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Autore: Tonna    08/01/2012    4 recensioni
“Biancospino e crine di unicorno. Dieci pollici esatti. Sufficientemente elastica. Questa era la bacchetta di Draco Malfoy”.
“Era?” ripeté Harry. “Non è più sua?”
“Forse no. Se tu l’hai presa...”
“... sì, l’ho presa...”
“Allora potrebbe essere tua. Naturalmente il modo in cui la si prende è importante. Molto dipende anche dalla bacchetta stessa. In generale, comunque, quando una bacchetta è stata vinta, la sua fedeltà cambia”.
Che fine ha fatto la bacchetta di Biancospino, la bacchetta che è appartenuta a Draco Malfoy per quasi sette anni?
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Narcissa Malfoy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Before you read:

Bentrovati a tutti voi! *O*
So che sto già scrivendo una long-fic moooolto long (colgo l’occasione per ringraziare di nuovo tutti quelli che la seguono con tanto affetto <3), ma rileggendo per l’ennesima volta il settimo libro mi sono chiesta una cosa.
Harry possiede la bacchetta di Draco (ottenuta con l’incantesimo di Disarmo a Malfoy Manor), e ci combatte contro Voldemort.
Diciannove anni dopo, i due si ritrovano a King’s Cross, si lanciano un’occhiata più o meno pacifica e un mezzo cenno della testa, ma niente di più.
Allora mi sono chiesta: il Draco trentaseienne con moglie e figlio, ha la sua bacchetta di Biancospino o Harry l’ha tenuta, o ne ha fatto chissà cosa? E se l’ha restituita a Draco, come l’ha fatto? Quando?
Dunque mi sono incuriosita, ed è uscita fuori questa one-shot.
Spero sia di vostro gradimento (anche se leggendo “Personaggi: Harry Potter, Draco Malfoy”, penso che molti di voi abbiano creduto fosse una storia Yaoi XD Beh, non è così ‘-‘ anche se devo ammettere che come coppia mi piacciono molto – e probabilmente arriverà il giorno in cui scriverò qualcosa su di loro insieme - *O*)!
Bene, vi ho spiegato il tutto con questa piccola introduzione, che comunque era dovuta!
Vi lascio alla lettura, grazie mille per l’attenzione!

 

 

 

Hawthorn and Unicorn Air*

 

 

Harry Potter apparve improvvisamente atterrando con un tonfo sul viottolo scuro, e un piccolo sospiro di liberazione gli sfuggì dalle labbra.
Mosse le dita dei piedi all’interno delle scarpe da ginnastica e tastò bene il suolo sotto di lui, contento di essere arrivato sano e salvo a destinazione.
Non che Smaterializzarsi fosse un problema, l’aveva fatto durante tutto l’anno appena passato e anche con discreto successo, ma le immagini vivide di Ron spaccato, o di Susan Bones a qualche metro dalla sua gamba sinistra nella Sala Grande durante la prima lezione di Materializzazione, al sesto anno, non facevano che rafforzare ancora di più la sua convinzione.
Volare era decisamente meglio. Meno veloce, forse meno sicuro e discreto, ma certamente più comodo e in un certo senso più emozionante.
Purtroppo coprire lunghe distanze e soprattutto non conoscere le coordinate della destinazione rappresentavano un problema, perciò Harry era stato costretto a chiudere gli occhi, a concentrarsi sulle famose tre D (Determinazione, Destinazione, Decisione!) e in meno di un secondo si era ritrovato lì, di fronte all’enorme cancello in ferro battuto, alto e scuro e, stranamente, aperto.
Mosse un passo incerto in avanti, guardandosi intorno.
Anche la Metropolvere non era male, si disse mentre avanzava cauto, come mezzo di trasporto. Certo, un po’ sporco, e se sbagliavi a pronunciare il nome della tua destinazione poteva risultare quasi mortale (perché in quel caso non avresti saputo nel camino di chi saresti sbucato), ma dopotutto concordò sul fatto che la scopa era decisamente meglio.
Harry si guardò intorno, perplesso, poi sollevò lo sguardo sul grande castello che gli si stagliava davanti.
Aveva visto il Malfoy Manor solo un’altra volta durante tutta la sua vita, e non era stata affatto una visita piacevole.
Erano passati mesi, ma ancora ricordava tutto come se fosse successo il giorno prima.
La prigionia con Ron, le urla di Hermione, le torture di Bellatrix, poi la fuga, e la morte di Dobby...
Rallentò il passo fino a fermarsi.
Ora l’idea di entrare così, senza annunciarsi, non gli parve più molto buona.
Per un attimo ebbe il pensiero di tornare indietro, uscire, chiudere il cancello lasciato socchiuso e attendere lì che qualcuno andasse ad aprirgli, ma si disse che sarebbe stato estremamente stupido, oltre che controproducente.
Aveva sconfitto Voldemort – Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato, il mago più grande di tutti i tempi da che Silente era morto -, e aveva paura di entrare in un castello?
Non aveva senso.
Riprese a camminare affondando la mano nella tasca dei pantaloni, tastando la bacchetta.
La sua bacchetta, quella che aveva riparato con la Stecca della Morte poco prima di rimetterla nella tomba di quello che era il suo legittimo proprietario.
E poi spostò lentamente la mano, e sentì il legno liscio della bacchetta di Biancospino, la bacchetta che aveva sottratto a Draco Malfoy in quella stessa villa.
La strinse lievemente chiedendosi se stesse facendo la cosa giusta, se non facesse bene a tenerla con sé. Dopotutto, una bacchetta in più faceva sempre comodo, la sua aveva già rischiato molte volte di andare persa – e una volta era stata perfino spezzata a metà -, e poi quella era la bacchetta con cui aveva combattuto contro Voldemort durante il loro ultimo scontro.
Era importante, in un certo senso.
Harry non si era accorto di aver percorso parecchi metri, e ormai il viottolo era circondato ai lati da alte siepi di tasso che nascondevano il paesaggio tutto intorno.
Per un attimo gli sembrò di essere tornato nel labirinto del Torneo Tremaghi, ed ebbe il forte impulso di afferrare di nuovo la bacchetta.
Dopotutto era sempre il castello di uno dei Mangiamorte più fedeli di Voldemort, anche se, poco prima della fine della battaglia, aveva visto Lucius Malfoy e sua moglie ignorare quello che doveva essere il loro Signore, gli scontri, le urla e aggirarsi freneticamente per il castello alla ricerca di Draco, che era scomparso dalla circolazione.
Dopotutto, ripensandoci, aveva anche visto Lucius in compagnia di Voldemort nella Stamberga Strillante, e questo gli aveva fatto pensare che probabilmente non avesse mai preso parte attivamente alla battaglia.
Harry, quindi, abbandonò in fretta l’idea di sfoderare la bacchetta e continuò a camminare lentamente, con la sensazione di essere osservato.
Un fruscio improvviso alle sue spalle lo fece sobbalzare, e stavolta sì, che sfoderò la bacchetta.
Si voltò con uno scatto improvviso e spalancò gli occhi, dandosi mentalmente dello stupido, il cuore che sbatteva contro la cassa toracica come se volesse sfondarla per fuggire via.
Un pavone elegante passeggiava sulla siepe alle sue spalle, sicuro, la ruota mostrata in tutta la sua bellezza.
Harry accennò un sorriso ebete e ripose la bacchetta nella tasca, meravigliato.
Non sapeva che nel giardino dei Malfoy potesse esserci una creatura tanto bella.
Osservò il pavone zampettare per tutta la lunghezza della siepe, per poi chiudere la ruota e balzare con un leggero salto giù sul viale, e iniziare a camminare nella direzione opposta.
Harry lo osservò andare via e si grattò la nuca.
Inizialmente aveva pensato a un Elfo Domestico. Dopotutto non era una novità che i Malfoy ne avessero, Dobby ne era la prova – e provò un profondo senso di tristezza a quel pensiero, perché ormai il corpo freddo di Dobby giaceva seppellito in un angolo del giardino nascosto dalle foglie di Villa Conchiglia -, e come famiglia Purosangue era ovvio che ne avessero almeno uno.
Invece, si rese conto che stranamente non era stato accolto – o controllato – al cancello da nessun Elfo, e non ne aveva visti aggirarsi per il viale.
Con quel pensiero in testa, riprese a camminare e man mano vide il maniero farsi più vicino.
Due minuti dopo, si ritrovò davanti al pesante portone di mogano e la sua attenzione fu attirata da uno scroscio d’acqua lieve proveniente alla sua destra.
Voltò piano la testa e si trovò davanti un grande giardino scuro, con erbacce che crescevano senza sosta, e una fontana semidistrutta da cui usciva lo schizzo d’acqua che aveva attirato la sua attenzione.
Osservò la devastazione di quel posto, e si disse che probabilmente quel giardino non era più stato curato da parecchio tempo a quella parte.
Dopotutto lo scopo principale di Voldemort era far fuori Halfblood e Mudblood, e conquistare il Mondo Magico. Cosa importava un vecchio e inusato giardino?
Tornò a guardare davanti a sé e si soffermò sul portone; lo sguardo corse alle vetrate laterali fatte da rombi trasparenti, e per un attimo cercò di sbirciare dentro, ma il riflesso del sole non gli permise di vedere nulla.
Si concentrò di nuovo sulla porta davanti ai suoi occhi e allungò il braccio per suonare il grosso battente in ottone che sembrava lo stesse chiamando.
Un serpente.
Harry trattenne a stento un sospiro e afferrò il corpo del serpente, di forma rotonda, e lo sbatacchiò un paio di volte contro il portone; poi lo lasciò andare.
Passarono giusto una manciata di secondi e il portone venne aperto lentamente con un leggero cigolio, e una chioma bionda fece capolino dallo spazio lasciato vuoto.
“Oh”.
Fu l’unica cosa che Narcissa Malfoy riuscì a dire, trovandosi davanti il ragazzino con la cicatrice sulla fronte.
Aprì un po’ di più la porta e si mostrò completamente, i capelli sistemati in uno chignon stretto dietro la testa. A Harry ricordò un po’ la Professoressa McGranitt.
“Salve” disse Harry dopo un attimo di esitazione, facendo un piccolo inchino con la testa.
Si sentiva un po’ in soggezione sotto gli occhi di quella donna, ma sapeva di non averne affatto bisogno. Narcissa Malfoy l’aveva salvato, gli aveva permesso di uccidere Voldemort, aveva rischiato il tutto per tutto per trovare suo figlio e portarlo in salvo.
Proprio come Lily aveva fatto con lui quasi diciassette anni prima.
“Mi scusi il disturbo... Avrei bisogno di parlare con Draco” continuò Harry, soppesando le parole da utilizzare. Non era sicuro che fosse giusto essere diretto, ma di certo non lo era neanche girarci intorno.
Narcissa si strinse subito nelle spalle, e scrutò la cicatrice a forma di saetta sulla fronte di Harry, poi tornò a guardarlo negli occhi.
Se si fermava a pensare che solo due giorni prima aveva salvato la vita a quel ragazzo, e conseguentemente a tutto il Mondo Magico, si sentiva particolarmente strana.
Aveva passato la vita con in casa un marito devoto alle Arti Oscure e un figlio viziato perché troppo amato – da lei, se non altro. Lucius aveva sempre avuto dei problemi a dimostrare il profondo affetto che nutriva per il figlio -, e aveva sempre sentito parlare di Harry Potter come una minaccia, di Harry Potter il Mezzosangue, di Harry Potter il Prescelto, di Harry Potter come colui che aveva posto fine al regime del Signore Oscuro...
Alla luce dei fatti, Narcissa non poteva affatto nascondere la sua contentezza nell’averlo aiutato, perché tutto quello che lei desiderava era una vita tranquilla vissuta con la sua famiglia.
Bellatrix ovviamente era stata una terribile perdita, come in qualche modo lo era stata quella di Ninfadora Tonks, sua nipote.
Non l’aveva mai apprezzata, troppo coinvolta con Babbani, Mudblood e Halfblood, ma la notizia della sua morte era comunque stata un colpo duro da assorbire, come quella di suo padre, Ted Tonks.
Narcissa sapeva bene che quella guerra aveva portato morte e distruzione, ma in un certo senso poteva ritenersi fortunata. Aveva ancora suo figlio, e sebbene suo marito fosse tornato ad Azkaban in attesa del processo, era fiduciosa.
E tutto grazie a Harry Potter.
Draco l’aveva informata di come Potter l’aveva salvato dalla Stanza delle Necessità in fiamme, e lei aveva ringraziato il cielo di aver fatto la scelta giusta nella Foresta Proibita, quando gli aveva coperto le spalle.
“Certo, entra” rispose lei con voce ferma, voltandogli le spalle e precedendolo dentro il Castello.
Harry la seguì e il portone si chiuse magicamente alle sue spalle con un tonfo attutito, e si guardò intorno.
L’atrio era vasto, molto illuminato, e Harry sentì sotto i piedi la morbidezza di un tappeto che occupava quasi tutto il pavimento.
“Signora Malfoy” cominciò Harry, leggermente agitato, alla ricerca delle parole giuste da tirar fuori. “Io volevo ringraziarla davvero tanto per quello che ha fatto per me”
“Non l’ho fatto per te” puntualizzò immediatamente lei, capendo a cosa Harry si stava riferendo.
Harry annuì con la testa.
“Lo so, ma mi ha aiutato. Avrebbe anche potuto dire che ero vivo, dopo aver saputo che Draco era salvo ed era nel Castello, ma non l’ha fatto. Mi ha salvato la vita, e anche a molti altri”.
Narcissa soppesò quelle parole per qualche secondo, prima di accennare un sorriso. Harry rimase stupito da quanto il volto di quella donna si era trasformato; fino a quel momento l’aveva solo vista lanciare occhiate fredde, o preoccupate, o di superiorità. Non poteva certo immaginare che un semplice leggero sorriso le avrebbe schiarito il volto in quel modo.
“Allora devo ringraziarti anche io, Harry Potter, per aver salvato il mio Draco dall’Ardemonio” disse, e Harry accennò un sorriso e scosse la testa.
“Lui l’ha fatto per me. Ricorda? Quando i Ghermidori ci avevano portati qui”
Narcissa annuì con la testa. Ricordava perfettamente la faccia di Draco davanti a quella deformata di Potter, che gli lanciava messaggi con lo sguardo, che lo implorava con gli occhi di non smascherarlo.
E Draco aveva titubato, aveva esitato finché Bellatrix non aveva perso la pazienza e aveva deciso di sfogare tutta la sua frustrazione sulla Mudblood Hermione Granger.
“Draco è in quella stanza. Puoi entrare” disse poi Narcissa, facendogli un cenno verso una porta pesante posta di fronte al portone d’entrata.
Harry annuì e la osservò mentre gli dava le spalle e spariva su per le scale con passi lenti e delicati, attutiti dal tappeto rosso scuro che scendeva lungo i gradini.
Quando Narcissa sparì completamente alla vista, Harry si avvicinò alla porta che gli era stata indicata e chiuse gli occhi per un attimo, la mano poggiata sulla maniglia.
Sapeva cos’era quella stanza.
Lo ricordava bene.
Il camino, le lunghe colonne di marmo che si estendevano fino al soffitto. Il lungo e sontuoso tavolo lavorato, con una dozzina di sedie poste ai suoi lati. I grandi arazzi appesi alle pareti, e la poltrona posta accanto a un tavolino con sopra una lampada. E le scale, che conducevano alle segrete del maniero... Il lampadario di cristallo che era crollato rischiando di colpire Bellatrix e Hermione...
Harry si meravigliò di scoprire che ricordava tutti quei particolari fedelmente, sebbene la maggior parte fossero futili e stupidi.
Afferrando il coraggio a quattro mani, e mostrando tutta la determinazione che lo aveva accompagnato durante la battaglia di Hogwarts, abbassò la maniglia di bronzo e aprì lentamente la porta.
Non gli ci volle molto per scorgere la testa bionda di Draco spuntare da dietro lo schienale della poltrona, rivolta verso il camino acceso.
Harry sentì il fuoco scoppiettante e capì immediatamente che avrebbe coperto anche il rumore dei suoi passi, perciò si decise a parlare.
Fece vagare lo sguardo per la stanza e notò che niente era cambiato. L’intera stanza, però, emanava una strana atmosfera, e quasi Harry rabbrividì sul posto.
“Draco” disse Harry, optando per il nome. Non gli era mai importata questa cosa dei nomi e dei cognomi, anche se un tempo aveva pensato che chiamarlo con il proprio cognome fosse un sintomo di disprezzo, di odio.
Ora invece si era accorto che era una cosa estremamente stupida. Aveva sconfitto Voldemort grazie alla bacchetta sottratta a Draco, era stato salvato da Draco e lui l’aveva salvato a sua volta.
Sentiva di avere un legame con quel ragazzo che si era appena voltato verso di lui con gli occhi spalancati ed era saltato in piedi come se avesse avuto una molla poggiata sul sedile della poltrona.
“Potter” esalò lui sorpreso, e la voce gli venne meno per un attimo prima di concludere quell’unica parola.
Harry annuì con la testa e chiuse la porta alle proprie spalle.
Non sapeva cosa dire, non sapeva da cosa cominciare. Eppure aveva così tante cose da dire, voleva parlare della bacchetta, di Voldemort, della battaglia, di sua madre e di suo padre, di Silente...
C’erano tanti motivi per cui avrebbe passato ore a parlare con Draco, ma in quel momento nessuno di quelli uscì dalla sua bocca.
“Perché sei qui?” domandò Draco sul chi vive, poggiando sulla poltrona il libro che aveva in mano.
Harry esitò prima di rispondere. Draco sembrava non essere molto cordiale e bendisposto nei suoi confronti.
“Sono venuto a restituirti una cosa che ti appartiene” disse, e allungò una mano verso la tasca.
Ne estrasse la bacchetta di Draco, sobria ed elegante, proprio come lui.
Harry lo vide illuminarsi appena, il volto pallido diventare leggermente più colorito, gli occhi che saettavano da lui alla bacchetta che un tempo era stata sua.
Fece dei passi avanti per fargliela prendere e rilassò le spalle, capendo che aveva fatto bene a dichiarare subito il motivo della sua visita. Il ghiaccio sembrava essersi sciolto, anche se non del tutto.
“Credevo aveste degli Elfi Domestici” disse Harry allungando la bacchetta.
Draco la prese con lentezza esasperante e sentì un leggero calore sul manico, proprio dove Harry l’aveva stretta fino a poco prima.
Si sentì bene. Finalmente la sua bacchetta era tornata da lui.
“No” rispose, continuando a tenerla in una mano e facendola roteare nell’altra. “Non ne abbiamo più uno da cinque anni, da quando Dobby è stato liberato”
“Da quando l’ho liberato” lo corresse Harry, e Draco fece una smorfia. Gli bruciava davvero aver perso un servo per colpa di Potter, ma capì che non era davvero il caso di rivangare storie passate, soprattutto ora che i vecchi dissapori in un certo senso erano stati colmati.
Lui aveva salvato la vita a Potter – anche se l’aveva fatto più per la sua codardia che per altro – e Potter aveva salvato lui.
E ora si era anche presentato a casa sua per restituirgli la bacchetta.
Doveva ammetterlo, non se l’era affatto aspettato.
“Beh, dopotutto immagino che avendo Voldemort in giro per casa, cercare un nuovo Elfo fosse l’ultimo dei vostri problemi”
“Non dire quel nome” scattò Draco all’improvviso, gettandogli un’occhiataccia. Harry notò che era leggermente sbiancato, e automaticamente il suo sguardo andò a posarsi sul suo avambraccio sinistro opportunamente coperto dalla manica della camicia.
Draco si ritirò come fulminato e stese il braccio lungo il busto, l’avambraccio rivolto all’indietro.
Non gli piaceva che la gente lo guardasse, perché ogni volta che succedeva provava pena per se stesso.
Ricordava tutto come se fosse stato solo il giorno prima. Quel maledetto giorno in cui, fiero, aveva incontrato Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e si era fatto imprimere a sangue il Marchio Nero.
Aveva pianto.
Dentro di sé, ovviamente, perché lo sguardo di derisione del Signore Oscuro era già così pronunciato in quel momento che non avrebbe mai e poi mai fatto altro per dargli la soddisfazione di vederlo soffrire.
E poi si era ritrovato con un compito più grande di lui sulle spalle, una missione omicida-suicida, una missione che fin dall’inizio era sicuro di non riuscire a portare a termine.
Ma ci aveva provato, per amore della sua famiglia, per amore di quella madre che gli aveva sempre dato tutto, e di quel padre che nonostante i modi duri aveva sempre cercato di proteggerlo.
Harry non scostò lo sguardo dal braccio di Draco nonostante lui avesse cercato di nasconderlo alla vista, e per un attimo sentì di star perdendo il controllo.
“Smettila di fissarmi, Potter” intimò, stringendo la mano intorno alla bacchetta.
Harry alzò gli occhi azzurri sui suoi.
“Perché? Credevo andassi fiero di quello. O, per lo meno, così mi era parso di capire sull’Espresso per Hogwarts due anni fa”
“Molte cose sono cambiate da allora” rispose Draco con voce grave, allentando la presa intorno al legno di Biancospino.
Nonostante l’argomento sgradevole, era leggermente liberatorio parlarne. Sfogarsi con sua madre non era bastato, evidentemente.
“Lo so. Ti ho visto sulla Torre di Astronomia, con Silente”
“Allora eri tu” esalò Draco all’improvviso, ricordando come Silente aveva cercato di fargli credere che invece si trovasse lì da solo.
Harry annuì con la testa e notò lo sguardo atterrito di Draco, che all’improvviso sembrava quasi spaventato.
Harry poté capirlo, in un certo senso.
“Hai fatto la cosa giusta, quella sera, sulla torre” proferì, e gli occhi di Draco si dilatarono a dismisura.
Ad Harry sembrò quasi che fossero lucidi.
“La cosa giusta? Avevo il compito di ucciderlo! E non l’ho fatto... sono stato un codardo” esclamò frustrato, la mano che stringeva la bacchetta ora tremava leggermente.
“Io non la penso così” rispose Harry con semplicità, scrollando le spalle. Draco, che aveva chinato la testa, la rialzò lentamente e lo fissò in attesa che continuasse.
“Ti sei fermato prima di compiere un gesto orribile. Sei stato coraggioso” disse Harry, sentendosi improvvisamente leggermente imbarazzato.
Probabilmente era la prima volta in sette anni che si trovava a conversare con Malfoy in maniera civile, e gli aveva addirittura appena fatto un complimento.
Era proprio vero che la guerra cambiava le persone dentro.
“Comunque” esordì poi, e l’espressione di Draco mutò improvvisamente. Harry giurò di avervi letto gratitudine per un attimo, ma sicuramente Malfoy sarebbe morto piuttosto che dargli ragione.
Tirò fuori la propria bacchetta dalla tasca e Draco inarcò le sopracciglia, osservandolo attentamente.
“Devi Disarmarmi. Lo sai, vero?” chiese, e Draco per un attimo rimase perplesso e stupito da quella domanda.
Disarmarlo? Che voleva dire?
Poi all’improvvisò capì, e si ritrovò a sollevare la mano che stringeva la bacchetta, fissandola.
Non era più sua. La bacchetta di Biancospino aveva smesso di essere sua mesi prima, proprio in quella stanza.
“Sì” disse solo, e la porse a Harry afferrando la sua.
Draco la sentì fredda al tocco, e si ritrovò a desiderare di non aver mai lasciato la sua, che gli aveva dato un senso di calore che neanche la bacchetta di sua madre era riuscita a dargli.
Harry fece qualche passo indietro e allungò un braccio in avanti, piegando le gambe e assumendo la posizione di combattimento, il corpo allineato verticalmente.
Draco esitò per un attimo, sentendosi confuso.
C’era qualcosa di strano in tutto quello. Avere Potter davanti, dentro casa sua, di sua spontanea volontà e doverlo disarmare per poter riavere la sua bacchetta era strano, davvero strano.
Allungò un braccio e, dopo aver preso un paio di respiri profondi, sferzò l’aria con una stoccata e gridò: “Expelliarmus!” rivolto verso Harry.
L’incantesimo fu forte, e Harry fu costretto a concentrarsi per non venire sbalzato dietro, ma la bacchetta gli volò di mano disegnando un lungo arco fino all’altro lato della stanza, accanto alla finestra.
Draco abbassò la bacchetta mentre Harry gli voltava le spalle e andava a recuperare quella di Biancospino, per poi tornare da lui e porgergliela.
Draco l’afferrò quasi con avidità, e sentì un intenso calore partire dalla mano che la stringeva ed espandersi per tutto il petto.
Proprio come la prima volta che l’aveva stretta, sette anni prima, da Olivander.
Harry prese la sua e la infilò in tasca, uno sguardo soddisfatto stampato in volto.
“Grazie, Draco” proferì all’improvviso, e Draco sollevò di scatto la testa, stordito da quell’unica parola che Harry aveva pronunciato.
Harry si allontanò di un paio di passi.
“Grazie per non aver detto a Bellatrix che ero io”.
Draco rimase immobile e non rispose, troppo improvvisamente sconcertato per poter dire qualcosa.
Harry lo osservò e non poté fare a meno di sorridere, notando quell’espressione scioccata stampata sul suo volto.
Gli fece un cenno con la testa e si voltò per uscire, camminando verso la porta.
Fece appena in tempo ad aprirla e a poggiare un piede fuori, che la voce titubante e bassa di Draco lo bloccò.
“Potter”.
Harry voltò lentamente la testa, ritirando il piede e tornando immobile. Lo vide esitare, cercare le parole, aprire la bocca e poi richiuderla, muovere gli occhi sfuggenti cercando di non incrociare i suoi.
“Lo so” rispose Harry senza dargli il tempo di dire nulla. “Prego” concluse poi, sentendo il petto farsi più leggero.
Lo sguardo di gratitudine di Malfoy e il suo esitare, in quel momento, valevano decisamente più di mille parole.
Gli fece un altro cenno con la testa ed uscì dalla stanza richiudendosi la porta alle spalle.
Si guardò intorno sperando di trovare Narcissa nei paragi per poterla salutare, almeno, ma non la vide da nessuna parte.
Pensò a Lucius, e al fatto che si trovasse ancora ad Azkaban in attesa di scontare processo ed eventuale pena.
Chissà, magari avrebbe potuto fare un salto da Kingsley e chiedergli di chiudere un occhio riguardo la sua situazione particolare.
Dopotutto, i Malfoy si erano dimostrati molto più degni del perdono di molti altri che aveva conosciuto in quegli anni.
Harry attraversò la stanza e aprì il pesante portone con leggera fatica.
Uscì, e i raggi del sole lo colpirono direttamente in viso, e si ritrovò a guardare il cielo azzurro, gli occhi luminosi e un sorriso enorme stampato sul volto.
La guerra era finalmente finita.
Andava tutto bene.

 

 






 

 

 

After you read:

*ovviamente “Biancospino e Crine di Unicorno”, il materiale con cui è fatta la bacchetta di Draco ;)
Inizialmente avevo optato per scriverlo in italiano, ma ho visto che c’è già un’altra storia con questo titolo (ma con trama diversa, fortunatamente), quindi ho ripiegato su quello inglese che comunque fa effetto lo stesso ;)
Per le altre cose, ho fatto ovviamente riferimenti ai libri e non ai film.
Per la descrizione della stanza dove viene torturata Hermione, invece, mi sono basata sul film, non avendo altra scelta!
Credo di non aver altro da dire.
Era una cosa semplice e mi è venuta voglia di scriverla, così, e l’ho scritta tutta oggi.
Beh, piaciuta?
I hope it!
Alla prossima, e grazie per essere arrivati fin qui.

Tonna

 

  
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