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Autore: aki_penn    08/01/2012    9 recensioni
Mentre il condominio Chupa Cabras si prepara ad affrontare l'estate più calda degli ultimi quindici anni, i suoi inquilini più giovani dovranno imparare a sopravvivere a loro stessi. Tra portinaie pettegole, padri apprensivi, furti di ventilatori e agognate quanto temute prime volte, l'estate di Soul Eater.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Death the Kid, Liz Thompson, Patty Thompson, Tsubaki | Coppie: Black*Star/Tsubaki, Soul/Maka
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Trentotto scalini'
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Trentotto scalini

Capitolo Ventesimo

Attraverso il vetro

 

Maka poteva immaginare che qualcuno avesse aperto la finestra, nonostante tenesse gli occhi chiusi. La luce filtrava attraverso le palpebre come se fossero fatte di carta velina.

Li aprì piano, prima venne colta da un bagliore fastidioso, il sole che entrava dalla finestra la accecò, potente. Si passò i pugni sugli occhi, increspando le labbra, ancora assonnata, cercando di riottenere di la vista.

Li strizzò ancora, trovandosi a vedere di nuovo, seppur in modo poco nitido. Davanti sé stava qualche cosa di candido che la fissava con due intensi occhi rossi.

“Soul” chiamò in un modo a metà tra la tenerezza e uno sbadiglio. L’immagine si fece più nitida, mostrando a Maka i lineamenti del ragazzo davanti a lei, aveva i capelli chiari e scompiglianti e la stava fissando.

“Buongiorno” salutò Wes Evans, sdraiato sul letto singolo posizionato a circa un metro di distanza da quello del fratello.

Maka sobbalzò facendo un salto indietro nel letto e spodestando Soul, che stava ancora dormendo, e scaraventandolo per terra. Il ragazzo cascò imprecando e blaterando qualche cosa a proposito del proprio osso sacro. Era decisamente sveglio, ma avrebbe preferito che l’abbraccio di Morfeo si sciogliesse in modo meno violento.

“Per la miseria!” sbottò alzandosi, indolenzito, e tornando sul letto faticosamente.

“Buongiorno Soul” esclamò a quel punto Wes, vedendo il fratello riemergere. “Oh” sbottò Soul rimettendosi chinato in modo da nascondere le sue nudità dietro al letto. Maka si copriva convulsamente con quanto più lenzuolo riusciva a trovare.

“Che cavolo ci fai qui, tu?” domandò Soul, scuro in volto. Wes fece finta di accigliarsi “Ci abito. Questo è il mio letto” gli ricordò indicando il proprio giaciglio.

Soul fece una smorfia, mentre Maka arrossiva visibilmente. “Allora ti dispiacerebbe girarti? Maka si deve vestire” chiese brusco, con le braccia conserte.

“Agli ordini” fece canzonatorio suo fratello, che era l’immagine del disinteresse, soddisfando la richiesta.

Maka si vestì a una velocità tale che un secondo dopo era già sulla porta d’ingresso con le scarpe in mano ad aspettare che Soul le aprisse. Lui, che nel frattempo era riuscito a infilarsi giusto i boxer, corse ad aprirle. Si guardarono imbarazzati, Soul distolse lo sguardo, si sentiva in colpa, aveva detto che nessuno li avrebbe visti, Wes non avrebbe dovuto tornare così presto quella mattina.

“Non mi sono mai vergognata tanto. Forse solo col guardiano” ammise a denti stretti, mentre Soul arrossiva colpevole.

Soul, a braccia conserte e piedi nudi, si appoggiò allo stipite della porta d’ingresso “Ci vediamo più tardi?” chiese preoccupato di ricevere un due di picche. Maka si passò la lingua sui denti e lo squadrò con aria omicida, il fatto che le mancassero le mutande di certo non rendeva migliore il suo umore.

“Va bene” acconsentì alla fine, quasi scocciata, prima di prendere la porta e andarsene. Più tardi, a Blair bastò dire che non era rimasta fuori tutta la notte, semplicemente era uscita presto ed era già tornata, nessuno mise in dubbio la sua parola.

Al quinto piano, intanto, Soul tornava al suo letto, piuttosto di cattivo umore.

“Che ci fai qui?” domandò ancora. Wes alzò le spalle “Te l’ho detto, ci abito” ribatté sibillino l’altro.

“Lo so, cacchio, intendo: cosa ci fai qui adesso?” sbottò arrabbiato.

Suo fratello alzò le spalle “Alla fine non sono andato con mamma e papà, ma sono rimasto qui a parlare con Enrique, la scimmia, e sono tornato a casa quasi subito”

Soul impallidì e il suo cuore perse un battito “Eh?” chiese soltanto, incapace di formulare una domanda di senso compiuto.

“Non qui in camera” precisò e Soul tirò un sospiro di sollievo “Stavo dormendo sul divano, perché è più fresco. Mi sono svegliato quando avete pestato la coda al gatto. Chi è stato poi? Comunque avete fatto un gran fracasso e non sono riuscito a venire a letto prima di un bel pezzo. Ti ha anche picchiato?” domandò.

Soul era diventato color peperone “Come…gran fracasso?” domandò. Era imbarazzante, era più imbarazzante del risveglio che aveva appena avuto e del guardiamo, messi insieme.

“Tu in particolare” spiegò tranquillo voltandosi dall’altra parte e proponendo “Perché non dormiamo un altro po’ finché non arriva il tuo insegnante di musica? Quello non mi piace per niente”

Soul si lasciò cadere mollemente sul cuscino pensando solo a quanto desiderasse che un fulmine lo incenerisse in quell’istante.

 

§

 

Liz sospirò nel sonno, non aveva pensato nemmeno una volta alla porta rotta o al lampadario al quale mancavano due gocce di cristallo, si era solo goduta la nottata a dormire addosso a Kid. Entrambi col pigiama, come se non facesse caldo, ma era stato bello così, coi piedi nudi che si toccavano ogni tanto e il fruscio delle lenzuola. Il pigiama di Kid era stato fatto su misura e sopra vi stavano disegnati degli otto, giustamente nessuna grande azienda avrebbe messo in commercio un articolo così idiota.

Si puntellò su un gomito per poterlo osservare mentre sonnecchiava ancora, la finestra era socchiusa e filtrava abbastanza luce da poter osservare con attenzione i lineamenti del ragazzo. Con un sospiro bonario pensò che visto così sembrasse quasi innocuo, niente pericolosa simmetria e altre fisse strane, era solo un ragazzo carino che dormiva.

Il suo sguardo ormai allenato notò una piega particolarmente brutta in un cuscino lì accanto, messo evidentemente per puri motivi estetici, e si affrettò a spiumacciarlo. Era sconsigliabile che Kid si mettesse a delirare appena sveglio, rovinava l’umore anche a lei oltre che a sé stesso.

Sospirò ancora e diede un’ultima occhiata al ragazzo che dormiva scomposto, chissà come avrebbe reagito se l’avesse scoperto, Liz non lo voleva sapere, e si decise ad andare in cucina a preparargli la colazione. Era una cosa carina e le faceva piacere, i toast per Patty non aveva senso prepararli, tanto, conoscendo sua sorella, si sarebbe alzata all’ora di pranzo e a quell’ora sarebbero stati freddi.

Imburrò il pane, tirò fuori la marmellata dalla dispensa, fece una spremuta d’arance e tornò alla camera di Kid. Non c’era più nessuno. Il letto del suo coinquilino era vuoto. Certo, era stato fatto e non mostrava nemmeno una piega, il cuscino era stato spiumacciato meglio, ma di Kid nemmeno l’ombra.

Fece due passi nella stanza, con ancora il vassoio in mano, per poi accorgersi che la finestra era aperta ed entrava tutta la luce che il sole estivo era in grado di produrre. Appoggiò la colazione sulla scrivania ordinata e si affacciò poggiando i gomiti sul davanzale. Molto più in basso, Kid stava in piedi vicino alla fontana. La ragazza strizzò gli occhi per vedere meglio e a quel punto fu chiaro che stava pescando nella fontana condominiale. Kid, il figlio dell’amministratore, pescava i pesci rossi condominiali.

“Kid!” strillò Liz e tutto il malumore che l’aveva pervasa la sera prima le si incollò nuovamente addosso “Che diamine fai?”

“Mi procuro la cena” rispose con semplicità, mettendosi una mano sulla fronte per vederla bene nonostante il riverbero del sole.

Stava per rispondergli male quando un’idea le passò per la mente, se Kid era impegnato a pescare non avrebbe potuto badare ad altre inezie, così rispose “Bravo Kid, fai così” e, con un sorriso bonario, si ritirò chiudendo le imposte della camera da letto.

Qualche piano più su, Blair stava uscendo di casa, inguaiata in un succinto completino da jogging. La corsa faceva bene alla salute, il movimento era importante anche se era estate e faceva caldo, era per quello che per evitare di avere troppa stoffa addosso non si era messa le mutande, che, si sa, fanno caldo.

Dal terzo piano dove abitava col signor Albarn e sua figlia Maka, non fece in tempo ad arrivate alla portineria, che aveva finito per svestirsi strada facendo. Era abbastanza sicura che nei dintorni ci fosse una spiaggia per nudisti, se si fosse presentata nuda là nessuno avrebbe avuto da ridire. Il pensiero che avrebbe dovuto arrivare nuda da lì alla spiaggia non l’aveva minimamente sfiorata. Si sa, gli ingegneri a certe cose non ci pensano.

Fu, appena uscì in giardino, attirando le attenzioni di Arachne, Giriko e Justin Law che giocavano a carte (i primi due bisbigliarono qualche cosa a proposito di filmare tutto, facendo in modo che il terzo membro della comitiva non potesse leggere loro le labbra),  che le sembrò di scorgere una tigre azzurra nell’erba alta. Si disse che quel prato aveva proprio bisogno di essere tagliato, ma uscì senza darsi altre pene. Fu arrestata due isolati dopo e nessuno seppe come fece a farsi ridare la libertà, anche se vennero avanzate varie ipotesi, tutte simili e tutte piuttosto plausibili.

La tigre azzurra, che altri non era che Black Star, uscì dall’erba, nella quale aveva strisciando fino a un secondo prima, con un balzo. Arachne e Giriko filmarono tutto febbrilmente sotto lo sguardo vispo di Justin Law, che non si scompose.

Il ragazzo, sporco di fango dato che probabilmente il signor Free aveva di nuovo annaffiato troppo, sorpassò in un passo la soglia d’ingresso urlando “Sono invisibile!”

Giriko e Arachne alzarono contemporaneamente le sopracciglia, avrebbero avuto qualche cosa da dire a riguardo, ma dato che un uomo invisibile non avrebbero potuto filmarlo non si lamentarono neanche un po’.

Arisa, che stava pulendo le scale con il mocio, fece un salto all’indietro per lo spavento. Black*Star si appiattì in una zona più buia, quella della porta della saletta condominiale, dove la lampadina nella plafoniera si era fulminata cinque anni prima e nessuno si era preso la briga di cambiarla. Era effettivamente più in penombra, ma la sagoma del ragazzo si vedeva benissimo. “Tu non mi puoi vedere” sibilò come se fosse una formula magica. La portinaia si strinse al petto la scopa, spaventata e s’infilò nella portineria chiamando a gran voce l’amica Liza.

Black*Star, da stratega qual era, approfittò di quel momento di calma per mettersi a correre su per le scale, convinto che andando veloce non avrebbe incontrato nessuno. In compenso però fece tremare tutto il palazzo con i suoi passi pensanti, tanto che il professor Excalibur si affacciò alla porta roteando il bastone e dicendo qualche cosa come “Un edificio dei dodicesimo secolo non avrebbe resistito a una tale scossa”. Ovviamente venne ignorato.

In un batter d’occhio arrivò davanti a casa Nakatsukasa e non suonò il campanello per non disturbare, limitandosi a bussare, peccato che l’effetto finale si dimostrò essere quasi peggiore.

Wes, che abitava allo stesso piano dei Nakatsukasa, si affacciò per vedere cosa stava succedendo sul pianerottolo, l’ipotesi più accreditata era l’arrivo degli angeli dell’apocalisse.

Quando vide Black*Star di schiena, infangato fino ai capelli sospirò e richiuse la porta prima di essere visto.

Proprio in quel momento aprì Tsubaki, che era arrivata trafelata fino alla porta, aprendo in tutta fretta per paura che Black*Star si accapigliasse con qualcuno in un momento di sua distrazione. I suoi genitori l’avevano ufficialmente invitato a pranzo, c’era anche Masamune, una presentazione in famiglia di prim’ordine e le possibilità che lui buttasse tutto all’aria erano fin troppo alte.

Il peggio che poteva capitare, però, era già capitato, a giudicare dall’aspetto infangato con il quale si presentò quello che doveva essere il suo ragazzo.

Tsubaki, stringendo convulsamente la porta, si trattenne dal fare una smorfia, un capello si liberò dalla sua coda di cavallo ricandendole sul viso. Si disse che sarebbe diventata calva per lo stress.

“Sono stato silenzioso come mi avevi chiesto” esordì lui orgoglioso, gli costava tanto non mettersi in mostra, ma per Tsubaki l’aveva fatto senza lamentarsi troppo.

La ragazza lo gratificò con un sorriso fintissimo e piuttosto teso “Oh, bene” cominciò “ti va di fare un bagno prima di pranzo? La mamma ha preparato l’arrosto” propose.

Ci fu un attimo di silenzio e poi fu lui a domandare “Lo facciamo insieme, il bagno?”

 

§

 

Elka, seduta al sole su una panchina di legno nel bel mezzo del cortile, piangeva copiosamente, senza speranza di fermare le lacrime. Free, che non era granché a consolare le persone che gli piangevano su una spalla, cercò di accarezzarle goffamente i capelli chiari.  Elka sembrava davvero inconsolabile, gli aveva bagnato di lacrime tutta la maglietta, se si fosse lanciato in mare l’effetto sarebbe stato pressoché lo stesso.

“Su, su, Elka…” cercò di dire, non gli veniva in mente nessuna frase di senso compiuto per consolarla.

“Mi sono distratta solo un attimo, un attimo solo…e lei le ha ammazzate le mie rane…le mie povere ranocchiette. Ha riempito il loro acquario di detersivo…quella strega…” piagnucolò col naso che le colava. Si asciugò le lacrime sulla maglia del giardiniere, lo fissò per un secondo e poi si rimise a piangere disperata.

Free, che aveva letto Alice nel paese delle meraviglie da piccolo, sperò di non annegare in quel fiume salato che si sarebbe venuto a creare, se Elka non si fosse fatta chiudere chirurgicamente i condotti lacrimali al più presto.

Le accarezzò ancora la testa cercando di calmarla, quella ragazzina sembrava non aver passato nemmeno un giorno felice da quando viveva in quella casa, e a lui dispiaceva un po’.

“Tra un po’ nascono i girini, con tutta l’acqua con cui ho innaffiato, il prato è diventato un acquitrino, ce ne saranno un sacco. So che non potranno prendere il posto delle tue amiche anfibie precedenti, ma saranno delle nuove amiche” provò a dire, ignorando del tutto in che periodo le rane si riproducessero. Elka si asciugò la lacrime di nuovo e tirò su col naso annuendo. Sembrò convinta perché biascicò un grazie poco udibile. Free tirò un sospiro di sollievo.

Qualche piano più su, l’assassina era intenta a bere tea e mangiare biscotti in compagnia del dottor Stein.

Composti e impettiti, uno davanti all’altra seduti al tavolo della cucina, sarebbero potuti essere l’immagine del buongusto e dell’eleganza, se non fossero stati entrambi in mutande per via del caldo.

“Il tea caldo non mi sembra affatto una bevanda adatta a combattere l’afa” fece notare Stein, sentendo il liquido scendergli nelle viscere.

Medusa aprì gli occhi fingendosi stupita “Ma cosa dici!” esclamò con aria sdegnosa “La figlia di Spirit dice di aver appreso questo metodo innovativo da sua madre, che è stata nel deserto” spiegò quasi offesa.

“Ah, sì? Chissà perché avrei detto che nella tua tazza invece ci fosse del tea freddo” azzardò Stein.

“Stai forse insinuando che non tratto a dovere i miei ospiti?” chiese lei fissandolo con quell’espressione che la faceva somigliare a un rettile.

“Non è un’insinuazione, è un’accusa precisa” rispose lui bevendo stoicamente la sua bevanda e strinandosi il palato. Medusa fece una smorfietta divertita prima di sorseggiare ancora il suo tea glaciale.

Ci fu un minuto di silenzio durante il quale i due sorseggiavano libidine e tortura a seconda di che bevanda avessero tra le mani, poi Medusa ricominciò schioccando la lingua “Non volevo ucciderle quelle rane. O meglio, non volevo ucciderle così, è stata una sorpresa anche per me. Non mi sono accorta di averci rovesciato dentro il detersivo” spiegò a un Stein dall’aria disinteressata.

“Adesso Elka è lì che piange come una scema sulla spalla di Free. Avrei almeno voluto godermelo questo momento. Decidere il modo in cui sbarazzarmene…non mi sono mai piaciute quelle maledette rane!” brontolò scocciata. E Stein, per quanto un po’ dispiaciuto per l’inconsolabile Elka, non poté che essere soddisfatto del malumore della donna.

Fu in quel momento che bussarono alla porta mestamente, non era Elka si sarebbe messa a far notare la sua presenza con più impeto.

“Mamma, posso entrare? Ho sete” pregò Crona dall’altra parte della porta.

“No, io e il dottor Stein siamo nudi e stiamo indaffarati in cose che tu farai quando sarai molto più grande” esclamò Medusa con voce austera, da madre di famiglia.

“Ma io ho sete…” piagnucolò la ragazzina.

“Vai a bere dalla fontana in giardino” ordinò sua madre, senza esitazione, mentre Stein passava lo sguardo da lei alla porta chiusa.

Ci fu un brontolio sommesso che si poteva tradurre con Nella fontana ci sono i pesci, non posso bere la loro acqua, sarebbe scortese. Non so come comportarmi con i pesci.

Fu quando Crona si fu allontanata che l’uomo rimise lo sguardo sulla sua interlocutrice con aria interrogativa.

Lei se ne accorse e fece finta di accigliarsi “Non volevo mica che ci trovasse in queste condizioni. Non voglio mica che finisca come la figlia di Spirit, a copulare in spiaggia di nascosto”

“Non credo ce ne sia il pericolo” commentò il dottore “E comunque non vedo niente di così disdicevole nella nostra posa”

Medusa sbatté le palpebre qualche volta guardandolo con aria di rimprovero “E’ qui che sbagli. Nel tea c’è la teina, che non fa per niente bene ai ragazzi. Saresti un pessimo genitore” lo canzonò.

 

§

 

Subito fuori dal cancello, Liz stava battendo le mani per pulirle dalla polvere e, tutto sommato, sembrava soddisfatta mentre Kirikou, difronte a lei, chiudeva con un botto lo sportello posteriore del camion.

“Secondo me, Kid si arrabbierà” commentò il ragazzo, assicurandosi che anche la maniglia fosse chiusa come di dovere. Fire e Thunder, gli altri due fattorini dell’antiquario, lo guardarono in attesa.

Liz alzò le spalle “Era un sacrificio che andava fatto. Kid in questo momento sta pescando la nostra cena nella fontana condominiale. È da stamattina che è lì” spiegò, e la cosa non la faceva neanche più di tanto arrabbiare.

“Ma non ci sono solo i pesci rossi?” domandò Kirikou risistemandosi al meglio gli occhiali sul naso. Patty annuì per poi dire “Sono grandi così” e lasciare un piccolo spazio tra pollice ed indice. “Non ci mangeremmo granché” aggiunse.

“Non ho alcuna intenzione di mangiare pesci rossi” fece eco Liz, con uno sguardo che avrebbe spaventato chiunque.

“Beh, comunque mi pare che il mio titolare vi abbia dato un bel po’ per questo lampadario” continuò Kirikou, che pensava che con gli affari che faceva il suo datore di lavoro avrebbe anche potuto aumentare la paga a lui, Fire e Thunder, anche se quello era solo un lavoretto estivo in attesa che ricominciasse di nuovo la scuola.

“Meno del dovuto” sbuffò la sua interlocutrice alzando gli occhi al cielo “Patty ha staccato due delle sue preziose gocce”

Patty fece un sospirone a sua volta “Skiusimii” disse priva della sua solita allegria per poi aggiungere, del tutto inaspettatamente “Secondo me stavano meglio sulla giraffa”

“Non importa, Patty. Adesso abbiamo un sacco di soldi” tagliò corto la sorella maggiore che poi si affrettò a salutare uno stanco Kirikou, che salì sul suo camioncino intenzionato a tornare al negozio d’antiquariato, e prendere sottobraccio la sorellina “Forza Patty, andiamo a preparare un sedativo per quando Kid si accorgerà che manca il suo amato lampadario. Dici che la dottoressa Medusa abbia qualche cosa da prestarci?”

 

§

 

Maka sospirò chiudendo gli occhi, mentre Soul le mordicchiava l’indice. Aveva caldo e non era solo per colpa dell’afa estiva. Si sentiva andare a fuoco, con lui che la fissava e le accarezzava i fianchi.

Pensò che Soul, visto dall’alto, accaldato e con le guance rosse, intento a baciare, leccare e mordicchiare la sua mano sinistra fosse davvero carino e ogni volta che incrociava il suo sguardo maledettamente rosso era come se qualcuno gli rovesciasse una cascata di acqua bollente sul petto, mentre il bassoventre le andava in fiamme.

Lui la guardò facendo un sorrisetto strafottente di quelli con cui mostrava al mondo la sua dentatura da squalo. A Maka facevano arrabbiare quei sorrisetti, ma, anche se non lo avrebbe mai ammesso, le piaceva comunque un sacco quando ammiccava nella sua direzione. Avrebbe potuto sciogliersi solo per quel sorriso se non fosse stato per un movimento del bacino di lui che le fece sentire una potente scarica elettrica lungo la schiena e la costrinse a chiudere nuovamente gli occhi.

Pensava da sempre che Soul fosse un ragazzo carino, davvero carino, ma all’inizio dell’estate, quando si preoccupava di quale costume scegliere per andare alla gita al mare, non avrebbe mai detto che si sarebbe trovata a quel punto solo un po’ di tempo dopo.

“I documenti relativi all’appartamento li abbiamo messi in camera dei ragazzi, ma dovremmo parlarne comunque anche con il signor amministratore” disse qualcuno spalancando senza remore la porta di legno e vetro della camera di Soul.

La signora Evans e tantomeno il signor Albarn, entrambi a cavallo della porta, non si accorsero immediatamente di cosa stava accadendo nella penombra, fu una questione di attimi.

La porta che si apriva con un gran fracasso, la signora Evans che accendeva la luce intenzionata ad andare a raspare nell’armadio dei documenti e Maka che urlava vedendo tutto fin troppo distintamente. In quella stanza c’erano sicuramente più persone di quante ne avrebbe volute.

Spirit, non aspettandosi di trovare lì la propria figlia e di sicuro non aspettandosi di trovarla addosso a Soul Eater Evans, rimase per un secondo inebetito a cavallo della porta.

La ragazzina si sporse in avanti nascondendo il viso nell’incavo del collo di Soul, che con uno slancio si era messo a sedere e l’aveva circondata con le braccia nella vana speranza di coprirla appena un po’.

Le pupille del signor Albarn si dilatarono per la sorpresa, mentre la mandibola stringeva così forte che qualche dente scricchiolò mentre fissava con un cipiglio satanico la scena. Durò tutto una manciata di secondi, ma a Maka, che dava la schiena ai nuovi venuti, sembrarono secoli e fu quasi un sollievo sentir urlare suo padre come di consueto “Cosa stai facendo alla mia bambina!?”

Il signor Spirit strillò afferrando una lampada da tavolo e impugnandola come un’arma. La bocca della signora Evans si aprì come poco prima avevano fatto gli occhi del suo vicino di casa. Se avesse trovato Soul a fornicare con la figlia di Spirit si sarebbe limitata a rifilar loro un’occhiataccia e a uscire in attesa che si fossero vestiti per poter fare la sua ramanzina da madre accorta, ma quell’uomo aveva tutta l’intenzione di spaccare la testa al suo secondogenito. “Per la miseria!” strillò, e gli fece uno sgambetto. Il signor Albarn cadde per terra come una pera cotta lasciando andare la lampada che si schiantò, poco lontano, con un gran fracasso.

“Tesoro!” chiamò la donna “Vieni, presto! Il signor Albarn sta dando di matto e Soul ha bisogno di un discorsino!” urlò con voce non troppo ferma, richiamando il marito.

“Maledetto ragazzino…” biascicò Spirit con la faccia sul pavimento, cercando faticosamente di afferrare il cadavere della lampada. La signora Evans gli pestò la mano con il tacco a spillo dei suoi sandali e l’uomo urlò di dolore.

Mezzora dopo, Soul e Maka si trovavano di fronte, l’una appoggiata contro il muro, l’altro contro l’armadio, entrambi dietro la porta della camera di lui. Si fissavano con aria stanca, a lei non pareva vero che fino a poco prima erano intenti a rotolare sul letto di lui, mentre in quel momento si trovavano sudati e vestiti in attesa di una condanna a morte, da quello che si evinceva dagli urli provenienti dalla camera affianco.

“Non posso credere che non teniate d’occhio la casa e permettiate a chiunque di entrarvi! E soprattutto mi avete fatto male alla mano!” stava strillando, isterico, il signor Albarn Soul e Maka non potevano vederlo ma potevano immaginarselo mentre si teneva la mano dolorante.

La ragazza si coprì il volto con le mani, esasperata, e Soul appoggiò la sua su quella di lei per spostarla e poterla guardare di nuovo. Lei alzò lo sguardò su di lui, perplessa, e ricevette un suo sorrisetto strafottente che sembrava voler dire Non è poi così terribile.

Sapeva che anche lui era piuttosto preoccupato, ma era carino da parte sua non volerlo far capire.

“Quel maledetto teppista!” strillò a quel punto Spirit con voce sempre più acuta, facendola ridacchiare, erano di nuovo vicini e Soul le teneva stretta una mano.

“Teppista” ripeté divertita, scandendo ogni sillaba e guardandolo negli occhi con aria di sfida. Soul rimase serio a guardarla mentre lei si divertiva.

“Mio figlio non è un teppista! Credo che sia normale per un ragazzino di quindici anni interessarsi alle ragazze, è sua figlia che è una donna del popolo!” strillò la signora Evans fuori di sé.

“Donna del popolo?” sghignazzò Soul, stringendo forte la mano di Maka, lei lo incenerì con lo sguardo ma non fece in tempo a protestare perché lui la spiazzò con un bacio umido che non le lasciò scampo, mentre con il braccio libero le passava dietro al collo per non lasciarla scappare.

Fu in quel momento che si sentì un altro gran frastuono di vetri e legno e la porta della camera si aprì rivelando due ragazzini di nuovo indissolubilmente attaccati.

“Per la miseria!” esclamò la signora Evans, mentre i due si voltavano a guardarli spiazzati.

 

 

Aki_Penn parla a vanvera:

 

Eccomi, di nuovo in ritardo. Questa volta non ho scuse, non ero nemmeno impegnata a scrivere City of blinding ligths come mi era successo tempo fa, semplicemente mancava l’ispirazione. Spero comunque che il capitolo valga l’attesa, non ne sono troppo convinta, l’ho riletto, ma come al solito mi ritrovo a postare alla sera, quando sono notoriamente un po’ cotta, spero che sia leggibile.

Essendo l’ultimo capitolo ho cercato di dare, bene o male, una conclusione a tutte le vicende, ovviamente vi sarà un epilogo, ma questo è il vero e proprio finale. Per quanto riguarda Kim e Ox, la loro storia finisce con il capitolo scorso, avrei voluto scrivere di più su di loro, ma essendo gli altri i protagonisti ho preferito dar loro la priorità.

Ci tenevo a precisare una cosa su questa storia, io non parlo molto di sentimenti, non mi piace molto descrivere nei dettagli quello che provano i personaggi, preferisco che si capisca dalle loro azioni, e spero di esserci riuscita. Quindi non vorrei che pensiate che questa storia sia basata sul puro rapporto fisico, anche se non lo scrivo esplicitamente, Soul e Maka (e così tutti gli altri), si vogliono bene. Avevo pensato di mettere una semi-dichiarazione alla fine di questo capitolo, giusto prima che i genitori riaprissero la porta, ma alla fine ho cambiato idea, spero che l’effetto sia carino lo stesso.

Non conosco molto bene Wes, spero che sia IC, purtroppo nel manga è apparso troppo poco per riuscire a farmene un’idea precisa, se non va bene mi scuso in anticipo.

Infine, vi ringrazio per aver seguito la storia fino a qui e grazie anche a chi ha letto lo spin-off, spero davvero che vi sia piaciuto. ^.^

Aki_Penn

 

 

 

   
 
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