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Autore: mathius92    06/01/2012    5 recensioni
questa storia parla di università, amore, futuro. è breve, spero che piaccia. ha vinto il contest "L'amore impossibile" di Carla Volturi.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Saremmo stati bene assieme
 
In strada c’è vento. Vedo i rami degli alberi scuotersi e le prime foglie d’autunno staccarsi e cadere; in casa non ho ancora acceso il riscaldamento, ma tra poco inizierà a fare freddo: devo ricordarmi di chiedere a Mara come si fa a programmarlo. Mara! Accidenti, dovevamo trovarci alle dieci e mezza davanti alla stazione, che ore sono? Le dieci e dieci … se mi sbrigo arrivo in tempo.
Mi do una lavata veloce, la doccia l’ho fatta ieri sera, salgo a vestirmi prendendo i primi pantaloni che trovo, una maglietta pulita e una felpa leggera.
Scendo e la prima sensazione è quella del fresco prima di una giornata che sarà sicuramente calda; quest’anno l’autunno è in ritardo e lo sarò anch’io, se non mi do una mossa. Decido di andare a piedi, a quest’ora faccio comunque prima che con l’autobus. Infatti arrivo prima del suo treno e sono lì quando lei scende con un libro in mano e le cuffie.
-Cosa leggi?
Mara si toglie le cuffie, mi sorride.
-Hemingway, “Fiesta”. Comunque, ciao eh!
-Hai ragione, ciao … hai fatto colazione?
-Sì, ma prenderei volentieri un caffè.
Ci avviamo verso un bar dove la sera andavamo a bere una birra con gli amici. Camminiamo lentamente, Mara muove la testa guardandosi attorno, come meravigliata di trovare tutto esattamente come lo aveva lasciato.
-Non è cambiato molto, vero?
Lei sta guardando la vetrina di un negozio di vestiti, io i suoi capelli; li ha tagliati e anche il colore è diverso, un rosso più scuro dell’ultima volta. Mi viene in mente che non so di che colore li abbia veramente. Per un po’ li ha portati neri, poi rossi, ma non le ho mai chiesto quale fosse il suo colore naturale. A me piace rossa.
-Come?! - dice allegra- Non noti niente?
Si ravviva i capelli con la mano.
-Li hai tagliati? Mi sembrano anche più scuri di come li portavi a giugno, o no?
Sorride, contenta che me ne ricordi a distanza di mesi.
-Eccoci. Ci sediamo qui fuori o preferisci dentro?
-Qui, va benissimo. Allora, come stai?
-Io bene. Devo dire che il tuo vecchio appartamento è proprio carino, mi ci sono subito ambientato. A proposito come si programma il riscaldamento?
-Con il timer alla sinistra dell’interruttore della luce, non ne so molto di più perché l’avevo fatto installare in primavera e sono partita prima che mi servisse.
-Non importa, proverò io. Raccontami di Londra, quando ci sentiamo non ne parli mai …
-Londra è stupenda, in un niente conosci un sacco di gente ed è una città così allegra!
Sarà anche vero, dico tra me, ma tuo fratello mi ha chiamato due settimane fa dicendomi che eri scoppiata a piangere e avevi proprio bisogno di staccare e tornare una quindicina di giorni a casa.
-E il lavoro?
-Beh, là almeno mi pagano. Qui lavoravo otto, nove ore come stagista e dovevo scegliere tra il pranzo o la benzina.
èlaureata in Economia, per un paio d’anni ha fatto qualche lavoretto in alcune imprese della zona, per lo più fare fotocopie e andare a comprare il pranzo ai superiori. E di superiori a lei ce n’erano molti.
-E tu, lavori finalmente?
-Ho spedito curriculum qua e là, ho fatto qualche colloquio, ma per ora niente.
-Mi dispiace.
Dispiace anche a me. Ho studiato per ventun’anni, ne ho ventisei, ma non ho un lavoro e mio padre non può andare in pensione perché devo continuare a studiare e specializzarmi.
Nessuno è ancora venuto a prendere le ordinazioni.
-Devo incontrarmi tra mezzora con Paolo.
-Ti accompagno, vuoi andare subito?
-Sì, per favore.
Ci alziamo dal tavolino, lasciamo il bar, e ci avviamo verso casa di suo fratello.
 
Non parliamo molto; quando i nostri sguardi si incrociano lei mi sorride, poi ricomincia ad osservare ciò che la circonda. Superiamo la strada principale, quella affollata e rumorosa dei negozi, ed entriamo in una via più silenziosa, con palazzi antichi dai soffitti affrescati.
Ad un certo punto la via attraversa una piazzetta con una fontanella, qualche albero e due panchine.
-Aspetta, ho sete.
Mara scosta i capelli dal viso, si risciacqua le mani, le chiude a coppa e beve. Quando ha finito mi guarda e si siede sulla panchina lì vicino. Mi siedo accanto lei che si volta, sfiorandomi il ginocchio con le gambe.
-Come stai veramente?
-Mi sei mancata.
Lei gira la testa e segue con lo sguardo un uomo che attraversa la piazzetta parlando al cellulare.
-Non vuoi rispondermi?
Non lo faccio e Mara si alza, avviandosi verso la casa del fratello. La seguo restando leggermente dietro di lei. Arrivati al portone, prima che lei suoni mi faccio vicino.
-Ti va di cenare insieme? Io e te soli?
-Penso di sì … va bene. È un problema se mangiamo da te? Non ho tanta voglia di uscire, sono un po’ stanca.
-Nessun problema, ma non so cosa ci sia nel frigorifero: se facciamo per le otto e mezza, sbrigo due commissioni e faccio una corsa al supermercato …
-Va benissimo, così sto un po’ con Paolo. A dopo allora.
Mara suona, il fratello le apre e io mi avvio verso casa.
 
Sono le otto, ho appena fatto la doccia. Mi asciugo veloce i capelli e torno in cucina a controllare il sugo: niente di complicato, Mara conosce le mie capacità culinarie e non si aspetta molto di più. Mentre mi vesto ripenso a lei e alle parole che ci siamo detti nel pomeriggio, a come qui per lei niente sia cambiato e a come lei, invece, mi sembri così diversa. Mi chiedo cosa sarebbe successo se non ci fossimo allontanati e se avessi accettato di andare con lei a Londra. Magari adesso avrei un lavoro, probabilmente sarei più felice.
Inizia a piovere. Sento il ticchettio delle gocce infrante sul tetto … odio la pioggia, l’Inghilterra non avrebbe fatto per me.
Scendo ad apparecchiare il tavolo; non ho ancora finito e suona il citofono. Mara entra, mi bacia sulla guancia, da un’occhiata al tavolo e finisce di sistemarlo. Metto la pasta nei piatti, lei stappa il vino e lo versa nei bicchieri. Mangiamo e chiacchieriamo di tante piccole cose fino al dolce, una torta di mele che ha comprato nella pasticceria vicino a casa di suo fratello.
-Paolo viene con me a Londra, partiamo tra una settimana.
-Pensavo rimanessi una quindicina di giorni …
-Dovevo, ma lui può liberarsi solo la settimana prossima.
Chino lo sguardo e porto alla bocca un altro pezzo di torta.
-Ricordi che ti avevo chiesto di venire con me a Londra, vero?
-Certo.
-Sono ancora dello stesso parere. Vieni, lavoro c’è, magari non subito, ma qualcosa trovi di sicuro; anzi l’avevi già trovato, ti vogliono ancora lo sai?
Sono nervoso adesso.
-Lo so bene. Pensi che da quando sei partita non mi sia mai chiesto perché non ti ho seguita? Perché, invece di sentirmi continuamente dire “Ha ottime credenziali, ma al momento la sua non è la figura lavorativa che stiamo cercando”, non sono andato via, per lavorare in un altro paese facendo finalmente quello che da anni sogno di fare qui?
Questa volta non l’ho pensato, l’ho detto ad alta voce a lei e a me stesso, dopo mesi di silenzio.
-Mi manchi. Vieni a Londra …
Mara mi guarda negli occhi, ma non reggo a lungo lo sguardo e torno a fissare il piattino, ormai vuoto.
Di nuovo non rispondo. Di certe sue domande non ho mai avuto le risposte.
Si alza, porta il suo piatto nel lavandino e, dandomi le spalle, mi dice che alle undici Paolo e alcuni nostri amici escono a bere qualcosa e le farebbe piacere raggiungerli.
-Allora, tu cosa fai? Resti qui o vieni via?
Ho deciso resto. Resto qui perché non voglio credere che un ragazzo di ventisei anni debba essere costretto a lasciare il suo Paese e i suoi affetti perché non è “La figura lavorativa che stiamo cercando”. O forse resto perché ho paura: non voglio prendere tutto ciò che di bello c’è nella mia vita, mettere quello che sta nella valigia e andarmene … non sono forte come Mara. Ho deciso, resto perché, anche se sono ancora innamorato di lei, non voglio rinunciare a ciò per cui abbiamo faticato per anni io e la mia famiglia.
Mi alzo anch’io e la aiuto a sparecchiare.
-Va bene, vengo.
  
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