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Autore: Akane    09/01/2012    4 recensioni
"Lo sguardo di Kojiro, Jun non l’avrebbe mai dimenticato ma nemmeno Kojiro avrebbe dimenticato quello di Jun. Vuoto. Privo di turbamento, espressività, allarme, dispiacere, paura, shock. Privo di tutto."
Alla vigilia di natale Jun e Kojiro si trovano ad assistere ad un brutto incidente che porta a galla lati molto nascosti di Jun. Lati che turbano profondamente Kojiro.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jun Misugi/Julian Ross, Kojiro Hyuga/Mark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'L'eleganza e la forza'
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TITOLO: Non ho paura
AUTORE: Akane
SERIE: Capitan Tsubasa
GENERE: introspettivo
TIPO: one shot, slash
RATING: giallo
PAIRING: HyugaXMisugi
DISCLAMAIRS: i personaggi non sono miei ma del suo autore, io ci scrivo solo per puro divertimento.
NOTE: So che sono fuori periodo, ma è una fic sul Natale. Non proprio natalizia ma ambientata alla vigilia, quindi sarebbe stata da pubblicare prima ma ormai scrivo e lascio passare un po’ di giorni prima di correggerla e pubblicarla, così eccoci qua. Non fatevi ingannare dall’ambientazione perché in realtà tratta un tema un po’ particolare, non direi macabro però quasi, non è di certo zucchero e cuoricini, specie considerando i due soggetti. La considero una specie di seguito delle altre su questa coppia (Chiamami quando sei sobrio e Stupidamente), quindi i due stanno già insieme e sono abbastanza grandi da essere indipendenti.
Ecco come me lo vedo Jun interiormente. Ormai ne avrete le scatole piene, ma lui è davvero uno dei personaggi più interessanti e complessi di cui abbia mai scritto e non sono capace di smettere.
Buona lettura.
Baci Akane

NON HO PAURA

“Ho sempre pensato di essere invincibile.
È buffo perché in realtà ero il più debole.
Quello che però è veramente buffo è che ho cominciato a sentirmi invincibile quando ho scoperto di essere debole.
Quando mi hanno detto che soffrivo di cuore e che se non stavo attento potevo morire, ho cominciato paradossalmente a sentirmi invincibile.
Come sia possibile di preciso lo ignoro, non sono uno psicologo, non posso dire come mai.
Penso però che in me abbiano inciso molto le parole che mi rivolgevano gli adulti  con cui sono cresciuto e che sapevano della mia condizione.
Non so bene in che senso abbiano inciso, se in negativo o positivo, se di preciso siano state queste a temprarmi e farmi sentire forte quando invece non lo ero e ad impedire di auto commiserarmi e fare la vittima fragile ed insopportabile arrabbiata col destino.
Non so proprio bene, ma le parole con cui sono cresciuto sono…
…non farlo perché potresti morire…
…Jun, puoi morire se fai così…
…Jun, puoi morire…
Penso che alla fine io mi sia abituato così tanto a quel termine da rendermi insensibile ad esso.
Alla morte.
Io posso morire prima degli altri e più facilmente, quindi mi sono dovuto abituare ad essa e non solo, ho dovuto imparare a conviverci e guardarla in faccia. L’ho vista più volte e più volte sono riuscito quasi a toccarla. L’ho sfiorata, ci sono stato insieme e… cosa posso dire?
Alla fine, a forza di sentirmi tanto vicino ad essa, penso di esservi insensibile.
Questo è quello che penso.
Ma la verità è una ed inconfutabile.
Sono diverso dagli altri.”

Lo sguardo di Kojiro, Jun non l’avrebbe mai dimenticato ma nemmeno Kojiro avrebbe dimenticato quello di Jun.
Vuoto.
Privo di turbamento, espressività, allarme, dispiacere, paura, shock.
Privo di tutto.
Il ragazzo inginocchiato a terra si tirò su dal corpo esamine ormai privo di vita e sconvolto tanto dalla completa assenza di reazioni di Jun quanto da quello che era appena successo, si pulì distrattamente il mento da un rivoletto di sudore senza accorgersi di essersi così sporcato di sangue.
Una smorfia di incredulità e sconvolgimento sul suo viso dai tratti selvatici e perennemente arrabbiati col mondo. Una smorfia d’espressività che rappresentava tutto l’opposto di quella di Jun di cui invece ne era totalmente privo.
E parlare sarebbe stato facile ma poi per dire cosa?
Kojiro esitò, quello che di solito sapeva cosa dire era Jun, ma ora stava lì e non dimostrava nulla.
C’era qualcosa di sbagliato in tutto quello. Enormemente.

***
Le vetrine si esponevano davanti ai suoi occhi ma era come una tortura per lui guardarle.
Fece l’ennesimo sbuffo d’insofferenza e si voltò verso Jun nella speranza che avesse finito, sbirciò quella sua dannata lista che aveva in mano e grugnì seccato.
Aveva ancora un sacco di nomi da cancellare!
- Quanto durerà ancora la tortura? - Chiese sul piede di guerra ed esasperato.
Jun si rivolse verso di lui sorridendo gentilmente. Inquietantemente gentile.
Era uno di quei sorrisi falsi che in realtà erano specchi di morte, per lo meno Kojiro li vedeva tutti così i suoi in quei casi.
- Ho ancora cinque persone a cui fare il regalo, poi ho finito! - Disse cordiale, sempre nello stile da killer agghiacciante che lo reputava il ragazzo accanto in certi momenti.
Sbuffò ancora, tanto per cambiare, alzando lo sguardo al cielo grigio e nuvoloso.
Aveva nevicato in abbondanza ma non sembrava avrebbe smesso, quella probabilmente era solo una piccola tregua. La neve era radunata ai bordi delle strade e sotto gli edifici che costeggiavano i marciapiedi su cui camminavano, avevano fatto un ottimo lavoro di pulizia per permettere alla gente di muoversi in sicurezza. I parchi, i tetti e gli alberi erano invece tutti bianchi.
I fiati si condensavano a contatto con l’aria fredda ma Kojiro aveva una gran voglia di uccidere, ergo i suoi bollenti spiriti non erano calati d’intensità, anzi.
- Dai, Hyuga, è Natale, cosa ti aspetti, che i regali che ci si scambia in questo periodo vengano dal Cielo? Bisogna comprarli! - Poi cercò di cambiare argomento sempre rimanendo pacato, sapeva quanto detestasse andarsene in giro a fare spese specie in quel periodo. - A proposito, tu a chi devi fare? Fin’ora ho comprato solo io! - alzò i sacchetti di carta che stringeva in mano, non era tipo da rifilare tutto al compagno.
Kojiro con una smorfia si girò dall’altra parte ma trovando una vetrina particolarmente natalizia tornò a voltarsi verso la strada oltremodo schifato e seccato.
- Io non faccio regali a nessuno! Anzi, mi chiedo a chi tu debba farne, hai solo i tuoi genitori, mi spieghi a chi diavolo devi comprare cose ancora? - ringhiò sgarbato incrociando le braccia al petto.
Jun rise, la sua risata era calma ma divertita, non era la fine del mondo ma non era nemmeno male. Era diverso da tutte le persone con cui era abituato ad avere a che fare…
- Ma io faccio regali mica solo ai miei genitori. Ho molti amici e voglio fare un pensiero a tutti, nella lista ci sei anche tu ma non posso di certo prendertelo in tua compagnia, però il resto… - poi realizzò cosa aveva detto e spostandosi dall’altra parte per guardarlo in viso chiese serio cercando di capire se lo fosse anche lui o se scherzasse:
- Ma davvero non fai regali a Natale? - Per lui era inconcepibile una cosa simile.
Kojiro sentitosi accusare chissà di cosa, borbottò truce accendendosi come un falò:
- No che non ne faccio! Non abbiamo soldi, non li sprechiamo in questo modo stupido! E poi siamo tantissimi, in famiglia, pensa se dovessimo farci regali fra di noi! Le mie sorelle costruiscono qualcosa di artigianale e quelli sono i regali, mentre mia madre si occupa di fare un pranzo speciale per cui spende mezzo stipendio. Questo è il nostro modo di festeggiarlo! Niente insulsi sprechi di tempo e denaro! - Era oltremodo sulla difensiva e Jun sebbene fosse rattristato per il suo scarsissimo spirito natalizio un po’ obbligato dalla sua situazione economica difficile e volesse fare qualcosa per lui, sapeva perfettamente che non poteva nemmeno azzardarsi ad invitare lui e la sua famiglia a pranzo a casa sua il venticinque. L’avrebbe preso come un atroce atto di pietà e di certo lui odiava quelle cose.
Il peggio del peggio che avrebbe potuto fargli.
A proposito di quello gli venne in mente un altro particolare e affrettandosi gliene parlò subito con un dolce sorriso sul viso sempre composto e contenuto.
- Non serve che ricambi il mio regalo. Io li faccio per tradizione, perché mi piace donare al di là di un compleanno, perché mi fa sentire bene. Però non voglio essere ricambiato, eh? Non sentirti in obbligo ora che sai che te ne farò uno. -
Kojiro si sentì effettivamente con un enorme peso in meno ma pur sentendoglielo dire sapeva perfettamente che comunque quando l’avrebbe ricevuto si sarebbe sentito in dovere di fargliene uno a sua volta.
Era matematico.
Seccato da tutta la situazione, dal Natale e da Jun, si avviò per attraversare la strada.
Fu esattamente lì, estremamente veloce, molto più del suo stesso pensiero.
Non avrebbe mai potuto fare nulla, però non per questo si sarebbe sentito meglio, poi.
Nonostante fossero sulle strisce e fosse verde per i pedoni, quando un ragazzo prima di lui mise piede sulla strada per attraversare, la macchina poco più in là non riuscì a frenare in tempo e purtroppo colpa molto della strada ghiacciata, questi venne investito.
L’impatto fu tremendo e per poco non toccò anche a Kojiro stesso, fu una frazione di secondo, una folata di vento e il botto. La frenata si sentì così come il rumore dell’accelerata e della fuga del veicolo.
Jun rimase a fissare senza parole la macchina che fuggiva mentre Kojiro l’ignorò per buttarsi in ginocchio sul povero ragazzo investito.
Riversava a terra ed era già in condizioni pessime, aveva sbattuto malissimo la testa e la posizione del corpo era talmente innaturale da fare impressione.
Forse non aveva nemmeno qualcosa di intero.
Il sangue cominciò ad uscire subito copioso dalle ferite più visibili, tutta la parte sinistra del corpo. Il viso una maschera sconvolgente.
Kojiro vide il sangue che usciva anche dalle orecchie e capì cosa significava, suo malgrado urlò a Jun di chiamare un’ambulanza e tentò di fare qualcosa, ma poi cosa nemmeno lui aveva idea.
Non era un medico, un infermiere o uno pratico di quel genere di cose ed anche se lo fosse stato non avrebbe comunque avuto i mezzi.
Però mise le mani su una ferita sul torace, quella che gli sembrava più grave.
Il ragazzo dopo essere stato preso in pieno dalla macchina era sbalzato a terra scivolando con la parte sinistra del corpo sull’asfalto ghiacciato, poi come se non era bastato si era ritrovato la macchina di prima passargli sopra incapace di controllarsi.
Dopo aver capito cosa aveva fatto, il guidatore era scappato.
Di conseguenza lo stato in cui si trovava quel poveraccio non era disperato ma molto peggio.
Kojiro si sporcò subito del suo sangue e nonostante gli facesse impressione, la frenesia del momento e la priorità di cercare di fare qualcosa per lui surclassò tutto.
Ci provò e quando vide la luce dei suoi occhi accendersi per un secondo credette che forse potesse farcela.
Chino su di lui lo chiamò mentre una cupola di gente si radunava tutt’intorno curiosa.
Lo chiamò senza nemmeno sapere il suo nome, gli disse di resistere che sarebbero arrivati a salvarlo, gli disse che a Natale non si poteva morire, si trovò ad inventare un paio di stronzate pur di farlo sorridere.
Quando questo accennò ad una specie di smorfia positiva, la luce si spense davanti a lui. Una luce che Kojiro non avrebbe mai dimenticato.
Mai.

***

Ci misero molto a finire.
Prima l’ambulanza e poco dopo la polizia, le deposizioni, le testimonianze e tutto ciò che poteva servire.
Poi finalmente furono liberi.
Prima di proferire di nuovo parola Kojiro dovette grattarsi rabbiosamente via il sangue dalle mani, poi dopo essersi quasi scorticato ed aver ricevuto un avvertimento in merito da Jun, gli si rivoltò contro nel bagno pubblico fortunatamente vuoto.
Era tanto furioso quanto incredulo, forse era un dannato incubo:
- Ma cosa diavolo hai che non va? - Cominciò spiazzando Jun. Sbatté le palpebre un paio di volte cercando di capire cosa intendesse, quindi lo fissò cercando di rimanere calmo e non turbarsi.
- Prego? - Fece piano e cauto.
- Cazzo, Misugi, è morto un ragazzo davanti ai nostri occhi e tu non hai battuto ciglio! Non dico che dovevi sporcarti le mani e cercare di fare qualcosa di pratico come me, non tutti se la sentono o ci riescono, ma dannazione… eri lì a fissarlo vuoto come se… come se si fosse solo sbucciato il ginocchio, non so! Non hai fatto nulla! Non sei turbato, non sei… - Ma finendo le parole perché inferiori rispetto all’indignazione che provava, si voltò dall’altra parte per dare un calcio al cestino dei fazzoletti accanto alla porta.
Si rovesciò con un gran fracasso e il contenuto si sparse per terra.
Jun rimase immobile, gelido.
Sentendo il suo ancor più assurdo silenzio, Kojiro tornò a voltarsi verso di lui ancora furioso e inorridito.
Non poteva credere che lui fosse così, sperava di aver frainteso, che in realtà fosse shockato, ma quando lo tornò a guardare vide che era semplicemente normale e allora il turbamento crebbe a dismisura.
- Misugi, si può sapere che diavolo c’è che non va in te? Sei così? Freddo? Un robot insensibile? Io ti credevo diverso… sapevo che avevi problemi ad aprirti come si deve ma questo non è essere molto chiusi… questo è non avere cuore! Una persona è morta davanti a te e non ti ha toccato assolutamente! - Ora gli parlava concitato a pochi centimetri dal viso e Jun continuava a rimanere una maschera di serietà. Come ghiaccio levigato su cui tutto scivolava sopra senza raggiungerlo e toccarlo veramente.
Sempre in silenzio.
- MA NON HAI UN CAZZO DA DIRE?! - Urlò infine.
Ma le sue labbra rimasero serrate in una maniera impressionante e per non alzargli le mani contro, Kojiro si girò di scatto calciando la porta d’uscita per andarsene.
Rimasto solo Jun fissò l’uscio da cui se ne era andato come una furia e si chiese se dopotutto qualcosa da dire avrebbe potuto trovarla.
Peccato che la sua mente era mortalmente vuota.


Nemmeno ad essere un tipo che parlava e si confidava, sapeva comunque da chi andare.
Non aveva anima viva per aprirsi riguardo quanto accaduto, l’unico possibile era arrabbiato con lui.
Si erano messi insieme con difficoltà e con altrettanta difficoltà cercavano di andare avanti ma di volta in volta, mano a mano che si conoscevano meglio, si rendevano conto di quanto questo fosse impossibile.
Forse non erano fatti per stare insieme.
Forse avevano sbagliato tutto.
O forse aveva ragione lui.
Aveva veramente qualcosa di profondamente sbagliato dentro.
Prima di quell’istante non se ne era accorto e non era nemmeno corretto dire che ora invece ne era cosciente perché non era così. Non lo sapeva, ci stava pensando perché Kojiro glielo aveva urlato addosso.
Poi se ne rese conto.
“Se me l’avesse detto chiunque altro non ci avrei dato il minimo peso, ci sto pensando, sto cercando di capire se abbia ragione, solo perché era lui. Allora forse siamo fatti per stare insieme. Ha capito qualcosa di me che nemmeno io sapevo. Anche se di preciso non so di cosa si tratti. Sono così? Sono un mostro insensibile e senza cuore? Vorrei proprio sapere come fare per capirlo…”
Non ne aveva la minima idea.
Non sapeva scavare in sé stesso ed auto analizzarsi, non sapeva trovare inizi e definizioni, non sapeva dare un senso a sé stesso. Si era sempre andato bene così com’era, era andato avanti fra tutte le sue difficoltà e l’aveva fatto a testa alta, a modo suo, sfidando il mondo a fermarlo solo perché aveva una malformazione cardiaca.
Jun sospirò insofferente evitando con cura lo specchio. In quel momento un mostro se lo sentiva veramente ma non perché ci credesse, solo perché Kojiro l’aveva accusato di esserlo ed improvvisamente gli interessava solo quello che pensava lui.
Per tutta la sua vita era stato l’opposto. Era contato solo quello che pensava lui stesso e basta tanto che era andato avanti a giocare contro ogni divieto e solo quando aveva visto veramente la morte in faccia si era dato una regolata.
Guardò fuori dalla finestra.
Nevicava di nuovo e non riusciva a turbarsi per l’immagine di quel ragazzo morente davanti ai suoi occhi.
Ci pensava ma non lo angosciava, sapeva che avrebbe dovuto ma non era così. Era più preoccupato di perdere Kojiro.
A quel punto si strofinò il viso con le mani in un gesto d’aristocratica preoccupazione.
“Qualcosa che non va ce l’ho eccome!”
Ci avrebbe benissimo potuto convivere, fino a prima di mettersi con Kojiro non gli sarebbe importato niente.
Ora non poteva, non poteva far finta di nulla… non poteva perché a Kojiro non piaceva così, lo inorridiva, quindi qualcosa doveva fare, qualcosa di sé doveva cambiarla, qualcosa doveva… ma cosa? Come?
L’angoscia salì solo nel momento in cui capì che da solo non ce l’avrebbe fatta e che l’unica conseguenza di quel suo non farcela da solo sarebbe stato perdere Kojiro.
Solo allora si rese precisamente conto di quanto tenesse a quel ragazzo ed ignorandone il motivo si aggrappò alla lucida e razionale consapevolezza che se teneva tanto a qualcuno significava che comunque un cuore e dei sentimenti li aveva.
Ma allora perché davanti alla morte non si era dato pena nemmeno un istante?
Incapace di accettare l’inevitabile fine di una relazione a cui teneva troppo, come aveva sempre fatto per tutta la vita, Jun si ribellò e lo fece a modo suo.
Con compostezza e senza fare scenate. Non sarebbe stato nel suo stile e forse proprio per questo lo si notò molto di più.
Quando lui sfidava il mondo e poi in realtà solo sé stesso, nessuno poi se lo dimenticava. Mai.


Era un centro per sfollati ai limiti estremi di Tokyo. Scese dal taxi e guardò l’enorme caseggiato.
Doveva affrontare sé stesso in qualche modo e quello era stato l’unico che gli era venuto in mente.
Di risposte non ne aveva ma per mettersi alla prova sapeva come fare.
Mettere il dito nella piaga.
Quando gli avevano detto che non poteva più giocare a calcio perché soffriva di cuore e poteva morire a fare una partita intera, lui in risposta aveva continuato per vedere quanti minuti poteva resistere prima di un attacco di cuore ed anche dopo aveva cronometrato quanto tempo ci metteva a riprendersi.
Di conseguenza se aveva problemi con una certa situazione invece di evitarla ci si metteva dentro di proposito per vedere fin dove poteva spingersi per ottenere le sue risposte.
Nel centro c’erano casi molto estremi, era una specie di rifugio dove in ogni angolo c’erano persone malridotte senza un tetto. Molte talmente affamate o ammalate da non resistere.
Camminò fra le persone magre, infreddolite ed affamate.
Erano tutte segnate dalla sofferenza e dalla tristezza, erano segnate dalle tenebre che li avvolgevano e si chiese quale speranza potesse portare a loro il Natale, quale gioia, quale differenza.
Col cuore stretto in una morsa diversa da quella a cui era solitamente abituato si sentì male alla vista di tutta quella miseria e quella sofferenza.
Erano in una civiltà avanzata e si vedevano situazioni simili, com’era possibile?
Molte le considerazioni che fece e l’angoscia mano a mano che procedeva in quel posto saliva a dismisura.
Lo stomaco chiuso in una morsa d’acciaio, la voglia di vomitare e il fiato tagliato di netto.
Un dispiacere senza precedenti, pulito e sincero.
Era pietà, pietà buona quella che lo coglieva.
Capì di non essere veramente un mostro, quella realtà atroce lo colpiva come a molti altri.
“Cosa c’è di sbagliato? Cosa?”
Si guardò ancora intorno con ossessione e turbamento alla ricerca di qualcosa, qualcosa di diverso da tutta la sofferenza che vedeva, dalla disillusione degli occhi di molte persone.
Qualcosa che lo colpisse perché non lo toccava.
Qualcosa che gli scivolasse addosso come niente.
Qualcosa che trovò in un angolo quasi nascosto del centro.
Jun si avvicinò piano e raggiunto l’uomo steso su una lettiga, si chinò ad osservarlo.
Era sul punto di andarsene, gli ci volle uno sguardo per capirlo così come gli ci volle un istante per capire che era malato e che probabilmente le persone che lavoravano in quel centro non potevano fare nulla per lui se non tenerlo lì al caldo nell’ultimo dei suoi giorni.
Piegò il capo di lato e si sentì i muscoli del viso rilassarsi. Non aveva un’espressione serena ma non era più angoscia quella che solcava il suo volto.
Si sentì sciogliersi di netto ed allungò la mano verso il vecchio steso.
Prese la sua ed egli parve sentirlo, quindi spostò lo sguardo stanco su di lui, la malattia l’aveva divorato al punto da percepire vagamente il mondo che lo circondava ma al suo tocco sembrò tornare per un istante.
Jun riuscì a sorridere ma non di circostanza.
Non fu un sorriso falso o tirato quello che l’uomo morente lesse.
Fu un sorriso sincero e pacato.
Nessuno l’avrebbe capito e Kojiro stesso forse l’avrebbe accusato di chissà cosa, ma nel momento in cui lo fece Jun ci riuscì e fu possibile perché l’uomo stesso comprese il senso del suo sorriso a ciò che gli accadeva.
- Io l’ho vista tante volte. Vedrai che non è così brutta. - Nel momento in cui lo disse, lo sconosciuto parve trovare quel piccolo scintillio che aveva perso da molto tempo. Breve e flebile e forse l’avrebbe dimenticato subito, ma ci si tenne per ricambiare almeno di un po’ lo stesso sorriso con uno di gratitudine.
Trovato le sue risposte dopo una violenza auto inflitta non indifferente tipica sua, Jun se ne andò.


Kojiro viveva per conto suo, ormai, ma la vigilia la passava in famiglia.
Casa loro era un delizioso casino ed ogni volta che ci veniva era allegria assicurata.
Tutte le donne di casa, dalle grandi alle piccole, erano in fermento per i preparativi del giorno dopo.
Quando suonò gli venne ad aprire una delle sorelline di Kojiro. Ormai stavano crescendo tutte bene e lo conoscevano.
Lo salutarono entusiaste finendo per chiamare a squarciagola il fratello.
Dopo aver rifiutato le varie mille offerte di cordialità, Kojiro arrivò e quando vide Jun per poco non cadde dalle scale.
- Che diavolo ci fai qua? - Grugnì brutalmente.
Jun si strinse nelle spalle e con semplicità rispose elegante:
- Ho bisogno di parlarti, ti vanno due passi? -
- Ora? - Chiese incredulo.
- Sì, perché? Sei occupato? - Fece nella speranza che non lo fosse.
- Ma nevica! - Esclamò esterrefatto, come poteva chiederglielo? Era ovvio!
- Per quattro fiocchi di neve cosa vuoi che sia… è bella, mi piace. Non ti va di uscire? Ci metterò un attimo. - si sprecò per convincerlo e capendo che ci teneva, Kojiro si mise la giacca dandogli una sciarpa notando che non l’aveva. Il gesto non sfuggì a Jun che sorrise teneramente avvolgendosi: aveva solo paura che prendesse freddo e si ammalasse. Aveva praticamente vinto la sua malattia ma erano ancora tutti convinti che potesse tornargli di punto in bianco.
Quando furono in una zona più tranquilla del quartiere e la neve cominciò ad infreddolirli abbondantemente, Jun entrò in un parco e ringraziò la penombra della sera. I fari illuminavano solo parzialmente, quindi potevano passare inosservati e parlare senza problemi.
Kojiro rimase in silenzio tutto il tempo, era ancora arrabbiato ma più che quello era scosso.
Quando si sedette su un’altalena dopo averla ripulita dalla neve, l’altro gli rimase in piedi davanti, non era tipo da mettersi in uno di quei giochi, non era per niente romantico.
La neve continuava a cadere piano rendendo tutto magico e silenzioso, dava veramente l’idea della notte di Natale.
Jun prese respiro e non sapendo bene cosa dire, si decise guardando assorto e sereno il cielo. Gettò la testa all’indietro tenendosi alle catene dell’altalena su cui era seduto, quindi chiuse gli occhi per i fiocchi che gli arrivavano in viso e parlò piano con enorme tranquillità, come se avesse vinto una gran brutta battaglia. Una delle tante che affrontava sempre da solo.
- Non capivo cosa dicevi ma mi angosciava il fatto che ti inorridissi tanto, quindi ho cercato di capire. Sai, quando cerco risposte o sfido me stesso, mi butto proprio nel punto debole. Quando alle elementari giocavo a calcio e mi dicevano di non farlo perché soffrivo di cuore io ci giocavo lo stesso per vedere quanto resistevo prima di avere un infarto. È il mio modo di fare. Sono andato in un centro per senza tetto. Là c’è una realtà atroce che si sa ma finchè non la si vede non ti tocca. Pensavo di rimanerne indifferente dopo quanto mi avevi detto. Io non mi sono mai accorto di essere insensibile ma volevo vedere se era vero. Mi sono fatto violenza ed ho capito. Il dolore, la miseria, la povertà… tutto quello che ho visto mi ha turbato, mi ha fatto star male, non mi è passato addosso come niente. Poi mi sono avvicinato ad un senzatetto che stava per morire, era visibilmente malato e probabilmente gli assistenti non potevano fare niente per lui. Ho visto la luce che si stava spegnendo e invece di raggelarmi, angosciarmi, spaventarmi o anche solo rimanerne indifferente, gli ho preso la mano e gli ho sorriso. Sai cosa ho capito, Kojiro? - Lo chiamò per nome di proposito e si fermò sapendo che lui lo stava fissando trattenendo il respiro per quel che stava dicendo. Cose apparentemente incredibili con la più completa serenità. Anche in questo non sembrava normale eppure…
- Cosa? - chiese dandogli involontaria dimostrazione che gli interessava enormemente.
Jun si sentì meglio e proseguì ma senza raddrizzare la testa ed aprire gli occhi. La neve lo baciava facendolo sentire vivo.
- Ho capito che non sono insensibile e senza cuore, le cose che turbano tutti turbano anche me e forse ho un modo diverso di dimostrarlo e di viverle. Però è a parte il discorso della morte. Sai, io sono cresciuto con gente che mi diceva di non fare le cose perché potevo morire. Con gente che usava quel termine di continuo. Ho capito che potevo morire prima degli altri e per non uscirne matto devo aver inconsciamente assimilato quel fatto. Potevo morire. Va bene. Non è brutto. Ci sono andato vicino tante volte, l’ho vista nel corso di diversi infarti e ogni volta non era mai brutta come si crede. Erano i momenti in cui stavo meglio. Sai perché non sono angosciato, impressionato, turbato o quant’altro dalla morte? Perché non ne ho paura e so che non è orribile. Non si soffre più. - Alla fine concluse con altrettanta semplicità e si stupì della facilità con cui aveva parlato, non era normale di certo. Non gli era mai successo di aprirsi a qualcuno e parlare tanto di sé in quel modo.
Kojiro stesso ne rimase stupito e Jun capì solo quello perché rimase in quella posizione a dondolarsi distrattamente coi piedi. Si sentiva quasi del tutto ricoperto di neve ma non gli importava, era piacevole quel freddo bagnato a modo suo, non sapeva dirlo. Poi gli sarebbe venuto di sicuro un malanno ma era bello.
Voleva aprire gli occhi per vedere la reazione di Kojiro, gli interessava davvero ma non aveva nemmeno tutta quella fretta.
Il cigolio sommesso della catena dell’altalena fu fermato da una forza a lui esterna e quando capì di non poter più dondolarsi sentì allo stesso momento calore.
Calore piacevole e meravigliosamente morbido sulle labbra.
Sorrise nel sentire le sue accompagnate poi dalle mani che dopo aver fermato l’altalena l’avevano preso per il viso.
Era freddo ma caldo al tempo stesso e schiuse le labbra per farlo entrare con la sua solita irruenza.
Lo sentiva turbato anche di quel discorso e sapeva che a lui invece la morte spaventava e che quel ragazzo l’aveva angosciato, ma se aveva raggiunto la pace almeno con lui, tutto il resto tornava ad assumere un’altra dimensione.
Era di nuovo sopportabile, di nuovo normale.
Quando si separarono, Jun aprì gli occhi e lo vide chino su di sé, lo guardava a sua volta con un’espressione intensa e strana che non seppe decifrare ma gli piacque e sorrise ancora con calma ed eleganza tipica sua.
Con le mani gli circondò la vita fino a scivolare nelle sue tasche posteriori, si infilò e cominciò a scaldarsi tenendolo a sé.
All’altro piacque quel gesto intimo ma non invadente e l’accettò rimanendo ad osservarlo con attenzione. Gli tolse della neve dai capelli e gli asciugò il viso bagnato con i polpastrelli.
Dopo di che, ripensando alle sue parole e a quella che doveva essere stata la sua vita, sospirò un po’ sconfitto ed un po’ sollevato.
- Ti preferisco così. Che mi spieghi le cose. - Jun sorrise sapendo che lui era un tipo del genere, al suo contrario che tendeva a tenersi tutto dentro, bastava pensare che fino ad una certa età e per molti anni aveva tenuto segreto a quasi tutti la sua malattia. Però riconosceva che c’erano volte in cui serviva aprirsi.
- E’ brutto che io non sia spaventato e turbato dalla morte? - Chiese ben sapendo la risposta. Per lui no ma voleva essere sicuro che non lo fosse per Kojiro. Questi fece un ghigno dei suoi e con sicurezza rispose subito senza bisogno di pensarci:
- Non me ne frega, basta che ci sia un motivo. Mi interessa che tu abbia un cuore. E devo dire che il tuo è parecchio interessante! - Dopo di questo, vedendolo anche arrossire per quella specie di dichiarazione, tornò a baciarlo.
Jun non aveva avuto modo di prendergli un regalo né tanto meno di prepararsi bene al Natale come faceva sempre, ma sentendo in lontananza delle campane che scoccavano la mezzanotte si disse che anche così andava bene.
Trovare delle risposte tanto importanti poteva essere un gran bel regalo.
- Buon Natale Kojiro. - Mormorò sulle sue labbra con quella serenità tipica sua.
- Buon Natale, Jun . Rispose l’altro con meno romanticismo ma comunque soddisfazione per aver concluso bene quel capitolo della loro relazione.
- Ti va bene se per quest’anno il mio regalo di Natale per te sono io? - Non l’aveva detto nel senso in cui poi risultò, Jun si rese conto subito di ciò che sembrò ma non si corresse. Arrossì e arrossì pure Kojiro e mentre questo poi sorrideva malizioso apprezzando di gran lunga la sua uscita ed il suo regalo, l’altro si compiaceva.
Lo sapeva che preferiva molto di più lui ad un regalo vero.
- Non potevo che chiedere di meglio! - Rispose infatti pensando già a come fare per prenderselo.
La risata di Jun non fu più contenuta né tanto elegante e a Kojiro parve davvero il regalo migliore.
Non poteva desiderare di meglio.
Conoscerlo giorno dopo giorno e comprenderlo ma soprattutto averlo, averlo ancora e sempre più.
Andava bene così.

“Non sono insensibile alla morte.
È solo che non ne ho paura.
La conosco.
Semplicemente la vivo bene, meglio di chiunque altro.
Questo forse è essere diversi e strani, ma sono io e se c’è anche solo una persona a cui vado bene e finché quella persona è l’unica che mi interessi veramente, allora ve bene.
Va semplicemente bene così.”

FINE
   
 
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