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Autore: Estiefone    05/01/2012    1 recensioni
Un Thriller/Horror. Ci sono alcuni contenuti violenti. Niente è come sembra, il prologo non dimostra nulla.
Si inseriranno scene terrificanti e le scene violente non mancheranno.
Non ci saranno scene erotiche o scene di sesso violento, e se anche fosse, non saranno descritte nei minimi particolari.
Mi scuso anticipamente per eventuali errori grammaticali.
Accetto di buon grado critiche e complimenti, Ho intenzione di migliorare, quindi potete andarci pesate (ma non troppo, ho un cuore io!! ç.ç Bene... Buona lettura allora!
La storia ha inizio!
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*I FlashBack saranno sempre in corsivo. E in più saranno in terza persona, per non confondere il lettore.


Quel giorno James era sereno. Suo padre non era ancora tornato, e poteva starsene in pace, in camera sua, solo, a guardare il soffitto. Era rilassante, stare da soli. Sua madre dormiva placidamente, imbottita di calmanti, non si sarebbe svegliata molto presto, almeno che il bestione non fosse tornato a casa, invece di starsene a scopare con delle troie trovate per strada. Non fece in tempo a finire quel pensiero, che sentì la porta spalancarsi e sbattere.
Una voce si alzò nella stanza, il bestione urlava. Ubriaco, e chissà, magari drogato. Ma dubitava. Il padre era contro la droga a tutti gli effetti, se sentiva una notizia al telegiornale riguardante morti di overdose: “Puàh, potessero marcire tutti quei lurdi bastardi.” Diceva sempre quel bestione.
Istintivamente saltò giù dal letto, e ci si infilò sotto.
Lo senti in camera che grugniva, mentre di faceva la propria moglie. Sentiva il letto sbattere contro il muro. Le urla di sua madre, che si era svegliata, e chissà cosa provava in quel momento, ad essere montata da un bruto.
James sentì suo padre venire, e in quel momento scoppiò in lacrime. Odiava sentire la madre soffrire, odiava sentire il bastardo grugnire e spingere il suo grosso vermone dentro la madre. Odiava lui. Odiava la sua vita, la sua casa, il loro cane. Odiava tutto. Tutti. Niente e nessuno erano esclusi dal suo odio.
Poco dopo sentì i passi del bastardo, venivani verso la sua camera. Non passò poco che la porta si spalancò. Il ragazzo si rannicchiò, sperò di non essere scoperto. Ma a cosa serviva nascondersi?
“Dove sei figliolo? Forza dai, ci divertiamo un pò. E magari dopo papà ti dà anche il dolcetto.”
James chiuse gli occhi, sperando che se ne andasse, che morisse lì, davanti ai suoi occhi.
Una mano gli prese la gamba e lo trascinò fuori dal letto. James cominciò ad urlare e a dibattersi.  Ma si trovò immobilizzato, i pantaloni abbasstati, inginocchiato, e il padre. Il padre che gli faceva male, molto male, troppo male. James urlava. Ma nessuno andava ad aiutarlo. La madre era caduta in un pozzo buio e deserto, e poco dopo, anche il ragazzo cadde giù, nel buio, nel silenzio, nella disperazione.

6 anni dopo.

-James, metti i piatti a tavola, e poi prendi le posate.-
-Si mamma.- Rispose il ragazzo.
James era cresciuto, ora era un uomo. Un uomo forte, coraggioso, e pieno di odio.
Oggi era invitata tutta la famiglia a cena.  Dopo circa mezzora arrivarono tutti, e cominciarono a mangiare. James gli osservava. Tutti erano felici, anche la madre. La madre che sapeva, che però scappava da quei pensieri e fingeva di essere felice. Gli ospiti, cugini e zii, sicuramente non erano felici di stare lì, chi vorrebbe stare in una casa fetida, con un uomo ubriacone e bastardo.  Poi ad un certo punto, mentre James finiva di ingioare un boccone di carne:
-Hei James. Vieni qui da papà. Lo sai che ti vuole...-Papà. No lurido bastardo, figlio di puttana, io non sono tuo figlio, tu non sei mio padre. Urlava una voce dentro del ragazzo.
Sì alzò, incolore, e andò in camera dei genitori. Era in trance, sapeva dove si trovava il fucile da caccia. Lo prese, lo caricò, e sceei in cucina. Appena lo videro con l’arnese in maso, scoppiarono a ridere, ma smisero subito, appena il primo colpò spappolò la testa della Zia Betty. Lurida stronza la zia Betty. Il sangue schizzò da tutte le parti. E in casa arrivò il pandimonio. Tutti presero ad urlare e scappare, ma prima che arrivassero alla porta James sparava. Sangue sulle pareti, sui vestiti, sui divani, suo mobili. Sangue dappertutto.
Rimasero solo i suoi genitori che piangevano, raggomitolati l’uno su l’altro.si avvicinò, schiacciò una mano, o forse un piede. Ma che importava. Prese dal tavolo un coltello, affilato, lucente, con qualche schizzo di sangue. Magari del cugina Al, o della nonna Mari.
Rise nel vedere sua padre inginocchiarsi per pregarlo. Lurido verme. Glielo disse. Glielo disse varie volte. -Lurido verme bastardo. Perchè non hai pregato così quando mi hai stuprato eh? Eh?- Il padre lo fissò, poi scoppiò in sighiozzi, la madre lo guardava, tremava, pallida come la morte. Sotto shock. Si, i medici dicevano così alla Tv. Sotto Shock.
Avrebbe  potuto farla vivere.
Lei non gli aveva fatto niente di male.
E nemmeno i suoi parenti.
E allora perchè gli aveva uccisi?
Non lo sapeva.
Un raptus. Si, disse, un raptus.
NO INVECE!
Gli avevano fatto del male. Si, non aveva fatto niente lei quando avevo sofferto, non gli era mai importato di suo figlio. E nemmeno quei babbei dei suoi parenti. Sapevano di quelk che era successo, o almeno, lo sapevano nel loro cuore, ma non volevano ammetterlo.
Cominciò il lavoro con il padre. E quando finì osservò il proprio lavoro. Già. Bellissimo.
La sua opera d’arte. Sulla fronte, una scritta sanguinante: “Pedofilo”. Il sangue che gli colava sugli occhi privi di vita, sui vestiti. Sangue. Che brutta cosa il sangue.
Poi si voltò verso la madre. E stava per iniziare anche con lei, scrivendo sulla sua fronte la parola “Troia”. Ma delle sirene si avvicinavano. La polizia.
Era finita. Gli mancava poco però. E di certo non l’avrebbe lasciata libera. Anche se forse, sarebbe morta poco dopo, a causa dello Schock. James rise. No. La sua vendetta doveva compiersi. Voleva farla soffrire. Voleva fargli provare ciò che lui aveva provato in 17 anni di vita. Il vuoto, la morte, la solitudine.
Gettò il coltello a terra, e se ne andò in camera sua. Si draiò, e prese a fissare il tetto.
Quella sera  James era sereno. Poteva starsene in pace, in camera sua, solo, a guardare il soffitto. Era rilassante, stare da soli. Poi sentì la porsa spalancarsi, sentire qualcuno urlare. E una marea di passi. Si dimenticò la parola libertà. In effetti, l’aveva dimenticata 6 anni prima, quando aveva perso la sua anima, la sua vita, la sua vitalità. Quando aveva perso se stesso.

*My Space*

Pochino violento lo ammetto. Non mi piace molto, anche se in altri posti ho ricevuto vari complimenti, continua a non piacermi.
Ditemi la vostra! :D


  
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