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Autore: PiccolaWriter    08/01/2012    4 recensioni
[...] Dopo quattro anni, sette mesi e ventitré giorni ho ritrovato Bella.
Renesmee non è mai nata. I Cullen sono fuggiti dopo la trasformazione di Bella. Jacob è ancora innamorato di lei. Ispirata dalla canzone Bloodstream degli Stateless.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jacob Black | Coppie: Bella/Jacob
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
- Questa storia fa parte della serie 'Melodie di Parole'
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I think I might’ve inhaled you,
I could feel you behind my eyes...
You’ve gotten into my bloodstream,
I could feel you floating in me...


Ogni volta, ogni singola volta che ho pensato a lei, in questi quattro anni, sette mesi e ventitré giorni, l’ho sempre immaginata per come i miei occhi l’hanno vista per l’ultima volta. La sera del suo matrimonio. Ricordo la sua pelle pallida - come se non l’avesse lasciata sfiorare nemmeno da un raggio di sole, mai - e ricordo le sue guance arrossate d’emozione, gli occhi appena sfumati di grigio.
Non l’avevo mai vista truccata, così era ancora più bella: e poi i capelli raccolti, l’abito bianco che le fasciava il corpo. Il lungo strascico che ogni tanto le si incastrava nel piede, e lei che lo scrollava via sorridendomi imbarazzata... Il cuore che le singhiozzava, il suo fiato caldo che mi sfiorava la spalla quando s’appoggiava a me mentre ballavamo quel lento.
Ogni volta che ho pensato a lei, in questi quattro anni, sette mesi e ventitré giorni, ho ricordato il motivo per cui continuassi a muovermi, a respirare, a sopravvivere. Il mio scopo era trovarla. Rivederla, almeno un’ultima volta.
Quando è arrivata la tragica notizia della sua morte durante il viaggio di nozze non c’ho creduto. No, nemmeno per un istante. E così l’ho fatto: ho fatto la più grande idiozia della mia vita. Ho voltato le spalle a tutto ciò che ero, ho voltato le spalle a mio padre, alla mia tribù, ai miei fratelli. Al mio branco. Ho abbandonato la mia terra da lupo e ho percorso centinaia, migliaia di kilometri senza mai riposarmi, fino a consumarmi le zampe. In cerca di lei.
Ongi volta, ogni singola volta che ho pensato a lei, in questi quattro anni, sette mesi e ventitré giorni, non l’ho mai immaginata per quello che sicuramente l’avevano fatta diventare. Non ho mai osato domandarmi come sia potuta diventare: un mostro, un’assassina senza cuore, un animale? No. Non ho mai osato pensarci.

Ma adesso, dopo questi quattro anni, sette mesi e ventitré giorni di estenuanti corse e di ricerche e di speranza e di sconforto, mi ritrovo a pensarci. Mi ritrovo ad accantonare a malincuore, per qualche momento, l’ultimo ricordo che posseggo di lei, di lei ancora umana, calda, col cuore che batte nel petto. Dolce. La mia Bella...
Perché adesso mi trovo faccia a faccia con la realtà.

Perché dopo quattro anni, sette mesi e ventitré giorni ho ritrovato Bella.


Bloodstream



Un soffio di vento mi sfiora la faccia, il fruscio di una fronda bassa cattura la mia attenzione. La vedo.
Lei è lì, accanto al tronco possente di un abete, nell’ombra. Mi sta guardando.

Bella.

- Jacob.

Il mio nome è tutto quello che sussurra. La sua voce bassa mi colpisce subito: è densa, è piacevole. Accarezza il mio nome con la cura e la dolcezza che si dedica a qualcosa di caro. Lascio che il mio nome pronunciato dalla sua voce mi scivoli nella testa, così non potrò più scordarlo.
Jacob, Jacob, Jacob. Vorrei che lo ripetesse ancora, ancora, all’infinito.

Finalmente posso vederla. Il buio non è un problema per i miei occhi. E’ lontana, ma posso benissimo vederla: è accanto a quel grande abete che le getta ombre addosso, non si muove, è come una statua.
Il primo pensiero che mi attraversa la mente è che la trovo bella, bellissima, ancora più bella di quanto ricordassi, anche se con una nota dolente mi ricordo che tutta quella bellezza è innaturale.
Ed i nostri occhi s’incontrano: nelle sue iridi brillanti serpeggiano lingue di fuoco.
Ma non mi spaventa, e continuo a fissare i suoi tratti pallidi, perfetti, continuo a fissarla e cerco di convincermi che lì, da qualche parte dentro quel corpo bello ma di pietra dev’esserci qualcosa che si muove, dev’esserci un cuore che batte. Qualcosa che la tiene in vita.
Perché altrimenti non saprei spiegare cos’è che tiene in vita me.

D’improvviso comincia a piovere. Piove. Gocce sottili come aghi e fitte si avventano su di noi.
Non riesco più a reggere lo sguardo su di lei: è così ferma. E’ morta, è morta, ma non riesco a mandare giù quel pensiero. Abbasso gli occhi e mi guardo nella pozza di fango ai miei piedi. Guardo il mio riflesso opaco, ondeggiante, sporco.
Mi guardo e mi sento ridicolo. Col dorso della mano porto via quel qualcosa che cominciava a scivolarmi dall’occhio insieme a qualche goccia di pioggia. Continua a piovere. Piove su di me, piove su di lei. Sui nostri corpi immortali.
Piove sui nostri respiri opalescenti. Piove nei miei occhi annebbiati, annegati.

So che non dovrei, ma i miei occhi - mi fanno paura, li vedo bui, foschi nella pozza - a stento si rialzano e vagano per il terriccio umido, battuto dalla pioggia fitta, ed infine la cercano. E la trovano.
Sta ancora lì, accanto a quel grande abete. E’ immobile, inespressiva, bellissima. Mi fa star male guardarla, fa male.

- Ciao, Bella.

Alle mie parole sembra rianimarsi. La vedo tirare appena le labbra - piene, rosee, perfette. Le tira all’ingiù, come se fosse inquieta. Come se avesse percepito qualcosa di spiacevole e non avesse il coraggio di dirmelo. Mantiene la sua pozisione statica e si lascia sfiorare dalla pioggia senza farvi caso. La pioggia le inumidisce i capelli. Piove sulla sua pelle fredda. Piove sulle ciglia lunghe, che le sfrangiano lo sguardo. Riesco a vedere che qualche piccola goccia s’incastra nell’angolo dei suoi occhi rossi.

Devo prendere un respiro: mi sento soffocare. La mia pelle ribolle, è come se un fuoco avesse preso ad ardere sulla mia epidermide scura. Dovrei morire arso nelle stesse fiamme che mi bruciano le budella, che mi pulsano e che mi strisciano nelle vene, dovrei crepare all’istante nelle lingue di fuoco che mi soffiano nei polmoni. Mi sento in mezzo al fuoco fino al collo, ma la pioggia mi scivola silenziosa sulla pelle calda e non mi spegne.
E’ sbagliato: mi sento sempre più asciutto dentro, pronto a sbriciolarmi, secco. E’ fastidioso. Vorrei bruciarmi, esplodere nelle fiamme come un petardo, brillare per l’ultima volta e spegnermi, spegnermi una volta per tutte.
Maledizione. Spegnermi e basta.

Per qualche momento m’incanto a fissare la sua pelle perlacea. Ha le braccia e le gambe scoperte - indossa un paio di pantaloncini sbrindellati, una canotta chiara ed è senza scarpe. Affonda fino alle caviglie chiare nel terriccio fangoso.
Istintivamente capisco che, se osassi sfiorarle la pelle, la troverei fredda. E troppo liscia. Ripugnante, sgradevole.
Innaturale.
Anche se è di Bella che sto parlando, comincio a pensare che, in fondo, è normale, perché lei è contro natura, lei è qualcosa che bisognerebbe classificare come anomalo. Un essere sovrannaturale e contro natura. Come me, più o meno. Sì, entrambi scherzi della natura... ma in realtà sto prendendo in giro me stesso.
La verità è che riesco a vederla soltanto come qualcosa di inclassificabile.
Forse perché lei è più diversa da tutti gli altri, dagli altri esseri umani?
Be’, rifletto, che io ricordi è stata l’unica di cui mi sia mai innamorato. Probabilmente tendo a trovarla diversa per questo, perché è stata capace di farmi scoppiare e poi di sbriciolarmi il cuore senza nemmeno sfiorarlo.
Jake, concentrati. Fai meno il melodrammatico, mi dico.
Stiamo parlando della sua natura.
La sua natura è quella del predatore. Dell’assassino. E’ diversa.
Ma non riesco a non giustificarla in qualche modo - è più diversa di quanto non lo sia quella mia?
Viviamo entrambi, in fondo. Lei può vedere. Meglio di chiunque altro, forse meglio di me. Lei può sentire con le sue orecchie. Può saggiare l’aria, respirandola, come tutti. Può muoversi, può parlare, può danzare, può cantare. Può sorridere. Non penso possa piangere, ma la tristezza alberga in lei come in chiunque altro, la posso sentire. La posso vedere, anche adesso, anche adesso che si fa prestare le lacrime dal cielo, anche adesso che le gocce di pioggia le rigano le labbra e sembra proprio che stia piangendo.
E poi lei può vivere - anche se non lo fa come lo fanno tutti.
Lei può ridere. Non l’ho ancora vista ridere, ma scommetto che è bellissima quando ride.
E poi, mi dico, lei può amare.
Come chiunque altro. Meglio di chiunque altro. Lei può amare.
Voglio crederci. Lei può amare.

E’ questo che mi ripeto, anche mentre lei si scaglia verso di me a velocità innaturale. Si muove così velocemente che quasi non riesco ad identificarne i contorni: è come una figura sfocata, un fantasma che vola dritto verso di me. Per qualche attimo inquadro il suo volto, i suoi occhi rossi che luccicano e sembrano pronti a stillare sangue.
So già qual’è il suo obbiettivo: scannarmi, farmi lo scalpo o più semplicemente dissanguarmi. Tagliarmi la gola a unghiate, squartarmi il petto con un pugno, sbriciolarmi un braccio con la stretta di una mano. Azzannarmi la giugulare, spezzarmi l’osso del collo. Uccidermi - perché questa è la sua natura.

Io rimango fermo. Non mi sposto, non fuggo, ignoro l’ormai inutile istinto di sopravvivenza.

Io so che lei può amare.
I suoi denti aguzzi sono in bella vista, le narici dilatate, gli occhi di fiamma assottigliati e le sopracciglia increspate. E’ aggraziata nel suo passo rapido, quasi invisibile tanto è veloce - mi fa strano non vederla barcollare, mi fa strano non vederla incerta sui suoi stessi piedi. E’ elegante anche mentre digrigna i denti chiari come una belva all’attacco.
Non riesco a scollare gli occhi dalla piccola ruga d’espressione che si forma tra le sue sopracciglia. Piccolo dettaglio umano. Lei c’è ancora, da qualche parte, dentro tutto quel gelo e perfezione. Lei c’è, è certo, c’è.

Bella sgrana gli occhi cremisi e d’un tratto, quando è ad un passo da me - dalla mia morte - si blocca.

Riprende coscienza di sé, di quello che stava per fare, forse. Il suo sguardo diventa vacuo per qualche momento, ma subito riacquista lucidità e m’inchioda con un’occhiata gelida. Ritorna alla sua immobilità, alla sua imperturbabilità, anche se è combattua. Dentro combatte, lo sento, combatte contro se stessa. Contro quello che è stata e quello che è adesso.
D’improvviso ho l’impressione che se ne voglia fuggire via. Il suo corpo è sotto controllo, è chiaro - marmoreo, di ghiaccio, una scultura divina - ma la sua mente corre, scarta, lotta, vaga a briglia sciolta. La vedo fissare il vuoto per qualche decimo d’istante prima di tornare a fissarmi. Ma non c’è gelo nei suoi occhi rossi, adesso: solo furente rabbia.

- Non dovresti essere qui. Dovresti tornartene da dove sei venuto.

E’ un avvertimento. E’ una minaccia? C’è una feroce determinazione in lei, un folle autocontrollo. Non sento dolore nelle sue parole - forse semplicemente perché non voglio sentirlo - ma so che c’è, da qualche parte. Però sento forte e chiara la sua rabbia, il fastidio. Tiro un sospiro che mi fa tremare i polmoni e mi decido ad aprir bocca, sfoderando una bella faccia da schiaffi.

- Sono venuto apposta per te. Per vederti. E’ scortese mandarmi subito via, così, non pensi?


Nota la faccia da schiaffi, arriccia lievemente il naso. E’ frustrata dal mio atteggiamento irriverente. Stava per uccidermi una manciata di secondi fa, maledetto me. Ma non riesco a non provocarla, nemmeno a costo di crepare sotto le sue belle unghia affilate.

- Jake, non voglio farti del male. Ti prego, va’ via.

- Non mi farai del male, Bells. Cosa mi tocca sentire! - sbuffo, ruoto gli occhi al cielo. Una goccia mi colpisce sulla fronte e prima che possa percepire quell’effimera frescura la sento evaporare, scomparire nel nulla. Sento che scotto più del solito, sono febbricitante. Vorrei bruciare. Spegnermi. Spegniti Jacob, spegniti.

- Puoi anche non credermi, ma è così.

- Non posso crederti, cavolo. Perché dovresti farmi del male, diamine? Ti ho offesa in qualche modo? Non sono stato abbastanza presente per te? Non c’ero, forse, ogni volta in cui avevi bisogno di un amico? Non ci sono stato, secondo te? Forse non sono stato abbastanza presente quando stavi male, quando eri sola?

Mi sto innervosendo. Una vampata di calore si abbatte sul mio corpo e quasi mi viene voglia d’inginocchiarmi, di mettermi a quattro zampe a terra, di scavare il suolo terroso con le dita, di immergere la faccia nella pozza di fanghiglia e annegare nelle mie lacrime... No, basta. Mi sto lasciando prendere dalle emozioni, ridicolo.
Un brivido caldo mi scende sulla nuca, mi fa tremare la spina dorsale. Maledizione, Jacob, calmati. Non sei una donnicciola mestruata in piena crisi emotiva, datti un contegno.
Sei solo un animale che si è cucito addosso la pelle d’uomo e ci sta troppo scomodo e stretto.
Di nuovo il tremore caldo m’invade tutto. E’ il lupo, è il richiamo del lupo, del mio essere selvaggio. Di nuovo mi vien voglia di buttarmi a terra, o di scappare lontano. Non posso, però, non posso. Mi aggrappo alla figura esile ed immortale di Bella. Mi aggrappo al suo volto di porcellana impolverata. Ad una ciocca scura di capelli che le riga una guancia pallida. Alle sue labbra socchiuse, umide di pioggia. Alle sue spalle nude, ai suoi piedi bianchi sporchi di fango.
Tiro un altro sospiro da record d’apnea.
Ci sono. Stringo il pugno per un istante, scarico tutto il nervosismo e lo ficco nel palmo e stringo, stringo finché non si polverizza tutto. Finché non scompare anche quel maledettissimo brivido caldo, finché non ritorno a vederci chiaro, oltre la pioggia e tutto il resto. Ci sono.
Bella tiene le palpebre abbassate ed è immobile. Le sue labbra adesso si sfiorano lente, sta sussurrando.

- Non è questo il punto. Non sono ancora sicura di me, di quello che posso fare. Il tuo odore... è nuovo, per me. Io non sono sicura di riuscire a controllarmi. Io non so... non riesco... ho paura. Ho paura.

- Bella, guardami.

A fatica, lei riapre gli occhi. Li scruto per bene, per come sono: due pozze di sangue. Strano che soltanto adesso riesca a vederli per quello che sono, ma non mi fanno paura e nemmeno ribrezzo. Non mi fanno niente. Anzi, a dirla tutta riesco a trovarli in un certo senso affascinanti. Sì, mi piace il contrasto che crea il rosso lucido delle sue iridi contro la sua pelle d’avorio... che riluce cupa, come una perla grezza, opaca. Mi piace. Mi piace così com’è.

- Non voglio farti del male, per favore, Jake.

- Sono venuto fin qui per te. Per te. Hai idea da quanto tempo io ti stia cercando?

- Mi dispiace. Dovevo nascondermi, dovevamo scappare. Per Charlie, per Renée, per il patto, per i Volturi, per tutti, per te, per me, per noi...

Parla così velocemente, così velocemente che non riesco quasi a starle dietro.

- Beh, no, a giudicare dalla tua espressione e dal tuo ignorarmi sfacciatamente direi di no. Non lo sai, da quanto tempo io ti stia cercando, non hai la minima idea. Ma non voglio dirtelo da quant’è che corro come un idiota dietro al tuo odore. Dietro ad una sciocca traccia. Dietro ad un’illusione... E’ abbastanza tempo, te lo assicuro. Mi sono scocciato, però. Adesso ti ho trovata. Adesso sono qui e voglio guardarti per un bel po’, prima di tornarmene nell’oblio.

Bella scuote lentamente la testa. E’ un movimento appena percepibile, ma lo fa. Con estrema lentezza, con estrema lentezza. Colma di tormento... o almeno così mi piace pensare. Ondeggia lentamente e socchiude gli occhi, come se le dispiacesse infinitamente essere contraria a tutto ciò. Come se le facesse male.
E’ bella da morire, penso, e non riesco a pensare ad altro per qualche istante. E’ bella da morire.

- Jacob, l’ho fatto per il bene di tutti, per il tuo bene, lo sai. Rimanendo, avrei messo tutti in pericolo. Rimanendo, ti avrei fatto solo ancora più male di quanto non te ne abbia già fatto. Ti avrei illuso ancora. Ti avrei ucciso... lentamente... e basta.

- Non importa più.

Sospiro.

- Adesso, sai, devi fare solo una cosa per me, per il mio bene. Lasciami almeno il tuo ricordo. Concedimelo, questo me lo devi.

Sulla mia faccia appare una smorfia grottesca che vorrei fosse un sorriso, ma non ce la faccio, non ce la faccio proprio a ricordare come si fa a sorridere: - Almeno questo, Bells, concedimelo.

Bella mi guarda aggrottando impercettibilmentee la fronte - la piccola ruga d’espressione è ancora lì, non l’ho soltanto immaginata - e stringe appena le labbra. A prima vista apparirebbe come una perfetta statua inespressiva, ma dietro la maschera pallida ed incantevole riesco ad intravedere un’ombra di incertezza. Di dispiacere. Anche se forse potrebbe farne a meno, si prende la briga di sospirare sommessamente - anche lei deve scacciare via il nervosismo?
La sento drizzare la schiena e le spalle ed il mento e ritorna a fissarmi con qualcosa di indecifrabile negli occhi di sangue rappreso, fulgidi. D’improvviso, un lieve sorriso le si accenna sulla bocca piena e perfetta.

- Con esattezza, a quale spazio temporale ti riferisci quando dici per un bel po’ ?

Bella china appena il capo quando mi vede accennare un’altra smorfia-surrogato di sorriso. E risponde con un sorriso.
Sorride, sì. Sta sorridendo per me, sta sorridendo per me. I capelli scuri le scivolano sul collo, le coprono metà viso, metà di quel dolce sorriso. Quei capelli sono così lunghi, così lucidi, morbidi. Scuri come la notte. Mi ritrovo a pensare che sarebbe bello provare ad intrecciarli tra le mie dita. Ma scaccio via quel pensiero e ritorno a guardarla per intero.
E’ magra, slanciata. Qualcosa nelle sue gambe divaricate e nel suo modo di tenere le mani ferme mi fa pensare a lei da umana, quando non riusciva a star ferma per più di cinque secondi - nonostante la consapevolezza che ad ogni passo sarebbe riuscita a mettersi autonomamente in pericolo di vita.
Ma non importa. Sorride appena, sorride timida, e per qualche attimo ritorna ad essere Bella. La mia Bella.

- Che posso fare per te, Jake?

- Rimani ferma. Questo lo sai fare bene. Fatti guardare... - sussurro, e sospiro, e incrocio le braccia al petto e comincio a strusciare i miei occhi dappertutto. Sul suo volto, sul collo albino, sulle braccia, sui fianchi, sulla sua fronte. Voglio imprimere a fuoco la sua immagine nella mia testa. Soprattutto quell’accenno di sorriso che le addolcisce ancora le labbra; e m’illudo di vedere le sue guance morbide colorarsi appena di un lieve rossore.

Dopo un po’ che la fisso comincio a camminare lentamente. Piove ancora, il suolo è molle sotto i miei piedi nudi. Le giro lentamente intorno. Mi mantengo sempre a distanza di sicurezza, ma la voglia di scrutarla per bene da qualunque angolazione è troppa. Lei comprende e rimane ferma, respira lentamente aria che non le serve, che non la manterrà in vita.

- Sarò ripetitivo, lo so. Ma non posso fare a meno di pensare che... be’, rimarrai il rimpianto ed il rimporso più grande di tutta la mia stupida esistenza. Credo che tu ne sia consapevole.

Si mordicchia un labbro. Accenno d’umanità, di nuovo. E’ tesa.

- Sì. E non sai quanto mi dispiace, Jake.

- Non fartene una colpa. Non era destino. Altrimenti, era di me che ti saresti innamorata perdutamente.

Bella abbassa lo sguardo, stringe un pugno pallido, le dita lunghe le si conficcano nel palmo. Lascia andare un sospiro e rimane così, col gli occhi cremisi perduti da qualche parte nel nulla opaco di una pozzanghera.

- Però non riesco a capire perché. Perché allora, dato che non era destino per te, dev’essere stato necessariamente destino per me. Sì, perché il mio destino è questo. C’è poco da fare. Sei tu, e basta.

Mi trema la voce. La schiarisco, mi gratta la gola come un ringhio soffocato.

- Per me, almeno, sarebbe stato bellissimo. Io e il mio destino, felicemente uniti: non è cosa da poco! - cerco di metterla sul ridere, ma proprio non ci riesco, e nemmeno lei, perché quell’accenno di sorriso è scomparso. Ma non riesco a frenare la lingua, lingua maledetta. Non ci riesco a fermare il fiume di parole che m’ingorga la gola.

- Be’, hai mai provato a pensarci? Io c’ho pensato. Io e te. Per sempre. Diavolo, suona sdolcinato, ma è così che sarebbe stato. Semplice e pulito. Magari avremmo passato ancora qualche anno nel mio garage, poi nella Golf, prima di rendercene conto. Ah, non so se l’hai saputo, ma sono riuscito a finirla - tento di sorridere, fallisco di nuovo - Adesso corre come una Ferrari. E’ una meraviglia, anche se i finestrini vengono giù a fatica ed i sedili puzzano terribilmente di pelle vecchia... Ma sai, mi sarebbe piaciuto guidarla per te. Insieme a te. Magari avrebbe vissuto con noi, sarebbe diventata la nostra Golf. L’avrei usata per portarti a fare la spesa. Magari per darti uno strappo dal parrucchiere prima della festa per i tuoi ottant’anni. Be’... rimango dell’idea che il nostro amore ci avrebbe mantenuti in vita a lungo. Anzi, ne sono certo. Ti assicuro che ti avrei amata per sempre, Bella, per sempre. Giuro su tutto quello che ho di più caro che sarebbe stato così, il nostro amore: un amore da film sdolcinato. Beh, magari non ti avrei portata a cenare fuori in ristoranti lussuosi e non ti avrei fatto trovare mazzi di rose rosse sul letto il giorno dell’anniversario. Ma avrei cercato di rimediare ugualmente. Avremmo potuto cenare anche con un moccolo di candela sul tavolino di legno nella veranda di Billy, mangiando le fritture cucinate da Sue con la ricetta di Harry. Ma ci saremmo divertiti lo stesso, vero? E poi, senza problemi mi sarei trasformato per te e sarei andato nella foresta di Hoh a raccogliere i fiori più belli e profumati che avrei trovato per donarteli. Però, stanne certa, poi avrei smesso per sempre. Di trasformarmi, intendo: avrei rinunciato tranquillamente a quella parte di me... per donarti tutto il resto di me. Te l’ho detto: ti avrei amata per sempre, a qualsiasi costo. E poi invecchiare insieme, consumarci lentamente, imbianchire, raggrinzirci... sarebbe stata un’esperienza da fare insieme. E’ stupido da dire, ma sarebbe stato anche bello. Guardarci per l’ultima volta. Guardarti e pensare senza rimorsi: ho vissuto davvero, ho visssuto grazie a lei. Anche morire, anche spegnerci, lasciarci andare... tirare l’ultimo respiro. Anche quello sarebbe stato bello... purché insieme.

Bella spezza un respiro. Alza gli occhi di scatto e mi trapassa con uno sguardo pieno di tormento. Lo vedo, quel tormento, lo sento addosso alla mia pelle, lo annuso, lo riconosco: è lo stesso che mi ha consumato per così tanto tempo. E’ lo stesso che vedevo riflesso nello specchio. Dentro le pozze scure dei miei occhi.
Non faccio in tempo a deglutire che lei mi è addosso. Si lancia su di me con un balzo felino, mi atterra, mi blocca i polsi. Non faccio resistenza - non riuscirei a scappare nemmeno volendo, è troppo forte. Sembra che mi abbia attaccato delle manette di ferro, invece sono le sue mani gelide che mi tengono bloccato a terra, con la testa mezza affossata nel fango.
Ma non importa. Non sono mai stato meglio di così.
Il suo corpo non pesa sul mio, il suo petto sfiora a malapena la mia pelle nuda e bollente, ed io la sento così fredda. Il suo odore è forte, è dolciastro, stucchevole, ma lo trovo ammaliante - lo inalo a pieni polmoni: è Bella. Mi brucia il naso, mi gira appena la testa, per qualche attimo perdo il senso di tutto. Tempo e spazio non valgono più niente quando lei è adosso a me e mi ansima in faccia e mi perfora gli occhi con il suo sguardo incendiato dall’orrore.

- Credi che non ci abbia pensato mai, Jacob? Credi che... io...

Balbetto un non lo so solo per accondiscendenza, non la voglio ascoltare. So che le sue parole saranno gli ennesimi coltelli. Ne ho prese così tante di coltellate di parole alla pancia e dovunque, che ormai ci ho fatto quasi l’abitudine, ma adesso non voglio graffiarmi. Non voglio che mi accoltelli di nuovo, la verità è che ho paura. Ho paura che possa essere la coltellata decisiva, questa volta. Lei è così vicina. Mi sputa in faccia il suo fiato freddo e l’odore dei suoi capelli è troppo, è troppo forte e mi avvelena. Apro la bocca e respiro così, la respiro così.

- Cos’è che non sai? Tu pensi che io ti abbia soltanto sfruttato per egoismo, lo so, credi che ti abbia usato solo perché Edward non c’era più, perché ero rimasta sola. Non è così. In un modo o nell’altro, prima o poi, so che ci saremmo incontrati e avremmo legato, indipendentemente da tutto il resto. Sono sicura che avremmo instaurato il rapporto che ancora ci tiene uniti. Lo so, lo so, è folle e senza senso, è senza una definizione precisa, ma c’è qualcosa di buono e disinteressato che ancora mi tiene legata a te, Jacob. Quello che ti ha portato fin qui è stato questo, quello che ci ha fatti incontrare è questo.

Qualcosa. Qualcosa suona male. E’ troppo vago, indefinito. Mi sa di una cosa poco importante. Poco significativa. Non è affatto qualcosa che mi tiene attaccato a lei, no, è una cosa. E non è amore. Non è soltanto amore. E’... una specie di imprinting volontario. E’ qualcosa di più profondo, di viscerale, di necessario. E’ una necessità, ecco. Per questo ritrovarla è stato così... è stato così. E’ stato come un cieco che torna a vedere. Come un naufrago che raggiunge la riva.
E’ stato come tornare alla vita dopo quattro anni, sette mesi e ventitré giorni d’oblio.

- Allora - borbotto sarcastico - è per questo che non mi hai ucciso, prima?

Riesco a farla sorridere ancora. Ed il sorriso si allarga, ed è troppo vicina, ed è fin troppo bella, e radiosa, e pallida. I suoi occhi s’accendono come fiamme e per un istante sembrano caldi, anche se non c’è più ombra della vecchia e dolce cioccolata dentro quelle iridi. Diavolo. Mi sta ancora adosso, mi tiene fermo, è su di me e butta appena indietro la testa e ride. Ride. I capelli morbidi le scivolano sulle spalle magre. Ride. Lascia che il suo petto sobbalzi lieve sotto le risa, strizza deliziosamente gli occhi, si morde ogni tanto il labbro. E’ fredda, le sue mani sono fredde, mi fanno venire la pelle d’oca dovunque. Ride. E’ bellissima.

- Diamine, devo avere qualcosa di speciale davvero, se riesco a farti ridere anche da morta.

Continua a ridere, poi si rituffa nei miei occhi, mi fissa di sottecchi col sorriso che ancora la illumina e più che un’anima dannata mi sembra una figura angelica - già, una figura angelica con gli occhi rossi, di sangue, con la pelle gelida di morte, pallida, cadaverica, con i tratti seducenti d’un predatore, con la dolcezza di chi può ucciderti con un niente ma si diverte a guardarti così, inerme, succube. Si diverte con la tua agonia.

- Mi hai sempre fatto ridere, Jacob. Mi hai sempre resa allegra, sempre... Già, forse è anche per questo che sono riuscita a frenarmi, prima. Sì. E’ anche per questo. Sei troppo divertente per ucciderti.

Smette lentamente di ridere, ma una traccia di sorriso le rimane incollata alle labbra. Si china ancora un po’ su di me, con estrema cautela, infila il naso tra le mie clavicole, sulla mia pelle bruna e calda - sto friggendo, sto bruciando. Silenziosa, rimane così per qualche momento, con la punta bianca e gelida del naso che preme sulla mia pelle pulsante, e tremo, e sento le ossa sciogliersi e forse è per questo che comincio a sentire le mani molli. O forse perché lei si aggrappa così forte ai miei polsi da bloccarmi la circolazione. Ma non importa, finché è così vicina a me.
La pioggerella picchietta tutt’intorno, qualche gocciolina timida le scivola sui capelli scuri. Bella torce appena la bocca in un sorrisetto timido - lo intravedo a stento. Scommetto che sta ascoltando il battito furioso del mio povero cuore, non ce la fa quasi più. Il sangue mi fluisce dappertutto e devo apparire come un bocconcino invitante, per lei: ma è strano, non sembra affamata, né assassina, né pericolosa: sembra solo curiosa. Continua a strusciare la punta del naso sul mio collo bollente, lungo la traccia della mia giugulare palpitante.

Chiudo gli occhi, tremo per l’ultima volta - sta’ buono, lupo, maledizione, sta’ buono - e rimango inerme, un armadio-indiano-licantropo che si lascia atterrare ed immobilizzare da un giovane e bellissimo cadavere. Che odora di fiori, ma di quei fiori dall’odore troppo forte, troppo dolce, che dopo un po’ ti fa tossire e t’appesta anche gli abiti e le dita. Già. Sento il naso che mi prude, ma non ci faccio troppo caso, e lei continua a tenermi i polsi con le sue mani gelide, e mi respira fredda sul collo, ed io non posso far altro che rabbrividire ancora.
Dio, ti prego, fa’ che non smetta mai, fa’ che non smetta mai.

- Ma anche per questo - dice improvvisamente, tirandosi su, col naso arricciato - hai un odore stranissimo.

Mi guarda dall’alto, accovacciata ancora su di me. Ridacchia un po’ tesa, forse si accorge che non ci sto tanto più con la testa, infatti continuo a rimanere disteso con gli occhi semichiusi e lei continua a fissarmi curiosa. Piove, le gocce adesso più leggere e delicate mi scivolano sulla faccia. Mi sfiorano la pelle ardente, ma non sono fredde quanto il fiato dolce di Bella. Non capisco perché, anziché annichilirmi, tutto quel suo freddo non fa che farmi avvampare ancora di più.
Spegniti, Jacob, spegniti.

- Stranissimo in senso negativo, ovviamente - sputo in un ansimo.

- Odori di randagio - mormora, titubante e melodiosa - di randagio e di foresta e di legna bruciata...

- Puzzo.

- La tua pelle ha un odore diverso, tutto qui. Non l’avevo mai sentito prima.

Bella sorride ancora, divertita. Con la mano, con un movimento meccanico, si tira all’indietro i capelli che le erano scivolati un po’ sul volto, umidi. Si vede lontano un miglio che si forza perché quel gesto non le è familiare - non è nella sua natura - ed evidentemente ancora ne deve fare di strada per diventare una brava attrice. Una brava umana.
D’un tratto si china di nuovo su di me e stavolta passa lieve il naso sulla mia fronte, accanto ai miei capelli scarmigliati e accorciati maldestramente - quando li ho tagliati l’ultima volta? Tre mesi fa?
Inspira ed espira sulla mia pelle calda.

- E’ davvero strano, Jake. Ma cosa sei?

- Qualunque cosa tu vuoi che io sia - sussurro, ma la voce mi trema ed è roca - Dimmi cosa vuoi che faccia e la farò. Dimmi cosa vuoi che io sia ed io cercherò di esserla per te... o almeno ti prometto che ci proverò.

Sento che trattiene un respiro e la vedo mordersi di nuovo il labbro, tesa.
E non riesco a bloccarmi.
Tiro su la mano lentamente e le sfioro una guancia: la sua pelle è stranissima. E’ morbida, vellutata, soffice - mi ricorda il maglioncino rosa pallido di mia madre, quello di chachemire, quello che adoravo perché quando mi prendeva in braccio mi ci strusciavo addosso la faccia ed era morbidissimo.
Però al contempo sento che quell’epidermide pallida è resistente, che le sue ossa sotto sono dure come l’acciaio, come il diamante. Impossibili da scalfire. E’ fredda, fredda come se avesse passato l’intera notte fuori, sotto il soffio di un vento gelido. Come se si fosse chiusa dentro un frigorifero, o - più probabilmente - come se ci fosse caduta dentro.
Le mie dita goffe tracciano qualche linea su quella pelle immortale e si spostano verso le sue sopracciglia scure e ben delineate, sottili come le ha sempre avute, e poi sulle sue palpebre, che con mia grande sorpresa trovo abbassate, docili sotto il mio tocco. Bella è immobile, si lascia carezzare da me, dalle mie dita bollenti e tremanti.

- Sembra tutto sotto controllo - sussurro, cauto - fino ad ora non hai tentato di uccidermi.

Le sfioro le labbra appena ammorbidite in un sorriso accennato e qualcosa dentro di me fa un triplo balzo carpiato con tanto di salto mortale finale - e mi sento strozzare. Calmo, Jacob. Mano, smettila di tremare, per la miseria.
Le sfioro il profilo del naso, la curva dolce del mento, scendo lentamente percorrendo la linea ad arco del suo collo magro - collo da cigno la prendevo in giro quand’era la mia amica Bella, quando ancora non sapevo d’amarla più di ogni altra cosa al mondo - ed i miei polpastrelli arrivano a saggiare la pelle vellutata e fresca delle sue spalle nude.
E’ allora che Bella si ritrae dal mio tocco.
Il sorriso appena accennato scompare dal suo volto pallido - sembra la faccia della luna - e con una mossa fluida e quasi invisibile si rialza, si sposta, lascia qualche passo di distanza tra i nostri corpi. Si mette così a fissare il vuoto, gelida.
Mi metto in piedi a fatica, mi scrollo un po’ il fango che mi si è appiccicato ai gomiti.

- Sei sempre stato così caldo, Jacob - farfuglia quasi tra sé, con quella voce dolce, e sembra che stia mormorando una ninna nanna, o un segreto non così importante. O il più grande rimpianto della sua vita.

- Prima o poi anche io smetterò d’esserlo, come tutti gli altri. Prima o poi anch’io spegnerò - dico, e mi soffermo sorridendo come un idiota dentro di me per il giochetto di parole azzeccato. Poi smetto di sorridere e mi resta l’amaro in bocca, perché in realtà di quello che ho appena detto non ne sono così sicuro.

- Ti spegnerai?

- Tu continuerai a brillare! - esclamo, fingendo malamente di esserne gioioso - Ma io sono destinato a questo, Bella. A spegnermi lentamente. A bruciacchiarmi e sputare un po’ di fumo grigio, prima, fino a ridurmi ad una brace carbonizzata, puzzolente ed inutile. Poi quando sarà la mia ora mi spegnerò. Mi spegnerò.

Vedo l’angoscia che striscia come un’ombra e s’impossessa dei suoi tratti chiari. Vedo le sue ciglia imperlate di gocce di pioggia e guardo quegli occhi rossi come il sangue che sembrano pregarmi. Sembra che mi chiedano di rassicurarla. Sembra che vogliano piangere, e forse ci prendo, perché in quel momento una goccia più impertinente delle altre scivola sul suo viso pallido e si rintana nell’angolo del suo occhio. E poi rotola via, rotola giù, e Bella sembra che stia piangendo per me. Sembra che stia piangendo di nuovo per me.

No, mi dico, non posso. Non posso illuderla ancora, non devo dirle niente, nient’altro. Sono arrivato fin qui per vederla, per vederla l’ultima volta e conservare l’ultimo ricordo di lei e basta. Non sono venuto da lei per rivangare vecchi dolori.

Bella si porta lentamente una mano all’altezza del petto, sulla canottiera leggera, sul seno. La posa lì, con un movimento elegante, e quella mano bianca giace ferma, con le sue dita sottili, come l’ala stanca di un angelo.

- Qui - dice a fior di labbra, guardandosi la mano - qui, qui dentro. Qui dentro non ti spegnerai mai.

Abbasso la testa, perché mi vergogno di me stesso. Del dolore che le ho inflitto. Di quello che ho continuato ad infliggergliene, mostrandomi qui. Delle mie lacrime, perché io posso piangerle tutte fino a prosciugarmi e lei invece no, lei è costrette a piangersele dentro, fino a riempirsi, fino a scoppiare. Io mi prosciugherò. Mi guardo di nuovo riflesso in una pozza di fanghiglia. Mi prosciugherò.

Bella d’un tratto si muove rapida come un fantasma, mi è accanto come un soffio di vento gelido. Il suo odore torna a bruciarmi le narici, la sua vicinanza torna a farmi scorrere il sangue nelle vene, i suoi occhi mi fanno rabbrividire. Piove sul suo volto bianco. Piove sulla mia faccia e sulla mia testa fradicia.

Apro la bocca, voglio dirle l’ultima cosa prima di andarmene. Ma come glielo dici, ad una donna così, che tu vorresti salvarti, e ancora di più vorresti salvare lei con te, e non fare altro che salvarla, e salvarti, tutta una vita? Ma non si può, ognuno ha il suo viaggio da fare. Ognuno ha la sua strada. Il suo destino.

Lei ha scelto di brillare per sempre. Io di spegnermi, prima o poi.
Bella si accosta lenta al mio volto, chiude gli occhi per un istante e mi bacia. Mi bacia dolce, fredda e leggera sulla bocca.
Credo di morire, sto per morire.
No, non adesso, non adesso.
Le sue labbra sono sulle mie. Sono fredde e marmoree, vellutate. Le mie labbra invece bruciano, sono fuoco vivo.
Mi bacia e quel bacio sembra durare un’eternità - quella che vivrà lei, quella che non vivrò mai io.
In realtà il suo bacio dura un attimo. E’ un bacio d’addio.

- Tu vivrai. Col tempo mi dimenticherai. T’innamorerai di nuovo e sarai ricambiato. Ti meriti tutto, Jacob, ti meriti tutto l’amore del mondo.

Annuisco assente. Non ci crede neanche lei, in quello che sta dicendo, e nemmeno io riesco a crederle.
Lei non è mai stata brava a fingere, e non lo è diventata neanche adesso.
Tace. S’allontana. Mi da le spalle, un soffio di vento m’investe gelido. Lei non c’è più.

Ecco, Jacob. Adesso puoi spegnerti.
   
 
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