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Autore: Tawariell    10/01/2012    0 recensioni
Dopo aver appreso la verità sulle sue origini Peter Bishop, verso la fine della seconda stagione, si sente totalmente perso e in balia di emozioni violente perché non sa più dov'è il suo posto. Seguito della mia one shot "Lost in the Big City"
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Peter Bishop
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Capitolo 2

 

Ospedale di Montpellier, tre giorni dopo.

 

Una leggera luce filtrava tra le persiane della finestra nella stanza numero ventiquattro, occupata solo da un giovane uomo che dormiva ormai da quarantotto ore.

Non si era svegliato neanche per mangiare, era come se la sua mente stesse rifiutando ogni contatto con l’esterno, non che le ferite riportate durante il pestaggio non fossero state gravi, lo erano, aveva diverse fratture, tra cui quattro costole, il naso, il sopracciglio destro e persino parte della mandibola anche se ciò non gli avrebbe impedito di mangiare normalmente.

 Tuttavia il medico aveva detto che non era in pericolo di vita e che in teoria si sarebbe dovuto essere risvegliato da un po’.

Invece il misterioso giovane, i cui lineamenti particolari erano ora rovinati da svariati lividi, continuava a dormire, ignaro di tutto.

Aveva un respiro greve, molto simile a quello di un bambino, pensò la giovane infermiera che insieme ad altri provava a prendersi cura di lui.

Il suo collega e compagno, Martin, l’aveva aiutata a ripulirgli il viso, bendarlo e a cambiargli il nutrimento liquido che per fortuna il giovane non rifiutava.

Aveva visto con i suoi occhi, purtroppo, ritornare indietro quello stesso liquido, ma con quel ragazzo non stava succedendo segno che non aveva perso del tutto la voglia di vivere.

Laura, così si chiamava la donna, lo aveva preso a cuore, non sapeva perché, forse perché lo sentiva smarrito e spaventato.

In quel mentre entrò Martin che la fissò con i suoi grandi occhi castani.

“Si è svegliato?” le domandò preoccupato.

“No” sospirò la ragazza guardando quel corpo martoriato e inerme. “Hai scoperto qualcos’altro oltre al suo nome e cognome?”

“Pare sia un consulente civile dell’Fbi di Boston”replicò asciutto l’uomo sedendosi accanto a lei.

“Che significa?” domandò incuriosita.

“Non ne ho idea. Comunque li ho chiamati, hanno detto che lo conoscono e manderanno qualcuno a prenderlo. Solo che …”

“Non si può muovere, lo hai visto anche tu in che stato è”

“Infatti no. Chissà perché continua a dormire”

“Forse le ferite lo hanno spossato più del previsto”

“O magari tutto quell’alcool mescolato al fatto che non avevano mangiato praticamente nulla”

Laura annuì volgendo lo sguardo verso Peter che continuava a dormire.

Chissà chi lo aveva aggredito così e perché.

Il giovane Bishop si mosse, iniziando a sbattere le palpebre ripetutamente.

Sentiva dolori dappertutto, alla testa, allo stomaco e aveva la bocca arida.

Provò a mettere a fuoco non riuscendo a capire dove si trovasse, decisamente la sua ben nota intelligenza in quel frangente lo stava aiutando molto poco dato che la confusione regnava sovrana nella sua testa.

Cosa diamine gli era successo?

Era ancora in ospedale?

E perché mai?

Provò a mettere ordine negli ultimi ricordi che aveva solo che alcune immagini si sovrapponevano l’una sull’altra e temeva di stare mescolando la realtà con il sogno.

Fu solo quando si passò una mano sul torace nel tentativo di mettersi a sedere che si rese conto di quanto gli facesse male così senza volerlo si lasciò scappare un lamento.

“Signor Bishop, non può sedersi, ha le costole rotte”

“Fan… fanta… fantastico” balbettò, con enorme sforzo dato sentiva dolore pure alla mascella, il tutto mentre cercava di mettere di nuovo a fuoco ciò che aveva di fronte.

Per un momento intravide una figura da lineamenti delicati, vestita nella sua solita divisa, con i capelli biondi sciolti lungo le spalle che gli diceva

“Bentornato”

Fu solo un istante però perché poi quella figura famigliare scomparve per lasciare il posto a quello di un estranea, molto carina doveva dire, dai lunghi riccioli castani e dai caldi occhi neri.

“Come si sente?”

Avrebbe voluto rispondere subito solo che pure parlare gli costava un immenso sforzo.

Ma perché diamine era conciato così?

“Non bene” farfugliò infine riuscendo a mettere a fuoco anche l’altra figura, un uomo di circa trent’anni, né brutto né bello, dall’aria decisamente simpatica e gioviale.

“Vuole un antidolorifico?” gli domandò lo sconosciuto che doveva essere anche lui un infermiere a giudicare dalla divisa.

Provò a replicare, ma gli mancò il fiato a causa delle fitte allo sterno: di questo passo ci avrebbe messo una settimana per fare una seria conversazione con qualcuno.

Gli scappò un colpo di tosse e a quel punto vide le stelle.

“Non lo faccia più, non le conviene. Le porto un antidolorifico, d’accordo?” insistette l’uomo allontanandosi verso il banco dei medicinali.

Annuì incapace di replicare ad alta voce.

“Che le è successo signor Bishop?” chiese la donna anche se sapeva che non avrebbe ottenuto subito una risposta, difatti Peter scosse la testa come a dire che proprio non ce la faceva a parlare.

“D’accordo mi scusi, ha ragione, vuole un taccuino così è più semplice?”

Di nuovo Peter annuì con il capo, guardandosi poi intorno frastornato: cosa gli era successo? Era una bella domanda.

Provò di nuovo a riordinare i pensieri.

Viveva a Boston da quasi due anni, si era riappacificato con suo padre, era diventato un consulente dell’Fbi e poi?

Ah sì, le indagini sempre più strane, muta forma, bambini empatici, super soldati invecchiati geneticamente, formule matematiche e musicali che portavano a sfidare le leggi della fisica, teletrasporto e universi paralleli.

Quest’ultima cosa doveva esserla sognata, decisamente non aveva senso.

Mentre formulava quest’ultimo pensiero i due infermieri erano tornati, lui, con un analgesico che Peter si premunì di buttare giù subito non appena l’uomo glielo porse altrimenti aveva paura di mettersi ad urlare e non ci teneva a fare la figura del lamentoso, lei con un taccuino e una penna che gli mise tra le mani.

Non poteva dirgli tutto altrimenti lo avrebbero portato in psichiatria, doveva solo scrivere il minimo indispensabile.

“Io sono Laura e lui è Martin, il mio collega. L’abbiamo trovata tre giorni fa a pochi isolati da qui signor Bishop”

Scrisse sul taccuino una domanda piuttosto sciocca, più che altro per perdere tempo anche perché voleva ricordare tutto.

“Come sapete il mio nome?” aveva infatti vergato.

“Mi spiace, ci siamo permessi di guardare tra i suoi documenti. E’ un consulente dell’Fbi”

Peter annuì vergando altre parole:

“Avete fatto bene. Avete avvisato qualcuno?” Persino scrivere gli stava costando un notevole sforzo anche perché proprio non riusciva a ricordare perché fosse ridotto in quello stato.

Forse qualche indagine che stava seguendo?

Non gli sembrava.

Detestava avere dei vuoti di memoria, era sempre padrone di se, delle sue emozioni e del suo modo di vivere.

Magari chiamando Olivia avrebbe potuto capirci qualcosa di più.

Nel frattempo Laura si era allontanata per controllare altri pazienti mentre Martin aveva letto la sua domanda

“Sì, ci ha risposto un certo Broyles. Ha detto che manderanno qui l’agente Dunham e suo padre”

Fece per sorridere a quelle parole quando improvvisamente un flash gli attraversò la mente.

Era scappato lui!

Se n’era andato perché aveva scoperto di venire da un’altra dimensione e Olivia e Walter gli avevano tenuta nascosta la verità.

Fissò l’uomo con gli occhi iniettati di sangue.

E adesso?

Mica poteva strangolarlo per aver rivelato a quei due bugiardi dove era scappato.

“Si sente bene?” domandò Martin notando lo strano sguardo del giovane. Era veramente inquietante.

Peter scrisse altre parole

“No, niente. Mi è venuto in mente perché sono qui” cercando di sorridere in maniera angelica.

Quello non aveva colpe.

Al suo posto avrebbe fatto lo stesso.

Martin rispose rassicurato da quel sorriso

“Quindi si ricorda di essere in Vermont?”

Certo che non se lo ricordava, rammentava solo di aver bevuto come non mai in vita sua, di aver preso un bus per una destinazione ignota e di essersi fatto menare apposta da un gruppo di trogloditi in un locale malfamato.

Da quando in qua era diventato auto-distruttivo?

Era proprio caduto in basso, decisamente.

Non era da lui comportarsi così.

E quelle botte facevano un male, l’analgesico era stato solo una panacea, si sentiva uno straccio.

C’erano però dei lati positivi in quella situazione perché uno poteva evitare di parlare e due pensando ai suoi dolori fisici non continuava a pensare alla sensazione di aver perso la terra sotto i piedi, che però era sempre lì in un angolo della sua mente a tormentarlo.

Non poteva guarire così in fretta, lo sapeva.

E si rendeva anche conto che tutto sommato non sarebbe stato un gran male perdere realmente la memoria, almeno sarebbe tornato a casa tranquillamente senza avere la stessa dannata voglia di prenderli a schiaffi tutti e due e poi buttarsi dal primo ponte.

“Signor Bishop?” chiese Martin ancora preoccupato.

Peter sorrise vergando alcune righe sul taccuino.

“Sono venuto in Vermont per un’indagine. Mi hanno aggredito mentre ero in giro. Potrei aver qualcosa di decente da mangiare?”

Calcò molto la mano sulla parola decente anche perché ricordava molto bene la terrificante brioche mangiata in un bar qualche giorno prima, non che pretendesse chissà cosa da un ospedale, però voleva che fosse almeno mangiabile.

L’infermiere assentì leggendo quelle poche righe.

“Mi spiace molto signor Bishop per quello che le è successo. Se vuole abbiamo ancora dei pancake alle ciliegie”

Adesso sì che aveva davvero voglia di ucciderlo.

Ma di tutti i dannati gusti dei pancake proprio alle ciliegie?

Walter, sempre Walter, ovunque girasse sempre lui di mezzo.

Probabilmente lo avrebbe trovato anche all’inferno.

Deglutì cercando di non mostrare la sua ira però Martin intravide lo stesso per un secondo il suo sguardo luciferino che lanciava bagliori di fiamma.

Bishop scrisse altro cercando di continuare a sorridere.

“Non avete delle uova con il bacon? Le preferirei, grazie”

L’uomo annuì.

“Sì, credo di sì. Vuole dell’acqua intanto?”

Peter annuì, così l’infermiere gli porse un bicchiere con una cannuccia.

Che umiliazione costretto a bere con la cannuccia perché non poteva neanche mettersi a sedere.

Bevve piano piano, deglutendo a più riprese visto che le fitte aumentavano: quel cavolo di analgesico non era servito ad un tubo.

E lui era stato un vero idiota a provocare quegli energumeni.

Avrebbe dovuto andare a prendere a calci Walter, altro che farsi menare.

Imbecille, imbecille, imbecille.

Poco dopo l’uomo rientrò con un vassoio che posizionò sul comodino, che poi gli spostò davanti al suo viso.

“Ce la fa a mangiare da solo?”

Il ragazzo annuì sperando che lo lasciassero finalmente solo.

“E’ sicuro? Posso imboccarla se vuole”

Bishop scosse la testa fissandolo con aria truce, poi per dimostrare che diceva il vero, si mise a mangiare così i due finalmente se ne andarono.

Faceva una gran fatica, però farsi imboccare era veramente troppo, già non riusciva a proferire parola senza che ogni atomo del suo corpo gridasse vendetta.

Gli ci vollero quasi venti minuti a mangiare quelle uova, però almeno erano decenti, sicuramente più delle robe ingurgitate tre giorni prima.

Non che avesse ritrovato la voglia di vivere tutta d’un botto, solo magari preferiva andarsene a pancia piena di buon cibo.

Sfinito poggiò la testa all’indietro, sperando di riposare un po’ dato che ora come ora non poteva proprio muoversi e quindi quei due sarebbero riusciti a venire a prenderlo.

Avevano vinto loro.

Chinò il capo, chiudendo gli occhi quando sentì risuonare alcuni passi, forse era l’infermiera di prima.

“Signor Bishop sono arrivati suo padre e un suo amico”

Peter spalancò gli occhi, alzandosi di scatto a sedere e questo gesto mancò poco che lo fece ululare.

Doveva darsi una calmata.

“Signor Bishop le ho già detto che non si può mettere a sedere lo capisce?”

Certo che lo capiva, si sentiva come se gli fosse passato sopra un auto-treno.

“Li faccio entrare?”

Peter riprese in mano il taccuino scrivendo alcune parole.

“Ma non doveva venire insieme all’agente Dunham? E poi non è un po’ troppo presto?”

Laura sorrise

“Li abbiamo avvisati alcune ore fa”

Il ragazzo annuì sentendo un brivido lungo la schiena.

Non aveva nessuna voglia di vederli.

Soprattutto suo padre, ecco magari su Olivia poteva soprassedere, ma suo padre proprio no.

Il problema era dirlo a quella gentile signorina, un po’ troppo soffocante per i suoi gusti.

Affranto scrisse due parole.

“Va bene” poi rimise la testa sul cuscino mentre l’infermiera portava via il vassoio.

Qualche minuto dopo sentì risuonare altri passi così chiuse gli occhi, voltando la testa dalla parte opposta.

Dopotutto era vero che non poteva parlare.

“Peter” fece una voce a lui famigliare.

Aprì gli occhi e si voltò verso il suo interlocutore.

Non poteva essere.

Quello era Newton.

E l’altro?

Sembrava Walter solo un po’ più elegante, con una aria molto meno… come poteva definirla? Da figlio dei fiori?

Era identico, i lineamenti erano uguali.

Quindi quello era…

“Ciao figliolo” disse solamente l’uomo con un tono molto più freddo con cui lo diceva Walter.

 

Aereo federale in volo tra Boston e il Vermont

 

Olivia osservava il cielo dalla finestra, stava nascendo il sole ed era come se stesse rinascendo anche dentro di lei.

Stavolta non gli avrebbe più mentito, non poteva, non dopo aver rischiato di perderlo.

“Cosa ti ha detto di preciso Broyles?” le chiese Walter con tono dimesso.

Lei aveva evitato l’argomento perché sapeva che il padre di Peter sarebbe andato in crisi a sentire in che stato era stato ritrovato il giovane, ci era andata anche lei in crisi a sentire quel rapporto, lei che non si scomponeva mai di nulla.

Tuttavia era ora di smetterla con le bugie, non erano mai servite a niente, solo a distruggere il loro meraviglioso equilibrio famigliare, del resto Walter aveva capito molte cose su di lei e Peter prima che loro stessi le comprendessero.

“E’ in un ospedale, alcuni sanitari lo hanno trovato in una via di periferia, pesto e sanguinante, ha diverse costole rotte, insieme al naso, al sopraciglio destro e parte della mandibola”

“E’ colpa mia” riuscì solo a dire Walter.

“Ti correggo è colpa nostra” replicò Olivia asciutta.

“Ho provato a dirglielo ma succedeva sempre qualcosa” farfugliò lo scienziato guardandola negli occhi.

“Balle. Non volevi farlo come non volevo farlo io. Perché entrambi non volevamo perderlo” affermò la Dunham cercando di usare un tono comunque gentile. Non ce l’aveva con lui, non più di quanto non ce l’avesse con se stessa.

“Quindi anche tu …”

“E non venirmi a dire che non lo sapevi. Lo hai capito prima di noi, accidenti a te!” disse con un pallido sorriso.

“Ho provato a farvelo capire, ma voi ragazzi siete tutti strani. Io sono di un’altra epoca, me ne rendo conto, eravamo ancora mezzi hippy quando ero giovane io”

“Lo so, lo so Walter” fece divertita la donna. Voleva bene a quell’uomo malgrado tutto, malgrado le avesse fatto del male in passato, ora si rendeva conto che era realmente pentito. Non aveva mai creduto nella redenzione fino a quando non aveva incontrato quello strambo scienziato.

“Posso chiederti quando lo hai capito?” domandò con il suo sorriso da furetto Walter.

“Giurami che non lo dirai a Peter. Sono sicura che potrebbe uccidermi se sapesse che ti dico una cosa del genere”

“Parola mia. Non sarebbe la prima volta che gli nascondo qualcosa” affermò scherzosamente il dottor Bishop.

“Beh, allora, diciamo che l’ho ammesso con me stessa solo negli ultimi mesi però un po’ lo avevo capito quando …” si fermò temendo di essere ascoltata da qualcun altro.

“Da quando?” la incalzò lo scienziato.

“Beh ricordi quando ti venimmo a chiamare in hotel per un caso? Tu ti svegliasti, ci guardasti in un modo strano dicendo: vi serve il letto? Ecco ti posso dire che non me la presi affatto, anzi, non potei a fare meno di guardare Peter pensando che la cosa non mi sarebbe affatto dispiaciuta”

Walter si mise una mano sulla bocca scoppiando a ridere, subito imitato da Olivia.

“Sei terribile agente Dunham: ho affidato mio figlio ad una strega maliziosa!” balbettò tra le risate lo scienziato.

Quella conversazione aveva migliorato l’umore di entrambi, tuttavia sia nell’uno che nell’altra continuavano ad aleggiare terribili presagi sul futuro.

Walter temeva di non riuscire ad arrivare in tempo questa volta, voleva spiegargli la sua versione dei fatti, fargli capire che non era mai stata sua intenzione fargli del male, anzi voleva solo proteggerlo.

E anche se non era suo padre, si considerava tale e non lo considerava certo un surrogato dell’altro Peter.

Non lo aveva mai visto così.

Mai.

Nessuno avrebbe mai potuto sostituire il suo Peter, lo sapeva.

Il suo cuore era andato in mille pezzi quando suo figlio era morto, si era aggrappato ad Elisabeth come non mai.

Poi era avvenuto quello strano miracolo, quel folle assurdo miracolo in cui aveva potuto avere di nuovo un figlio.

La sua intenzione iniziale era davvero solo di poter salvare l’altro Peter, non voleva rapirlo.

Ma poi quando lo avevano avuto lì con loro, lui ed Elisabeth non avevano potuto riportarlo indietro.

Sapevano bene che avevano provocato un dolore terribile agli altri Walter ed Elisabeth.

Lo sapevano.

Solo che avere lì quel nuovo Peter era stato splendido.

Amava tutto di quel bambino anche le differenze che aveva con il primo Peter.

I primi tempi aveva cercato di passare con lui ogni istante.

Dopo, vedendolo soffrire, aveva tentato di trovare il modo di riportarlo indietro.

Ci aveva creduto in quella ricerca?

Forse non del tutto.

E dopo?

Dopo come aveva potuto allontanarsi così da Elisabeth e Peter?

Come?

Erano tutto il suo mondo.

Ricordava solo che la sete di sapere, la voglia di cambiare il mondo, era diventata sete di potere, bramosia, possesso.

Aveva reso loro la vita un inferno sulla terra.

Tra tutte le colpe che sentiva di avere quella era forse la peggiore.

Diciassette anni di manicomio erano proprio pochi per i suoi misfatti.

Aveva rapito un bambino alla sua famiglia e dopo averlo amato da morire, forse persino più del suo Peter, lo aveva praticamente abbandonato, rendendolo infelice, quasi incapace di provare sentimenti o di dimostrarli.

Anche la complicata relazione che Peter aveva con Olivia era frutto di quell’analfabetismo  sentimentale che lui aveva causato.

In una situazione normale Peter si sarebbe avvicinato a quella ragazza molto prima e avrebbe compreso quanto lei lo amava, quanto lei lo desiderasse, invece aveva persino pensato di non essere ricambiato.

“Mi spiace Olivia” sussurrò Walter guardandola negli occhi.

“Per cosa?” domandò lei anch’essa persa nei suoi pensieri.

“Mio figlio non ha compreso quanto tu tenessi a lui anche per colpa mia” farfugliò l’uomo guardandola anche negli occhi come per chiederle perdono.

“Avrei dovuto dirglielo, sapevo che situazione difficile aveva vissuto” replicò lei con un tenero sorriso.

“No, Olivia, non immagini neanche che razza di inferno gli ho fatto vivere. Io non so dove diavolo abbia trovato la forza di perdonarmi la prima volta, in ogni caso non meritavo allora il suo perdono e non lo merito adesso”

“Sei tu suo padre, non perché portate lo stesso cognome, non perché il dna non dimostrerà mai che non siete padre e figlio. Lo sei perché tu ogni giorno dai la vita per lui, in ogni tuo più piccolo gesto ed è questo che fa un padre, ecco perché Peter ti ha perdonato. E lo farà ancora, vedrai”

Lo scienziato le sorrise commosso e grato chinando il capo per non farsi vedere piangere.

 

Fine Capitolo 2

 

   
 
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