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Autore: Cosmopolita    09/01/2012    6 recensioni
3 settembre 1939. L'inizio della Seconda guerra mondiale. Dieci personaggi vivranno delle esperienze destinate a concatenarsi tra loro, sullo sfondo di uno dei periodi più bui della storia...
STORIA IN REVISIONE
[Mi sono resa conto che questa storia è stata un... ingenuo esperimento, diciamo così! Molte cose credevo di saperle ed ero anche convinta che la maggior parte degli espedienti narrativi fossero a dir poco geniali. Ovviamente, non è così. Rileggendola, qualche tempo fa, mi sono accorta della sua acerbità e di alcune, imbarazzanti, inesattezze storiche che, un po' per l'età, un po' per il mio iniziale entusiasmo, non avevo assolutamente considerato. Non cancellerò questa storia: dopotutto, è una tappa della mia evoluzione stilistica, mi dispiacerebbe silurarla in questo modo. Ho deciso, però, di revisionarla, di modo che chiunque abbia voglia di leggerla, non me rimanga orripilato.
Spero che chi si sia addentrato nella lettura di questa storia, abbia almeno letto queste poche righe introduttive.]
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Alfred e Matthew rimasero abbracciati stretti per un tempo che parve interminabile.
Sembrava come se con quell’abbraccio, i due gemelli volessero raccontarsi le vicende accadute durante l’assenza dell’uno e dell’altro e nessuno provò a disturbarli. Fu Matthew a interromperlo, sfilandosi dolcemente dalla stretta vigorosa di suo fratello.
-Ti voglio bene. – fu l’unica cosa che disse. Neanche un “come stai?” o “cosa hai fatto in tutto questo tempo?”. In fondo, quelle domande erano futili e prive di senso di fronte al fatto che lui gli voleva bene. Era suo fratello e tutto il resto non gli importava minimamente.
Francis sorrise e lamentò di essergli entrato un granellino nell’occhio. Una stupida scusa per dire che era commosso.
Elizabeta e Gilbert furono i primi che decisero di lasciare intimità ai due fratelli, forse per rispettare anche la propria, poi fu il turno di Francis che andò in cucina e infine Arthur che, dopo aver fissato quel quadretto fraterno con malinconia, decise che era decisamente di troppo.
Ebbene, Alfred aveva ritrovato il fratello. Era felice per lui, ovviamente, ma non riusciva a spiegarsi quel vuoto incolmabile che adesso aveva nel cuore.
Un tocco leggero lo distrasse dai suoi pensieri.
-Dannato francese. – imprecò, prendendone le distanze – Rispetta i tuoi spazi. -
Francis ridacchiò divertito –Dì un po’, ma voi inglesi siete tutti così? -
- E voi francesi? – gli rispose di rimando.
- Noi francesi siamo calorosi e aperti, in questo non c’è nulla di scorretto. -
-Noi inglesi siamo freddi e rispettosi degli spazi altrui, in questo non c’è nulla di scorretto. -
Il francese rise nuovamente –Ma lo sai che mi sei simpatico? -
-Beh, lo stesso non vale per me. – ribattè inacidito, incrociando le braccia.
- Insomma, sei geloso del tuo amore americano! -
Arthur arrossì di colpo –Cosa vorresti insinuare, francese? -
-Non cercare di fregarmi, mon cher. Queste faccende io le capisco subito…- gli fece un occhiolino.
-Punto primo: non chiamarmi “mon cher”. Punto secondo: non è vero. – Francis lo innervosiva.
- Va bene, come vuoi tu…- concluse con fare accondiscendente.
Arthur era quanto mai rosso sia per l’imbarazzo, sia per il nervoso e la rabbia – Non vi sopporto, voi francesi. Siete dei pervertiti, frivoli e sciocchi. E la vostra letteratura fa pena! -
Francis passò sopra all’essere pervertiti, frivoli e sciocchi. Ma alla “vostra letteratura fa pena” si offese a dir poco.
- Pardon, non ho capito bene. – dichiarò, cominciando a perdere la calma che di solito lo contraddistingueva.
-Hai capito benissimo. Tutti scrittori depressi, storie depresse e noiose fino alla morte. Oppure frivole e sciocche, come tutti voi francesi del resto. -
Quell’inglese aveva avuto il coraggio di insultare scrittori dal calibro di Hugo o Dumas? Il francese non lo accettò.
-E voi inglesi? Cosa vi fumate per scrivere quelle storie? -
-Abbiamo solo una fervida fantasia, cosa che a voi manca. -
-Almeno noi francesi sappiamo cucinare. -
-Certo, tutte quelle salsine inutili sono il massimo dell’eleganza! -
- Non accetto critiche culinarie da un inglese. -
- Vorresti dire che gli inglesi cucinano male? -
Il battibecco tra i due si andava facendo ogni volta sempre più spinoso e ad ogni botta, c’era sempre una risposta pronunciata a voce sempre più alta. Ormai urlavano più che parlare.
-Noi inglesi vi abbiamo battuti in tutte le guerre!- urlava l’inglese.
-Dimentichi la guerra dei cent’anni .- obbiettava più pacato Francis.
- Già, ma adesso chi è sotto il controllo tedesco? E chi vi sta venendo a salvare?- gli fece osservare Arthur , fissandolo con uno sguardo gelido e spietato.
A quel punto Francis non seppe cosa rispondere. Gli fece una linguaccia e gli diede le spalle.
Arthur, da parte sua, sbuffò spazientito e aspettò che i due fratelli finissero di raccontarsi tutti i loro guai, sperando vivamente che facessero presto.


- Alfred...- sussurrava Matthew incredulo, sfiorandogli la guancia –Il mio fratellino!-
L’altro rise –Sei conciato male, lo sai? Dov’è finito il Matthew che studiava sei ore al giorno e che era dimenticato da tutti?-
Il canadese aggrottò le sopracciglia: odiava quando il fratello gli faceva notare che la sua vita sociale era meno entusiasmante della sua, ma…ora cosa significava tutto ciò per lui? Erano insieme e tutto il resto era futile.
-Al diavolo lo studio. – sbottò, facendo sbarrare gli occhi ad Alfred.Di solito non usava mai certe parole e quel “diavolo” uscito dalla sua bocca suonava come un’orribile parolaccia.
- Ogni volta mi stupisci sempre, fratello! – esclamò, scompigliandogli i capelli con la mano.
-Anche tu. – rispose –Ti voglio bene. Me ne sono accorto troppo tardi, ma è così. – si abbracciarono un’altra volta.
Solo in quel momento all’americano venne in mente una strana sensazione, una cosa a cui non aveva mai pensato prima d’ora. Arthur aveva perso due fratelli…lui ne aveva ritrovato uno. Conoscendolo, stava soffrendo molto in quel momento.
Rimase stretto a Matthew, ringraziando chiunque ci fosse lassù per avergli dato una gioia simile. Pregò che anche Arthur potesse avere la sua stessa fortuna.
-Vieni con me ed Arthur?- gli chiese.
Il fratello sciolse l’abbraccio; aveva un espressione assorta–Non lo so…io voglio stare lontano dalla guerra, non sono nato per combattere. – ammise arrossendo.
Alfred lo guardò indispettito –Un Jones deve sempre servire la sua patria. -
-Infatti io sono un Williams, non un Jones! – ribattè timidamente.
L’americano capì che niente avrebbe smosso Matthew dalla sua decisione –Beh, la famiglia è quella. E dove vorresti andare? -
Matthew guardò con aria di rimpianto il fratello. Non voleva perderlo un’altra volta e sapeva che nulla al mondo l’avrebbe distolto dall’idea di partecipare a quella guerra maledetta. Ma aveva capito che neanche abbandonare Francis gli avrebbe giovato: gli era debitore, gli aveva salvato la vita! E lui, che adesso aveva tanto bisogno di compagnia, non sarebbe potuto restare senza di Matthew.
-Resterò con Francis e gli altri. – decise –Lui…lui ha bisogno di me e io non voglio ritornare a fare il soldato! -
Con sua immensa sorpresa, Alfred lo comprese. D’altronde,con molta presumibilità avrebbe reagito al suo stesso modo, se al posto di Francis ci fosse stato Arthur.
I due fratelli tornarono dagli altri, tenendosi per mano.
L’americano lasciò andare Matthew con Francis e quest’ultimo, che non si aspettava una scelta simile da parte del canadese, lo strinse in un caldo abbraccio. Per la prima volta, non venne respinto.


-Dove ci porteranno?- volle sapere Matthew.Erano ritornati alla loro postazione e gli sfollati stavano per essere caricati su un auto che li avrebbe portati lontano da quel luogo troppo ostile.
-Non lo so…- ammise Alfred. Aveva un vuoto nel cuore, ma almeno sapeva che il suo fratellino sarebbe stato al sicuro.
Niente abbracci questa volta. Solo una stretta di mano.
-Ci rivedremo, Alfie!- lo salutò con le lacrime agli occhi –Ci rivedremo e nessuno ci separerà. Mai più. -
L’altro sorrise, cercando con tutte le sue forze di trattenere le lacrime ribollenti che lottavano per scendere.
Si rivolse a Francis –Abbi cura di lui. -
Il francese gli fece segno di aver capito, alzando il pollice e poggiando amorevolmente la mano sulla spalle del canadese.
- Vedi di annegare al primo fiume che trovi, rana! – intervenne la voce acida di Arthur, che rovinò l’atmosfera di affetto e di addio che si era creata.
Gilbert ed Elizabeta risero, Francis lo guardò imbronciato –E tu, mon anglais… mi auguro che darai ascolto al tuo cuore!- il suo tono era compassionevole, quasi come se quel soldato biondo gli facesse pena.
L’inglese, che si aspettava un insulto colorito, lo guardò stupito e dopo alcuni secondi, annuì poco convinto. I due soldati seguirono la macchina sfrecciare per chissà dove ,lasciando i due amici fisicamente e psicologicamente soli. - Ora che hai ritrovato tuo fratello…- esordì Arthur – Non hai più bisogno della mia compagnia. -
L’americano lo prese per il mento, lo fissò dritto nei suoi penetranti occhi verdi – Non mi stancherò mai di te. – dichiarò, facendolo arrossire – Tu non vuoi capire che per me significhi molto di più. -
L’altro si divincolò subito, imbarazzato. Per fortuna non li avevano visti nessuno, o altrimenti sarebbe stato difficile spiegare quel gesto da parte di Alfred.
- Arthur, il mio caro fragile Arthur. – disse lui, desiderando con tutto se stesso di accarezzargli la sua guancia tiepida, tracciare con le dita il profilo del suo volto, ma sapeva che l’inglese non glielo avrebbe mai permesso e con tutta sincerità non gli andava di litigare con lui proprio ora che aveva ritrovato Matthew.
Inaspettatamente, un suono cupo e rimbombante squarciò l’aria. Entrambi sapevano troppo bene cosa voleva dire.
-Tedeschi!- urlò qualcuno e tutti presero i loro fucili e cominciarono a far fuoco, chi riparato da dei naturali massi, chi dall’artificiale barriera fatta di sacchi di sabbia.
Arthur si buttò riparato su di un muretto di cemento, molto lontano da Alfred che nel frattempo era corso a prendere il posto di un soldato caduto.
Caricò il fucile con la mano tremante, mentre di fianco a lui qualcuno già urlava di dolore. Uno stramazzò morto proprio davanti a lui e alcuni schizzi di sangue gli imbrattarono la faccia.
Vide Alfred, che sembrava troppo lontano in quel momento, preso e deciso più che mai a far fuori l’intera armata tedesca. Prendeva velocemente la mira e ,dopo alcuni rapidi secondi, faceva fuoco. Era troppo scoperto, senza una riparazione, come se volesse dimostrare di non aver paura dei proiettili.
Arthur cominciò a fare la stessa cosa. Ormai la sua mente funzionava come un meccanismo regolare e per il momento non pensava a quante persone sbarravano gli occhi e si accasciavano a terra per causa sua. Il suo obbiettivo era restare vivo. Era un pensiero orribile, lo ammetteva anche lui stesso e a volte arrivava perfino a detestarsi per questo, ma o morivano loro o moriva lui.
Ad un tratto sentì un grido di dolore. Certo, ormai cominciava a sentirne parecchi, ma quello era diverso, era troppo familiare.
Un’altra voce urlò –Jones! Jones è stato colpito!-
La vista gli si annebbiò, smise di sparare. Senza riflettere, senza pensare che quello che stava per fare era stupido ed inutile, corse fino a raggiungere il corpo di Alfred.
All’altezza della coscia, stava perdendo troppo sangue.
- Alfred! Alfred, maledizione, mi senti?- cercò di attirare la sua attenzione –No, ascoltami…devi resistere. Hai capito? Fallo per Matthew, fallo per tua madre…- esitò –Fallo per me. -
Sentì la stretta debole di Alfred sulla sua mano –Arthur…- sussurrò con voce flebile.
Non fece in tempo a gioire, oppure a sgridarlo per la sua solita mania di fare l’eroe, che sentì una fitta insopportabile attraversargli lo stomaco.
Sentì freddo. Poggiò le mani a terra, incapace di mantenersi in ginocchio e sputò qualche goccia di sangue. Il dolore non cessava, anzi, aumentava ad ogni minuto che passava.
Si buttò di peso di fianco ad Alfred, vide con orrore il suo sangue uscire dal suo corpo e colare dappertutto. In quell’istante udì una voce lontana, gridare.
- Kirkland! Kirkland è stato colpito, presto, un medico!-


Alfred aprì gli occhi e lo investì la luce abbagliante e artificiale della stanza. I muri erano grigi e spogli, riusciva a sentire voci soffuse e contrapposte che lo confondevano. Cercò la ferita, ma di per se non sentiva alcun dolore, solo un leggero formicolio che gli procurava fastidio.
-Si è svegliato, finalmente!- esclamò una voce squillante e speranzosa. Davanti a lui c’era un infermiera bionda, molto carina a dirla tutta.
-Dove mi trovo?- biascicò con voce impastata.
- Nell’ospedale militare. – rispose –Stia tranquillo.Le abbiamo somministrato della morfina e siamo riusciti sia a disinfettare la ferita che ad estrarre la pallottola, ma rischiava di rimetterci la gamba. Ora è tutto apposto. – spiegò velocemente con un sorriso rassicurante.
-Come si chiama, lei?- riuscì a chiedere. Parlava bene l’inglese, ma aveva un accento strano.
- Sophie Von Boek. -
-Non è francese! – notò
Scosse la testa –Sono belga, di origini olandesi. Mio fratello Jacob è il dottore che si è occupato di lei!-
Solo in quel momento, Alfred si ricordò di Arthur.
Cercò di alzarsi, ma Sophie lo trattenne.
-Non può alzarsi, è ancora molto debole. – lo rimproverò.
-Io devo vedere il mio amico. Come sta?- chiese risoluto, ma anche piuttosto timoroso di conoscere la risposta.
-Oh, Kirkland...-
- Come sarebbe a dire?- domandò sempre più agitato –Non mi dica che è…-
-No, no di certo. – lo interruppe la ragazza –Il signor Kirkland è vivo, ma…non si è ripreso del tutto. -
Alfred si prese la testa tra le mani, come se gli dolesse troppo –è tutta colpa mia. Mia e della mia mania di mettermi in mostra!- gemette. Sophie sospirò.
-Ok, faremo uno strappo alla regola. – gli concesse –Il suo amico è nel letto di fianco al suo, ma non si sforzi troppo, mi ha inteso? -
L’americano la guardò riconoscente –La ringrazio, davvero!-
La belga sorrise –è un piacere. Ma si ricordi che tra un po’ un convoglio la riporterà a casa, in America!-
Alfred si bloccò –A casa?-
-Non può mica restare qui, con una gamba ferita. -
-Lei non capisce, io devo restare. –protestò.
-Per fare l’eroe e rischiare ancora la vita? – chiese l’infermiera in tono gravoso e severo – Sei ancora giovane, non buttare la tua vita per questa guerra inutile. Il mio paese è stato occupato, la mia famiglia sterminata. Non credi che sia stato versato troppo sangue? -
L’americano abbassò lo sguardo, risentito: Sophie aveva ragione. Arthur era stato ferito solo per colpa sua e adesso voleva ritornare di nuovo in guerra a combattere? Era egoista.
Si avvicinò lentamente al letto dell’inglese. Arthur stava dormendo, il suo respiro debole e affannato suonava alle sue orecchie dolce e malinconico al tempo stesso.
Gli mise una mano sulla fronte e lui aprì gli occhi.
-Scusami. –farfugliò –Non volevo svegliarti!-
Gli occhi verdi e limpidi di Arthur si richiusero di nuovo. Strizzò un po’ il viso, poi li riaprì di nuovo.
-Fa male?- chiese Alfred preoccupato.
- Ora no, ma prima…- l’inglese rabbrividì e non riuscì a dire più nulla.
-Non volevo che andasse a finire così…volevo dimostrare qualcosa a me stesso. Anzi…- la sua voce si fece più faticosa –Credo che per un attimo abbia pensato che se diventassi un eroe di guerra, mia madre mi avrebbe amato di più. E ti ho messo in mezzo, io…io sono stato un deficiente. – ammise alla fine.
- Smettila, le tue scuse mi danno fastidio. Tanto, ormai sono qui, giusto? Inutile piangere sul latte versato. -
L’americano gli prese una mano, era fredda, e gliela strinse. Abbassò lo sguardo là dove in teoria c’era la ferita di Arthur e con orrore notò che le lenzuola in quel punto erano sporche di rosso.
- Mi dispiace. – continuava a ripetere.
L’inglese non diceva nulla, guardava solo la sua mano avvolta in quella più grande di Alfred. Poi cominciò a sussurrare qualcosa in francese. Una canzone.
- Cos’è?- chiese Alfred.
- Questa canzone è quella che cantò il sergente alcune settimane fa. – rispose –Ti ricordi? Quel giorno mi avevi chiesto perché odiavo la Francia. -
Lui annuì e gli strinse la mano ancora di più.
- Beh, è strano. – Arthur rise. Alfred aveva sentito il suo amico ridere raramente e quella risata lo fece sentire ancora più male.
-Cosa è strano?-
-Muoio nella terra che odio di più. -
Alfred non riuscì a più trattenersi. Non aveva pianto per Matthew, adesso piangeva per Arthur. Poggiò la testa sulle lenzuola e le bagnò di lacrime.
L’inglese cominciò ad accarezzargli i capelli biondo cenere, continuando a cantare quella canzone.
-Parla…- riprese a dire –Di una donna che ricorda suo marito che è partito per la guerra. È probabile che lui sia morto, ma lei continua a sperare che lui ritorni…- spiegò –Bel messaggio, no?-
Alfred non rispose. Continuava a piangere.
-Insomma. – si spazientì –Sei o non ei un eroe? Non piangere e che diamine! -
- Arthur…- iniziò rialzando la testa – Io devo andarmene oggi stesso. – notò, con un debole senso di piacere, che l’altro si era irrigidito per quella rivelazione –Non saprò mai se tu…insomma…-
-Continua a sperare. – lo interruppe con voce appassionata –Come la donna della canzone. E non abbatterti pensando alla mia morte. Insomma, se pensi subito alla possibilità che io muoia, bel modo che hai di amarmi! Continua a sperare. Torna in America, realizza i tuoi sogni…ma soprattutto, non fare il mio stesso errore. -
-Cioè?- Alfred aveva gli occhi lucidi.
-Non preoccuparti dei giudizi della gente. Non vergognarti di amare qualcuno, non vergognarti di quello che sei. Io l’ ho fatto e non mi ha migliorato di certo la vita. – sorrise e accarezzò la guancia umida di Alfred –Faresti questo…per me?-
L’americano tirò su con il naso e poi assentì in maniera grave con un cenno della testa.
- Ma soprattutto…cerca di dimenticare tutto ciò che ti ho detto questa mattina. -
Alfred sorrise –L’avevo già fatto. -
Non ebbero il tempo di guardarsi ancora per molto, di memorizzare ogni minuscolo particolare del loro viso, perché il sergente chiamò Alfred.
- Jones?- urlò aggirandosi per l’ospedale fin che non lo vide –Eih, sei già in piedi…- si interruppe –Oh, capisco…sei venuto a salutare Kirkland!-
-Si, signore. -
-Bene, vestiti, gli Stati Uniti ci aspettano. – poi rivolse un’occhiata misericordiosa ad Arthur, ancora debole nel suo letto.
-Spero ti riprenda,Arthur. Sei uno dei soldati più in gamba e particolare che io abbia mai conosciuto e sono fiero di averti incontrato. -
-La ringrazio, signore. -
Non parlarono più, nessuno dei tre. Alfred si vestì lentamente, cercando di tanto in tanto lo sguardo di Arthur che non arrivò mai. Affiancò il sergente e non ebbe neanche il coraggio di salutarlo. Non voleva farlo, non voleva dirgli addio.


- Perchè sei così silenzioso, Jones?- chiese il sergente.
Alfred preferì restare zitto.
-Sei preoccupato per Kirkland? -
Annuì e basta.
- è un ragazzo tenace, se fossi in te non mi stupirei di incontrarlo di nuovo. -
-Che intende dire signore?-
- Hai mai sentito parlare di una speranza Jones? Spera! Spera sempre. -

Si sta come
D’autunno
Sugli alberi
Le foglie.
G. Ungaretti




Allora, fan di Arthur che mi avete minacciato di morte affinché non lo facessi morire (tra cui ci sono anche io)…spero non manterrete la vostra promessa, anche perché…Arthur non è morto, quindi non saltate a brutte conclusioni! Se volete spoiler rassicuranti, vi dico subito che Ludwig e Roderich sono gli unici morti della storia e credo che con questo abbia chiarito tutto ^^
Ludwig: ecco, infierisci, infierisci ancora di più!
Eddai, Lud, sei ancora arrabbiato! Ma hai avuto una fine gloriosa, no? Muy Bien…questo è il penultimo capitolo *prepara scatola di fazzoletti*…quindi, a rigor di logica, il prossimo sarà l’ultimo, per la gioia di alcune di voi!
Quindi…beh, approfitto per ringraziare tutti e per comunicarvi che la fine arriverà con molto ritardo, perché, ho avuto tantissima difficoltà a scrivere questo, figuratevi l’ultimo!
Spero comunque che vi sia piaciuto <3
A presto
Cosmopolita
   
 
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