Piccola
premessa: sono consapevole che questo capitolo è abbastanza
pesanta in quanto quasi privo di discorsi tra personaggi, però
non ho potuto far a meno >< in ogni caso capirò se nessuno
lo leggerà! :c
xoxo
Se ve lo
state chiedendo, beh, la risposta è sì.
Esattamente
sei mesi dopo mi diplomai e lasciai tutti.
Ricordo quel
giorno come se fosse ieri. Ricordo gli occhi di Matt l’ultima volta che ci
siamo visti; occhi che non sospettano niente, occhi ingenui, occhi tranquillo.
Ricordo il bacio che mi ha rubato sulla soglia della porta di casa sua alle
3:15 di quel 17 giugno di 8 anni fa. Nonostante stesse con Val da già quattro
mesi, quel bacio non se lo risparmiò. Probabilmente durò qualche minuto, o
qualche secondo.
So solamente
che vorrei non lo avesse fatto. Quando le sue labbra si sono appoggiate sulle
mie, quando il mio cervello e il mio cuore presero consapevolezza di ciò che
stava succedendo, ho sentito una grande fitta dentro. Non saprei direi dove, la
sentii in tutto il corpo, un dolore unanime, un fastidio generale.
Per la prima
volta mi sono sentita a disagio con loro. Per la prima volta ho desiderato che
si allontanasse il più in fretta possibile. Nei sei mesi
che hanno diviso il ritorno di Ian con la mia partenza gli Avenged Sevenfold
erano ufficialmente sotto contratto con la Warner e con all’orizzonte la
registrazione del loro primo cd. Il padre di Val, sotto consiglio della figlia
ovviamente, ha deciso di finanziare questo loro progetto. Così facendo si è
legata Matt per sempre, lo voleva e se l’è preso. A differenza della prima
volta, io tacqui, non aprì bocca. Lasciai che lei si impossessasse di lui e
della sua vita, che modellasse le sue scelte a suo piacimento e lo lasciai in
balia delle sue bugie e dei suoi tradimenti. L’inferno che avevo previsto
arrivò in tutta la sua magnificenza.
Io e Matt ci
vedevamo a stento, qualche sera passava e parlavamo o suonavamo qualcosa. Brian
mi aiutò a terminare la canzone e gli feci promettere di non parlare, per nessuno
motivo, con gli altri della canzone. Ovviamente Jimmy sapeva tutto, ha sempre
saputo tutto anche quando ero io la prima a non essere a conoscenza dei miei
sentimenti.
I miei hanno
promesso di tenere la bocca chiusa nel caso in cui Matt fosse andato da loro.
Dicevano con tutti la stessa cosa “E’ partita con il fratello, probabilmente
saranno in qualche città europea”.
Inizialmente
ricevevo circa trenta chiamate al giorno da parte di Matt e qualcuna da parte
di Jimmy e Brian. Ho lasciato loro un solo messaggio di segreteria per dire che
stavo bene, che con Ian ero al sicuro e che auguravo loro tantissima fortuna
con la band.
Dopo circa
tre anni che eravamo in viaggio avevamo visitato tutta l’America del Sud e metà
Europa. Ian decise di tornare a casa dopo la nostra settimana a Londra. Io
rimasi lì. Trovai un lavoro come commessa all’Hard Rock Cafè, cosa che avevo
sempre sognato di fare e affittai un appartamento dividendo l’affitto con una
ragazza russa venuta a Londra per scappare dal ragazzo che i suoi genitori le
avevano promesso in sposo da piccola. Mi sembrò una cosa orribile e
tremendamente bigotta. La storia aveva quasi dell’incredibile e mi meravigliai
di quante cose mi stessi perdendo a restare ad Huntington Beach.
Katya, la ragazza russa, è stata la mia unica
amica per circa due anni. Una notte me la sono ritrovata tra le gambe nuda e da
lì non sono più riuscita a parlarle. Ogni tanto usciamo a bere un thé ma la
cosa finisce lì.
I sabati
sera li passo al lavoro, a vedere ragazzini che con aria sicura cercano di
rimorchiare ragazzine che probabilmente l’hanno già data a tutta Londra. Qui fa
sempre freddo e il sole lo vedo poche volte. Quel grigiore che ricopre la città
non aiuta l’umore quando ti svegli con la luna decisamente al contrario. Il
sole e il caldo della California mi mancano. Ci sono sere in cui seduta in un
pub mi ricordo di quante sere io e i ragazzi siamo stati a bere birra nei pub e
nei locali in cui suonavano. Mi ricordo di quando Brian ha iniziato ad urlare
contro la cancellata della villa degli Hubert “Synyster gates! Synyster gates”
e da quel giorno il suo nome d’arte aveva voluto fosse quello.
Ogni anno,
il giorno del mio compleanno, Matt mi ha scritto un lungo messaggio “Cara Kim,
non so dove sei, se stai bene, con chi abiti o se abiti da qualche parte. So
solo, o almeno spero, che questo numero sia ancora il tuo. Vorrei mandarti
delle rose bianche, tanti quanti sono i tuoi anni ora. Chissà come sei adesso,
Kim diciannovenne che mi ha lasciato non penso ci sia ancora. Buon compleanno. “
Li ho tutti.
Ho 8 messaggi così. Tutti dicevano pressoché la stessa cosa. Quando ci ripenso,
quando mi capita di rileggerli, sento lo stomaco che si contorce, sento ancora
quella fitta generale. Mi fa male da qualche parte dell’anima ma non riesco a
capire.
Ho seguito
la loro carriera ogni secondo che avevo a disposizione. Ho comprato i loro cd.
Li ho visti diversi. Li ho visti..estranei. Sono stata ad un paio dei loro
concerti quando mi è stato possibile. Ho sentito Matt dire ‘I miss you’ davanti
a migliaia di persone. Ce l’hanno fatta. Hanno il loro sogno tra le mani.
Quando
comprai il loro primo album a momenti mi partì l’embolo a leggere tra le tracce
‘Warmness on the soul’. Jimmy doveva aver preso la canzone che avevo nascosto
sotto il materasso e doveva averla fatta leggere a Matt. Passai giorni a
piangere e a pentirmi di tutto.
Le volte in cui mi sono detta “Torno, ho deciso” devono essere state decine e
decine. Il mio cuore sarebbe voluto tornare in California quasi subito ma non
potevo. Non potevo avere la presunzione di tornare e dire “Hey, scusate, sono
andata a fare un giretto”. No.
Ho chiamato
Jimmy solamente due volte nel corso di questi anni e penso mi siano bastate per
il resto della vita. Mi ha raccontato del primo disco, mi ha detto dei vari
tour che avevano intenzione di fare e poi, beh, mi ha raccontato per filo e per
segno il giorno del matrimonio di Matt e Val.
Se cento
volte avrei voluto tornare, penso che Jimmy mi abbia fatto sì che cento uno volte fossero quelle
in cui io volessi rimanere a Londra.
Ho chiamato Matt stamattina. Aveva la voce stanca, roca, spenta.
- La settimana prossima torno, dovrei essere in aeroporto a Los Angeles per le
sei di pomeriggio.
- Verrò a
prenderti.
“Volo diretto a Los Angeles in partenza”