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Autore: A Dream Called Death    05/01/2012    1 recensioni
< Pensi a lei qualche volta? > chiese poi.
< In continuazione > risposi.
Mi alzai dallo sgabello.
Lui mi fissò, incuriosito.
< E come faccio a sapere che con lei al mio fianco tornerò a vivere? Può essere l'anestetico al dolore? > chiesi.
< Lei non è l'anestetico al tuo dolore... Ma potrebbe essere la cura definitiva. >
Anno 2006.
Il tour mondiale di American Idiot è stato appena cancellato ed i Green Day tornano in America dopo tre mesi dalla partenza.
Ma qualcosa è cambiato, fuori e dentro il gruppo.
Per Billie Joe Armstrong lo scontro con le ombre del passato non è mai finito.
I pensieri, i dubbi e le insicurezze di un uomo che deve fare i conti con se stesso: una vita spesa per la musica e per la propria band, ma anche colma di bugie e alcol, nemico ed amico da sempre del protagonista, unico rimedio al dolore ed alla rassegnazione.
Ma un incontro lo sconvolge, mescola i pezzi del puzzle della sua vita, lo mette di fronte alla cruda realtà: non si può fingere per sempre, si deve trovare il coraggio di prendere la decisione più difficile di tutte... Essere felici.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: Triangolo
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Fissai l'uomo avanti a me.
Poi, abbassai lo sguardo.
In una giornata così orrenda, in una notte così tetra, come poteva
quell'ultima frase illuminare l'intera stanza?
Come poteva quel corpicino così fragile, tenermi in vita?
Mi voltai verso John, la sua bocca stava tremando.
Gli occhi anche.
E le parole non uscivano.
Doveva ancora capire, doveva ancora accettare... che non tutto era
perduto, almeno non ancora.
Doveva ancora fare entrare nella sua testa il pensiero che quella sua
figlia malata ora si apprestava ad essere anche una madre malata.
Madre di mio figlio.
Una rosa che sboccia, ecco come riuscii ad immaginare Jane in quel
momento, senza pensare che esattamente in quell'istante si trovava
al piano di sopra, lottando tra la vita e la morte.
Il viso di suo padre, invece, riuscì ad inquietarmi.
-Si sieda, la accompagno- affermò il dottore, trattenendo il braccio
dell'uomo, che improvvisamente si sentì mancare le forze.
-Mia figlia... Non... Non è possibile... Tu? Lei? Ma quando?- domandò,
balbettando, il dito puntato verso di me, lo sguardo di chi non voleva
accusare ma bensì ricevere chiarimenti una volta per tutte.
Abbassai lo sguardo.
Non riuscii a rispondere.
-Non è questo il momento delle spiegazioni, John: sua figlia è malata. Qui
c'è in gioco la vita di Jane e del nascituro. Se mi concede, non può permettersi
di fare dei colpi di testa adesso, quindi si sieda e stia calmo- impose
il dottore con voce ferma e severa.
John riprese lentamente colore in viso.
-Ha ragione, dottore. Credo... credo che andrò a pregare dal
reverendo Edward- affermò John, alzandosi in piedi.
-La accompagno-.
Superai i due uomini mentre proseguivano per uscire di casa.
Gradino dopo gradino, oltre quelle fottute scale, io sentivo la morte
avvicinarsi al piano di sopra.
Ed il corridoio.
Non lo ricordavo così buio.
Quel lungo corridoio che non sapevo dove mi avrebbe condotto.
Arrivai all'ultima, quell'ultima dannata stanza.
La stanza a sinistra.
Le porte di vetro della graziosa terrazza avanti a me non erano spalancate
come le ricordavo l'ultima sera in cui mi ero trovato in quel posto.
Quella notte erano chiuse.
Ed eccomi, davanti a quella porta.
Avrei voluto scappare... ma scappare è troppo semplice.
Lo è sempre stato, per me.
Non potevo farlo perchè se l'avessi fatto nulla di ciò che ero sarebbe cambiato.
Io sarei rimasto Billie.
Billie che cerca Jane, ma non la trova.
Billie che trova Jane, ma ora Jane sta morendo.
E anche Billie.
Billie che ora vorrebbe buttarsi giù da quella terrazza, ma l'unica cosa che lo tiene
in vita è la mancanza di trovare il coraggio per compiere l'azione.
Tirai la maniglia, un odore strano.
Pungente.
Entrai.
La stanza era nell' ombra più totale.
Riuscii a notare l'insolita libreria, pochi libri a terra.
Notai molto disordine: una sedia rovesciata, abiti stesi lungo il cammino.
Ed infine, il letto.
Non era vuoto, come l'ultima volta.
Bianco, perfettamente in sintonia con lei.
Bianco il letto, bianche le lenzuola, bianco il suo vestito.
Di lei riuscivo a scorgere solo i capelli.
Troppo scuri.
Mi avvicinai al letto e mi sedetti.
In realtà, non mi misi a piangere, nemmeno a parlare.
Tra noi regnò un silenzio insormontabile.
Il suo sguardo si posò su di me, ma non disse nulla.
Le notti passano in fretta.
Sfumano, nel silenzio, i pensieri di una giornata passata.
Si placano gli animi, alla ricerca di uno sfogo da questa malinconia.
Il silenzio le fa da padrone.
E, come tutte le notti, anche questa sembra destinata a passare: svanire,
in che modo non ha importanza.
Che Jane la superi o ne sia giovane vittima, la notte passerà comunque.
Inevitabile.
Cosa ne resterà, dunque?
Non lo so.
So solo che quella mattina, mi svegliai accanto a lei.
Jane.
Ed era viva.
Ed a me rimanevano solo quattro giorni.

   
 
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