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Autore: Tawariell    05/01/2012    1 recensioni
Dopo aver appreso la verità sulle sue origini Peter Bishop, verso la fine della seconda stagione, si sente totalmente perso e in balia di emozioni violente perché non sa più dov'è il suo posto. Seguito della mia one shot "Lost in the Big City"
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Peter Bishop
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Where is My Place?

Capitolo 1

 

Montpellier, Vermont, Maggio 2010, 5 a.m.

Una pioggia leggera cadeva sulla cittadina di Montpellier, sembrava il classico temporale primaverile così normale da quelle che parti e spesso preannunciavano lunghe e piacevoli giornate di sole.

Le serrande iniziavano ad alzarsi in alcuni negozi, soprattutto quelli vicino al centro dove arrivò un piccolo autobus proveniente da un altro stato, era mezzo vuoto, eppure nessuno fece caso al misterioso straniero, dallo sguardo cupo e mesto, che vi discese.

Indossava solo un cappotto nero, una t-shirt e dei jeans e teneva gli occhi bassi, evitando di incrociare lo sguardo di chiunque.

Era riuscito a dormire per un po’ nelle ultime ore, solo che il suo sonno era popolato da incubi che si ripetevano continuamente così aveva finito di cercare di smetterla di dormire, forse doveva veramente tornare al vecchio metodo: sbronzarsi.

Camminò davanti ad un giornalaio della stazione, dando un’occhiata distratta ai titoli dei giornali, poi si avviò verso un bar, non aveva fame, il suo stomaco era chiuso, però doveva pur mangiare qualcosa anche se la sua intenzione era sempre quella di farsi inghiottire da un buco nero.

Entrò nel locale, ordinò una brioche e un caffè per poi andarsi a rifugiare nel tavolino più nascosto, mangiò di malavoglia ma bevve volentieri quel liquido bollente, aveva un saporaccio però non poteva chiedere di meglio in un posto del genere.

Nessuno lo guardava per fortuna, aveva bisogno di stare totalmente solo con se stesso, per un momento, più per abitudine che per reale volontà, tirò fuori la carta di credito dell’Fbi, fu solo quando la stava allungando al barista che si accorse di quello che stava facendo.

“Mi scusi, pago in contanti” sospirò allungando qualche bigliettone, mentre, in fretta e furia rimise via la carta, pensando tra se e se che forse avrebbe fatto meglio a buttarla via.

Senza dire altro uscì dal locale, vagando a zonzo per la cittadina, non ricordava di essere mai stato in Vermont e non ricordava di aver preso il bus la sera prima: doveva essersi sbronzato proprio bene.

Rammentava, invece, il motivo per cui lo aveva fatto e tale ricordo gli aveva fatto venire voglia di ubriacarsi un’altra volta.

Oppure poteva decidere di tornarsene a Boston e affrontare Walter e le sue dannate bugie?

In fondo perché doveva riprendere a fare la vita di randagio per colpa sua?

Anche se faceva parte di quel mondo da solo due anni, ormai gli sembrava la sua strada, poteva continuare a collaborare con l’Fbi, era apprezzato da tutti per le sue doti, per la sua intelligenza, per la sua perspicacia, il suo intuito e per come sapeva far ragionare Walter.

Sempre lui, sempre in mezzo.

Avrebbe voluto spedire lui in un altro universo altroché!

Era stato già abbastanza difficile dover accettare che ci fossero universi paralleli, dover poi accettare di venire da uno di questi universi e non in quello in cui stava vivendo adesso era davvero dura.

Forse stavolta avrebbero ricoverato lui al Saint Claire.

Chissà com’era il suo universo?

Non sarebbe stato male poterlo visitare almeno una volta.

Vedere se le persone erano come in questo universo.

Olivia aveva parlato di posti più tetri: più di quella cittadina? Impossibile.

O forse era lui che vedeva tutto buio?

Ovunque guardasse non vedeva che oscurità, anche se la pioggia era leggera e dietro le nuvole si intravedeva il sole.

Si sedette su una panchina all’entrata del parco cittadino, osservando il flusso regolare delle automobili che aveva cominciato ad esserci da circa mezz’ora.

Era confortante vedere quella normalità.

Ne aveva un gran bisogno.

Mise le mani in tasca, tirando fuori una moneta, la sua moneta con cui iniziò a giocherellarci.

Era il suo porta fortuna.

La guardò per un istante infinito.

Poteva tornare a casa?

Sì, ma dov’era casa?

A Boston o nell’altro universo?

Da nessuna parte, forse.

Si alzò in piedi, riprendendo a girare sotto la pioggia, sentiva il bisogno impellente di bere di nuovo, il suo raziocinio gli stava ponendo troppe domande e il cuore gli faceva sempre più male.

Doveva trovare un posto dove bere per dimenticarsi del mondo e di se stesso solo che non ne trovava uno adatto.

Quei bar erano decisamente troppo eleganti e troppo “perbene” per il suo standard, quantomeno il suo standard attuale.

Così decise di riprendere a camminare sotto la pioggia, non era la pioggia torrenziale di Boston, ma si augurava di prendersi ugualmente qualche malanno in modo da poter finire incosciente per qualche giorno.

Il suo lato masochista stava avendo decisamente il sopravvento, però non era ancora abbastanza e fu solo tre ore più tardi, quando intravide un orrenda bettola in un trucido quartiere di periferia che pensò che forse poteva iniziare a ritenersi soddisfatto.

 

Boston, Bowling di Sam Weiss, diverse ore più tardi.

 

Olivia dopo un’intera giornata di vane ricerche si era rifugiata al bowling, non ne sapeva la ragione, forse perché non voleva vedere la faccia distrutta di Walter o quella malinconica di Astrid.

Il laboratorio era all’improvviso diventato tetro e scuro, era passata di corsa a prendere la piccola Ella, felice di sentirla parlare di quella strana storia su Peter, lei e Walter, che però aveva avuto il potere di renderla ancora più triste.

Così dopo aver atteso invano il sonno per ore, era corsa da Sam che, facendo finta di non guardarla seduta per terra in un angolo, si era messo a sistemare le palle lasciate in giro dai clienti.

Olivia aveva lo sguardo nella sua direzione, ma non lo vedeva, non vedeva niente, non sentiva niente, si sentiva peggio di quando aveva perso John dato che almeno a lui aveva detto di amarlo.

Perché non gli aveva detto niente?

Sapeva benissimo cosa stava per succedere tra Peter e Walter però aveva preferito voltare la testa dall’altra parte, facendo finta di non vedere.

Giocherellò con una palla abbandonata, poi con tutta la rabbia che aveva in corpo la lanciò lontano rischiando di prendere Sam in pieno viso.

“Sei diventata matta?

“Così la smetti di far finta di guardare altrove”

“Non ti facevo così egocentrica” borbottò Weiss andandosi a sedere di fianco a lei. “Stai bene?”

“Hai una domanda di riserva?” replicò la ragazza senza guardarlo negli occhi.

“Che cosa succede?” le chiese il suo amico senza troppi giri di parole.

“E’ così evidente che sono un disastro in campo sociale?” scherzò Olivia cercando di evitare la domanda.

“Non cambiare discorso. Dimmi cosa succede” insistette Sam.

“Ricordi la faccenda del segreto che ho deciso di tenere?”

“Sì”

“La persona che non doveva scoprirlo lo ha scoperto e non l’ha presa bene”

“Capisco… il segreto?”

“Ma niente solo che tale persona è stata rapita da quello che credeva essere il suo vero padre”

“Non sarebbe la prima volta che sento un fatto del genere”

“Sì, ma in genere le altre persone vengono dallo stesso universo” replicò asciutta Olivia

“Peter Bishop viene da un universo parallelo?” chiese stupefatto Weiss e a quel punto la Dunham gli tirò un pugno sulla spalla.

“Non ti si può nascondere niente” bofonchiò la donna fingendosi seccata.

“Dov’è lui adesso?”

“E chi lo sa?”

“Glielo hai detto?”

“Certo che no, lo ha scoperto lui”

“Non parlo di quello”

“E di cosa?”

“Gli hai detto che lo ami?”

Olivia abbassò la testa stringendosela tra le mani.

“Credo che significhi no”

“Sono un disastro”

“Non preoccuparti, tutto il mondo ormai è analfabeta a livello sentimentale: guarda me”

“Consolante”

Sam si alzò, andò a prendere una caraffa d’acqua con due bicchieri e, dopo averne riempito uno lo porse ad Olivia che bevve in silenzio per qualche minuto.

“Stavo pensando a quando andai al cinema una volta”

“Vai al cinema?”

“Ho una vita sociale ogni tanto che ti credi”

“Vai avanti”

“Tra l’altro era veramente un film osceno, io detesto le commedie romantiche”

“Devi essere più un tipo da Stephen King, vero? O magari robe splatterose alla Saw”

“No, mi piace Cronenberg”

“Soprattutto La Mosca, vero?”

“Esatto”

Olivia sorrise, leggermente rasserenata da quella conversazione.

“Dimmi che filmaccio eri andato a vedere”

“Non ricordo il titolo, ricordo però una frase”

“Quale?”

“Giura che non mi prendi in giro”

“Non sono dell’umore Sam, al massimo ti sparo”

“Considerando quello che sto per dirti potresti farlo veramente”

“Dimmi la frase Sam”

“Quando ami qualcuno devi dirglielo perché poi il momento passa”

Olivia sospirò, abbassando di nuovo la testa.

“Posso usarti come bersaglio per le freccette?”

“Senza punta però”

“D’accordo”

Weiss le accarezzò leggermente i capelli, poi si allontanò in silenzio lasciandola da sola, sapeva bene che Olivia non voleva farsi vedere così da nessuno.

Quando si voltò lei era sparita.

 

Montpellier, bar di periferia.

 

Un uomo dai capelli neri e da sinistri occhi blu, giocava ad un tavolo da poker in compagnia di alcuni avventori nel retro del locale.

Giocavano da ore e lui non si faceva scrupoli di usare la sua particolare intelligenza per barare, non sapeva perché lo stesse facendo o forse lo sapeva, semplicemente aveva deciso di non pensare più a niente.

Gli altri lo guardavano con occhi truci, erano stanchi di perdere e quel ragazzino pareva avere un po’ troppa fortuna.

Peter, nel frattempo, buttò giù l’ennesimo bicchiere, ormai deciso ad andare fino in fondo a quella follia.

I suoi occhi erano cerchiati di rosso, era sveglio da ore, aveva mangiato solo la brioche al mattino e bevuto una quantità industriale di alcool, sapeva di correre il rischio di sentirsi male, ma la cosa gli importava veramente poco.

Forse sperava solo di auto-distruggersi in fretta.

Quando tirò fuori l’ennesimo asso, il giocatore che era di fronte a lui si alzò di scatto, gli si avvicinò e gli puntò alla gola un coltellino.

“Stai barando, vero ragazzino?”

“Cosa te lo fa credere?” ribatté cercando di usare il suo sorriso più strafottente.

Non fece in tempo a dire di più, gli altri tre lo presero di peso, frugandogli tra i vestiti, dove trovarono altri mazzi di carte.

In pochi secondi fu trascinato in un lurido viottolo vicino al bar, dove iniziarono a prenderlo a calci e a pugni.

Non reagì, sperava che il dolore fisico offuscasse ogni altro tipo di dolore.

Le botte continuarono per una buona mezz’ora mentre il giovane Bishop era diventato una maschera di sangue

I pugni allo sterno erano quelli che facevano più male, erano come stilettate, era come se qualcuno continuasse a ripetere ciò che la sua mente aveva compreso pochi giorni prima sul quel maledetto ponte.

Non era di questo mondo.

In uno degli ultimi istanti di coscienza ricordò che sia Olivia che Walter gli avevano detto che non era grave, eppure aveva dormito per un giorno e mezzo.

Adesso sapeva perché.

Non aveva voluto accettare la realtà perché farlo significava distruggere quel meraviglioso equilibrio che era diventato vitale per lui.

Cadde ricevendo l’ennesimo calcio.

I suoi aggressori lo lasciarono per terra, pesto e sanguinante, sotto la pioggia battente.

Non ebbe neanche la forza di chiedere aiuto, perdendo i sensi in quel piccolo inferno che si era costruito da solo.

 

Fine Capitolo 1

 

   
 
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