Ginny Weasley stava camminando
rapidamente per il corridoio, nei freddi sotterranei di Hogwarts. L’aspettava
una terribile lezione di pozioni, per quanto la sua testa - come quelle della
maggior parte degli studenti di Hogwarts, Boubatons e Durmstrang - fosse già
irrimediabilmente rivolta al grande evento: il Ballo del Ceppo. Mancavano
appena tre giorni e lei… beh, lei non aveva ancora un cavaliere. Non perché non
glielo avessero chiesto, per carità. Solo che l’invito le era stato rivolto da
Paciock: se già era imbranato nella vita di tutti i giorni, figuriamoci cosa
sarebbe stato capace di fare su una pista da ballo. Ginny in realtà non gli
aveva detto di no, ma, al momento della proposta, doveva avergli rivolto uno
sguardo terrorizzato che lo aveva spinto ad aggiungere: “Non importa che tu mi
dica sì o no, pensaci pure con calma!”. Ci aveva pensato con tanta calma che
erano passate tre settimane. Sapeva che, essendo una studentessa del terzo
anno, non avrebbe potuto partecipare senza l’invito di un ragazzo più grande,
ma non era ancora riuscita a perdere quell’infimo barlume di speranza che Harry
Potter si accorgesse di lei e, finalmente, le chiedesse di essere la sua dama.
Il barlume si era ridotto ulteriormente, visti gli sguardi da pesce lesso che
l’amore della sua vita mandava a Cho Chang, e quando Ron le aveva detto di
andare al ballo con il suo migliore amico lei era avvampata violentemente prima
di dire che si era impegnata con Paciock. Perché l’aveva fatto? Non lo sapeva,
ma si malediva da allora. Stava giusto prendendo la sofferta decisione di
rispondere affermativamente a Paciock, quando inciampò in qualcosa che la fece
crollare a terra. Sentì un dolore bruciante al fianco sul quale era caduta, ma,
soprattutto, vide con terrore che la ricerca per Piton che l’aveva tenuta
sveglia fino alle tre di notte era ormai carta straccia, imbevuta
nell’inchiostro che usciva dalla boccetta.
“Ops, stracciona… L’ho fatto
apposta”.
Malfoy era appena uscito dal suo
dormitorio quando l’aveva vista arrivare, pensierosa come non mai, e non era
riuscito a frenare l’irresistibile impulso di farle uno sgambetto. Non aveva
avuto la minima intenzione di frenare quell’istinto, e, in effetti, la cosa lo
aveva fatto divertire parecchio.
Ginny si rialzò lentamente,
stringendo la bacchetta, indecisa se usarla per tirargli un incantesimo o per
infilargliela su per il naso. Malfoy, però, non aveva intenzione di prenderle,
e la scrutava attento, col solito ghigno stampato sulla faccia. Gli altri
studenti erano entrati in classe e il corridoio era completamente vuoto. A poco
a poco, però, sentirono un “clunk”, ormai familiare, nelle vicinanze:
Moody era a due passi da loro. Malfoy perse molto del suo cipiglio da duro e
assunse una tonalità verdina. Quando gli apparve davanti, il professore lo
guardò malissimo, e disse alla rossa:
“Ti stava importunando? Perché se
ti stava importunando”, e nel dire queste parole si fece più vicino a Malfoy
“avrò il piacere di ricordargli quanto gli dona la pelliccia”.
Draco si era appiattito al muro,
mentre Ginny si godeva la scena. Le venne un’idea diabolica.
“No, professore, a dire il vero…
mi stava chiedendo di andare al ballo con lui. E io ho accettato”.
Moody la guardò e fece uno sbuffo
che suonava molto come un “Contenta tu”, poi si allontanò zoppicando. Ginny
lanciò un occhiata diabolica a Malfoy, prima di andare, col sorriso stampato
sulle labbra, a farsi togliere da Piton 20 punti per il ritardo. Draco non
sapeva ancora se gli aveva salvato il fondoschiena, o se l’aveva messo in un
guaio peggiore.
Fu così che quando la rivide poco
dopo pranzo la afferrò con molta poca grazia per chiederle spiegazioni.
“Weasley, chiariamo il concetto.
Io con te al ballo non ci vengo nemmeno sotto tortura, e, per quanto io sia
molto, come dire, apprezzato, non credo che nemmeno a te farebbe piacere.
Quindi… perché lo hai fatto?”
“A dire il vero sono stata
tentata di rivederti in versione furetto… ma poi mi sono detta che non sarebbe
stata una vendetta abbastanza dolorosa”.
A questo punto Malfoy era
veramente preoccupato.
“Vedi, tu ci verrai al
ballo con me. E ti spiego per quale motivo, e ti spiego anche perché, per
quanto la cosa mi faccia ribrezzo, non vedo l’ora di presentarmi lì al tuo
braccio”. Sorridendo, alzò un poco la maglietta, abbastanza per fargli vedere il
brutto livido che si era procurata per colpa sua. “Come vedi, per la tua
bravata mi sono fatta male. Se entro i prossimi tre giorni avrò il minimo
sentore che tu non mi voglia portare al ballo, lo farò vedere a Moody. E sono
sicura che gli farà piacere trasformarti in un furetto mentre stai ballando con
Pansy”. Draco la guardava a bocca aperta, incapace di ribattere. “Veniamo ora a
me. Non sai quanto sarò felice, fiera e soddisfatta di vedere gli sguardi
schifati dei tuoi compari Serpeverde quando ti presenterai con me. Oh, sì, sarà
uno spettacolo. Sarà una magnifica vendetta”. Aveva una luce sinistra che le ballava negli occhi, e quando
si allontanò ridendo, Malfoy si chiese se il cappello parlante non l’avesse
messa tra i Grifondoro solo per la sua fiammante capigliatura rossa.
Draco Malfoy stava consumando il
pavimento del suo dormitorio a camminare avanti e indietro, indiavolato come
non mai. La Wasley l’aveva incastrato. Lui, figlio di Lucius Malfoy,
rispettatissimo mago purosangue, temutissimo mangiamorte. Come diavolo aveva
fatto? I capelli biondi gli svolazzavano intorno alle tempie: era una iena. Non
aveva avuto il coraggio di dire a nessuno in che casino si era cacciato. Aveva
ancora una dignità, dopo tutto. Doveva trovare il modo di levarsi quella rogna.
Quindi, doveva convincere la Weasley che l’avrebbe effettivamente portata al
ballo - ovviamente non l’avrebbe fatto. Il giorno dopo la festa sarebbe tornato
a Malfoy Manor per passare quel che restava delle vacanze di Natale, e una
volta tornati, quel mostro di Moody avrebbe dovuto trovare una scusa diversa
per punirlo. Come superare il primo scoglio, e tappare la bocca a quella peste
isterica? Malfoy si buttò sul letto a pensare. In pochi minuti un sorriso
sadico si allargò sul suo volto: non solo l’aveva in pugno, l’avrebbe umiliata.