La
nera notte pesava cupa
sulle case e sulle strade del villaggio, trascinandosi nuvole cariche
di
pioggia che parevano sfogarsi in un fragoroso e incessante pianto.
Il
bambino se ne stava rannicchiato
nel suo futon, con la coperta fin sopra la fronte, dalla quale spuntava
un
ciuffo di capelli argentati. La porta scorrevole in carta di riso era
socchiusa
e da uno spiraglio nella morbida coperta Kakashi intravedeva la
passerella di
legno del giardino interno, spruzzata d’acqua piovana, e il
terreno umido e
fradicio ridotto ad un pantano per l’incessante pioggia,
accoglieva le gocce
senza opporsi.
I
rami del ciliegio ormai
spoglio si piegavano inermi al volere del tempo, come il suo animo
ormai vuoto
si piegava al volere degli eventi.
Sarebbe
stato facile
piangere con la pioggia, ma quella notte non ci riusciva; il silenzio
della
casa, interrotto solo dallo scrosciare dell’acqua sulle
tegole e sulla terra,
era opprimente e sentiva che si stringeva sempre più attorno
a lui,
impedendogli di reagire. In momenti come questi si malediceva per aver
rifiutato l’invito del maestro ed aver insistito nel restare
lì da solo.
Portò
le ginocchia al
petto stringendovi le braccia intorno e chiuse gli occhi.
Non
pensare… l’unica cosa
che voleva era non pensare, svuotare la mente e addormentarsi.
Ogni
notte si ripeteva la
stessa identica scena e nel giro di un’ora finalmente
sprofondava nel sonno.
Gli ci voleva un’ora, delle volte anche di più per
inibire i ricordi piacevoli
e dolorosi che nel manto della notte affioravano vividi e freschi
portando
lacrime e sofferenza. Ma per qualche motivo, quella notte era diversa,
non
riusciva proprio a liberarsi della nostalgia e della fitta che gli
attraversava
il cuore.
Si
alzò di scatto
allontanando la coperta del futon e spalancò la porta
scorrevole sul giardino,
restando a fissare la pioggia battente.
Dei
colpi alla porta del
suo appartamento svegliarono Minato.
Inizialmente
aveva pensato
di ignorarli, ma visto che continuavano svogliatamente
scostò il lenzuolo e si
trascinò giù dal letto -Chi è a
quest’ora… Arrivo, un attimo!!- strofinandosi
un occhio aprì la porta e rimase sbigottito -Kakashi!!- si
ritrovò di fronte il
suo piccolo allievo completamente fradicio dalla testa ai piedi,
scalzo, che lo
guardava senza proferire parola -Che ci fai qui?! Entra!- lo fece
entrare
poggiando una mano sulla sua spalla -Sei fradicio!-
-Non
ho preso l’ombrello…-
-Perché
sei venuto qui con
questa pioggia? A quest’ora?- chiese con tono apprensivo
inginocchiandosi
davanti a lui.
Kakashi
alzò le spalle
-Volevo venire qui.-
Il
maestro gli sorrise
accarezzandogli un braccio -Vieni, ti preparo qualcosa di caldo.-
Fece
accomodare il bambino
in cucina, avvolto in una coperta, e gli mise davanti una tazza
fumante.
-Grazie.- prese la tazza soffiando via il fumo.
Minato
si poggiò al bordo
del tavolo incrociando le braccia al petto -Come stai?-
Kakashi
non rispose, bevve
un sorso di cioccolata -Mi dispiace se l’ho svegliata.-
Il
maestro scosse il capo,
prese una sedia e gli si mise davanti -Kakashi, passo con tutto il
giorno, ma
non parliamo mai.-
-Parliamo
ogni giorno.-
-Hai
capito a cosa mi
riferisco.- gli prese la tazza dalle mani e la posò sul
tavolo -Perché sei
venuto qui?-
Kakashi
continuava a
spostare ripetutamente lo sguardo, infine si decise a guardare il suo
maestro
-Non mi va… di stare da solo…-
-Non
sei obbligato a
restare a casa, te l’ho detto. Non mi piace vederti
così.-
-Ma
è sempre casa mia…- si
oppose senza molta convinzione.
L’uomo
annuì comprensivo
-Lo so bene, ma capisci che non puoi ridurti così. Mi si
spezza il cuore.- gli
occhi azzurri e profondi di Minato esprimevano tutta la sofferenza che
provava.
Kakashi non vi leggeva né pena, né compassione,
solo una sincera tristezza e preoccupazione.
Senza pensarci e dargli il tempo di aggiungere altro gli si
gettò tra le
braccia nascondendo il viso contro la sua spalla e stringendo forte la
stoffa
scura della maglia.
Minato
si sorprese
dell’improvviso scatto del bambino, ma sapeva bene come
comportarsi. Lo
abbracciò forte, accarezzandogli la testa.
-Tranquillo…
è tutto a
posto.- sussurrò.
-Non
mi lasci anche lei!!-
Kakashi parlò con voce rotta, ma il significato delle sue
parole era limpido:
era una supplica disperata dettata dalla paura. -… la
prego!!-
Il
giovane jonin lo prese
in braccio, facendolo sedere sulle ginocchia, lo avvolse per bene nella
coperta
e gli fece poggiare il viso sul torace -Te lo prometto! Non ti
lascerò, è una
promessa!-accostò il volto ai capelli del piccolo dandogli
un dolce bacio.
Kakashi
chiuse gli occhi
aggrappandosi a quell’affetto. Sentiva un piacevole calore e
una dolorosa
fitta; Minato non era semplicemente il suo maestro, era decisamente
più
importante, aveva assunto un ruolo paterno, in modo particolare dopo la
prematura dipartita di suo padre.
Gli
faceva un immenso
piacere essere amato così, ma era terribile realizzare che
quelle attenzioni
non arrivavano da suo padre.
Si
era arreso a questa
realtà, ormai l’aveva accettata. Gli bastava
sapere che Minato era lì con lui e
non l’avrebbe lasciato… mai.