a contenerla. L’uomo che mi teneva stretta capì che qualcosa di grosso stava per accadere e mi lasciò andare per rifugiarsi da qualche parte, ma io sollevai una mano in aria e sul soffitto si aprì un varco scuro che come un grande aspirapolvere risucchiò i due uomini. Si sarebbe portato via anche Nick, se io non mi fossi gettata su di lui e non avessi chiuso la mano in tempo.

Quando tutto fu passato, guardai il soffitto per qualche secondo, respirando affannosamente. Non potevo crederci. Avevo aperto davvero un buco nero, spedendo quei due uomini in chissà quale dimensione? Un brivido di paura mi scosse e mi guardai i palmi delle mani, poi un rumore fece guizzare il mio sguardo verso l’altra parte della stanza: il terzo uomo, dalla cui espressione terrorizzata potevo dedurre che aveva visto tutto, mi guardò ed implorò pietà, unendo le mani di fronte al viso a mo’ di preghiera e piagnucolando.

«Stai zitto e vattene», sbuffai senza forze. Lui non se lo fece ripetere due volte.

Mi voltai verso Nick e gli accarezzai il viso, implorandolo di svegliarsi. Posai la fronte sulla sua e una lacrima mi scivolò sulla guancia, per poi cadere sulla sua.

«Ary?».

Aprii gli occhi di scatto ed incontrai i suoi, che mi sorrisero dolcemente. «Oh, Nick, stai bene! Menomale, ho avuto tanta paura…».

Lui si lasciò stringere senza lamentarsi della posizione scomoda a cui lo costringevo e mi accarezzò la guancia per calmarmi.
«Sto bene, tranquilla. Ma… cos’è successo? Dove sono finiti gli scagnozzi?».

Ripensai al buco nero che avevo creato. Forse non era il caso che glielo raccontassi, faceva paura persino a me aver scoperto di avere anche quella capacità! E sinceramente speravo di non doverla sfruttare mai più.
Sorrisi nervosamente. «Gli ho fatto così tanta paura che sono scappati con la coda fra le gambe».

Lui accennò una risata, ma glielo lessi negli occhi che sentire quella bugia lo aveva ferito.
Gli posai un bacio sulle labbra e mormorai: «Ne parliamo un’altra volta con più calma, okay? Adesso raggiungiamo Joe e Kevin».

Nick annuì e si lasciò aiutare a rialzarsi, poi scivolammo lungo il tunnel che portava alla spiaggia.

 

***

 

Fiore aveva condotto alla spiaggia tutti quanti, compresa la folla che si era convinta dell’innocenza dei Jonas Brothers e dell’inganno della vecchia megera. Secondo lei da lì era molto più semplice entrare di nascosto nella sua casa-labirinto, attraverso uno dei diversi passaggi segreti di cui solo lei sapeva l’esistenza.

Ad un certo punto Ale rimase indietro, attirata dalla bellezza del mare che luccicava sotto i raggi del sole come se fosse tempestato di diamanti. 
Pensò alle giornate trascorse su quella stessa spiaggia con i fratelli Jonas e la sua migliore amica, pensò a quante ne aveva combinate con Joe per rendere la vita impossibile a quei due “piccioncini” e pensò semplicemente a Joe, al suo sguardo, al suo sorrisetto provocatorio e malizioso, a tutte le sue menate per i suoi capelli perfetti… Ne sentiva una tremenda mancanza ed era così in pena per lui che… sì, le parve di sentire la sua voce che la chiamava.
Sorrise amareggiata, dicendosi che era impossibile che fosse lì, ma quando la sentì di nuovo si costrinse a girarsi, col cuore in gola, e vide Joe correre a perdifiato verso di lei, con Kevin alle spalle che non riusciva a tenere il suo ritmo.

«Joe…», mormorò non credendo ai suoi occhi. Quando si convinse che lui non era soltanto frutto della sua immaginazione sorrise raggiante e urlò ancora più forte il suo nome, correndogli incontro.

La folla si voltò a guardare e lo stesso fecero Fiore, il suo compagno Alessandro, Davide e i suoi genitori. Il ragazzino in particolare fece per correre verso di loro per avere notizie di sua sorella, ma Alessandro lo fermò posandogli una mano sulla spalla e sorridendo.

«Lasciagli un attimo di privacy, ne hanno bisogno».

Ale si gettò fra le sue braccia e lo strinse fortissimo, tanto che Joe dovette pregarla di lasciarlo andare perché era stremato.
«Sono così felice di vedere che stai bene…», soffiò Ale prendendogli il viso fra le mani e guardandolo intensamente negli occhi.

Joe sorrise malizioso. «Allora ce l’ho fatta a conquistarti… Peccato che per l’occasione abbia i capelli ridotti in questo stato…».

«Chissene frega dei tuoi capelli». Ale lo baciò impetuosamente sulle labbra, non dandogli nemmeno il tempo di realizzare ciò che stava succedendo, e sentì mille farfalline invaderle lo stomaco.

Nel frattempo Kevin, che aveva deciso di lasciarli un po’ da soli, si era avvicinato al nutrito gruppo poco lontano da loro e alle mille domande di Davide rispose raccontando in breve tutto ciò che era capitato loro nelle ultime quarantotto ore.

«Ma adesso dove sono Ary e Nick?», chiese ancora il ragazzino, preoccupato.

Kevin abbassò lo sguardo. «Ary ha provato a distrarre gli scagnozzi della vecchia per farci fuggire, ma penso che non ci sia riuscita molto bene e Nick… credo sia rimasto con lei».

«Che cosa ci facciamo ancora qui? Dobbiamo andare a dargli una mano!», urlò Alessandro.
Nonostante quei tre Jonas da strapazzo non gli fossero mai andati a genio non poteva permettere che gli scagnozzi della vecchia facessero del male ad Arianna!

«Mostraci il tunnel con cui siete riusciti ad arrivare qui», disse Fiore al maggiore dei fratelli, che annuì e li guidò lungo la spiaggia.

Quando furono nei pressi del punto esatto, quasi dal nulla videro qualcuno cadere nel vuoto per qualche metro, per poi atterrare sulla sabbia. La stessa sorte toccò ad una ragazza, che appena toccò il suolo con il fondoschiena lanciò un urlo, mettendosi a piagnucolare: «Non ne posso più di questi tunnel che ti fanno finire sempre col culo a terra!».

Appena sentì quella voce, Davide si fece spazio fra la folla e corse come un pazzo fino a lei, scomparendo e ricomparendo ad ogni dieci metri. Stava usando il teletrasporto per avvantaggiarsi nella corsa e fare più in fretta!
Alla fine comparve a pochi centimetri dal viso della ragazza e con le lacrime agli occhi, nonostante avesse le labbra arricciate a causa di una risata di gioia che stava tentando di trattenere, le gettò le braccia al collo pronunciando il suo nome: «Ary».

   
 
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