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Autore: RaspberryLad    10/01/2012    5 recensioni
Tra Massimo e Alessio le acredini sono ormai scoppiate, ed i nostri amici hanno estrema difficoltà a rapportarsi, provocando in Alessio una estrema sfiducia nel mondo.
Come ne uscirà? Cosa potranno fare Adolfo, Antonio ed Eva per aiutarlo?
E cosa c'entra una chat?
[Missing moment di A Friend in Need is a Friend indeed]
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'We all have our flaws that can make us obscene'
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Web of Lies

 

 

Dear PX, I feel you are the one

What’s your name? Where are you from?

I’m in love, though we never met!

Looking for clues, I search the net.

-Web of Lies, Ayreon-

 

 

 

 


Le giornate di Gennaio trascorsero molto velocemente, quell’anno, per Alessio. Dopo il ritorno dalle vacanze di Natale, si era rinchiuso nello studio per i suoi esami di quel semestre. Questo suo atteggiamento, benché tendenzialmente normale, aveva in realtà radici strane. Infatti, i suoi rapporti con il suo migliore amico Massimo, tale ormai da anni, si stavano concretamente raffreddando e degeneravano, senza riuscire a capire il perché: sembrava quasi che la situazione fosse cambiata e lui fosse rinchiuso in una solida bolla, che lo isolava dallo splendido mondo intorno. A contribuire alla situazione era stato anche Simone, che, per altrettanto ignoti motivi, aveva deciso di ignorarlo completamente dopo la sua partenza per Modena. Non rispondeva ai messaggi, né alle chiamate. In più vi era la questione meteorologica: Alessio non riusciva ad abituarsi al freddo, e al cielo coperto, per cui la sua voglia di uscire e riscattarsi era drasticamente calata. Tanto più che i suoi colleghi di università non sembravano essere interessati particolarmente a uscire, soprattutto a causa dello stress da esami, che si ripercuoteva a tappeto su tutti loro. Gli unici due ad aver notato la stranezza del ragazzo, a parte la madre, Eva, che lo ammoniva dal suo comportamento scostante, erano Adolfo e Antonio, il vicino di casa di Alessio. Il primo, però, non riusciva a essere incisivo, perché solo questa dote avrebbe potuto scuotere il ragazzo dal suo torpore, mentre al secondo Alessio si rifiutava fermamente di raccontare, soprattutto considerando che Antonio era amico di entrambi, per cui gli avrebbe sobbarcato solo troppi problemi interni, di cui lui si era sicuramente accorto, e anzi, cercava di capirci di più.

Fu così che trovò una sorta di palliativo nel web. Era stato talmente deluso dal mondo circostante e si sentiva talmente tanto abbandonato da esso che gli era stato impossibile cercare nuovi contatti in giro per la città, per qualche pub o locale vario. Non era però depresso: in fondo, se Antonio o Adolfo cercavano di portarlo in giro lui usciva, quasi, volentieri. Sapeva anche che quello che gli interessava veramente non era Simone, che, per lui, era stato dell’ottimo, senza dubbio, sesso, ma poco più, ma più che altro voleva ricucire i rapporti con Massimo, scontrandosi però ripetutamente con un muro di gomma: non faceva male, fisicamente, ma lo respingeva.

S’iscrisse così in una chat, ma decise, per una volta, di creare un profilo fake. Non aveva la benché minima intenzione di mostrarsi di nuovo per com’era, voleva nascondersi, per poter riprendere prima un po’ di fiducia in se stesso. Distruggere il rapporto col tizio con cui esci e con il tuo migliore amico può fare assai male, soprattutto se nello stesso momento. In realtà non voleva cercare un ragazzo, almeno non momentaneamente, ma solo trovare qualcuno con cui sfogarsi. Kylie Minogue cantava, diciassette anni prima: Should I offer some assistance? Should it matter who you are?

Il nuovo profilo di Alessio era una pagina da ragazza: aveva, infatti, usato, sotto sua autorizzazione, per quanto non fosse molto soddisfatta, le foto della sua cara amica Violetta, in modo che fosse difficile, lì a Roma, che qualcuno avrebbe scoperto che era un falso. Scelse il nome di Miriam, perché era uno dei pochi nomi che gli veniva in mente che non finiva con una vocale, ma con una consonante, per di più la M di maschio! Tanto più che il significato era “amata, cara”. Era la maschera dietro alla quale cercava amore, affetto, comprensione, pace. Nel giro di tre giorni, conobbe un ragazzo, bisessuale, di nome Federico, che già da questo prospettava proprio ciò che Alessio andava cercando: il nome, infatti, voleva dire, trasposto in italiano corrente, portatore di pace. Alessio la agognava, credeva che mediante la pace sarebbe riuscito a ricostruire la sua autostima e i rapporti che gli interessava intrattenere. Era l’autostima a essere bruscamente mancata, e s’illudeva che fosse la pace a poter lenire il suo dolore.

Alessio non seppe mai dire se il rapporto con Federico stesse crescendo per merito della pace che stesse portando o se fosse stato per un’incredibile comunanza d’interessi. Aveva cercato, all’inizio, di crearsi anche un’identità fittizia, con interessi diversi dai suoi, ma la fiducia che gli stava ispirando quel ragazzo era inenarrabile. Stava, in maniera assai blanda ma inesorabile, iniziando ad abbassare le difese e ad aprirsi. In fondo, non era quello che stava cercando? Stava cercando fiducia in qualcuno, era alla ricerca di un riscatto, un nuovo punto di partenza. Non si curava del fatto che stesse scrivendo da un contatto falso, che si stesse avvicinando in maniera non del tutto sincera. In ogni caso, essendo il ragazzo bisessuale, non ci sarebbero stati, anche nel caso in cui si fossero incontrati e si fossero innamorati l’uno dell’altro, problemi particolari.

 

 

 

 

 

Era già passato un mese dal giorno in cui aveva conosciuto Federico. Le fredde giornate di Febbraio si susseguivano, nella speranza che a breve sarebbe sorto il sole che avrebbe riscaldato la sua vita. Si stupiva di se stesso, non capiva come avesse potuto regredire così alla sua adolescenza. La doveva finire di appoggiarsi troppo agli altri, doveva iniziare a tirare fuori la forza che era dentro di lui. Forse era per quello che si era allontanato dal mondo reale, da quello specchietto per le allodole che lo faceva sembrare forte. Non si rendeva forse conto, però, che stava facendo di peggio, involontariamente allontanava la forza dal genere umano al web, stava dimenticando che lui era una persona, ed era forte come tale, per cui era meglio che si fidasse delle persone fisiche. Ah, ma chi non ha mai sbagliato o peccato d’immaturità nella sua vita! Se tutti quanti fossero perfetti e la vita fosse un’oasi felice, nessuno si accorgerebbe veramente di quello che ha e, soprattutto, di quello che vale. Sarebbe un monotono trascinarsi di giornate, senza il guizzo che faccia dire “caspita, questa è veramente una giornata fortunata”. È insita nelle persone umane la pratica di cercare la perfezione e di invidiarla, quando è presente negli altri: ma chi ci dice che questi famigerati “altri” siano perfetti? E se fossero semplicemente perfetti dal nostro punto di vista, mentre dal loro si sentono dei completi falliti? L’uomo dimentica di non avere la vista a trecentosessanta gradi, e che ognuno ha aspirazioni diverse. Pensa tu, rifletteva Alessio, sorridendo amaramente, a cosa accadrebbe se tutte le persone fossero uguali? Saremmo ingranaggi di una macchina, che oscillano tra lotta e armonia. Tutte le stesse ambizioni, tutte le stesse idee, nessuna via di uscita alternativa.

In realtà, Alessio, seppur sbagliando, stava provando un’alternativa: stava creando un rapporto su basi diverse, e soprattutto stava creando un rapporto diverso. In realtà, pensava lui, ogni rapporto è diverso, se le persone sono diverse, per cui non stava provando un’alternativa, ma scegliendo una delle infinite strade a disposizione. Se poi, da fatalista qual era, credeva che tutte le strade portassero poi a Roma…

In più, per la prima volta, stava vedendo il mondo con occhi diversi: non era più completamente Alessio, era Miriam, e nonostante i punti di contatto fossero moltissimi, erano comunque due persone diverse. Il ragazzo osservò la sua stanza: l’aveva arredata veramente bene. L’armadio bianco svettava in un angolo, di fronte al letto matrimoniale, che Alessio non aveva mai usato per un fidanzato serio, anzi, anche raramente aveva accolto un ragazzo nel suo letto, aveva sempre preferito una delle altre due stanze, o il divano, o il tavolo. Davanti al letto, un tappeto rosso, su cui il ragazzo amava stendersi per studiare, visto che non lo invogliava a dormire, a differenza della morbidezza del letto. A chiudere la parte notturna, un piccolo televisore e una tenda rossa, che aveva aggiunto appositamente lui per chiudere la parte notturna a suo piacimento, anche e soprattutto se venivano amici a casa sua. Non aveva ancora imparato del tutto ad aprirsi agli altri, non aveva ancora spiegato del tutto il suo cuore, anzi, stava rischiando di seccarsi. Non valeva la pena di perdere la fiducia in se stessi, non valeva la pena perdere la propria visione quasi incantata del mondo. Il cielo plumbeo, senza dubbio, non aiutava, tanto da far sbiadire, alla vista, persino il colore scarlatto delle tende: tutto si allontanava dal colore, sfumando in un triste grigio. Alessio odiava il grigio: la gente solitamente diceva che questo colore, a differenza del bianco e del nero, era un vero colore, mentre gli altri due erano semplicemente colori neutri. Si sbagliavano di grosso: il grigio era il colore dell’apatia, il colore del nulla; d’altronde, non erano il bianco e il nero i colori dei due opposti? Il grigio era l’indistinto, la nebbia, la strada smarrita. Alessio si obbligò a reagire al grigio, inseguendo quel dolce ragazzo che, poco alla volta, stava riuscendo a tirarlo fuori dal grigiore.

 

 

 

 

Marzo era il mese del risveglio della natura, e con essa stava tornando il sole nella vita del ragazzo. Non seppe dire a chi fosse dovuto il merito: se ad Antonio ed Adolfo che si erano coalizzati per portarlo fuori, creando anche un po’ di amicizia tra loro, oppure se la presenza di Federico lo stava iniziando a illuminare nuovamente. Uno di quei giorni, i tre ragazzi andarono a correre assieme a Villa Torlonia, divertendosi parecchio, almeno riguardo a quanto la corsa potesse farli star bene. Due sere dopo, addirittura, uscirono assieme per andare a cantare al famoso karaoke a San Lorenzo e diedero spettacolo a loro solito. Questa volta riuscì anche a bere, senza il terrore di cadere in depressione o di avere una sbronza triste. Non era un ragazzo che beveva quando era particolarmente giù di morale, poiché non aveva abbastanza controllo su se stesso per potersi bloccare e non rovinare la serata a tutti i presenti. Odiava dover dimostrare che stava male, preferiva far finta che andasse tutto bene, bloccato nella sua bolla di perfezionismo. Il ragazzo avrebbe capito, con calma, che stava sbagliando, che bisognava dimostrare chi si era. Non bisognava scaricare tutto sugli altri, ma non si doveva nascondere il dolore. Se non ci fosse stato Federico prima, e Leonardo e… poi, probabilmente, non lo avrebbe mai capito.

Era il diciannove di Marzo quando Federico gli chiese, finalmente, di vedersi. Alessio era terrorizzato dall’idea: se avesse acconsentito, il ragazzo avrebbe scoperto che non era veramente una ragazza, ma che anzi, era fin troppo maschio. Se avesse inventato una scusa, però, avrebbe rischiato di perdere quel ragazzo per sempre. Fu allora che spiegò in chiari termini la situazione alle persone a lui momentaneamente più vicine: da una parte Adolfo e Antonio, dall’altra Eva. Avrebbe potuto anche chiedere a Davide, ma poiché si era accorto che gli stava ancora morendo dietro d’amore, evitò: non voleva mettere il ragazzo ulteriormente in difficoltà. Capì allora lo strano, a suo parere, comportamento di Adolfo, che questi aveva avuto prima della riappacificazione di Natale: era difficile soprattutto per chi non provava nulla a gestire un rapporto con una persona cui interessi in altro modo. Convenne che doveva sdebitarsi, tanto che invitò sia lui sia Antonio a cena, anche per chiedere consiglio.

 

 

I due amici, quella sera, erano veramente splendenti. Probabilmente era dovuto al fatto che fosse assai assurdo che li avesse invitati a cena a casa, in quel periodo. Adolfo era tutto in azzurro, quell’azzurro che faceva risaltare i suoi occhi ulteriormente e che tanto bene stava sulla sua carnagione scura: per l’occasione, aveva anche sfoggiato l’orecchino che Alessio gli aveva regalato per il compleanno. Antonio, invece, si era vestito in maniera relativamente più sobria, di nero e di bianco. Ecco qual era l’unione degli opposti, i due colori assieme, non quell’orribile e smorto grigio. Dalle occhiate che si lanciavano, Alessio suppose che erano interessati un po’ l’uno all’altro, supposizione che si dimostrò realistica circa un anno dopo, quella volta che lo andarono a trovare nell’istituto di riabilitazione. In ogni caso cucinarono tutti e tre insieme, sembrando quasi una famiglia più che tre amici. Era stupito di come quei due ragazzi, così diversi, avessero potuto accoglierlo anche in un momento veramente buio per lui. Fu anche per quello che gli disse del suo problema col tale Federico.

Aveva accennato loro, a grandi linee, che si stava sentendo via chat con un ragazzo, ma non era mai entrato propriamente nei dettagli, perché non se la sentiva di raccontare tutta quella storia, aveva un po’ di timore di essere giudicato. Gli raccontò per filo e per segno la storia, lasciando entrambi basiti. Il primo a riuscire a riprendere l’uso della parola, miracolosamente, fu Adolfo.

- Beh, Ale. – cominciò Adolfo, schiarendosi la voce, quasi a porre l'accento sull’importanza del suo discorso. – Tu pensa che non gli hai detto, del tutto, la verità, ma che comunque vi siete conosciuti via internet, come poteva avere la certezza che fossi donna? Che poi, io ti ho anche visto in mutande, e non è che sembrassi proprio donna!

- Cretino! – arrossì il ragazzo, imbarazzato da tale allusione. Erano proprio tornati amici.

- Il consiglio che ti do è questo: escici. Potrebbe essere che anche lui ha degli altarini da nascondere, che ne sai?

Antonio annuì per tutta la durata del discorso, a parte, ovviamente, il commento delle mutande, essendo più occupato a ridere che a prestare il proprio consenso, ma aggiunse una parte che riteneva assai importante.

- Ale, gli dovrai chiedere scusa, sappilo. – disse il ragazzo, osservandolo negli occhi. Alessio avrebbe voluto staccarsi da quella trappola, ma sapeva che con Antonio non l’avrebbe avuta vinta: se lo guardava negli occhi, voleva dire che doveva concentrare la completa attenzione su di lui. – Ma calcola anche che non devi implorare perdono o vergognarti, devi dimostrare di essere dispiaciuto per la bugia, ma solo per quella. In fondo, hai messo in gioco te stesso, anche se in una versione leggermente diversa. Da quello che ci hai detto, questa Miriam non è così distante da te. È come se avessi recitato: gli attori adattano il personaggio a se stessi, se non provassero quelle emozioni umane, nella loro trasposizione di personaggio, non riuscirebbero a dare indietro qualcosa a coloro che li vedono al teatro o al cinema. Nella tua Miriam ci sei tu dentro, le tue paure, le tue emozioni. Poi tu sei un libro aperto, appena inizi a fidarti, per cui non dubito che Miriam e Alessio si assomiglino parecchio. Un ragazzo speciale come te non si trova tutti i giorni.

- Già. – sospirò il ragazzo, in preda ad un improvviso attacco di nostalgia. – Peccato che Davide non riesca a superarlo, e che Massimo non riesca a capirlo. Mi fa male, sapete? È difficile non poter star vicino a una persona cui tieni tantissimo per non farlo star male, e a un’altra persona perché non te lo permette.

- Ale, secondo me tu stai male per Davide perché, in fondo, provi ancora qualcosa. Stai attento, però, a scindere l’amore dall’affetto che provi per lui, potrebbe essere che vi scoprite ottimi amici. – rispose Adolfo, annuendo convinto. Non sapeva di essere stato il famoso Nemo profeta in patria. – Comunque gli passerà, prima o poi. Ehi, pensa che è passata a te la mia cotta per me! – ridacchiò, di fronte alla faccia allibita di Antonio.

- Voi due stavate insieme? – chiese il ragazzo, sgranando gli occhi. – Non me ne avevi mai parlato!

- Non stavamo insieme, precisiamo! – disse Alessio, cercando di mantenere la dignità, per quanto il rossore si era ormai espanso sulle sue guance. – Comunque non era ancora avvenuto il fatto della vecchia signora Bosoni!

- Che fatto? – domandò Adolfo, con un fare da vecchia comare zitella.

- Non te lo dico ora! – gli fece una linguaccia l’amico, alzandosi improvvisamente dal tavolo. - E ora, egregi signori Antonio e Adolfo, vi dedicherò una canzone al pianoforte. Sì, lo so suonare, niente domande inutili!

Alessio si sedette davanti al pianoforte a coda che teneva in un angolo della sala, accanto ad una libreria, piena dei suoi libri preferiti. Aveva imparato a suonare il piano da piccolo, sotto impulso della madre che, appassionata suonatrice, aveva trasmesso la voglia al figlio. Per le nozioni di base era stata lei a insegnargli come si suonava, per poi farsi aiutare da un insegnante privato, da cui prendeva lezioni lei stessa. Il pianoforte era nero, e l’aveva comprato appena trasferitosi da Modena. Aveva bisogno di suonarlo di tanto in tanto, non aveva velleità da musicista, ma senza dubbio adorava suonarlo. Fu così che intonò al piano una canzone di Tori Amos.

And if I die today, I’ll be the happy phantom!

Capirono così che il ragazzo era pronto a tutto, e che avrebbe avuto il coraggio necessario per affrontare quel Federico.

 

 

 

D’altro canto, Eva non si era discostata di molto da ciò che gli avevano consigliato gli amici. Il ragazzo le raccontò tutta la situazione, per filo e per segno, tanto più che non c’era motivo di vergogna, non essendo arrivati ad atti impuri via web. La donna ascoltò con attenzione tutto il discorso, comprese inflessioni e pause strategiche. Non fu contenta di non poter vedere anche il linguaggio non verbale, che diceva anche di più, solo che il solo tentativo di usare Skype era impossibile. Non voleva chiedere a Marco, che avrebbe storto il naso, al pensiero che il motivo fosse il figlio, né a Davide, poiché Alessio non voleva raccontargli, momentaneamente, della situazione. Poco male, pensò lei, tanto conosceva Alessio a sufficienza da non aver bisogno di vederlo per capire il vero nocciolo.

- Il consiglio che ti do io, - disse la donna, scribacchiando su un foglio. Si stava appuntando le cose da dire per non dimenticarsele, soprattutto per non perdere la sequenza logica. Era pericoloso saltare un nesso logico, c’era il rischio che l’altra persona non capisse la situazione: in fondo, la maggior parte dei problemi, anche il più banale problema di matematica delle scuole elementari, deriva da un salto logico. La cosa tragica è che la consequenzialità logica è dote assai rara, ci si abbandona generalmente a una cieca irrazionalità che suona più come il vagare di un sonnambulo dopo essere stato svegliato. – è di uscirci presto e chiarire. Sai, potrebbe essere divertente, chi ti dice che anche lui non sia un fake? Davide mi racconta di amicizie scoppiate così per caso tra gente che si spacciava per altra sui social networks. Io non ne so niente, figurarsi, non ci capisco niente di queste cose, ma chi ti dice che sarai solo tu a pentirtene. Buttati, che la fortuna arride agli audaci. Ricorda sempre, poi, che chi fa le cose con determinazione avrà sempre, anche se in modi inaspettati, una sorta di ricompensa.

- Grazie mamma! – esclamò, molto rincuorato dalle parole della donna. – Gli scrivo subito e ci diamo appuntamento! Ti faccio sapere! – Ne approfittò, così, per scrivere di corsa al ragazzo, per sapere dove si sarebbero visti. Ogni indugio sarebbe potuto essere fatale alla sua convinzione.

 

 

 

 

- Ci vediamo lunedì, alle undici e mezzo, a Piazza del popolo. Hai presente la scala che sale, al lato di Santa Maria del Popolo, verso il Pincio? Mettiti lì sul muretto, appena sali, sulla destra, tanto in pochi si siedono là. A domani, bellissima!

Il messaggio, che Federico gli aveva inviato in chat, era chiarissimo, non aveva nulla da dire. Gli rispose con un semplice:

- A domani. Non vedo l’ora di conoscerti veramente.

Quel bellissima alla fine della frase lo faceva rabbrividire. Lo aveva fatto rabbrividire per ambedue i giorni che lo dividevano da quell’appuntamento. Ora era lì, in attesa, e l’ansia si stava moltiplicando. Come avrebbe spiegato di essere un maschio? Cioè, non che ci volesse molto, era palese che non avesse le tette o che non fosse donna neanche lontanamente, e sicuramente non assomigliava minimamente a Violetta. Per cercare di non pensare aveva girato la chiesa, rivedendo, ancora una volta, i magnifici quadri del Caravaggio. Amava il Caravaggio, era un autore che dava fuori tutto se stesso nella pittura, senza perdersi in eccessivi orpelli e manierismi, che sfogava costantemente il suo demone interiore. Era un po’ come la sua amata Tori, erano eccessivi, erano un po’ quello che lui, nel profondo, avrebbe voluto essere, senza riuscirci. Aveva anche sentito Adolfo e Antonio, peraltro chiamando il primo mentre stava a lezione, che lo stesso Alessio avrebbe dovuto seguire, ma Adolfo glielo impedì categoricamente e gli toccò andare senza parlare. Antonio era stato assai comprensivo, l’aveva sostenuto, indirizzato, tranquillizzato. Si soffermò a osservare il cielo. Ricordava quand’era piccolo, ancora prima di trasferirsi a Modena, come amava osservare il cielo il giorno del solstizio di primavera, perché era convinto che venissero le rondini appositamente per portare la primavera. Raramente, comunque, gli era capitato di trovare una giornata così bella e soleggiata. Non sembrava quasi di essere in primavera, si stava bene al sole e la piazza era illuminata completamente, dando quasi nuova linfa agli alberi che stavano ritirando fuori le prime foglie dopo il gelo invernale. Era un po’ come l’autunno, era la continua rigenerazione e il cambiamento della natura. Lui subiva quel fascino pesantemente. Abbassò gli occhi un momento e incontrò l’ultima persona che avrebbe immaginato di incontrare.

- Massimo?

Vedendo la faccia dell’amico, quando lo vide, quasi spaventato, neanche lui si sarebbe minimamente immaginato di incontrarlo là.

 - Ale? Che ci fai qua? – chiese il ragazzo, con voce tremante. C’era qualcosa che non andava, Alessio lo avvertiva nell’aria.

- Ho un appuntamento, e tu? – rispose lui, sorridendo, cercando di tranquillizzare l’amico. In fondo e in realtà gli voleva sempre profondamente bene, per quanto potesse essere arrabbiato con lui. Era sempre il suo migliore amico, era cresciuto con lui e il solo vederlo gli faceva piacere. Il sorriso che ricevette per risposta da Massimo lo fece gioire ulteriormente.

- Anch’io! Curioso, eh?

Rimasero due minuti in silenzio, persi nei propri pensieri, quando Massimo parlò.

- Ale, ne approfitto, visto che ci siamo incontrati per caso. Devo chiederti scusa.

- Come, per cosa? – domandò il ragazzo, sgranando gli occhi. Una parte di lui sapeva il perché, ma l’affetto per l’amico gli impediva di dargli colpe, portandole tutte su di sé.

- Per essere sparito. Non me la sento ora di spiegarti perché ho avuto bisogno di allontanarmi ora, lo farò in un’altra occasione, che è sicuramente meglio. Mi sono, però, accorto di aver fatto una stronzata. Sei sempre il mio migliore amico, ho cercato di evitarti perché il solo vederti in faccia mi fa venire voglia di parlare, e di darti il mio affetto, almeno nella mia maniera. – arrossì violentemente, pronunciando tali parole. Alessio sapeva lo sforzo che l’amico stava facendo, era pur sempre il suo timido amico, non era lui a parlare più di tanto. Stava facendo uno sforzo enorme, per cui lo azzittì, in modo da aiutarlo.

- Tranquillo. Io ti ho già perdonato quando mi sei comparso davanti agli occhi. – gli accarezzò un braccio, mentre diceva queste parole. Era il gesto di affetto più tranquillo che potesse esprimergli, in quel momento. Non gli pareva il caso di rovinare tutto in quel momento, anche se da parte sua nulla era cambiato. Tacquero un po’, prima che Alessio spezzasse l’atmosfera. Erano già le undici e tre quarti, non capiva proprio, dove fosse finito Federico. – Ma tu con chi avevi appuntamento?

- Con una ragazza, dovevamo vederci oggi. Solo che è in ritardo, chissà che fine ha fatto! – esclamò Massimo, ridacchiando.

Alessio rifletté, pensieroso, fino a che non sembrò collegare tutta la situazione. – Scusa, ma sei tu Federico?

Lo sguardo raggelato di Massimo, mischiato a un timidissimo cenno di assenso, gli fece capire che aveva indovinato. – E tu saresti Miriam?

L’altro annuì, sconcertato quanto lui. Si guardarono qualche secondo, come se fossero due alieni, prima di scoppiare a ridere allegramente. La gente si girò a guardare quei due amici pazzi, che ridevano come degli scatenati per la situazione assurda.

- Alè, ma come hai cercato di spacciarti per una donna? Manco ci assomigli! – disse, tra una risata e l’altra, il ragazzo.

- La cosa divertente è che tu non l’hai riconosciuta! Non ti ricordi di Violetta? Erano foto sue!

- Ma dici davvero? Ok, non la vedo da un po’, ma non ci avevo fatto caso!

- Eh, si è fatta rossa anche lei, di recente! Gliele ho chieste, le foto, comunque, se non ti fidi, chiedilo anche a lei! – gli fece un occhiolino, il ragazzo, cercando di precisare la situazione.

- Figurati, tranquillo!

Si avviarono giù per l’altra strada che portava a Piazza del Popolo. Erano circondati dagli alberi, ma potevano vedere con chiarezza il sole, che illuminava le fronde ancora parzialmente spoglie.  Camminarono vicini, fino a quando Alessio non avvicinò l’amico a sé, cingendogli la spalla con un braccio. Massimo lo lasciò fare, capì che non servivano altre spiegazioni e che bastava quella poca fisicità per averli riportati a quelli che erano pochi mesi prima. C’era poco da fare, la loro amicizia era stata troppo coltivata per poter essere distrutta da così poco. Ne uscivano, anzi, rinforzati, un’ennesima volta. Era il ventuno di marzo, e il sole splendeva radioso in cielo. Per Alessio, la vita non era mai stata così bella.

 

 

 

 

 

It’s note time, bétch!

Ce l’ho fatta anche stavolta, seppur per il rotto della cuffia. Sono di nuovo qua, son tornato con una nuova shot, anche questa collegata alla storia principale, che non spoilera minimamente, visto che l’unico spoiler è relativo agli avvenimenti di Adrenalina (non l’avete letta? Filare!). Anche questa è una shot compleannosa: infatti, oggi è il compleanno del mio migliore amico, una delle persone a cui tengo di più in assoluto. Tanti auguri, Mimmo, spero che ti piacerà sto regalino alternativo. (hai capito, ora, qual era il regalo aggiuntivo? :P)

La storia mi è uscita, all’inizio, incredibilmente, angst, e per altro è assai corta per i miei standard, ma sinceramente non mi andava di allungare con parentesi inutili. Per essere la shot relativa a Massimo, lui compare poco, ma in realtà serviva per far capire anche come sono tornati in buoni rapporti, lui e Alessio, al tempo della long. Il perché della scelta di Massimo… so di essere stato perfido a non scriverlo, ma ho deciso che ci sarà, anche in questo caso, una shot apposita, che spiegherà cosa è successo al nostro amichetto del cuore e le motivazioni per le quali si è allontanato da Alessio.

Non so più che altro dire, sennonché mi auguro che la lettura sia piaciuta a tutti voi. Non dimenticate una recensione, mi raccomando!

Appuntamento a tra qualche giorno!
Ciao!

-RaspberryLad-

P.S: Ricordo la mia pagina autore su FB: passate, se vi va!

P.P.S: Solito disclaimer: la canzone Web of Lies appartiene agli Ayreon, non ne detengo i diritti e non è usata a scopo di lucro come al solito. Mi auguro l’abbiate ascoltate, e sappiate che a cantarla è, almeno dalla parte femminile, una delle mie cantanti preferite, la rossissima e bellissima Simone Simons. Enjoy!

P.P.P.S: (Sì, son fissato). Ho scelto Web of Lies perché parla proprio dell’inaffidabilità delle persone in chat. Io amo le chat, ho conosciuto persone magnifiche e tutti qua lo sanno, ma se usate nel senso giusto, ovviamente. L’alternativa era la Confide In Me di Kylie Minogue, ma visto che ritornerà ho evitato. Ah, ne approfitto anche per indicare You Oughta Know di Alanis Morissette, che mi ha aiutato a tirare giù la shot mentre la ascoltavo.

   
 
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